Extracted: il pianeta saccheggiato.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di  Luca Pardi**, ricercatore CNR, Presidente di ASPO-Italia

lucapardi

(Recensione di Extracted, How the Quest for Mineral Wealth Is Plundering the Planet
by Ugo Bardi
Foreword by Jorgen Randers
The Past, Present, and Future of Global Mineral Depletion. 33°report del Club di Roma, Chelsea Gree, 368 pg, 25 sterline )

Extracted How the Quest for Mineral Wealth Is Plundering the Planet by Ugo Bardi Foreword by Jorgen Randers – See more at: http://www.chelseagreen.com/bookstore/item/extracted:paperback#sthash.jJW7K8DL.dpuf)Scrivere la recensione di un libro non può ne deve essere un esercizio pubblicitario, anche se spesso lo è, non in campo scientifico almeno. Questa recensione è scritta con la convinzione che la maggior parte delle persone che leggeranno Extracted di Ugo Bardi sarà intellettualmente arricchita dall’esperienza e vedrà il mondo, la storia e soprattutto la società industriale in modo diverso. Il libro è l’ultimo rapporto al Club di Roma, il 33simo. Il primo, Limits to Growth, fu pubblicato nel 1972 e fu probabilmente il primo tentativo veramente raziocinante di leggere la complessa dinamica del metabolismo sociale ed economico umano immerso negli ecosistemi terrestri.

extractedScrivere la recensione di un libro, specialmente in campo scientifico, non può ne deve essere un esercizio pubblicitario, anche se spesso lo è. Questa recensione è scritta con la convinzione che la maggior parte delle persone che leggeranno Extracted di Ugo Bardi sarà intellettualmente arricchita dall’esperienza e vedrà il mondo, la storia e soprattutto la società industriale in modo diverso. Il libro è l’ultimo rapporto al Club di Roma, il 33simo. Il primo, Limits to Growth, fu pubblicato nel 1972 e fu probabilmente il primo tentativo veramente raziocinante di leggere la complessa dinamica del metabolismo sociale ed economico umano immerso negli ecosistemi terrestri.

ugobardiIl sottotitolo di Extracted: “How the Quest for Mineral Wealth is Plundering the Planet” ci introduce all’argomento centrale dell’opera: la storia dello sfruttamento delle risorse minerali presenti nella crosta terrestre. Oltre al testo principale dell’autore, nel volume si possono leggere i contributi brevi (glimpses) su argomenti specifici di 16 esperti. Da Colin Campbell per il petrolio, a Toufic el Asmar per il suolo agricolo, da Dittimar per l’Uranio a Philippe Bihouix per Nickel e Zinco.

Nel primo capitolo intitolato “il Dono di Gaia” (Gaia’s Gift) si riprende un argomento già trattato altrove [1,2]. La dotazione di giacimenti minerali che l’uomo ha iniziato a sfruttare in temi remoti è un prodotto della natura geologica e biologica del pianeta. Quando siamo andati sulla Luna abbiamo trovato un corpo celeste geologicamente morto nel quale le rocce contengono i diversi elementi in concentrazioni corrispondenti o prossime alla media attesa per un corpo solido nel sistema solare. Si tratta di roccia indifferenziata di utilità praticamente nulla.

minieraapertaLa formazione di depositi minerali è termodinamicamente sfavorevole, va contro il secondo principio della termodinamica. Senza un gradiente energetico le diverse specie chimiche tenderebbero a raggiungere lo stato di massima entropia con una completa dispersione nella crosta terrestre in forme che sarebbe difficile da estrarre con profitto. I giacimenti minerali esistono solo perché la terra è “vivente” e può fornire l’energia necessaria per il loro formarsi. Possiamo dire che i minerali concentrati (ores) sono il dono di Gaia. Vi sono due tipi di apporti energetici che determinano questi gradienti: l’energia geotermica e quella del sole, e questi due flussi di energia interagiscono con la biosfera che gioca un ruolo importante nel favorire e/o determinare determinati processi di concentrazione. Il più importante di questi, ovviamente è quello che si è verificato nella formazione dei giacimenti di idrocarburi (petrolio e gas) e carbone. I giacimenti minerali che contengono l’intera gamma di metalli utilizzati nel corso della storia della tecnologia invece, sono spesso il prodotto di fenomeni legati al ciclo dell’acqua. L’acqua supercritica che si forma nelle zone di subduzione delle placche continetali è molto reattiva e discioglie diversi tipi di materiali caricandosi di ioni metallici che vengono spinti verso la superficie creando molti tipi di depositi minerali. Questo tipo di sintesi idrotermale è alla base dell’industria mineraria. Altri fenomeni che si verificano a temperature più basse sono largamente mediati dalla biosfera. Le cosiddette Banded Iron Formations (BIF) costituiscono ancora oggi I principali giacimenti da cui si estrae il ferro. Esse si sono formate per la precipitazione del ferro disciolto negli oceani come Fe(II) durante le “ondate” di ossigenazione atmosferica determinate dai primi organismi fotosintetici più di 2,4 miliardi di anni fa.

La storia dell’industria mineraria è letteralmente la storia di un progressivo saccheggio del pianeta. Ogni essere vivente può essere considerato un minatore dipendendo da un minimo di 16 elementi a cui si aggiungono gli elementi in tracce e micro tracce per raggiungere un numero, diverso a seconda delle fonti, ma comunque di diverse decine di elementi. Gli organismi fotosisntetici raccolgono la maggior parte della massa a loro necessaria dall’atmosfera, ma l’1% del totale lo estraggono dal suolo, cioè dal sottile e complesso strato che ricopre la crosta terrestre. Anche le piante dunque, a modo loro, sono dei minatori. Si stima che essere estraggano globalmente 0,5 miliardi di tonnellate di materiali dal suolo ogni anno, ma, inserite in modo efficiente nell’insieme dei cicli biogeochimici, non rischiano di esaurire le loro “miniere”. I cicli geochimici e quelli biologici si sono sviluppati nei tempi della Storia Naturale. “Ma recentemente qualcosa è cambiato. Ed è successo ad un tasso di sviluppo molto rapido sulla scala dei tempi geologici. Una specie appartenente al mondo animale ha iniziato a fare qualcosa che nessun animale ha mai fatto prima: estrarre minerali direttamente da sottosuolo, senza il bisogno dell’intermediazione delle piante. E’ una specie che scava, trivella, frantuma e trasforma il terreno nelle sostanze minerali di cui ha bisogno. E’ una specie di minatori: gli esseri umani.” [3 pag 30]

naniminatoriLa storia di questo popolo di minatori (tassonomicamente si tratta in effetti del genere Homo) si sviluppa durante i milioni di anni che separano il primo ominide che utilizza la selce o l’ossidiana per costruire strumenti primitivi, a quello che estrae l’Uranio ed altri metalli dalla miniera di Olympic Dam in Australia o il petrolio dai pozzi in Arabia Saudita. Dal Paleolitico all’era industriale la storia del popolo dei minatori è la storia di una continua ricerca di nuove fonti di materiali adatte a sviluppare una straordinaria gamma di strumenti extrasomatici atti, per la maggior parte, a concentrare l’energia e ad utilizzarla in modo efficiente.[4]

I metalli preziosi si trovano come tali e sono i primi metalli ad essere raccolti e utilizzati, segue il rame e le sue leghe con Stagno e Zinco. La scoperta del bronzo, lega di rame e stagno, è anche legata ad una prima manifestazione certa di globalizzazione economica, I principali giacimenti di stagno sono infatti in Cornovaglia che diventa il principale fornitore di Sn per tutta l’area mediterranea. La storia del ferro si intreccia con la Storia delle civilizzazioni. Il ferro non è brillante come oro e argento e, al contrario dei metalli nobili si corrode, ma ha proprietà meccaniche migliori una volta che si sia scoperto come lavorarlo con la forgiatura e, soprattutto, una volta che si sia scoperto le straordinarie proprietà delle sue leghe con il carbonio.

La storia dell’industria mineraria moderna inizia con la scooperta della polvere nera durante il medio-evo. Questo esplosivo da l’accesso a risorse inesplorate e inesplorabili in assenza di esplosivi.All’alba della modernità si scopre il carbone, lascito del Carbonifero, era del Paleozoico iniziata 360 milioni di anni fa, dopo il quale si sviluppa in rapida sequenza, in prospettiva storica questa volta non solo geologica, il sistema industriale che porta allo sfruttamento di giacimenti sempre più difficili da raggiungere e sempre meno concentrati di tutte le materie prime. Nello stesso periodo, mentre il sistema economico cresce sotto la spinta della disponibilità di energia e materiali a buon mercato, iniziano anche i primi allarmi sulla limitatezza delle risorse e la sostenibilità del sistema industriale.

Le società preindustriali basavano il loro metabolismo sociale ed economico su fonti energetiche rinnovabili, essenzialmente la biomassa (cioè la fotosintesi), il vento e il flusso dell’acqua e su un pugno di pochi metalli gia visti: Ferro, rame, zinco, argento, oro, mercuruio, stagno e piombo. La società industriale, grazie al flusso abbondante di energia a buon mercato fornita dai combustibili fossili, comincia a sfruttare un maggior numero di metalli, i cosidetti grandi metalli industriali[1] fino agli anni 60 del secolo scorso, e poi fino ad oggi con una crescente sollecitazione della Tavola Periodica che ha portato oggi all’uso praticamente tutti gli elementi stabili in applicazioni tecnologiche di varia natura e importanza.

mercurio

Ed è proprio nel momento attuale, quello di maggior conoscenza scientifica dei materiali estraibili dalla crosta terrestre, che la stessa conoscenza scientifica ci presenta i limiti a cui inevitabilmente il saccheggio del pianeta ci sta portando, sia sul lato delle sorgenti di materiali che su quella dei pozzi, cioè dei ricettacoli in cui abbiamo liberalmente scaricato i cascami delle nostre attività e i limiti fisico-chimici e biologici degli ecosistemi nel processo di purificazione della biosfera da questi cascami.

carbone

Al termine di una corsa plurisecolare l’umanità si trova a confrontarsi con la scarsità e scopre, come spiega Toufic el Asmar nel suo contributo sul suolo agricolo, di aver basato il suo straordinario successo ecologico, testimoniato da una quasi continua ascesa demografica coronata dall’esplosione post-ottocentesca, sull’uso in parte distruttivo del suolo agricolo, una risorsa che non può essere considerata non rinnovabile, ma che è solo lentamente rinnovabile e che al momento, secondo i dati della FAO, appare in fase di progressivo degrado. In pratica l’ulteriore risorsa minerale che l’uomo ha saccheggiato in modo predatorio è proprio il suolo dal quale trae il proprio cibo.

Come spesso accade nei libri di Ugo Bardi, e come di fatto avviene nella realtà, la storia è intrecciata con la scienza e la tecnica. Il terzo capitolo, l’ultimo della prima parte del libro, si intitola Mineral Empires: mining and wars. Esso ripercorre la storia della civilizzazione seguendo il filo del controllo delle risorse essenziali. Nell’antichità l’oro e i metalli preziosi servono per mantenere eserciti in grado di carpire nuovi territori e nuovi giacimenti degli stessi metalli preziosi. Una corsa che, come nel caso dell’Impero Romano d’Occidente, si infrange con la dura legge dei ritorni marginali decrescenti, quando le nuove conquiste oltre i limes, portano costi ingenti e ritorni minimi in termini materiali. Le ricchezze del Nuovo Mondo, alla fine del medioevo, determinano l’ascesa dei grandi imperi rinascimentali. Il carbone modifica le regole del gioco e l’Impero Britannico impone il proprio dominio su praticamente tutto il mondo. A Waterloo il carbone Inglese batte quello francese. Le guerre del XX secolo sono, in gran parte, guerre per il controllo delle risorse petrolifere.[5,6]

picco

Nel quarto capitolo Bardi affronta il tema del rapporto fra estrazione delle risorse minerali ed energia. Il tema viene affrontato immaginando l’esistenza di una Macchina Minatrice Universale che, essendo alimentata da una ipotetica fonte infinita di energia, può estrarre i materiali di cui abbiamo bisogno dalla roccia indifferenziata. Cioè senza usufrire del cosiddetto “dono di Gaia”: i giacimenti di minerali a concentrazioni superiori, a volte di diversi ordini di grandezza, rispetto alle medie della crosta terrestre. Con tale macchina non ci sarebbe alcun problema di scarsità ed esaurimento delle risorse minerali. Purtroppo tale fonte di energia infinita non esiste e non ci sono aspettative in vista perché possa esistere.

hungrymachine

In pratica i limiti all’estrazione di minerali non sono legati alle quantità assolute di questi materiali presenti nella crosta terrestre, ma limiti energetici. Estrarre minerali richiede tanta più energia quanto più essi sono dispersi. Si stima che le operazioni che ci permettono di ottenere i materiali di origine minerale di cui necessitiamo per le applicazioni tecnologiche, estrazione, arricchimento, fusione e raffinazione consumino oggi circa il 10% del consumo totale di energia primaria. Oggi l’umanità non produce una quantità sufficiente di energia per estrarre minerali da sorgenti diverse da quelle dei giacimenti concentrati convenzionali, e probabilmente non sarà mai in grado di farlo. [3 pag 113]

rameabbondanza

La non comprensione del legame fra energia e attività mineraria, legame che è stabilito dalla natura termodinamica della realtà, è stata, e tutt’ora è, alla base dell’incomprensione del fenomeno dell’esaurimento da parte delle scuole economiche dominanti in campo accademico. La legge di Lasky afferma che la quantità di un minerale aumenta man mano che il sua tenore nella roccia che lo contiene diminuisce. A questa legge corrisponde la conclusione, controintuitiva, secondo cui la quantità esistente di risorse aumenta al diminuire della concentrazione. Se questa affermazione è indiscutibile, discutibile è invece la conclusione secondo cui esistenza come riserca corrisponde a disponibilità. L’ipotesi economica è che la quantità disponibile, cioè estraibile, aumenti al diminuire della concentrazione perché l’industria estrattiva è spinta dal prezzo crescente a sfruttare depositi sempre meno concentrati mentre la tecnologia soccorre nel processo di sfruttamento dei nuovi giacimenti abbassando i costi. E’ ovvio infatti che, come abbiamo visto, ci sia un limite energetico a questo processo, in secondo luogo, anche restando in ambito puramente economico, si dovrebbe ammettere che il mercato delle commodities sia guidato dalla domanda il che, se è stato vero per la gran parte del periodo storico in cui siamo vissuti, non è detto che sia una legge naturale come dimostra la recente dinamica dell’offerta e della domanda di petrolio.[7] La stessa convinzione nella capacità della tecnologia di facilitare il processo di estrazione di risorse energeticamente sempre più “difficili” è una manifestazione di fede più che di raziocinio.

Sulla base della concezione economica delle risorse si è esaminato la possibilità di trarre i materiali dall’acqua dell’oceano o addirittura andando su altri pianeti. Se alcuni minerali sono probabilmente recuperabili nell’oceano, sia dall’acqua sia dal fondo oceanico sotto forma di noduli, l’avventura mineraria spaziale è ancora saldamente nel dominio della fantascienza.

La conclusione è che l’esaurimento dei minerali è un processo inevitabile e dovremo in qualche modo affrontarlo.

Uno dei temi caldi che si sviluppa intorno alla materia dello sfruttamento delle risorse non rinnovabili è quello della modellizzazione del processo di esaurimento (depletion modeling). Andando indietro nel tempo si incontrano molti autori delle materie più disparate che hanno sollevato il problema della limitatezza delle risorse, ma il vero e proprio sforzo per comprendere scientificamente il processo di sfruttamento ed esaurimento delle risorse non rinnovabili e di quelle rinnovabili quando vengono sfruttate ad un tasso superiore a quello di ricostituzione, è avvenuto negli ultimi decenni del secolo scorso. Nel campo delle risorse minerali il modello di Hubbert è quello che ha probabilmente raggiunto il maggior grado di popolarità, nonostante i suoi limiti [8] Il problema principale dei modelli è comunque l’incertezza sulla consistenza delle riserve minerali e fossili. Tale incertezza ha una componente intrinseca, diciamo, geologica che non può essere eliminata, infatti non avremo mai l’inventario totale dei giacimenti esistenti sulla terra, ma ha anche una componente politica ed economica, infatti le aziende private o pubbliche che detengono le riserve, siano esse di minerali o di idrocarburi, come assets finanziari, non hanno alcun interesse a renderli pubblici con precisione superiore a quella richiesta dalla legge. Se quindi in alcuni paesi, come ad esempio negli USA per il petrolio ed altre risorse minerali, l’inventario è abbastanza dettagliato, sempre per gli idrocarburi nei paesi produttori del Medio Oriente la situazione delle riserve è coperta da una fitta coltre di segreti e lo stesso vale per molte altri minerali strategici.

L’ultimo capitolo della seconda parte del libro intitolato “The Dark Side of Mining” si occupa degli aspetti sociali ed ambientali dello sfruttamento delle risorse minerarie. Il catalogo degli orrori è abbastanza noto, sia in termini sociali con l’epopea del lavoro disumano dei minatori, sia dal punto di vista ecologico, dagli effetti inquinanti delle miniere di metalli agli sversamenti di petrolio, all’inquinamento atmosferico e delle acque fino al più globale di tutti gli effetti: il cambiamento climatico.

regina rossa

L’ultima parte del libro ci porta ai possibili scenari futuri secondo l’autore. Il capitolo fa riferimento al personaggio della Regina Rossa del racconto fantastico “Attraverso lo Specchio” di Lewis Carrol “Ognuno nel reame della Regina Rossa deve correre quanto più veloce gli è possibile per restare nello stesso posto. Come nota Alice sbalordita un sacco di lavoro per non andare da nessuna parte”. La metafora fu utilizzata per la prima volta in relazione all’estrazione dello shale gas, un’impresa nella quale è necessario trivellare senza sosta nuovi pozzi per mantenere la produzione costante (ci pensino coloro che mostrano grande entusiasmo per la possibile traposizione in Europa dell’avventura americana). Ma la metafora si adatta bene ad ogni forma di industria mineraria lungo la fase di progressivo sfruttamento di giacimenti a tenore decrescente.

Le conclusioni non sono purtroppo né ovvie né rassicuranti. Una presa d’atto dell’impossibilità di intraprendere “la corsa della Regina Rossa” è ancora molto lontana sia nell’opinione pubblica che in ambiente accademico, e la politica segue in questo sonnambulismo. Il problema dell’esaurimento delle risorse minerarie e fossili viene sempre affrontato in modo superficiale attribuendo valore di legge naturale al fenomeno storico della successiva sostituzione di risorse esaurite con altre risorse, dall’età della pietra a quelle dei metalli, dalla legna al carbone, dal carbone al petrolio, dalle miniere con tenori dei metalli di qualche percento a quelle di qualche centinaio di ppm e così via. Un processo di sostituzione che ha funzionato, ma non ha alcuna garanzia di continuare a funzionare, a causa della natura fondamentalmente irreversibile dei processi naturali.

L’azione umana ha profondamente mutato gli ecosistemi terrestri al punto che oggi possiamo pensare di aver compiuto un viaggio in un pianeta diverso da quello dei nostri antenati. “Non è ovvio che ci debba piacere, ma non si può tornare indietro; ci dovremo adattare alle nuove condizioni. Non sarà facile, e si può speculativamente affermare che potremmo essere condotti al collasso della struttura che chiamiamo civiltà o perfino all’estinzione della specie umana, ma nulla è inevitabile”.[3 pag 242]

E la possibilità di evitare l’esito peggiore è tutto nella nostra capacità politica, tecnologica e nelle conoscenze scientifiche che la supportano. Appare ovvio dunque che, se si vuole evitare un collasso socio-economico determinato dalla rarefazione delle risorse minerali e dagli effetti della loro dispersione inquinante nell’ambiente, a valle di una presa d’atto del limite delle risorse, vi debba essere una strategia di mitigazione degli effetti del saccheggio del pianeta con una migrazione rapida a forme di struttamento meno intenso, basato sulle risorse rinnovabili, sull’efficienza, il riciclo, la riduzione del consumo in un unico sforzo finalizzato a ridurre l’impronta ecologica e nel lungo periodo a ripristinare almeno nelle loro parti essenziali, le funzioni degli ecosistemi terrestri.

Note Bibliografiche.

[1] Quel futur pour les métaux ? : Raréfaction des métaux : un nouveau défi pour la société. Philippe Bihouix, Benoît de Guillebon. 2010, EDP Science.

[2] La terra svuotata. Il futuro dell’uomo dopo l’esaurimento dei minerali. Ugo Bardi. Editori Riuniti University Press, 2011.

[3] Extracted. How the Quest for Mineral Wealth is Plundering the Planet. Ugo Bardi, Chelsea Green Publishing. 2014.

[4] Energy in Nature and Society: General Energetics of Complex Systems. Vaclav Smil. MIT. 2008.

[5] Pétrole, une guerre d’un siècle: l’ordre mondial anglo-américain. William Engdahl. J.-C. Godefroy, 2007.

[6] The Prize: The Epic Quest for Oil, Money and Power. Daniel Yergin. Pocket Books, 1991.

[7] Oil Supply and Demand Forecasting with Steven Kopits. http://www.resilience.org/stories/2014-02-25/oil-supply-and-demand-forecasting-with-steven-kopits

[8] Using Growth Curves to forecast regional resource recovery: approaches, analytics and consistency tests. Steve Sorrell, Jamie Speirs. Phil. Trans. Roy. Soc. A. Vol: 372. Article Number: 20120317. Published: JAN 13 2014

** Luca Pardi, 1° Ricercatore presso l’Istituto per i processi Chimico Fisici di Pisa del CNR , Chimico