Commenti alla SEN.

Nota del blogmaster: SEN vuol dire Strategia Energetica Nazionale; con questo nome il Governo sta sviluppando un piano energetico nazionale sul quale ha invitato ogni cittadino ad inviare commenti e suggerimenti. Vincenzo Balzani, emerito dell’Università di Bologna e membro dei Lincei,  ha seguito scrupolosamente l’indicazione del Ministro Passera, e ci ha inviato copia della sua proposta; leggete e meditate.

a cura di Vincenzo Balzani

Commenti sul documento di consultazione pubblica

Strategia Energetica Nazionale (SEN)

per un’energia più competitiva e sostenibile

Premessa

Il problema di un futuro energetico sostenibile, legato alla necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica per contenere i cambiamenti climatici, è al centro dell’attenzione in tutto il mondo e in modo particolare nei paesi occidentali. Ad esempio, il Ministro dell’Energia USA, Steven Chu, in un recente articolo ha riassunto così i termini del problema [1]: la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili (i) è inevitabile, (ii) richiederà circa 50 anni, (iii) sarà ostacolata come accade a tutte le innovazioni, (iv) è urgente metterla in atto anche per evitare i danni causati da un numero crescente di eventi climatici estremi, (v) deve essere accelerata mediante scelte politiche opportune.

eventiestremi

L’Unione Europea (UE), di cui il nostro paese è membro, ha già da tempo individuato e messo in atto una strategia ben definita che si può riassumere in tre azioni da portare avanti in modo integrato [2]:

a) progressiva diminuzione dell’uso di combustibili fossili, con conseguente riduzione di emissioni di CO2;

b) sviluppo delle energie rinnovabili;

c) riduzione dei consumi energetici.

emissioninox

Questa strategia porterà l’Unione Europea a raggiungere nel 2020 tre obiettivi fondamentali: riduzione del 20% nei consumi di energia, riduzione del 20% nella produzione di CO2, aumento del 20% della quantità di energia prodotta con fonti rinnovabili. Ogni paese membro dovrà rispettare le quote ad esso assegnate. Per il 2050, l’UE si prefigge poi di ridurre le emissioni di CO2 del 80-95% rispetto alle emissioni del 1990 seguendo una Roadmap ben pianificata [3,4].

Alcuni paesi Europei, segnatamente la Germania che pure sta abbandonando il nucleare, sono addirittura in vantaggio rispetto agli obiettivi intermedi della Roadmap europea.

Sembra logico che ogni decisione strategica riguardo il settore energetico in Italia debba essere coerente con la Roadmap prevista dalla Unione Europea. Tanto più che l’Italia non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole. Quindi può trarre vantaggio dalla strategia europea, cogliendo anche le opportunità di sviluppo che offrono le energie rinnovabili per un rilancio dell’occupazione e delle esportazioni.

Il graduale passaggio dall’uso dei combustibili fossili alle energie rinnovabili (che in gran parte sono, direttamente od indirettamente, energia solare) rappresenta una transizione epocale sia dal punto di vista materiale che da quello culturale. Questa transizione riguarda infatti non solo le imprese attive nel settore energetico, ma anche le amministrazioni pubbliche e, praticamente, tutti i cittadini.

1. S. Chu, A. Majumdar, Nature, 2012, 488, 294.

2. Energy strategy for Europe: http://ec.europa.eu/energy/index_en.htm

3. Roadmap 2050: http://www.roadmap2050.eu/

4. Climate Action: http://ec.europa.eu/clima/policies/roadmap/index_en.htm

Esame del documento e commenti

La Strategia Energetica Nazionale (SEN) è esposta in modo dettagliato nel documento Strategia Energetica Nazionale: per un’energia più competitiva e sostenibile(114 pagine)

http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/20121016SEN-Documento-di-consultazione-vOnlinexxx.pdf

E’ riassunta in modo schematico nel documento, più facile da leggere, Strategia Energetica Nazionale: per un’energia più competitiva e sostenibile, Sintesi degli elementi chiave del documento di consultazione pubblica, Ottobre 2012

http://www.governo.it/GovernoInforma/documenti/slide_strategia_en_naz_20121016.pdf

e comprende un questionario:

http://adisurv.sviluppoeconomico.gov.it/limesurvey/index.php?sid=94726&lang=it

Questi documenti identificano sette priorità per la SEN:

  1. Efficienza energetica
  2. Sviluppo mercato competitivo e HUB del gas sud-europeo
  3. Sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili
  4. Sviluppo della infrastruttura elettrica
  5. Ristrutturazione della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti
  6. Produzione sostenibile di idrocarburi nazionali
  7. Modernizzazione del sistema di governance

E’ difficile entrare nei dettagli delle singole priorità, particolarmente da un punto di vista tecnico, e forse non è molto utile dare risposte ai singoli quesiti del questionario, riguardanti temi a volte molto tecnici e a volte troppo generici.

E’ però possibile dare una valutazione delle proposte avanzate esaminandone (i) la congruenza con  la strategia della UE, riassumibile nei punti a), b), e c)  della premessa, (ii) la compatibilità con la salvaguardia del territorio e dell’ambiente e, infine, (iii) la sostenibilità dal punto di vista economico.

1. Efficienza energetica

Sarebbe stato preferibile aver intitolato questa sezione Riduzione dei consumi energetici, obiettivo fondamentale che deve essere perseguito non solo mediante un aumento dellaefficienza energetica, ma soprattutto col risparmio energetico. Mentre l’aumento dell’efficienza energetica è collegato a interventi tecnici (ad esempio, produzione di lampade a più basso consumo), il risparmio energetico è un problema culturale (ad esempio, nei trasporti l’uso di mezzi pubblici anziché della propria auto).

bokderekIl cittadino deve essere indotto a consumare di meno non solo per i vantaggi economici che possono derivargli, ma soprattutto mediante un salto culturale: deve capire che attualmente nei paesi occidentali viviamo sopra le nostre possibilità. La riduzione dei consumi, non l’aumento di efficienza, deve essere il cardine della odierna strategia energetica.  La storia dell’energia dimostra che l’aumento di efficienza, da solo, può addirittura portare all’aumento dei consumi (paradosso di Jevons).

Gli obiettivi e gli interventi indicati nel documento SEN riguardo l’aumento della efficienza energetica sono condivisibili. Il settore dove si possono ottenere i risultati più importanti è quello dei consumi termici, partendo dalla riqualificazione energetica degli edifici.

casapassiva

E’ però necessario intervenire sui vincoli che spesso frenano le azioni di risparmio ed efficienza. Ad esempio, non ha senso che oggi gli investimenti in efficienza energetica dei Comuni, anche nella forma di contratti di leasing con Esco, siano equiparati all’indebitamento e ricadano nei vincoli di bilancio del patto di stabilità, mentre le bollette energetiche sono pagate a piè di lista come spese correnti. Per incentivare l’efficienza  energetica si possono prendere altri provvedimenti oltre a quelli indicati in SEN, come stanno facendo certi paesi. In Scozia, per esempio, dal 2018 non sarà più possibile dare in affitto abitazioni o uffici che non raggiungano standard minimi di efficienza energetica.

2. Sviluppo mercato competitivo e HUB del gas sud-europeo

E’ ovviamente importante il pieno utilizzo dell’esistente capacità di trasporto dall’Europa e verso l’Europa, la diversificazione delle fonti e una revisione dei contratti per ridurre i prezzi inspiegabilmente alti del gas nel nostro paese ed aumentare la sicurezza di approvvigionamento. L’Italia ha già una sovra capacità di importazione dai paesi produttori. Pertanto la realizzazione di altre infrastrutture (con garanzia di copertura dei costi a carico del sistema), se proprio necessaria, dovrebbe però essere limitata al minimo indispensabile, anche in previsione della progressiva diminuzione dei consumi. Questo vale anche per i rigassificatori.

Ricordiamo che di fronte ad una domanda elettrica di picco che da anni non supera  i 55-60 GW, tempo fa un decreto permise la costruzione di centrali a gas per una potenza installata di oltre 130 GW, più del doppio di quella necessaria. Non bisogna assolutamente ripetere un simile errore del quale scontiamo oggi le conseguenze in quanto queste centrali contribuiscono a tenere alto il prezzo dell’elettricità e frenano la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabili.

Le strutture per lo stoccaggio sono più che sufficienti considerato anche che sono state già concesse numerose autorizzazioni. Non si capisce poi che bisogno ci sia di fare dell’Italia un HUB del gas-sud europeo, tanto più che l’esperienza mostra che, per varie ragioni, le grandi opere finiscono per essere uno sperpero di denaro pubblico. Con la riqualificazione energetica degli edifici e  l’auspicabile diffusione dei collettori termici il consumo di metano per riscaldamento è destinato a diminuire. La quota che risulterà in eccesso dovrebbe essere spostata nel settore trasporti, contribuendo alla riduzione dei consumi petroliferi.

3. Sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili

efficienzaI documenti della SEN in più parti presentano le rinnovabili come un problema: troppi incentivi già concessi, troppa energia prodotta, ostacoli alla produzione di energia elettrica con centrali a gas, sbilanciato sviluppo territoriale, problemi alla rete elettrica, ecc. La prima cosa che si deve capire è invece che le rinnovabili non rappresentano un problema, bensì il contesto entro cui si deve e sempre più si dovrà operare per risolvere la crisi energetico-climatica. Non è in discussione il fatto che gli incentivi al fotovoltaico andavano ridotti per evitare di pesare eccessivamente sulle bollette elettriche e anche per evitare speculazioni, ma se c’è stata una politica schizofrenica degli incentivi non è colpa del fotovoltaico, ma di chi non è stato capace di regolarli. Va poi ricordato che gli ultimi decreti del Governo hanno introdotto nuovi vincoli burocratici che frenano lo sviluppo delle rinnovabili, mentre, come si vedrà più avanti, SEN propone di semplificare le procedure riguardanti le concessioni per estrazione  di petrolio e gas.

Lo sviluppo delle energie rinnovabili per la produzione elettrica va accompagnato verso la grid parity, ormai vicina e in taluni casi già raggiunta,  mediante:

a) lo sviluppo dei sistemi di accumulo: pompaggio idroelettrico, incominciando dalla attuale capacità di 7 GW praticamente inutilizzata, da estendere ad altri impianti; batterie sia presso il produttore che il consumatore; altre tecniche (ad esempio, Compressed Air Energy Storage, CAES) già collaudate in alcuni paesi;

b) l’ammodernamento della rete elettrica alle mutate esigenze (vedi punto 4 più avanti);

c) facilitazione normativa dell’autoproduzione anche su piccola scala per promuovere la partecipazione capillare di capitali privati con conseguente responsabilizzazione dei cittadini; è di questi giorni la notizia che una joint venture italiana è in  grado di fornire energia elettrica  fotovoltaica a prezzi competitivi con la rete;

e) una politica, da estendere alla UE, che protegga lo sviluppo di una nostra filiera industriale, come stanno facendo gli USA, rispetto a distorsioni di mercato provocate, ad  esempio, dal costo troppo basso dei pannelli cinesi; tale filiera dovrebbe estendersi a tutte le fasi dell’utilizzo delle energie rinnovabili, inclusa quella finale dell’accumulo di energia elettrica poiché nei prossimi anni è ineluttabile lo sviluppo dell’alimentazione elettrica per mezzi di trasporto.

collettoretermicoPienamente condivisibile è l’apertura di un Conto Termico, peraltro più volte promesso per far recuperare all’Italia il gap che ci separa da altri paesi (ad esempio, collettori installati: in Austria, 512 m2/1000 abitanti; in Italia, 34 m2/1000 abitanti). Importante lo sviluppo degli impianti geotermici a bassa entalpia e lo sviluppo del solare termodinamico per la produzione di energia elettrica, anche in considerazione del fatto che ha in sé la capacita di accumulo.

Per quanto riguarda le biomasse, è giusto puntare sul pieno utilizzo degli scarti agroalimentari e degli allevamenti per produrre biometano da immettere in rete. Non si capisce invece che vantaggio ambientale ed economico avrebbe la conversione del metano in combustibili liquidi. L’uso di colture agricole dedicate alla produzione di biocombustibili va attentamente valutato anzitutto per evitare competizione con la produzione di cibo, poi per capire bene se c’é effettivo guadagno energetico sull’intero ciclo produttivo e una reale riduzione della produzione di gas serra. In un paese con scarsità di territorio come l’Italia, l’uso di colture agricole per ottenere combustibili non dovrebbe essere incoraggiato.biomasse

Quanto ai rifiuti, il riciclo è di gran lunga più conveniente anche dal punto di vista energetico rispetto alla termovalorizzazione, particolarmente in un paese come l’Italia che ha scarsità di materie prime. Il riciclo  permette anche di creare nuovi posti di lavoro.

4. Sviluppo della infrastruttura elettrica

Il costo più alto della energia elettrica in Italia rispetto ad altri paesi è dovuto principalmente a problemi che si trascinano da anni: una potenza installata spropositata rispetto alla domanda, la distorsione del mercato del gas e la mancanza di collegamenti efficienti fra le varie zone del paese. Lo sviluppo delle energie rinnovabili per produrre elettricità ha messo ancor più in rilievo la criticità della situazione delle infrastrutture. Ci sono quindi molti problemi da risolvere che SEN individua, ma per i quali non propone le soluzioni giuste. Non si tratta infatti di integrare, frenandola, la produzione rinnovabile nella struttura e nel mercato elettrico esistente, ma di modificare la struttura ed il mercato elettrico per sviluppare tutto il potenziale delle rinnovabili, considerando che già nel 2020 le rinnovabili produrranno il 40% dell’energia elettrica e che nel 2050 praticamente tutta l’energia elettrica dovrà essere prodotta con energie rinnovabili.

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Ad esempio, SEN propone di risolvere le situazioni di congestione ponendo preventivamente dei limiti territoriali e di potenza alla produzione di energie rinnovabili e, nella pratica, continuando, come accade oggi, nello sprecare energia distaccando la produzione di energia rinnovabile che viene comunque remunerata. Si dovrebbe invece agire rapidamente migliorando il collegamento di rete fra le varie zone e accumulando gli eccessi non utilizzabili mediante pompaggi e batterie. Alternativamente, i distacchi  dovrebbero essere compiuti sull’energia importata o su quella prodotta con impianti a gas, anche  ridimensionando il parco di generazione termoelettrico. E’ noto che la lobby degli impianti a gas si è opposta alla messa in opera di accumulatori da parte di Terna. Inoltre, in attesa di smart grid che regolino automaticamente il rapporto produzione/consumo, anziché adattare la produzione al consumo si può agire in modo opposto offrendo una maggiore riduzione di prezzo a consumatori che accettano, in caso di necessità, l’interruzione della fornitura nelle ore di punta. Bisogna anche considerare che la generazione da fotovoltaico, pur non essendo in sé programmabile, è però facilmente prevedibile grazie a previsioni meteo sempre più accurate e quindi si può inserire in un contesto di fonti diverse.

5. Ristrutturazione della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti

SEN propone azioni nell’ambito delle due iniziative riportate nel titolo. Alcuni interventi, come la regolamentazione delle scorte obbligatorie di prodotti petroliferi, l’introduzione di un “green label” nell’ambito UE, la liberalizzazione e razionalizzazione del settore distribuzione dei carburanti e l’incentivazione del metano per autotrazione sono pienamente condivisibili.

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Riguardo la crisi del settore di raffinazione, l’approccio della SEN non sembra corretto. L’aumentata efficienza energetica dei motori, il passaggio da alimentazione a benzina e gasolio a metano e biocombustibili e la sostituzione del gasolio per riscaldamento col metano sono tutti eventi positivi per limitare la crisi energetico-climatica e il fatto che mettano in crisi l’industria petrolifera era del tutto prevedibile. Ristrutturazione e riconversione hanno senso solo nell’ottica di un ridimensionamento di questo settore  che, anche per altre ragioni (concorrenza internazionale), è destinato gradualmente  a ridurre la sua importanza strategica. Inutile quindi parlare di iniziative di potenziamento e di interventi di sostegno, anche se si dovrà fare ogni sforzo per salvaguardare i posti di lavoro attuali. Bisogna prendere atto che è iniziata una transizione energetica epocale e che l’abbandono progressivo dei combustibili fossili è un dato positivo oltre che inevitabile.

6. Produzione sostenibile di idrocarburi nazionali

L’Italia produce 12 Mtep di combustibili fossili all’anno, consuma 135 Mtep, e secondo le compagnie petrolifere ha 123 Mtep di riserve certe e circa 700 di riserve probabili e possibili. SEN propone di dar il via allo sfruttamento di queste riserve mediante semplificazione degli iter autorizzativi e iniziative di supporto al settore industriale.

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Questa iniziativa proposta da SEN va giudicata alla luce di quanto segue:

– le riserve certe (123 Mtep) ammontano a meno del consumo totale di un anno (135 Mtep) e, spalmate su 15 anni, ammontano al 6% del consumo totale annuale;

– le riserve probabili e possibili, anche se fossero reali, non potrebbero essere sfruttate se non nel medio-lungo termine, quando l’uso dei combustibili fossili sarà molto ridotto;

– gran parte delle perforazioni ed estrazioni andrebbero fatte on-shore e off-shore lungo la costa adriatica (in particolare l’Alto Adriatico);

– le estrazioni nell’Alto Adriatico sono già state sospese in passato a causa del fenomeno della subsidenza;

– non è possibile escludere la possibilità di incidenti;

– la tutela del paesaggio, dell’ambiente e dei beni artistici è una priorità assoluta per un paese come l’Italia;

– le spiagge adriatiche, le più affollate d’Europa, sono uno dei capisaldi dell’offerta turistica nazionale;

– nei territori interessati sono presenti città di importanza storica, culturale ed artistica universale come Venezia e Ravenna e zone  fragili e preziose come la laguna e il delta del Po;

– l’Italia è oggetto di continui fenomeni sismici.

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Appare chiaro, dunque, che lo sfruttamento energetico di questa limitata riserva di combustibili fossili, quantitativamente marginale per l’economia nazionale,  potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può apportare. In ogni caso, è molto più opportuno conservare questa nostra risorsa fossile per usarla, se sarà necessario, come materia prima dell’industria chimica.

Per diminuire le importazioni si può agire in un altro modo, senza creare problemi: cioè, diminuendo i consumi. Ad esempio, riducendo da 130 a 110 km/ora la velocità sulle autostrade, tassando maggiormente i veicoli che consumano molto (come accade in Irlanda), incentivando l’uso delle biciclette e dei mezzi pubblici nelle città, spostando parte del trasporto merci dalla strada alla rotaia o a collegamenti marittimi, e anche mediante una mirata campagna di informazione e di cultura per tutta la cittadinanza, cominciando dalle scuole, per mettere in luce i vantaggi della riduzione dei consumi rispetto ad altre azioni con cui si vorrebbe affrontare la crisi energetica.

7.  Modernizzazione del sistema di governance

Gli interventi proposti sono tutti condivisibili, valutando però con particolare attenzione quali siano le infrastrutture strategiche veramente tali da poter godere di procedure amministrative semplificate. Bisogna istituire e regolamentare il mercato del gas e rivedere le regole del mercato dell’energia elettrica.

Ricerca e sviluppo

Nella sua parte finale i documento SEN identifica aree prioritarie per la ricerca e lo sviluppo nel settore energetico. Pienamente condivisibili le proposte relative all’efficienza energetica, le smart grid, i sistemi di accumulo e le rinnovabili innovative, in particolare il solare termodinamico. Non però i progetti sui metodi di cattura e confinamento della CO2 in quanto il ruolo dei combustibili fossili sarà sempre più limitato ai trasporti, particolarmente aerei e marittimi, cioè ad usi in cui la cattura della CO2 non è possibile. Considerate le molte altre priorità, si ritiene inoltre che non valga la pena continuare la costosissima ricerca sulla realizzazione del reattore a fusione nucleare ITER, impresa che molti autorevoli scienziati giudicano impossibile e che in ogni caso non potrebbe fornire energia se non fra diversi decenni.

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Chi gli ha dato il nome? Soxhlet.

 Nota del blogmaster: inizia con questo articolo la collaborazione di Giorgio Nebbia, professore emerito dell’Università di Bari, uno dei fondatori dell’ambientalismo italiano; lo ringraziamo pubblicamente a nome della SCI. Una serie di post sarà dedicata ai comuni apparecchi di laboratorio e alla loro invenzione.

a cura di  Giorgio Nebbia      nebbia@quipo.it

“Estrai il grasso col soxhlet”. Quante volte ci siamo sentiti dire o abbiamo detto questa frase, a cominciare dal Laboratorio del secondo anno d’Università e poi per tutta la vita professionale. Ci si riferiva a quell’ingegnoso apparecchio, in genere di vetro, che consente di estrarre una sostanza da una miscela solida con un flusso continuo di un solvente. Il “soxhlet”, come è ben noto ai lettori, è costituito da un cilindro di vetro posto al di sopra di un pallone contenente il solvente e collegato a un refrigerante. Nel cilindro si pone un “ditale” di carta porosa contenente la miscela solida da cui si vuole estrarre la sostanza cercata. Il solvente evapora dal pallone, entra nel cilindro allo stato di vapore, si condensa nel refrigerante e ricade liquido nel cilindro occupato dal ditale. Il solvente, contenente ora una parte della sostanza da estrarre, dopo avere riempito parte del cilindro, ritorna nel pallone sottostante, come per magia, attraverso un sifone laterale e ricomincia il ciclo di evaporazione, condensazione e estrazione, un’operazione che si osserva con curiosità. Il “soxhlet” viene usato nell’analisi degli alimenti, dei panelli oleosi, della plastica, dei carboni fossili, del terreno, eccetera (*).

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Ma perché si chiama così ?

Il merito dell’invenzione va a Franz von Soxhlet, figlio di un belga immigrato nella Moravia,  nato nel 1848 a Brno, attuale Repubblica Ceca, e morto a Monaco di Baviera nel 1926. Dopo aver completato gli studi universitari a Lipsia, nel 1873 era stato nominato assistente nell’Istituto di agricoltura e fisiologia animale di Lipsia e, l’anno dopo, nell’Istituto di chimica agraria di Vienna. Dal 1879 al 1913 fu professore di Fisiologia animale e di Industrie lattiero-casearie nella Scuola Tecnica Superiore di Monaco. L’invenzione dell’apparecchio che porta il suo nome risale al 1879 ed è descritta nell’articolo: “Die gewichtanalytische Bestimmung des Milchfattes”, pubblicato in quell’anno nel “Dingler’s Polytechnisches Journal”, pagine 461-465. A dire la verità un apparecchio per l’estrazione continua era stato descritto negli anni 30 dell’Ottocento dal chimico francese Anselme Payen (1795-1861), ma i perfezionamenti di Soxhlet sono stati determinanti per il successo dell’ingegnoso apparecchio.

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A Soxhlet si devono numerosi altri contributi. Nel 1865 Louis Pasteur aveva inventato un sistema di sterilizzazione per frenare l’epidemia di vaiolo in Francia a la pastorizzazione era stata applicata a numerosi materiali e alimenti. Nel 1886 Soxhlet la applicò al latte; il processo incontrò dapprima opposizioni, ma presto fu adottato industrialmente. Attento alla difesa della salute dei bambini, nel 1891 Soxhlet inventò anche un semplice dispositivo domestico per sterilizzare il latte: si trattava di un flacone che veniva riempito del latte richiesto per un pasto, veniva fatto bollire per 40 minuti, e poi chiuso ermeticamente e raffreddato. Per questa invenzione è considerato il “riformatore dell’alimentazione infantile”.

Soxhlet descrisse il meccanismo di formazione del burro (1876), descrisse ed analizzò il lattosio, lo zucchero del latte (1880, 1892) e propose (1883) un semplice dispositivo per misurare il contenuto in grassi del latte

Nel 1893 Soxhlet descrisse la differenza fra latte umano e latte di mucca e, nel 1900, studiò il rapporto fra il contenuto di calcio del latte e la comparsa del rachitismo. L’indice SH per la misura dell’acidità del latte e dei prodotti lattiero-caseari deve il nome (1893) a Soxhlet e a Thedoor Henkel (1855-1934): è definito come il numero di ml di idrato sodico 0,25 molare necessari per portare 50 ml di latte a pH 8,3 (indicatore fenolftaleina), così come si chiama “Unità Soxhlet” una misura della capacità di coagulazione del latte in una unità di tempo e a determinata temperatura. Uno degli ultimi lavori di Soxhlet riguardò il rapporto fra il contenuto di ferro del latte e l’anemia infantile. A Soxhlet si attribuisce la separazione e classificazione delle proteine del latte in caseina, albumina, globulina e lattoproteine.

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(*) Chiedo scusa per l’autocitazione, ma ricordo di averlo applicato, molti anni fa, per la contemporanea disidratazione e estrazione dei grassi, mediante acetone, da prodotti vegetali per recuperare coloranti liposolubili, o da polpa di pesce fresco o per ottenere farina di pesce essiccata e disidratata. G. Nebbia, “Un nuovo metodo di estrazione dei lipocromi”, Olearia, 8, 147-151 (1954); Chemical Abstracts,. 49, 417 (1955).

Il terzo chimico

a cura di Claudio Della Volpe

Che chimico, come aggettivo, abbia il senso di “deteriore” rispetto ad altre qualificazioni, penso non ci siano ormai dubbi; biologico, matematico o fisico hanno comunque una valenza positiva; chimico no. La Chimica, pur se “scienza centrale”[1] pur se alla base di tutti i materiali e i processi chiave della tecnologia contemporanea, ha una valenza negativa, quasi implicita.

Ma c’è di più: la Chimica viene comunemente considerata una tecnica più che un elemento della cultura contemporanea, una concezione che in Italia è qualcosa di ben strutturato in una riforma di stampo idealistico della scuola che data ormai quasi 90 anni, la mai troppo vituperata riforma Gentile, la stessa che impedisce a noi chimici di insegnare la nostra materia nei Licei.

Insomma la Chimica è una “tecnica deteriore”? Come difendersi da una accusa così infamante?

Il chimico zero fu certamente Homo erectus, un ominide che già un milione di anni fa[2], era in grado di usare la combustione del legno e di altri materiali per i proprii scopi; conferme ripetute di questa natura preistorica della attività chimica si ebbero nella sua evoluzione in varie parti del mondo. In un certo senso la chimica è stata parte del processo di ominizzazione, ossia di quel processo evolutivo che ha portato alla comparsa dell’uomo e si prolunga nelle trasformazioni che sono seguite fino all’uomo moderno.

La chimica, sia pur elementare, dell’accensione del fuoco e del suo uso per gli scopi più diversi è ben testimoniata, è una “pratica” che ci appartiene da quando non eravamo ancora “uomini” nel senso pieno.

fuoco

Man mano che ci sviluppavamo e la nostra specie più moderna si faceva strada evolutiva, la cosa si accresceva; una testimonianza di peso è quella del primo chimico, un chimico della nostra propria specie, Homo Sapiens Sapiens che in effetti non ha più di 100-200.000 anni.

La grotta di Blombos[3]testimonia che eravamo ormai arrivati 101.000 anni fa ad uno stadio ulteriore del rapporto con l’attività chimica. Sono stati ritrovati due gruppi di strumenti in pietra adatti a macinare e contenere un pigmento ricco di ocra; ce n’è abbastanza per dire che si tratta della prima documentazione fossile di una attività di tipo chimico vero e proprio: ricerca di minerali, miscelazione e riscaldamento, estrazione con solventi, aggiunta di additivi specifici, etc., tutto allo scopo di produrre un nuovo materiale.

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Insomma il nostro mestiere, amato e odiato, ha almeno 100.000 anni! E’ una bella soddisfazione! Pochi altri mestieri possono vantare una ascendenza così antica.

Blombos potrebbe a ragione essere considerato la prima fabbrica chimica o il primo laboratorio chimico della Terra, nel senso moderno del termine, dato che è un sito dove veniva svolta solo quella attività, e che una volta abbandonato è stato poi ricoperto e protetto dalla sabbia per 100.000 anni.

Il primo chimico, il chimico di Blombos, ha espanso enormemente le sue attività,  attraverso una disciplina che ha lasciato le sue tracce materiali nella produzione dei metalli e nella cultura scritta a partire dalla origini della cultura scritta[4], passando per la filosofia e per gli elementi di base fino ad arrivare alla sua forma più moderna.

Ma se fa parte della nostra cultura tradizionale è forse in tempi moderni che la chimica si è distaccata dal resto della cultura?  E’ stato il secondo chimico, il chimico nato dalla rivoluzione industriale,a cambiare le cose?

Eppure la chimica moderna è intessuta nel mondo della cultura, molecole e parole sono parte integrante del suo movimento.

Volete esempi pratici? Le molecole sono come le parole, grafi di atomi come le parole sono grafi di lettere; Bartezzaghi, il più famoso enigmista italiano, era un perito chimico; chimico era Primo Levi uno dei maggiori scrittori italiani del 900, oggetto di culto a scuola e di lettura in tutti i paesi del mondo, Roald Hoffmann, premio Nobel per la Chimica era anche un commediografo, Isaac Asimov, uno dei più famosi scrittori di fantascienza del mondo era un chimico. E forse che di chimica non è intessuta la storia della letteratura a partire dalla droga che trasforma Dr. Jeckill in Mr. Hide, o che rende invisibile l’Uomo Invisibile?

Ma nemmeno questo basta.

La questione iniziò probabilmente quando alcuni decenni fa certi nodi vennero al pettine. Ne è testimone, non a caso, un famoso romanzo, Il Signore degli anelli dove Tolkien fa dire ad uno dei suoi personaggi: Perché il mondo sta cambiando; lo sento nell’acqua, lo sento nella terra, e l’odoro nell’aria. Una delle interpretazioni culturali del libro di Tolkien è proprio il rifiuto della modernità e il periodo compreso fra le due guerre mondiali,  in cui il romanzo fu concepito, è il momento trionfante di una serie di trasformazioni tecnologiche in cui la chimica svolge un ruolo predominante.

Tolkien viveva poi nel paese che vi aveva dato origine, l’Impero Britannico, la prima potenza globale dell’era moderna, la cui energia si era basata per secoli sul legno e poi sul carbone; ma proprio al principio di questo periodo, nel 1913, arriva al picco la produzione di carbone nel Regno Unito; e contemporaneamente Winston Churchill, allora Lord dell’Ammiragliato, inizia la politica di trasformazione della flotta inglese da carbone a petrolio, dando inizio alla saga del controllo mondiale della risorsa petrolifera. E’ una storia non ancora finita, ma che ha dato origine al mondo moderno, tutto iscritto fra il picco del carbone britannico(1913)  e quello del petrolio americano (1970).

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La scelta di Churchill di abbandonare una materia prima energetica interna, ma oramai al limite della sua crescita e passare ad un’altra che obbligava a proiettarsi sull’agone mondiale, diede alla marina britannica il controllo dei mari, ma obbligò il suo paese a diventare il primo controllore delle vie del petrolio.

Il petrolio divenne e rimase il centro della produzione di energia di tutti i più importanti paesi, ma anche la base di una tecnologia chimica che trasformò il mondo: l’avvento della produzione di massa, e della produzione basata sui polimeri derivati dal petrolio, di quel mondo moderno che Tolkien aborriva.

Al rifiuto antimoderno di Tolkien fa da pendant la critica profonda del medesimo modo di usare la chimica sviluppata alla fine di questo intervallo critico dell’era moderna: la pubblicazione del primo testo ambientalista: Silent Spring (1962) di  Rachel Carson precede di poco il picco del petrolio americano e l’inizio delle guerre per il petrolio.

I prodotti della chimica di massa hanno invaso ormai il mondo degli anni 60 e 70 non solo con gli insetticidi come il DDT, ma con la plastica dovuta alla grande scoperta italiana di Giulio Natta (1954). Pochi chimici riuscirono a vedere in anticipo le contraddizioni insanabili di un modo di produrre che metteva al centro una crescita economica infinita  in un contesto di materia ed energia limitati; ci vollero le grandi crisi ecologiche da Seveso a Minamata, a Chernobil per rendere evidente agli occhi di tutti quelle contraddizioni.

Dopo la pubblicazione di Limits to growth (1972) che segnò, con i suoi milioni di copie vendute, e segna ancora il dibattito sui limiti del modo di produzione attuale siamo entrati in una fase nuova: come rendere sostenibile la nostra sopravvivenza come specie? esiste un modo per rendere sostenibile la crescita economica oppure occorre passare ad un mondo a crescita economica zero (il che non vuol dire sviluppo zero, crescita quantitativa e sviluppo qualitativo sono cose diverse) ?

E siamo forse arrivati al cuore del problema: Il secondo chimico, figlio del contesto preistorico ma evolutosi in un mondo che gli appariva ancora infinito rispetto all’uomo, deve cedere il passo al terzo chimico, un chimico che si renda conto fin dalle sue basi culturali che è il mondo è finito, che egli è alla pari con le grandi forze della Natura che non la crescita, ma il riciclo, non l’aggressione alle risorse minerarie e rinnovabili, ma il loro accorto mantenimento, non il consumo di energia fossile inquinante e limitata, ma la gestione del flusso enorme di energia solare, non una agricoltura basata solo su prodotti di sintesi anch’essi comunque limitati, come i fosfati, e destinata ai consumi eccessivi del primo mondo, ma l’eliminazione della fame che decima un sesto della popolazione mondiale ancora oggi, devono caratterizzare la nostra specie nel momento in cui da piccola specie della savana diventa grande dominatrice del pianeta.

E il terzo chimico potrà dare ancora dignità e vigore alla nostra disciplina e mostrare che la sua parabola non è finita, che come ci ha accompagnato nel nostro processo di ominizzazione, così ci accompagnerà mentre diventiamo veramente adulti, mentre ci trasformiamo da seme, che sfrutta le riserve fossili, a pianta rigogliosa integrata nel ciclo del Sole, mentre sostituiamo la crescita puramente quantitativa, il PIL, con lo sviluppo qualitativo di una specie veramente senziente e propriamente umana.

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[1]  ”Is chemistry ‘The Central Science’? How are different sciences related?” A.T. Balaban, D. J. Klein Scientometrics 2006, 69, 615-637.

[2]http://www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.1117620109, Berna et al. PNAS 2012

[3]Christopher S. Henshilwood , et al. Science 219 (2011);334. “A 100,000-Year-Old Ochre-Processing Workshop at Blombos Cave, South Africa”.

[4] Physica Mistica, Bolos Democritos di Mendes, II sec. a.C.

Chimici del passato

a cura di AnnaMaria Raspolli Galletti

Credo che molti chimici  ci sentano legati in modo speciale ad un chimico del passato, per i più svariati motivi. Io ho scoperto per caso, ai tempi del liceo, dalla mia insegnante di piano, che il palazzo sotto il quale passavo di corsa al mattino aveva ospitato Aleksandr Borodin nel suo soggiorno pisano. Borodin venne a Pisa nel 1861-62 non tanto per compiere il “gran tour” così di moda tra i nobili russi, ma per motivi climatici, per accompagnarvi la sua fidanzata, malata di tisi, che doveva passare l’inverno in un clima mite. Ma Borodin, già  affermato musicista, a Pisa trovò, contro ogni aspettativa, tanto che pensava di tornarsene ad Heidelberg, l’attrezzato laboratorio dei professori De Luca e Tassinari e vi rimase, compiendo ricerche sulla sintesi di composti organici fluorurati.

Tornato a San Pietroburgo, si divise tra musica e ricerca scientifica, anzi, della sua attività di musicista si sentiva quasi in colpa e quasi si scusava:…” Io sono un compositore della domenica che si sforza di restare oscuro”. D’altronde, tanto per rimanere in ambito Russo, Anton Cechov stesso, medico e scrittore, si schermiva della sua attività di scrittore, per la quale adesso tutti lo conosciamo,  dicendo “La medicina è la mia moglie legittima , la letteratura è la mia amante”.

Si deve a Borodin la scoperta nel 1864 della condensazione aldolica delle aldeidi alifatiche, che poi venne attribuita a Wurtz, che in realtà la pubblicò soltanto molti anni più tardi. L’amarezza di Borodin  per questo ricorda quella di tanti colleghi più moderni:

…”Io non ho mai avuto un assistente, mentre Wurtz ha enormi mezzi e lavora con venti mani, in virtù del fatto che egli non ha scrupolo di caricare i suoi assistenti di laboratorio con lavori sporchi…”.

Ma oltre alla sua musica ed al suo impegno in una ricerca di ottimo livello, mi fa amare Borodin la sua grande umanità ed un costante impegno civile. Borodin  intorno al 1870 si battè perchè fosse permesso l’accesso alle donne ai corsi universitari di medicina e perché venisse loro consentito l’accesso ai laboratori di ricerca, fino ad allora non consentito in Russia. Non a caso il suo laboratorio di Mosca fu il primo in Russia ad accettare le donne per partecipare al lavoro di ricerca.

Mi piacerebbe sapere se altri colleghi sentono, come me, un chimico del passato particolarmente vicino… 

Sicurezza sul lavoro

a cura di Mariangela Cozzolino

SICUREZZA SUL LAVORO: NUOVE SFIDE PER UN VERO E PROPRIO CAMBIAMENTO CULTURALE

“Ridurre gli infortuni sul lavoro del 25% entro il 2012”, così come indicato dall’Unione Europea,  rappresenta per l’Italia un obiettivo ambizioso e di grande importanza, soprattutto per l’attenzione sempre più crescente verso la dimensione sociale ed umana del problema.

Qualunque lavoro  tu faccia, tornare a casa da chi ti ama è un  diritto”.  “Sicurezza sul lavoro. La pretende chi si vuole bene”. Questi gli slogan dell’ultima campagna di comunicazione pubblicitaria, televisiva e radiofonica del Ministero che, per la prima volta, abbandona i toni duri per diffondere un messaggio emozionale che miri maggiormente a sensibilizzare ciascuno di noi verso un problema drammatico ed ancora piuttosto diffuso.

Un approccio – quello adottato dal Ministero – decisamente innovativo rispetto al passato, che parte dalla constatazione che la maggior parte degli incidenti nei luoghi di lavoro sono determinati da fattori di carattere comportamentale.

Da qui la necessità di promuovere un vero e proprio cambiamento culturale, un processo collettivo di sensibilizzazione e responsabilizzazione, in cui ciascun soggetto deve sentirsi parte attiva. Il coinvolgimento emotivo viene riconosciuto come il fattore chiave su cui fare leva per promuovere e diffondere una cultura della sicurezza affinchè quest’ultima diventi un virus che contagi ciascun lavoratore, al di là del proprio ruolo e del livello di inquadramento aziendale. L’agricoltore, il capocantiere e l’autotrasportatore, l’operaio così come l’imprenditore, ciascuno nel rispettivo contesto affettivo, riceve lo stesso richiamo ai valori in gioco quando si tratta della tutela dei propri affetti e, quindi, della sicurezza sul lavoro.

E’ evidente, quindi, quanto sia importante l’investimento delle imprese e delle istituzioni pubbliche nella formazione, nell’informazione e in tutte quelle attività che consentono di prevenire il determinarsi di una condizione di rischio.

Ed allora tutto il mondo istituzionale ed industriale italiano continua ancora una volta ad interrogarsi sulle modalità di attuazione del cambiamento culturale, riconoscendo all’unanime che “sicurezza ed efficienza” non possono essere, nella maniera più assoluta, in conflitto tra di loro.

Davvero singolare ed interessante il programma “Leadership in Health and Safety”, a cui sta aderendo un numero sempre più crescente di multinazionali operanti nel settore “Oil&Gas”, che mira alla promozione della cultura della sicurezza in azienda attraverso una serie di iniziative di carattere fortemente pratico, centrate sul confronto, sull’interazione e sul coinvolgimento emotivo delle persone ed, in particolare, di quegli individui che – sulla base di determinate caratteristiche comunemente riconosciute – vengono considerati ‘punti focali’, per promuovere e attivare cambiamenti concreti e stabili a livello organizzativo.

Il fattore chiave per fare si che la cultura della sicurezza sia la migliore prevenzione degli infortuni è che ciascun lavoratore diventi un “safety leader”, riconoscendo la tutela del benessere della persona e della vita umana come l’aspetto centrale del proprio lavoro e ritenendo, pertanto, inammissibile per sé e per gli altri  qualsiasi condizione di rischio, a qualsiasi livello.

In tale scenario, si arricchisce sempre di più di significato l’impegno che la Società Chimica Italiana si assume per contribuire ad accrescere questo tipo di cultura attraverso una serie di strumenti, primi tra tutti: la conoscenza e la divulgazione scientifica, perché i risultati e le scoperte della ricerca&sviluppo diventino patrimonio di tutti, nella convinzione che un profondo cambiamento culturale debba investire nella formazione delle coscienze dei più giovani.

Didattica della Chimica

a cura di Silvana Saiello

 

Perché un nuovo Blog tra i tanti che affollano la giungla della rete nel campo della didattica chimica?

L’idea è quella di provare a coniugare esigenze diverse: quella dei docenti che a vario titolo si occupano della nostra disciplina, dalla scuola dell’infanzia all’università, quella degli studenti che molto spesso cercano in rete risposte a domande specifiche e che non sono quasi mai sicuri di ricevere risposte corrette, e, perché no, quella di persone che girano nella rete curiosando tra argomenti di chimica.

Il sito della IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) contiene il cosiddetto Gold Book (consultabile qui[1]), dove ognuna di queste categorie di persone trova un’inesauribile fonte di informazioni.

La IUPAC ha il pregio di essere il “luogo” della ricerca di un linguaggio chimico condiviso e quindi riconosciuto a livello internazionale.

Per questo fa riflettere quello che si legge alla voce element/chemical element [elemento/elemento chimico]:

  1. A species of atoms; all atoms with the same number of protons in the atomic nucleus.

[Una specie di atomi; tutti gli atomi con lo stesso numero di protoni nel nucleo atomico]

  1. A pure chemical substance composed of atoms with the same number of protons in the atomic nucleus.

 Sometimes this concept is called the elementary substance as distinct from the chemical element as defined under 1, but mostly the term chemical element is used for both concepts.

[Una sostanza chimica pura composta da atomi con lo stesso numero di protoni nel nucleo atomico.

Qualche volta questo concetto si esprime parlando di “sostanza elementare” per distinguerlo dall’”elemento chimico” così come è definito al punto 1, ma per lo più il termine “elemento chimico” si usa per entrambi i concetti]

Due definizioni differenti che riguardano due livelli completamenti diversi di pensiero[2]: il livello sub-microscopico (Definizione 1) e il livello macroscopico (Definizione 2).

Chi non riesce a cogliere la differenza tra questi due livelli corre il rischio di non riuscire a farsi alcuna concezione o di farsi concezioni errate.

Tant’è che è stato necessario inserire per le due definizioni una nota a margine, che dimostra come si potrebbe tagliare la testa al toro.

La confusione, infatti, si potrebbe evitare parlando di “sostanza elementare” quando si vuole indicare l’elemento chimico nell’accezione macroscopica, perché è opinione comune che le sostanze appartengano al mondo macroscopico.

Quello che però mi lascia perplessa nella nota è quel “per lo più (mostly) si usa il termine elemento chimico per entrambi i concetti”.

Utilizzare la forma impersonale di un verbo impedisce di capire di chi è la responsabilità dell’azione, mentre nel nostro caso è molto importante capire chi lo usa e in quale contesto.

Se si tratta di chimici di professione e il contesto è un dialogo tra addetti ai lavori, i problemi di comunicazione e quindi di confusione non dovrebbero esserci, perché tutti gli interlocutori hanno ben chiara la differenza tra i due livelli.

Se invece si tratta di insegnanti e il contesto è un’aula di scuola o di università, le cose cambiano proprio perché gli interlocutori potrebbero non avere ben chiara questa differenza.

Anche con i miei studenti del II anno ho dovuto fare una riflessione un po’ approfondita per essere certa che avessero chiara questa importante differenza.

Quindi la speranza è che questo “mostly” si riferisca alla comunicazione tra addetti ai lavori!

Ma leggiamo la definizione 1: che cosa significa “una specie di atomi”?

Proviamo a leggere che cosa dice la IUPAC dell’atomo:

Smallest particle still characterizing a chemical element.

[Letteralmente: La più piccola particella ancora caratterizzante un elemento chimico]

Qui le cose si complicano!

Si parla della particella più piccola caratterizzante un elemento chimico, ma che cos’è che  caratterizza un elemento chimico? E, soprattutto, a quale definizione di elemento chimico si fa riferimento e quindi a quale livello, macroscopico o microscopico?

Se si vuole fare riferimento al livello macro, perché non si parla più semplicemente degli atomi come particelle uguali che compongono una sostanza elementare? Non sarebbe tutto più chiaro, la comunicazione non sarebbe univoca?

Forse no, perché sorgerebbe immediatamente la domanda: Uguali da quale punto di vista?

E infine perché quello “still” ? È un avverbio di tempo? Di quale tempo?

Se insegniamo ai nostri studenti che esistono diversi tipi di avverbi ci sarà un motivo?

Perché la chimica ha a che fare anche con gli avverbi?

Rimangono ancora un paio di domande senza risposta:

Quando si parla di atomi uguali che cosa si intende?

Perché quando si parla di “elemento” nella definizione 1 si parla di numero di protoni all’interno del nucleo atomico?

Come vedremo, le due domande sono fortemente correlate tra loro.

Ne riparleremo un’altra volta!

Alla prossima… in attesa delle vostre risposte, ma soprattutto delle vostre domande!


[2] A.H. Johnstone, J.C.A.L. 7, 75-83 (1991)