Altre 54 sostanze molto problematiche secondo l’ECHA.

Nota del blogmaster:ospitiamo un breve articolo del direttore de “La Chimica e l’Industria”, Ferruccio Trifirò, prof. di Chimica Industriale pressi UniBo che ci aggiorna sulla situazione delle sostanze di interesse industriale su cui l’ECHA sta lavorando alacremente.

a cura di Ferruccio Trifirò

L’Agenzia europea per la chimica (ECHA) il 19 Dicembre scorso ha identificato altre 54 sostanze come molto problematiche (1), ossia Substances with very high concern (SVHC). Queste sostanze sono state inserite nella Candidate List e sono attualmente 138(2). Una sostanza viene definita molto problematica per uno dei seguenti motivi:

1) se cancerogena, mutagena e influenzante il sistema riproduttivo (CMR) di categoria 1 o 2 (1A o 1B, secondo la nuova regolamentazione);

2) o persistente, bioaccumulante e tossica (PBT) o molto persistente e bioaccumulante  (vPvB);

3) o pericolosa per l’uomo e per l’ambiente dello stesso livello delle precedenti, come per esempio le sostanze influenzanti il sistema endocrino o che provocano allergie.

L’inclusione di una sostanza nella Candidate List crea obblighi giuridici per le aziende che fabbricano, importano o utilizzano queste sostanze come tali, in preparati o in articoli, in particolare devono informare i loro clienti del livello di pericolo di queste sostanze. Inoltre queste sostanze che hanno proprietà intrinseche di pericolosità, se sono prodotte o consumate in grande quantità e se hanno una tipologia d’uso che le può fare immettere nell’ambiente e ad andare a contatto con l’uomo durante il loro ciclo di vita, dalla produzione alla messa in discarica, distruzione o riciclo, devono essere considerate ad alto rischio. Queste sostanze ad alto rischio in futuro avranno bisogno di un’autorizzazione per essere utilizzate o potranno essere eliminate dal mercato. Quindi, la conoscenza delle sostanze molto problematiche presenti nella Candidate List è importane per i ricercatori industriali e accademici perché da un’indicazione in anticipo su quali saranno le sostanze e i loro usi che saranno eliminati dal mercato nel prossimo futuro e quindi occorre trovare delle alternative e quali saranno i processi che dovranno assolutamente essere ottimizzati o modificati per mantenere le sostanze prodotte pericolose sul mercato. Fra queste nuove sostanze problematiche ci sono additivi per polimeri intermedi, solventi, coloranti, modificatori di superfici metalliche e polimeriche. Di queste 54 sostanze 44 sono MCR, 5 sono PBT o vPvB, 3 provocano effetti di sensibilità al sistema respiratorio e 2 influenzano il sistema endocrino. Fra queste 54 sostanze ci sono 21 composti organici e inorganici del piombo, 3 composti organici fluorurati, due bromurati e il rimanente sono composti organici generici. La conoscenza di queste sostanze non solo è importante per iniziare una ricerca sulle alternative, ma spinge a conoscere a fondo l’uso delle diverse sostanze e la loro interazione con l’uomo e con l’ambiente in tutto il loro ciclo di vita. Gli intermedi problematici, ossia con proprietà intrinseche di pericolo, possono essere a basso rischio se sono trasformati in situ, in processi ben controllati e minimizzando la loro concentrazione nel prodotto finale. Le stessa considerazioni sono valide per i solventi problematici, ma in aggiunta occorre trattare anche i rifiuti che li contengono e che si ottengono sempre nella loro purificazione prima del riciclo e questo rende costoso il loro utilizzo  e quindi può essere utile trovare un’alternativa. Gli additivi problematici sono sempre ad alto rischio, perché potrebbero essere immessi nell’ambiente durante il loro uso e/o a fine vita e quindi occorre assolutamente trovare alternative. Per le industrie italiane di queste 54 nuove sostanze problematiche quelle che possono avere una forte ricaduta sono i composti contenenti piombo ed i derivati della formammide.  I composti del piombo hanno diversi impieghi come per esempio: in batterie  al piombo, come intermedi per pigmenti e inchiostri, in pigmenti per gomme, essiccanti per vernici, stabilizzanti per materie plastiche, produzione di vetro al piombo e vernici. La. N, N-dimetilformammide e la dietilformammide presenti entrambe nella Candidate List sono utilizzati principalmente come solventi nella sintesi di prodotti farmaceutici e agrochimici e come solventi di processo per la produzione di polimeri utilizzati nella plastica, nella produzione di pelli artificiali, in rivestimenti e resine.

1)    http://echa.europa.eu/proposals-to-identify-substances-of-very-high-concern

2)    M.Livi, La Chimica e l’Industria, 2012 Ottobre , 134.

L’elenco completo delle sostanze presenti nella Candidate List:

  http://echa.europa.eu/web/guest/candidate-list-table

 

La bellezza della chimica nelle parole degli scrittori e nel lavoro degli scienziati

Nota del blogmaster: Quale migliore modo di fare gl auguri che fare un bel regalo a tutti i chimici italiani e a tutti i lettori del nostro blog? Solo per noi, in esclusiva mondiale un anticipo di un nuovo libro sulla bellezza della chimica, un testo che ci fa partecipare al carnevale dellla Chimica con la forza dirompente dei neofiti entusiasti. Grazie a Margherita, Enrico e Vincenzo!

a cura di Margherita Venturi, Enrico Marchi, Vincenzo Balzani
Traduzione del Capitolo “The Beauty of Chemistry in the Words of Writers and in Hands of Scientists” http://link.springer.com/chapter/10.1007/128_2011_293 pubblicato in Topics in Current Chemistry, Volume 323 (edito da Luigi Fabbrizzi), 2012, http://link.springer.com/book/10.1007/978-3-642-28341-3/page/1
Riassunto
La Chimica è una scienza fondamentale perché tutti i processi che sostengono la vita sono basati su reazioni chimiche e perché tutte le cose che utilizziamo sono composti chimici naturali o artificiali. La chimica è un mondo fantastico popolato da un incredibile numero di “cose” dalle dimensioni nanometriche chiamati molecole, che sono i più piccoli oggetti a possedere una propria forma, dimensione e specifiche proprietà chimiche. Le molecole possono essere considerate le parole della materia dal momento che quasi tutte le altre scienze, direttamente o indirettamente, utilizzano i concetti della chimica ed il linguaggio delle molecole. Le molecole, così come le parole, contengono specifici elementi di informazione che sono di fondamentale importanza quando interagiscono le une con le altre, oppure quando vengono stimolate da fotoni o elettroni. Nelle mani dei chimici le molecole, in particolar modo se opportunamente combinate o assemblate per creare sistemi supramolecolari, possono svolgere una gran varietà di funzioni, a volte anche più complesse e intelligenti di quelle inventate dalla natura. Dal fantastico mondo della chimica gli scienziati hanno tratto ispirazione non solo per creare nuove molecole, o investigare nuovi processi chimici, ma anche per creare veri e propri “capolavori”. Traendo spunto da alcune affascinanti storie basate sui concetti della chimica è facile concludere che la Terra non ha confini, che tutte le forme della materia sono strettamente connesse e che la luce solare ha un ruolo insostituibile.
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Margherita Venturi e Vincenzo Balzani Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna via Selmi 2, 40126 Bologna, Italy. Fax: +39-051-2099456 Centro di Ricerca Interuniversitario per la Conversione Chimica dell’Energia Solare e-mail: margherita.venturi@unibo.it; e-mail: vincenzo.balzani@unibo.it
Enrico Marchi Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna via Selmi 2, 40126 Bologna, Italy. Fax: +39-051-2099456 e-mail: enrico.marchi@unibo.it
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1.  Chimica: una scienza fondamentale
La chimica è una scienza fondamentale. Il suo linguaggio, cioè il linguaggio delle molecole, permea tutti gli altri campi della scienza. Oggi, per esempio, la branca più importante della biologia è la cosiddetta biologia molecolare e, in un futuro ormai vicino, la nostra attività cerebrale (apprendimento, pensiero, memoria ed anche coscienza) saranno compresi attraverso i concetti della chimica. La chimica fa da tramite fra la fisica e la biologia ed è alla base di scienze emergenti come l’ecologia e la scienza dei materiali. Senza la chimica non ci sarebbero speranze di trovare una soluzione ai più grandi problemi che affliggono la nostra società: cibo, salute, energia ed ambiente.
Tutti sanno che la chimica è utile ed importante: ci permette di curare le malattie, di vivere una vita più comoda, di capire le leggi della natura e di cambiare il mondo attorno a noi. Molte persone, sbagliando, credono che la chimica sia esclusivamente un’attività industriale “sporca” e solo poche sanno, invece, che la chimica è una scienza bellissima strettamente connessa all’arte [1].

2.  Il linguaggio della chimica
Esiste uno stretto parallelismo fra chimica e linguaggio: gli atomi sono le lettere della chimica e la Tavola Periodica è l’alfabeto della chimica. Come una combinazione di lettere disposte secondo le regole del linguaggio forma una parola, così una combinazione di atomi disposti secondo le regole della natura forma una molecola; come una combinazione di parole forma una frase, così una combinazione di molecole forma un sistema supramolecolare. Continuando questo parallelo e considerando situazioni via via più complesse, come nel linguaggio si formano paragrafi, articoli, libri e biblioteche, così la chimica sfocia nella biologia ed evolve nella sua più alta espressione che è l’uomo. La chimica, però, è molto più complessa del linguaggio. Infatti, i libri di una delle biblioteche più grandi del mondo, come la Biblioteca Nazionale di Francia, contengono tutti insieme circa 1013 lettere, mentre il corpo di un solo uomo è formato da circa 1028 atomi, un numero un milione di miliardi di volte maggiore!
Gli atomi, come le lettere, sono indispensabili, ma non possiedono significato se presi singolarmente. Così come nel linguaggio le parole sono le più piccole unità con un significato, in chimica le molecole sono le più piccole entità che possono svolgere una funzione: le molecole sono infatti gli oggetti più piccoli che possiedono distinta forma, dimensione e proprietà. Pertanto le molecole, come le parole, hanno uno specifico
contenuto di informazione che può essere definito come il “significato” di una molecola. Sia le parole che le molecole possono avere un enorme influenza nella nostra vita: sia la parola “rosa” che la molecola responsabile del profumo di una rosa ci forniscono una piacevole sensazione. Parole e molecole possono essere dolci, amare, leggere, pesanti, aspre, taglienti; esistono parole e molecole che possono sia salvare che distruggere una vita.

FIG01
Figura 1. Architettura molecolare: due affascinanti esempi di specie supramolecolari di dimensione nanometrica ed i corrispettivi macroscopici. (a) Il carcerando resorcinarene- calixarene [7] ed il Battistero di Pisa. (b) Un composto simile al norbornile ed il ponte medievale di Olina [8]. Le geometrie delle molecole sono state ottenute con calcoli di dinamica molecolare.
Esiste anche un’altra analogia fra linguaggio e chimica. Il significato di una parola dipende non solo dal numero e dal tipo di lettere da cui è formata, ma anche dall’ordine con cui sono poste le lettere. Per esempio usando 2a, 1g, 1i, 1l, 1o, 1r, 1t, 1v ma mettendo queste lettere in ordine diverso possiamo scrivere due parole di significato completamente differente come giravolta e travaglio. Allo stesso modo usando gli stessi atomi, come per esempio 2C, 6H, 1O, si possono costruire sia l’etanolo che il dimetiletere che hanno la stessa formula, C2H6O, ma proprietà chimiche completamente diverse perché differiscono per l’ordine con cui gli atomi sono legati fra loro. Sia le parole che le molecole possono essere “smontate” e quindi “riassemblate” per creare nuove parole e nuove molecole. Il poeta latino Lucrezio era un maestro in questo gioco con le parole [2], ma la natura sa fare molto di meglio. Il nostro corpo, ad esempio, è un libro in cui molte molecole sono continuamente cancellate e molte altre sono scritte: la nostra pelle viene completamente sostituita in un mese, mentre il nostro fegato si rinnova ogni sei settimane. Occorre poi aggiungere che le “parole” della chimica sono decisamente molto più numerose delle parole che costituiscono un linguaggio: nella lingua italiana, ad esempio, esistono circa 160.000 parole, in natura esistono molti milioni di molecole diverse e più di 15 milioni di molecole diverse sono state sintetizzate dai chimici.

FIG02
Figura 2 Un sistema supramolecolare composto da un fullerene legato covalentemente ad un calixarene [9]: (a) rappresentazione chimica classica, (b) modello space-filling generato al computer che mostra la similitudine di questa struttura supramolecolare con (c) la Coppa del Mondo di calcio. Riprodotta con il permesso della “Royal Society of Chemistry” (RSC) e del “Centre National de la Recherche Scientifique” (CNRS).
Gli eccezionali sviluppi della chimica sono bene interpretabili con la famosa frase di Leonardo da Vinci “Là dove la natura finisce di produrre le sue specie, l’uomo comincia, utilizzando le specie della natura, e in armonia con la natura stessa, a creare una infinità di specie” [3]. I chimici, infatti, sono nati come esploratori della natura, ma molto presto sono diventati inventori ed a tutt’oggi continuano a svolgere questo duplice ruolo. Di conseguenza la chimica è allo stesso tempo un libro che possiamo leggere ed un insieme di fogli bianchi sui quali possiamo scrivere. Una enorme parte del libro non è ancora stata letta (molecole e processi naturali sono ancora ignoti) ed il numero di fogli bianchi a nostra disposizione (molecole e processi artificiali) è praticamente infinito.

3.  Molecole bellissime
Negli ultimi decenni sono state sintetizzate molecole dalle forme più disparate e allora i chimici, invece di usare la nomenclatura tradizionale spesso molto complicata, hanno pensato di identificare queste molecole con nomi derivati dalla somiglianza della loro forma con quella degli oggetti incontrati nella vita di tutti i giorni: barili, cesti, cinture,
ciotole, scatole, ponti, farfalle, gabbie, catenani, corone, criptandi, cilindri, dendrimeri, recinzioni, footballeni, cancelli, gondole, griglie, elicati, eliceni, cerniere, nodi, scale, lanterne, lepidottereni, polpi, avaleni, pagodani, cremagliere, rotassani, scorpiandi, sepulcrandi, sferandi, stellandi, torandi, pinze, navi, fili [4].

FIG03
Figura 3. Alcune sculture di Vízi Béla che rappresentano quattro sistemi supramolecolari classici [11].
Se potessimo vedere le molecole ci accorgeremmo che nella maggioranza dei casi sono altamente simmetriche ed hanno forme affascinanti [5,6]. Possiamo averne un’idea utilizzando i modelli molecolari CPK che sono cento milioni di volte più grandi delle molecole stesse. Alcuni esempi di molecole affascinanti dal punto di vista estetico sono mostrate in Figura 1 [7,8] ed in Figura 2 [9]. Come scrisse Primo Levi [10]: “Questo accade anche in chimica, come in architettura, che gli edifici “belli” e cioè simmetrici e semplici, siano anche i più saldi: avviene insomma per le molecole come per le cupole delle cattedrali o per le arcate dei ponti.”
Proprio grazie alle loro armoniche forme le molecole sono state prese come modelli per creare bellissime sculture, quali quelle mostrate in Figura 3 [11].

4.  La chimica nelle parole degli scienziati e degli scrittori
Chimica e linguaggio sono stati combinati in maniera sublime e sapiente dagli scienziati e dagli scrittori. Un eccezionale esempio è la definizione di albero data da Richard Feynman [12]: “Un albero è fatto essenzialmente di aria e di sole. Quando brucia torna ad essere aria e nel calore della fiamma ci ridà il calore fiammeggiante del sole che era stato imprigionato per convertire l’aria in albero.”
Nonostante sia difficile spiegare a parole la bellezza e la complessità della chimica, Primo Levi, grande chimico e scrittore, ci è riuscito perfettamente e in molte occasioni. Nel suo libro La chiave a stella [13], immaginando di parlare con un meccanico di nome Faussone, descrive in modo poetico la professione di chimico: “Il mio mestiere vero, quello che ho studiato a scuola e che mi ha dato da vivere fino ad oggi, è il mestiere del chimico. Non so se lei ha un’idea chiara, ma assomiglia un poco al suo: solo che noi montiamo e smontiamo delle costruzioni molto piccole. Ci dividiamo in due rami principali, quelli che montano e quelli che smontano, e gli uni e gli altri siamo come dei ciechi con le dita sensibili. Dico come dei ciechi, perché appunto, le cose che noi manipoliamo sono troppo piccole per essere viste, anche coi microscopi più potenti; e allora abbiamo inventato diversi trucchi intelligenti per riconoscerle senza vederle. Qui bisogna che lei pensi una cosa, che per esempio un cieco non ha difficoltà a dirle quanti mattoni ci sono sopra una tavola, in che posizione sono e a che distanza fra loro; ma se invece dei mattoni fossero dei grani di riso, o peggio ancora delle sfere da cuscinetti, lei capisce che il cieco sarebbe imbarazzato a dire dove sono, perché appena li tocca si spostano: ecco, noi siamo così. Tante volte, poi, noi abbiamo l’impressione di essere non solo dei ciechi, ma degli elefanti ciechi davanti al banchetto di un orologiaio, perché le nostre dita sono troppo grossolane di fronte a quei cosetti che dobbiamo attaccare o staccare. Quelli che smontano, cioè i chimici analisti, devono essere capaci di smontare una struttura pezzo per pezzo senza danneggiarla troppo; di allineare i pezzi smontati sul bancone, sempre senza vederli, di riconoscerli uno per uno, e poi di dire in che ordine erano attaccati insieme. Oggigiorno hanno dei begli strumenti che gli abbreviano il lavoro, ma una volta si faceva tutto a mano, e ci voleva pazienza da non credere.”
In un altro suo libro intitolato Il sistema periodico [14], Primo Levi descrive, in modo affascinante, il viaggio senza fine di un atomo di carbonio: “… fermamente abbarbicato a due dei tre suoi compagni ossigeni di prima, uscì per il camino e prese la via dell’aria. … Fu colto dal vento, abbattuto al suolo, sollevato a dieci chilometri. Fu respirato da un falco, discese nei suoi polmoni precipitosi, ma non penetrò nel suo sangue ricco, e fu espulso. Si sciolse per tre volte nell’acqua del mare, una volta nell’acqua di un torrente in cascata, e ancora fu espulso. Viaggiò col vento per otto anni, ora alto, ora basso, sul mare e fra le nubi, sopra foreste, deserti e smisurate distese di ghiaccio; poi incappò nella cattura e nell’avventura organica. … Il nostro atomo di carbonio entra nella foglia, collidendo con altre innumerevoli (ma qui inutili) molecole di azoto e ossigeno. Aderisce a una grossa e complicata molecola che lo attiva, e simultaneamente riceve il decisivo messaggio dal cielo sotto la forma folgorante di un pacchetto di luce solare: in un istante, come un insetto preda del ragno, viene separato dal suo ossigeno, combinato con idrogeno e (si crede) fosforo, ed infine inserito in una catena, lunga o breve non importa, ma è la catena della vita.” Questa bella storia sottolinea la stretta connessione esistente fra tutte le forme di materia presenti sulla terra.
Chimica, parole e vita sono mirabilmente amalgamate da Roald Hoffmann, premio Nobel per la chimica nel 1981, poeta e filosofo, in una sua recente opera intitolata Sviluppo sostenibile. Qui, descrivendo l’inarrestabile avvilupparsi di un rampicante attorno a un grande albero, Hoffmann sottolinea il miracoloso potere della fotosintesi. Riportiamo i primi versi, dei quali la traduzione attenua molto l’incanto poetico:

Vivi?
I rampicanti
respingono
la domanda,un
manicotto verde
per questi alberi
che li veste
molto stretti
come l’intreccio di
un polimero impazzito.
In primavera il
problema è degli alberi.
Sono vivi?
Lo rimarranno?

5.  Molecole intelligenti
Anche se l’atto più creativo della chimica viene frequentemente associato alla progettazione e alla sintesi di nuove molecole [15], negli ultimi anni la creatività dei chimici si è ancor più manifestata nel riuscire a dare nuove interpretazioni concettuali a ben note reazioni chimiche a cui prendono parte molecole da tempo conosciute [16,17,18,19,20]. In molti campi dell’arte e della scienza la creatività nasce infatti dalla reinterpretazione di concetti o cose del passato alla luce di nuove idee e modi di pensare. Un esempio tipico nel campo della chimica è l’utilizzo di proprietà e molecole note da lungo tempo per ottenere risultati imprevedibili nel campo dell’elaborazione delle informazioni. Nel 1993 l’analogia fra interruttori molecolari e porte logiche fu dimostrata sperimentalmente [21] e da quel momento la possibilità di manipolare segnali luminosi ed elettrici per mezzo di molecole in soluzione [16,17,18,19,22,23,24,25,26,27] è stata presa in considerazione come una possibile strada verso la progettazione e la costruzione di computer chimici [28,29]. Dai primi e semplici esempi di interruttori molecolari, recentemente, si è riusciti a sviluppare sistemi molecolari molto più complessi capaci di svolgere una grande varietà di funzioni logiche [22,23,24,25,26,27]. Un caso particolare di molecola “intelligente” è dato dal [Ru(bpy)3]2+ (bpy = 2,2′- dipiridina), un complesso metallico molto semplice e ben noto, che è in grado di funzionare sia come encoder che come decoder di combinazioni di input ed output elettronici e fotonici [30].
Le proprietà chimiche, fotochimiche ed elettrochimiche del [Ru(bpy)3]2+ e di centinaia di suoi derivati sono stati ampiamente studiati negli ultimi 30 anni [31,32]. Il complesso nel suo stato fondamentale (Figura 4) per assorbimento di luce visibile forma uno stato eccitato spin-permesso, **[Ru(bpy)3]2+, che subisce una disattivazione non radiativa veloce ed efficiente andando a popolare lo stato eccitato spin-proibito, luminescente e ad elevato tempo di vita, *[Ru(bpy)3]2+.

FiIG04
Figura 4. Il complesso [Ru(bpy)3]2+ e le sue forme eccitate e redox ottenute per eccitazione luminosa, o con input elettrochimici [31,32].
Il [Ru(bpy)3]2+ può anche subire processi reversibili sia di ossidazione che di riduzione monoelettronica (e.g., in soluzione di acetonitrile) che possono diventare energeticamente più favorevoli partendo dalla molecola *[Ru(bpy)3]2+ grazie all’extra- energia presente nello stato eccitato (trasferimento elettronico fotoindotto, Figura 4).
Inoltre è ben noto che la reazione di comproporzione fra la specie ossidata [Ru(bpy)3]3+ e quella ridotta [Ru(bpy)3]+ (Eq. 1) è altamente esoergonica e dà origine ad una molecola [Ru(bpy)3]2+ allo stato fondamentale e ad una allo stato eccitato, *[Ru(bpy)3]2+, che si disattiva per via radiativa (luminescenza indotta da trasferimento elettronico).

[Ru(bpy)3]3+ + [Ru(bpy)3]+ → [Ru(bpy)3]2+ + *[Ru(bpy)3]2+ (Eq. 1)

Questi risultati mostrano che il complesso [Ru(bpy)3]2+ è capace di processare ed anche scambiare input sia di tipo elettronico che luminoso (Figura 4). Gli spettri di assorbimento di [Ru(bpy)3]3+, [Ru(bpy)3]2+ e [Ru(bpy)3]+ sono sufficientemente differenti da poter definire opportuni valori di soglia in assorbanza a diversa lunghezza d’onda (310, 450 e 530 nm) per le tre specie che si interconvertono. Inoltre [Ru(bpy)3]2+ mostra un’intensa banda di emissione (λmax = 620 nm) mentre [Ru(bpy)3]3+ e [Ru(bpy)3]+ non sono luminescenti. Grazie ad una interpretazione nuova e globale sia delle proprietà spettroscopiche che dei processi fotochimici ed elettrochimici di questa fantastica molecola, è stato possibile mettere in evidenza la sua capacità a comportarsi come encoder e decoder (Figura 5) [30].

FIG05
Figura 5. Rappresentazione schematica delle tabelle di verità di (a) un 4-2 encoder, e (b) un 2-4 decoder basati sul [Ru(bpy)3]2+ [30].
L’esempio appena descritto è solo uno dei tanti sistemi sviluppati con lo scopo di mimare le funzioni degli operatori booleani a livello molecolare [27]. A parte il futuristico sviluppo di computer chimici, molti recenti lavori mostrano come dispositivi basati sulla logica molecolare potrebbero trovare applicazioni pratiche e reali in un futuro non troppo lontano. Un esempio è dato dall’uso di porte logiche molecolari per contrassegnare e identificare piccoli oggetti in un sistema densamente popolato [33], metodo chiamato di molecular computational identification (MCID) [34]. In questo tipo di approccio un “identificatore” è rappresentato dalla risposta univoca di un certo set di porte logiche ottenuta in seguito ad uno specifico set di input in specifiche condizioni sperimentali. Per testare questo tipo di tecnica, le porte logiche molecolari a singolo input 1–3 (Figura 6) sono state unite chimicamente a perline di polimero di Tentagel-S- NH2 (100 μm) [34]. I composti 1, 2, e 3 originano un output di tipo fluorescente con PASS 1, in logica SI e NO, sotto l’azione di un protone come segnale di input in soluzione, mentre le perline non derivatizzate con la porta logica rispondono con una logica PASS 0. La Figura 6b mostra come le perline contrassegnate con diverse porte logiche possano essere facilmente distinte le une dalle altre all’interno di un insieme sulla base del responso logico della loro fluorescenza in seguito all’aggiunta di soluzioni acide o basiche. Il numero di diversi interruttori chimici che possono essere utilizzati come marcatori può essere incrementato aumentando il numero di caratteri logici ed includendo anche quelli che sono in grado di rispondere a più di un input (AND, OR, XOR, INH, ecc.). Nei composti 1–3 possono essere utilizzati come unità segnalatrici anche luminofori diversi dall’antracene.
FIG6
Figura 6. (a) Formula di struttura di PASS 1 gate 1, SI gate 2, e NO gate 3 che sono unite a perline polimeriche per marcatura ed identificazione. (b) Immagine al microscopio di fluorescenza (λexc=366 nm) di una miscela di perline con due differenti identificatori logici in CH3OH/H2O 1:1 v/v in presenza di HCl (sopra) e NaOH (sotto). Ogni perlina nella figura può essere chiaramente identificata dalla sua risposta logica agli stimuli chimici utilizzati: A, C, e G: PASS 1; B ed F: NO; D, PASS 1 + SI (1:1); E ed I: SI; F: NO; J: PASS 0. Adattato dalla referenza 34.
Questo studio evidenzia come si possa progettare un grande numero di porte logiche molecolari, ognuna delle quali mostra una sua caratteristica firma (output luminescente) in seguito ad uno specifico input sia di tipo chimico (input di ioni o molecole) che fisico (luce o calore). Questo set iniziale di etichette può essere ulteriormente incrementato se gli oggetti bersaglio sono marcati con miscele di porte logiche in un definito rapporto molare e nel caso in cui vengano considerati più di due output. L’“indirizzo” finale di un tag MCID di un dato oggetto potrebbe essere rappresentato da una sequenza di termini, come in una targa automobilistica o negli indirizzi IP di internet: per esempio (λmax,exc).(λmax,em).(logic types and combinations).(input types).(input thresholds). In questo caso il marcatore della perlina D in Figura 6b potrebbe essere rappresentato come (368).(422).(PASS 1 + YES, 1:1).(H+, H+).(none, pH=4.9) [34].
La logica molecolare potrebbe anche rivelarsi utile per l’uso di nano sistemi in applicazioni terapeutiche. Congegni molecolari capaci di generare un output di tipo chimico elaborando input chimici in accordo con funzioni logiche programmate possono essere visti come sistemi a rilascio “intelligente” o “sicuro”. Questi sistemi potrebbero rilasciare farmaci solo in risposta ad una predeterminata sequenza di input, oppure quando la concentrazione di un dato numero di input chimici, indici di una certa condizione, ad esempio una particolare patologia, sale o scende al di sotto una determinata soglia.
Un esempio interessante è dato da un dispositivo molecolare semibiologico capace di controllare il folding di una proteina con una logica di tipo AND in risposta alla presenza di ATP (adenosin trifosfato) e di uno stimolo luminoso [35]. Degno di nota è anche un automa molecolare basato su DNA (acido deossiribonucleico) ed enzimi che modificano il DNA [36,37] che è stato utilizzato per analizzare l’espressione genica per poi controllare la somministrazione di molecole biologicamente attive. Questo automa è stato programmato per identificare ed analizzare in vitro l’RNA (acido ribonucleico) messaggero di geni associati ad alcuni tipi di cancro e generare un singolo filamento di DNA privo del problema genico riscontrato [37].

6.  Dalle molecole ai dispositivi ed alle macchine molecolari
Negli ultimi 30 anni i chimici hanno imparato ad assemblare molecole diverse [17] e oggi, sfruttando l’approccio chiamato “bottom-up” [38], hanno possibilità praticamente infinite di progettare e costruire nuove specie supramolecolari di grande rilevanza per lo sviluppo della nanotecnologia.
La nanotecnologia è stata definita da Roald Hoffmann come “Il matrimonio fra il talento sintetico dei chimici e una mentalità di tipo ingegneristico” [39] e i chimici, infatti, hanno esteso il concetto macroscopico di dispositivo e macchina a livello molecolare, cioè nanometrico [38,40,41,42,43,44,45,46,47,48,49,50,51,52]. Un dispositivo a livello molecolare può essere definito come un assemblaggio di un numero discreto di componenti molecolari (cioè una struttura supramolecolare) progettato per svolgere una specifica funzione. Ogni componente molecolare svolge una singola funzione, mentre l’intero sistema supramolecolare svolge una funzione più complessa che deriva dalla cooperazione dei componenti. Una macchina molecolare è un particolare tipo di dispositivo molecolare in cui le parti costituenti possono muoversi le une rispetto alle altre a seguito di stimoli esterni. Le macchine ed i dispositivi a livello molecolare, così come quelli macroscopici, necessitano di energia per funzionare e di segnali per poter comunicare con l’operatore.
È interessante notare che l’approccio bottom-up usato per la costruzione di dispositivi e macchine a livello molecolare è stato anticipato e descritto in maniera mirabile da Primo Levi nel già citato libro La chiave a stella [53]: “ma lei capisce che è più ragionevole arrivarci a poco per volta, montando prima due pezzi solo, poi il terzo e così via. … non abbiamo quelle pinzette che sovente ci capita di sognare di notte …. Se quelle pinzette le avessimo (e non è detto che un giorno non le avremo) saremmo già riusciti a fare delle cose graziose che fin adesso le ha fatte solo il Padreterno, per esempio a montare non dico un ranocchio o una libellula, ma almeno un microbo o il semino di una muffa.”
Fino ad oggi nessuno è riuscito a costruire un sistema chimico complesso come un microbo o una spora di muffa ma, negli ultimi anni, sono stati progettati e costruiti un numero enorme di semplici macchine e dispositivi molecolari.

7.  Dispositivi molecolari
7.1 Un sistema presa/spina molecolare
Specie supramolecolari i cui componenti interagiscono attraverso la formazione di legami non covalente possono essere disassemblati e riassemblati [54] agendo sull’interazione che tiene uniti i singoli componenti. In questo modo è possibile proibire o permettere eventuali processi di trasferimento di energia o di elettroni. Un sistema a due componenti che mostra un simile comportamento ricorda molto da vicino quello di una presa ed una spina elettriche. Infatti, come le controparti macroscopiche, il sistema molecolare è caratterizzato (i) dalla possibilità di connettere e disconnettere in maniera reversibile i due componenti e (ii) dalla possibilità di avere un flusso di elettroni o di energia elettronica dalla presa alla spina solo quando queste risultano connesse l’una con l’altra. Le interazioni a legame idrogeno fra ioni ammonio ed eteri corona sono particolarmente indicate per costruire dispositivi molecolari di tipo presa/spina poiché possono essere connessi o disconnessi molto velocemente ed in maniera reversibile attraverso stimoli acido-base.
Un sistema presa/spina attraverso il quale viene trasferita energia elettronica è illustrato in Figura 7 [55]. Gli spettri di assorbimento e di fluorescenza di soluzioni in CH2Cl2 contenenti le stesse quantità di etere corona 4 e di ammina 5 indicano l’assenza di qualsiasi tipo di interazione fra i due componenti. L’aggiunta di quantità stechiometriche di acido provoca profondi cambiamenti nella fluorescenza caratteristica del sistema: la fluorescenza dell’etere 4 è spenta, mentre quella dello ione 5-H+ è sensibilizzata per assorbimento di luce da parte dell’etere corona. Queste osservazioni mostrano che si è formato un addotto di tipo pseudorotassano, 45H+, in cui ha luogo un efficientissimo processo di trasferimento di energia dall’unità binaftilica dell’etere corona all’antracene incorporato nel gruppo contenente lo ione dialchilammonio. Lo pseudorotassano può essere disassemblato per aggiunta di una quantità stechiometrica di base, con conseguente interruzione del flusso di energia fotoindotto, come mostra chiaramente il ripristino degli spettri di assorbimento ed emissione iniziali. È interessante sottolineare che il processo di assemblaggio non ha luogo quando si usa un componente spina incompatibile con le dimensioni del componente presa, come nel caso dell’ammina sostituita 6 (Figura 7).
FIG07
Figura 7. Sistema presa/spina a livello molecolare per il trasferimento di energia basato sull’infilamento/sfilamento reversibile, guidato da stimoli acido- base, dello pseudorotassano 4⊃5H+ (CH2Cl2; temperatura ambiente). L’infilamento nel macrociclo 4 del composto 6, che incorpora il gruppo ingombrante benzile, non avviene [55].
FIG08

Figura 8. Rappresentazione schematica del meccanismo di funzionamento di una prolunga elettrica.
7.2 Una prolunga elettrica a livello molecolare
Il concetto di sistema presa/spina descritto sopra può essere usato per progettare sistemi molecolari che simulano la funzione svolta da una prolunga elettrica nella quale sono coinvolte tre diverse componenti che devono essere unite tramite due connessioni indipendenti e reversibili. Nel sistema completamente connesso un elettrone (oppure energia elettronica) deve poter fluire dal donatore all’accettore attraverso il componente centrale (Figura 8).
Un sistema che mostra un tale comportamento è composto dai tre componenti 72+, 8H+ e 92+ rappresentati in Figura 9a [56]. Il componente 72+ è costituito da due subunità [57]: un [Ru(bpy)3]2+ che svolge la funzione di elettron-donatore in seguito ad eccitazione luminosa ed il macrociclo dibenzo[24]crown-8 capace di agire come presa mediante la formazione di legami a idrogeno. Il secondo componente 8H+ contiene tre subunità [58]: uno ione dialchilammonio che si comporta da spina inserendosi all’interno della presa
dibenzo[24]crown-8 attraverso la formazione di legami a idrogeno, uno spaziatore
bifenilico ed una unità benzonaphtho[36]crown-10 che grazie alle sue proprietà
elettron-donatrici può svolgere il ruolo di presa nei confronti di composti elettron-
accettori. Infine il dicatione 1,1′-diottil-4,4′-dipiridinio 92+ è la molecola che svolge la funzione di spina elettron-accettrice nei confronti dell’etere corona presente in 8H+. In soluzione di CH2Cl2 le due giunzioni presa/spina possono essere controllate indipendentemente ed in modo reversibile rispettivamente attraverso stimoli acido-base o redox. L’assemblaggio del sistema può essere monitorato attraverso le variazioni degli spettri di assorbimento ed emissione dovute ai diversi tipi di interazione (legame idrogeno e donatore-accettore) che connettono i componenti. Nel sistema completamente assemblato, 72+8H+92+, l’eccitazione della subunità [Ru(bpy)3]2+ contenuta in 72+ è seguita dal trasferimento di un elettrone al componente 92+; tale trasferimento avviene attraverso 8H+ che fa da tramite fra il primo e il terzo componente e che, pertanto, svolge il ruolo di prolunga (Figura 9b). L’effettivo verificarsi di questo processo è stato confermato mediante esperimenti di laser flash-photolysis al nanosecondo e, specificatamente, dalla presenza di un segnale di assorbimento transiente che può essere assegnato in maniera inconfutabile alla specie monoridotta del componente 92+ ottenuta per trasferimento fotoindotto di un elettrone da parte dello stato eccitato di [Ru(bpy)3]2+. È interessante notare che la prolunga molecolare 8H+ è in grado di interagire con il componente elettron-accettore solo se è già complessato con la presa contenuta in 72+ [58]. In aggiunta il trasferimento elettronico fotoindotto può essere alimentato da energia solare in quanto la subunità [Ru(bpy)3]2+ del componente 72+ presenta una banda di assorbimento larga ed intensa proprio nella regione dello spettro visibile.
FIG09
Figura 9. Sistema chimico che mima una prolunga elettrica. Formule di struttura dei tre componenti molecolari 72+, 8H+ e 92+ che (a) si autoassemblano in soluzione (CH2Cl2; temperatura ambiente) per dare (b) la triade 72+8H+92+. Nel sistema totalmente unito l’eccitazione con luce visibile dell’unità [Ru(bpy)3]2+ di 72+ è seguita da un trasferimento elettronico a 92+, con 8H+ che gioca il ruolo di prolunga [56].
7.3 Dendrimeri: molecole utili ed affascinanti
Molecole altamente ramificate che possiedono una struttura simile a quella di un albero sono chiamati dendrimeri, dalla parola greca dendron (Figura 10). Come gli alberi, i dendrimeri sono molecole belle da vedere ed in grado anche di produrre “frutti”, cioè di svolgere funzioni utili.

FIG10
Figura 10. I dendrimeri sono molecole altamente ramificate con struttura simile a quella di un albero.

FIG11

Figura 11. Rappresentazione schematica di un’antenna per la raccolta della luce.
7.3.1 Antenne che raccolgono la luce
Negli ultimi dieci anni grande attenzione dal punto di vista scientifico è stata posta sulla progettazione e sulla sintesi di dendrimeri [59,60] capaci di svolgere il ruolo di antenne molecolari (Figura 11) in sistemi artificiali per la conversione dell’energia solare.
La presenza di cavità nella struttura permette ai dendrimeri di ospitare al loro interno molecole di vario tipo. In seguito all’assorbimento di luce da parte di gruppi cromoforici disposti alla periferia del dendrimero è possibile trasferire energia ad una molecola luminescente in esso ospitata e avere così emissione di luce caratteristica di questa molecola. La lunghezza d’onda dell’emissione può essere così modulata semplicemente cambiando la molecola luminescente ospitata, senza apportare modifiche strutturali al dendrimero stesso.

FIG12
Figura 12. Formula di struttura del dendrimero 10 (in alto) e schematizzazione del processo di trasferimento di energia dalle unità dimetossibenzeniche e naftaleniche presenti nei dendroni al dansile ospitato nelle cavità del dendrimero (in basso) [61].
Un esempio di questo tipo di sistemi è rappresentato dal dendrimero 10 (Figura 12, in alto) che è costituito da un core amminico da cui si dipartono quattro ramificazioni contenenti le unità capaci di assorbire ed emettere luce. Più specificamente questo dendrimero contiene 8 unità di tipo dansilico, 24 di tipo dimetossibenzenico, e 32 di tipo naftalenico [61]. In seguito all’assorbimento di luce da parte dalle unità periferiche di dimetossibenzene e naftalene si osserva un processo di trasferimento di energia ad alta efficienza (>90%) verso le unità dansiliche che si disattivano emettendo luce. Se però il dendrimero ospita una molecola di eosina (Figura 12, in basso) si ha la scomparsa dell’emissione da parte delle unità dansiliche e la comparsa nella regione visibile dello spettro della tipica emissione dell’eosina. Questa molecola incapsulata nelle cavità del dendrimero risulta quindi in grado di ricevere energia elettronica da tutte le 64 unità cromoforiche presenti nella struttura dendritica (effetto antenna): la luce UV utilizzata come input viene pertanto convertita in un output di radiazione visibile. Scegliendo opportunamente il colorante da incorporare all’interno del dendrimero è possibile selezionare in maniera molto precisa la luce visibile che verrà emessa dal sistema.
7.3.2 Batterie molecolari
Un dendrimero costituito da molte unità redox, siano esse identiche fra loro o no, è capace di scambiare elettroni con altre molecole o con un elettrodo e, pertanto, è in grado di svolgere la funzione di batteria molecolare [62,63]. Per ottenere sistemi con questo tipo di comportamento le unità redox attive devono possedere opportune caratteristiche come (i) completa reversibilità chimica, (ii) processi di trasferimento elettronico molto veloci, (iii) potenziale redox facilmente accessibile ed (iv) elevata stabilità chimica nelle condizioni di utilizzo.
Fra le unità redox attive da incorporare in potenziali batterie molecolari a struttura dendritica sono comunemente usati il ferrocene ed i suoi derivati metilici, grazie alla loro buona reversibilità elettrochimica. Un recente esempio è costituito da dendrimeri giganti contenenti fino a 39 (settima generazione) unità ferroceniche o pentametilferroceniche (un rappresentante di questa famiglia è il composto 11 riportato in Figura 13 che contiene 81 unità ferroceniche) [64].
Questi dendrimeri sono stati caratterizzati con svariate tecniche: (i) la voltammetria ciclica ha mostrato una totale reversibilità chimica ed elettrochimica del sistema fino alla settima generazione, evidenziando come tutte le unità ferrocene si ossidino contemporaneamente allo stesso potenziale; (ii) la coulometria ha dimostrato che il numero di elettroni scambiato è uguale al numero di ferroceni presenti nella periferia del dendrimero (la differenza del 17% fra il numero teorico e quello sperimentale per i dendrimeri più grandi è dovuta a difetti strutturali); (iii) l’ossidazione chimica ha permesso di isolare e caratterizzare il dendrimero ossidato e quello a valenza mista Fe(III)/Fe(II); (iv) la microscopia a forza atomica, usata per studiare il comportamento del sistema su un substrato di mica, ha dato la possibilità di misurare e confrontare le dimensioni del dendrimero neutro e di quello ossidato, evidenziando per il dendrimero di quinta generazione che il diametro medio della specie ossidata (6.5 ± 0.6 nm) è molto maggiore di quello della specie neutra (4.5 ± 0.4 nm). Questi metallo-dendrimeri giganti, quindi, è come se “respirassero” con un ritmo controllato dal potenziale redox. Un comportamento di batteria molecolare è stato anche riscontrato per dendrimeri contenenti unità viologeno (con il termine viologeno si indicano comunemente le unità
di 4,4′-dipiridinio), grazie alla loro capacità di immagazzinare, a potenziali facilmente accessibili, un numero di elettroni doppio rispetto al numero di unità di viologeno che sono incorporate nella struttura dendritica [65,66].

FIG13
Figura 13. Formula di struttura della seconda generazione del metallo-dendrimero 11 contenente 81 unità ferrocene periferiche [64].
Abbastanza recentemente, però, è stato osservato un comportamento leggermente diverso per due famiglie di dendrimeri (Figura 14) contenenti unità viologeno, ma differenti gruppi periferici [67,68,69]. Esperimenti elettrochimici hanno infatti evidenziato che in tutti i casi solo una frazione dei viologeni presenti può essere ridotta e che questa frazione corrisponde (nell’ambito dell’errore sperimentale) al numero di viologeni che sono presenti nella sfera esterna della struttura dendritica (6 per i composti A918+ e B918+, e 12 per A2142+ e B2142+). Questi esperimenti hanno anche mostrato che i viologeni accessibili di ogni dendrimero vengono monoridotti allo stesso potenziale. Un risultato interessante è che il potenziale di riduzione delle unità non è influenzato dallo stato di ossidazione delle altre unità elettroattive: proprietà ideale per ottenere una batteria molecolare. Esperimenti di riduzione fotochimica, oltre a confermare il fatto che solo i viologeni periferici possano essere ridotti, hanno messo in evidenza che i viologeni monoridotti danno dimerizzazione, un processo ben noto, chiamato pimerizzazione [70], già osservato in altri dendrimeri basati su viologeni [65,66,71].

8.  Macchine molecolari
Il progresso della civiltà è da sempre strettamente legato alla progettazione e costruzione di dispositivi capaci di facilitare gli spostamenti ed i viaggi dell’uomo: dalla ruota ai motori a reazione. A tutt’oggi la corsa verso la miniaturizzazione ha portato gli scienziati a studiare la possibilità di progettare e costruire macchine di dimensioni nanometriche, cioè a livello molecolare. D’altra parte, molti tipi di macchine molecolari sono presenti in natura (per esempio l’ATP sintasi) dove svolgono svariate ed importanti funzioni [72]. Le macchine molecolari naturali, però, sono estremamente complesse ed ogni sforzo per replicare in laboratorio sistemi di tale complessità utilizzando l’approccio bottom-up è al momento senza speranza. Ad oggi quello che i chimici sanno fare nel campo delle macchine molecolari artificiali è costruire prototipi semplici costituiti da pochi componenti molecolari, ma capaci di compiere movimenti in modo controllato.

FIG14
Figura 14. Formule di struttura di due famiglie di dendrimeri contenenti un core 1,3,5-trisostituito di benzene e 9 (A918+ e B918+) e 21 (A2142+ e B2142+) unità di viologeno nelle ramificazioni [67,68,69].
8.1 Movimenti lineari in rotassani
Un rotassano è un sistema supramolecolare composto da un macrociclo (anello) in cui è infilata in una molecola lineare (asse) terminante con due gruppi ingombranti (stopper).
Pertanto, i due componenti non si possono dissociare, ma l’anello è libero di muoversi lungo l’asse (Figura 15).

FIG15
Figura 15. Rappresentazione schematica di un rotassano con due stazioni del suo funzionamento come “navetta molecolare” (a). I diagrammi sotto ogni disegno mostrano una rappresentazione schematizzata dell’energia potenziale del sistema come funzione della posizione dell’anello relativamente a quella dell’asse, prima (b) e dopo (c), la disattivazione della stazione A.
Quando l’asse contiene due differenti siti di riconoscimento (stazioni) per l’anello, attraverso un opportuno stimolo esterno si può indurre lo spostamento dell’anello da una stazione all’altra, così che il rotassano può esistere in due stati, 0 ed 1, come mostrato in Figura 15) [38]. I rotassani sono sistemi molto interessanti per la costruzione di macchine molecolari a movimento lineare che, in base al tipo di input energetico usato, possono essere attivate per via chimica, elettrochimica, o fotochimica. È importante sottolineare che il movimento controllato in un rotassano risulta essere importante non solo dal punto di vista meccanico, ma anche dal punto di vista dell’elaborazione dell’informazione a livello molecolare.
Consideriamo ora il rotassano 126+ [73,74] (Figura 16), come esempio di rotassani in cui lo spostamento dell’anello è attivato per via fotochimica. Si tratta di un sistema alquanto complesso che incorpora un elevato numero di unità, ciascuna in grado di svolgere una specifica funzione, e accuratamente progettato per comportarsi come un motore a quattro tempi azionato dalla luce. È infatti costituito da un anello elettron- donatore e da un asse contenente: un [Ru(bpy)3]2+ (P2+), che svolge il ruolo di stopper e di unità fotoattiva, un p-terfenile, che ha la funzione di spaziatore rigido, un’unità 4,4′- dipiridinio (EA12+) e un’unità 3,3′-dimetil-4,4′-dipiridinio (EA22+), che rappresentano le stazioni elettron-accettrici per l’anello, ed, infine, un gruppo tetraarilmetano che svolge il ruolo di secondo stopper.
L’isomero traslazionale più stabile è quello in cui l’anello circonda l’unità EA12+, come atteso dal momento che questa stazione è un elettron-accettore migliore rispetto a EA22+. Lo spostamento fotoindotto dell’anello fra le due stazioni avviene con un meccanismo basato sui seguenti quattro stadi (Figura 16) [74].

FIG16
Figura 16. Formula di struttura del rotassano 126+ (in alto) e meccanismo di funzionamento per lo spostamento fotoindotto dell’anello (in basso). Le curve a destra mostrano una rappresentazione schematica dei profili di energia potenziale per ognuna delle strutture molecolari illustrate a sinistra [73,74].
(a) Destabilizzazione dell’isomero traslazionale più stabile: l’eccitazione luminosa dell’unità fotoattiva P2+ è seguita dal trasferimento di un elettrone dallo stato eccitato alla stazione EA12+ circondata dall’anello (processo 1) con conseguente destabilizzazione della stazione; questo processo di trasferimento elettronico fotoindotto deve competere con il decadimento intrinseco dello stato eccitato di P2+.
(b) Spostamento dell’anello: l’anello si sposta dalla stazione ridotta EA1+ alla stazione EA22+ (processo 2); questo processo deve competere con il trasferimento elettronico inverso da EA1+ (ancora circondata dall’anello) all’unità fotoattiva ossidata P3+,condizione particolarmente difficile da soddisfare, ma fondamentale per il funzionamento del motore molecolare. (c) Reset elettronico: un processo di trasferimento elettronico dalla stazione EA1+ libera dall’anello a P3+ (processo 3) ristabilisce le capacità elettron-accettrici di questa stazione. (d) Reset strutturale: come conseguenza del reset elettronico, l’anello si sposta dalla stazione EA22+ alla stazione EA12+ (processo 4), ristabilendo la struttura iniziale.
In linea di principio, ogni fotone assorbito dal sistema può portare ad uno spostamento avanti ed indietro dell’anello (cioè ad un ciclo completo del sistema) senza generare alcun tipo di prodotti di scarto. In pratica, però, l’efficienza del sistema è molto bassa poiché l’84% delle specie eccitate *P2+ subisce disattivazione intrinseca, processo in competizione con il trasferimento elettronico (processo 1), e l’88% della specie ridotta EA1+ dà trasferimento elettronico inverso (processo 2) prima dello spostamento dell’anello [75]. Come conseguenza la resa quantica del sistema è bassa (2%); questo risultato, che potrebbe sembrare deludente, è però largamente compensato dal fatto che il motore molecolare a quattro tempi realizzato ha peculiarità uniche: (i) è alimentato da luce visibile (in altre parole da luce solare); (ii) si muove in maniera autonoma, come i motori proteici; (iii) non genera alcun tipo di prodotti di scarto; (iv) il meccanismo è totalmente intramolecolare e, quindi, operativo anche a livello di singola molecola; (v) funziona ad una frequenza di circa 1 kHz; (vi) funziona in condizioni sperimentali blande (cioè in soluzione ed a temperatura ambiente); (vii) è stabile per circa 103 cicli.
Un’altra macchina molecolare, attivata per via chimica, è stata progettata e sintetizzata estendendo la struttura dell’asse a due stazioni da monodimensionale a tridimensionale [76]. Questa nuova macchina, strutturalmente molto affascinante, è costituita dal componente triforcato 13H36+, che contiene due stazioni in ognuna delle tre gambe (Figure 17a) e che è infilato nel recettore tritopico 14 formato da tre eteri corona benzo[24]crown-8 fusi assieme su un core trifenilenico. Il sistema autoassemblato 14⊃13H36+ è stato quindi convertito nel rotassano 15H39+ chiudendo con un gruppo ingombrante l’estremità di ciascuna gamba di 13H36+ [77,78].
Il rotassano ottenuto, alto circa 2.5 nm e con un diametro di circa 3.5 nm, si comporta come un ascensore a livello molecolare dal momento che la piattaforma costituita dal recettore 14 può muoversi fra due livelli ben definiti che corrispondono alle due stazioni (ione ammonio ed unità di 4,4′-dipiridinio) incorporate in ciascun pilone del componente triforcato. Inizialmente la piattaforma si trova esclusivamente sul livello “più alto”, cioè con i tre anelli che circondano i centri ammonio (Figura 17b, Stato 0; poiché l’ascensore molecolare funziona in soluzione, quindi senza un possibile controllo dell’orientazione relativa della molecola rispetto ad un sistema di riferimento, i termini
“più alto” e “più basso” sono usati solo a scopo descrittivo). Aggiungendo una base forte non nucleofila ad una soluzione di acetonitrile di 15H39+ si ottiene la deprotonazione dei centri ammonio e, come risultato, la piattaforma si sposta al livello inferiore, cioè con i tre eteri corona che circondano le unità dipiridinio (Figura 17c, Stato 1). La distanza percorsa dalla piattaforma è di ~ 0.7 nm la forza che viene generata è di 200 pN, cioè più di un ordine di grandezza maggiore di quella generata da motori lineari naturali come la kinesina. La struttura corrispondente allo Stato 1 è stabilizzata principalmente dalle interazioni a trasferimento di carica fra le unità aromatiche elettron-donatrici della piattaforma e le unità dipiridinio elettron-accettrici del componente triforcato. Una successiva aggiunta di acido al composto 156+ ripristina i centri ammonio e la piattaforma ritorna al livello più alto. Il movimento ‘su-giù’ simile a quello di un ascensore può essere ripetuto molte volte e può essere seguito tramite spettroscopia 1H NMR, spettroscopia di assorbimento e di emissione e per via elettrochimica [77,78]. Un dettagliato studio spettroscopico ha dimostrato che la piattaforma si sposta in tre diversi stadi, ognuno associato ad una dei tre successivi processi di deprotonazione. Da questo punto di vista il sistema ricorda più un animale che cammina che un ascensore.

FIG17
Figura 17. (a) Autoassemblaggio del sistema supramolecolare a tre gambe 1413H36+ e seguente sintesi della specie interconnessa 15H39+. (b, c) Rappresentazione schematica dei movimenti del sistema 15H39+ che funziona come un ascensore molecolare controllato da stimoli acido-base [76,77,78].
Il movimento meccanico della piattaforma nel sistema supramolecolare 15H39+, controllato da stimoli di tipo acido-base, è associato ad interessanti modifiche strutturali
come, per esempio, l’apertura e la chiusura di una grande cavità (1.5 nm × 0.8 nm), che potrebbe essere usata, in linea di principio, per controllare l’associazione o il rilascio di molecole ospiti, una funzione di grande interesse per lo sviluppo di sistemi a rilascio di farmaci.
8.2 Movimenti di un anello in catenani
Un catenano è una sistema supramolecolare composto da due o più macrocicli interconnessi fra loro. Da un punto di vista macroscopico il movimento meccanico di un anello rispetto ad un altro in un catenano ricorda quello di un “giunto a sfera” (Figura 18, in alto) [79], ma anche il funzionamento di un “giunto cardanico” (Figura 18, in basso) [79], dal momento che la torsione di un anello attorno all’asse principale del catenano forza l’altro anello a ruotare nella stessa direzione.

FIG18
Figura 18. Movimenti meccanici di un anello rispetto ad un altro all’interno di un catenano che dal punto di vista macroscopico ricordano un “giunto a sfera” (in alto) ed un “giunto cardanico” (in basso).
Come già detto nel caso dei rotassani, anche nei catenani i movimenti meccanici possono essere indotti da stimoli chimici, elettrochimici o fotochimici. I catenani 164+ e 174+ (Figura 19) sono esempi di sistemi in cui il movimento conformazionale può essere controllato per via elettrochimica [80,81]; questi catenani sono costituiti da un ciclofano tetracationico, elettron-accettore e simmetrico, e da un anello non simmetrico comprendente due diverse unità elettron-donatrici: un tetratiofulvalene (TTF) ed un dimetossibenzene (DOB) (164+), oppure un dimetossinaftalene (DON) (174+). Poiché il TTF è un miglior elettron-donatore rispetto ai diossiareni, come atteso dai valori dei potenziali a cui si ossidano, la conformazione termodinamicamente stabile di questi composti è quella in cui il ciclofano simmetrico racchiude l’unità di TTF dell’anello non simmetrico (Figura 19a, Stato 0)
L’ossidazione monoelettronica del TTF è accompagnata da una rotazione dell’anello non simmetrico attraverso la cavità del ciclofano tetracationico; ciò è dovuto al fatto che, a seguito dell’ossidazione, l’unità di TTF, acquistando una carica positiva e diminuendo la sua capacità elettron-accettrice (Figura 19b), viene espulsa dalla cavità del ciclofano tetracationico ed è rimpiazzata dall’unità diossiarenica neutra (Figura 19c, Stato 1). La successiva riduzione dell’unità TTF ossidata ristabilisce la conformazione iniziale (Figura 19d) in quanto il TTF neutro, riacquistato il suo più forte potere elettron-donatore, sposta l’unità diossiarene e recupera la posizione all’interno del ciclofano. La rotazione dell’anello in questi catenani può anche essere ottenuta chimicamente sfruttando la tendenza dell’o-cloranile ad interagire con il TTF [80,81]. Utilizzando questo reagente è stato infatti possibile portare il TTF fuori dalla cavità ciclofanica e bloccarlo in questa posizione finché, per aggiunta di una miscela di Na2S2O5 e NH4PF6 in H2O, l’addotto formato tra il TTF e l’o-cloranile viene distrutto con conseguente ripristino della conformazione originale con il TTF all’interno della cavità ciclofanica.

FIG19
Figura 19. Rotazione dell’anello controllata con stimoli redox nei catenani 164+ e 174+ che contengono un ciclofano simmetrico come accettore di elettroni ed un anello non simmetrico come donatore di elettroni [80,81].
Il catenano 174+ è stato anche inserito all’interno di un dispositivo allo stato solido che potrebbe essere usato per costruire memorie di tipo RAM [82,83] e anche per la costruzione di sistemi elettrocromici in quanto i suoi vari stati redox sono caratterizzati da colori diversi [80,81,84].
Scegliendo opportunamente le unità funzionali da incorporare nei componenti di un catenano si ha la possibilità di ottenere funzioni più complesse di quelle appena illustrate. Un esempio è rappresentato dal catenano 18H5+ (Figura 20) composto da un etere corona simmetrico e da un anello ciclofanico contenente tre diversi siti di riconoscimento: due unità dipiridinio ed uno ione ammonio [85]. Le proprietà elettrochimiche, così come gli spettri di assorbimento, mostrano che l’etere corona circonda un’unità dipiridinio del ciclofano sia nel catenano 18H5+ (Figura 20a) che nella sua forma deprotonata 184+ (Figure 20b), indicando che la deprotonazione/protonazione dello ione ammonio non causa alcuno spostamento dell’anello (Stato 0). Esperimenti elettrochimici hanno anche evidenziato che la riduzione monoelettronica di entrambe le unità dipiridinio di 18H5+ causa lo spostamento dell’anello sullo ione ammonio (Figura 20c, Stato 1); questo significa che è possibile ottenere una variazione conformazionale del sistema utilizzando uno stimolo elettrochimico. Inoltre, per deprotonazione della forma doppiamente ridotta del catenano (Figura 20d), l’etere corona si sposta su una delle due unità dipiridinio monoridotte (Stato 0). Pertanto per ottenere lo spostamento dell’anello nel catenano deprotonato 184+ è necessario sia ridurre (spegnere) le unità dipiridinio che protonare (accendere) la funzione amminica, il che significa che il movimento meccanico in questo tipo di catenano avviene in accordo alla logica AND [86], funzione associata a due input energetici di differente natura.

FIG20
Figura 20. Movimenti meccanici che avvengono nel catenano 18H5+. Nel catenano deprotonato 184+ la posizione dell’anello varia in seguito a stimoli di tipo acido-base e redox secondo una logica di tipo AND [85].
La rotazione controllata di un anello molecolare è stata ottenuta anche nel caso di catenani composti da tre macrocicli interconnessi fra loro come, per esempio, il catenano 19H26+ (Figura 21) composto da due macrocicli identici, contenenti le unità elettron-donatrici diossibenzene, incatenati ad un ciclofano in cui sono incorporate due unità elettron-accettrici dipiridinio e due ioni ammonio [85].

FIG21
Figura 21. Movimenti meccanici che avvengono nel catenano 19H26+ , composto da tre macrocicli interconnessi, mediante stimoli redox. Questi movimenti sono stati ottenuti in seguito alla riduzione/ossidazione delle unità dipiridinio del ciclofano [85].
Per le proprietà dei macrocicli interconnessi la conformazione più stabile del catenano 19H26+ è quella in cui i due anelli circondano le unità dipiridinio; una volta, però, che queste unità vengono ridotte, i due macrocicli si muovono sulle stazioni formate dagli ioni ammonio e successivamente, quando le unità dipiridinio vengono riossidate, recuperano la posizione iniziale.
Bisogna sottolineare che per i catenani considerati, ma anche per le macchine basate su catenani sviluppate recentemente, lo spostamento fra i due stati traslazionali non avviene tramite una rotazione completa. Infatti, a causa dell’intrinseca simmetria del sistema, i movimenti che portano dallo stato iniziale a quello finale e viceversa possono avvenire con uguale probabilità sia in senso orario che in senso antiorario. Un movimento di rotazione unidirezionale (360°) può essere ottenuto solo in sistemi in cui sia presente un qualche elemento di dissimmetria di tipo strutturale o funzionale, cosa che richiede una attenta progettazione [50,87,88]. Un catenano bistabile potrebbe essere un buon punto di partenza nella progettazione di un motore rotatorio; bisogna però
aggiungere un ulteriore elemento di controllo, come illustrato in Figura 22 [47]. L’anello del catenano sul quale ruota l’altro anello deve contenere, oltre i due differenti siti di riconoscimento A e B, un gruppo ingombrante K ed un altro gruppo X, relativamente ingombrante e facilmente rimovibile. Nella conformazione di partenza (I) l’anello ‘mobile’ circonda il sito A (cioè quello con cui dà la migliore interazione) dell’altro anello. In seguito all’applicazione dello stimolo S1, il sito di riconoscimento A viene disattivato (A’) e come conseguenza l’anello si sposta, raggiungendo una nuova conformazione stabile (II), in cui l’anello circonda il sito B: la presenza del gruppo X rende la rotazione in senso antiorario più veloce rispetto a quella in senso orario. A questo punto, l’applicazione dello stimolo S2 rimuove il gruppo X e uno stimolo di reset S-1 riattiva il sito di riconoscimento A; il sistema può ora riportarsi nella conformazione di partenza in cui l’anello mobile circonda il sito A: la presenza del gruppo ingombrante K rende anche in questo caso la rotazione in senso antiorario più veloce rispetto a quella in senso orario. La struttura iniziale del catenano viene, quindi, ripristinata grazie ad uno stimolo di reset S-2 che ricostituisce il gruppo X. La rotazione unidirezionale di questo tipo di catenani avviene, pertanto, con un meccanismo ‘a scatti’ [88,89] che è basato sulla variazione periodica delle superfici di energia potenziale (Figura 22) causata da reazioni fra loro ortogonali (cioè indipendenti). È interessante sottolineare che la direzione della rotazione può essere invertita semplicemente invertendo l’ordine degli input.
Il catenano 20 mostrato in Figura 23a [90] è la brillante e concreta realizzazione di un tale meccanismo ottenuto sfruttando come input la luce. In questo sistema l’anello più grande contiene due siti di riconoscimento per l’anello più piccolo, cioè un’unità fumaramide fotoisomerizzabile (A) e un’unità di succinimmide (B), e due sostituenti ingombranti che possono essere selettivamente rimossi e riattaccati, specificatamente un gruppo sililico (X1) ed un gruppo trifenilmetilico (X2). Nell’isomero di partenza (I in Figura 23b) l’anello più piccolo circonda il sito fumaramide (A) e, in seguito alla sua fotoisomerizzazione E→Z con luce a 254 nm ed alla seguente desilanizzazione (II), l’anello più piccolo si sposta con movimento orario sul sito succinimmide (B). A questo punto il gruppo sililico viene riposizionato (III) e il ritorno all’isomero E dell’unità fumaramidica, seguita dalla rimozione del gruppo ingombrante terfenilico (IV), induce la rotazione di un altro mezzo giro, sempre in senso orario, dell’anello piccolo che va a circondare nuovamente l’unità fumaramide. Infine, il ripristino del sostituente terfenilico rigenera l’isomero iniziale (I). Il risultato globale di tutti questi stadi di reazione ed isomerizzazione è la rotazione oraria completa dell’anello piccolo attorno a quello più grande. Scambiando l’ordine con cui i due gruppi ingombranti vengono rimossi e riposizionati è possibile ottenere, con lo stesso sistema, una rotazione completa dell’anello piccolo in senso antiorario. La struttura dei composti ottenuti dopo
ogni step reattivo, ed in particolare la posizione dell’anello più piccolo, sono stati inequivocabilmente determinati tramite spettroscopia 1H NMR [90]. Questo sistema è molto più complesso di quello illustrato in Figura 22 in quanto contiene due gruppi ingombranti che possono essere controllati indipendentemente e usa tre differenti coppie di stimoli per far avvenire la rotazione monodirezionale: una coppia controlla il riarrangiamento conformazionale e due coppie sono usate per superare le barriere energetiche.

FIG22
Figura 22. Progettazione di un catenano bistabile in grado di funzionare come un motore rotatorio molecolare controllato da due coppie di stimoli indipendenti. Lo schema di funzionamento è basato sulle variazioni di energia potenziale attese in seguito alle reazioni chimiche ed ai riarrangiamenti conformazionali ottenuti per stimolazione con input indipendenti.
A causa della scala temporale e del numero delle reazioni coinvolte nella rotazione unidirezionale del catenano 20, e di altri catenani simili [91], è praticamente impossibile realizzare motori rotatori con questo tipo di sistemi. Tuttavia l’analisi degli aspetti termodinamici e cinetici del loro meccanismo di funzionamento è di fondamentale importanza per stabilire quali input energetici possono essere usati per sfruttare le fluttuazioni termiche e guidare una rotazione o un moto unidirezionali.

FIG23
Figura 23. (a) Formula di struttura del catenano 20 e (b) rappresentazione schematica del processo di rotazione unidirezionale dell’anello più piccolo [90].

9. Conclusioni
La chimica è dentro ed attorno a noi: tutti i processi che sostengono la vita sono basati su reazioni chimiche e molte delle cose che usiamo nella vita di tutti i giorni sono molecole naturali (come l’acqua, il grano, l’olio, il legno) o artificiali (come la plastica, le medicine, i pesticidi). Per queste ragioni la chimica è una scienza centrale e la sua importanza e vastità possono essere meglio comprese da un confronto con il linguaggio: le molecole, cioè le parole della materia, sono gli oggetti più piccoli a possedere una propria forma e dimensione e specifiche proprietà; inoltre, come le parole, hanno uno specifico contenuto di informazioni che viene espresso quando interagiscono le une con le altre.
Funzioni più complesse possono essere ottenute attraverso l’assemblaggio di più molecole in sistemi supramolecolari; infatti, se opportunamente progettati e costruiti, questi sistemi in seguito ad eccitazione con input di tipo chimico, elettrico e luminoso possono svolgere una enorme varietà di funzioni basate su processi di trasferimento di energia ed elettroni o su movimenti meccanici.
La chimica, oltre ad essere utile ed importante, ha risvolti affascinanti che hanno ispirato le opere di scrittori, poeti e scultori. La chimica è un libro meraviglioso in continua espansione: tutti i giorni vengono sviluppati nuovi concetti e nuove idee, vengono scoperte nuove molecole naturali e sintetizzate nuove molecole artificiali, vengono assemblati sistemi supramolecolari sempre più complessi e creati dispositivi e macchine molecolari sempre nuovi e sempre più “intelligenti”.

Ringraziamenti Gli autori ringraziano Alberto Credi per discussioni e suggerimenti grafici.

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39. Nel Foresight Update 20, Foresight Institute, Palo Alto, Cal, è riportato che Roald Hoffmann abbia reagito nel seguente modo alla richiesta di definire l’obiettivo della nanotecnologia: “I’m glad you guys (that includes women, of course) found a new name for chemistry. Now you have the incentive to learn what you didn’t want to learn in college.” Chemists have been practicing nanotechnology, structure and reactivity and properties, for two centuries, and for 50 years by design. What is exciting about modern nanotechnology is (a) the marriage of chemical synthetic talent with a direction provided by “device-driven” ingenuity coming from engineering, and (b) a certain kind of courage provided by those incentives, to make arrays of atoms and molecules that ordinary, no, extraordinary chemists just wouldn’t have thought of trying. Now they’re pushed to do so. And of course they will. They can do anything. Nanotechnology is the way of ingeniously controlling the building of small and large structures, with intricate properties; it is the way of the future, a way of precise, controlled building, with, incidentally, environmental benignness built in by design”. http://www.foresight.org/Updates/Update20/Update20.1.html#anchor176004.
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75. Invertendo le posizioni di EA12+ ed EA22+ aumenta la resa quantica del trasferimento elettronico fotoindotto (Φ2 = 0.50), ma si impedisce lo spostamento dell’anello poiché il trasferimento elettronico inverso diventa estremamente veloce: Balzani V, Clemente-León M, Credi A, Semeraro M, Venturi M, Tseng H-R, Wegner S, Saha S, Stoddart JF (2006) Aust J Chem 59:193-206
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Chi gli ha dato il nome? Malligand

a cura di Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Come è ben noto, il vino è una soluzione acquosa contenente circa 8-15 % di alcol etilico, alcuni sali inorganici e varie sostanze organiche, fra cui altri alcoli, polifenoli, zuccheri, acidi, eccetera in quantità variabile. Il vino si commercia sulla basa del “titolo alcolometrico” (una volta si chiamava “gradazione alcolica”), cioè del contenuto percentuale in volume di alcol etilico (litri di alcol etilico per 100 litri di vino); il metodo ufficiale di analisi della gradazione alcolica consiste nella distillazione di un volume misurato di vino, nella diluizione del distillato con acqua distillata fino al volume originale del vino e nella misura della concentrazione alcolica mediante un picnometro o una bilancia idrostatica.

Questo procedimento è lento e già nell’Ottocento erano stati proposti vari ingegnosi apparecchi basati sulla misura della gradazione alcolica attraverso la temperatura di ebollizione del vino. A pressione ordinaria l’acqua bolle a 100,0 gradi Celsius; l’alcol etilico puro bolle a 78,4°C; la miscele hanno una temperatura di ebollizione che dipende dal contenuto in alcol.

L’apparecchio più comune per la misura rapida della gradazione alcolica attraverso la temperatura di ebollizione è “il Malligand”, così chiamato dal nome di Pierre Marie Edouard Malligand, titolare della ditta E. Malligand Fils, con sede a Parigi, negli anni settanta dell’Ottocento, in Boulevard St.Michel n. 1. Il primo apparecchio per la misura della gradazione alcolica attraverso la temperatura di ebollizione del vino è stato brevettato nel 1833 da un certo dott. Tabarié di Montpellier. Nel 1842 l’abate Brossard-Vidal, professore a Tolone, brevettò un altro “ebulliometro” che subì varie modifiche e perfezionamenti; uno di questi fu brevettato nel 1848 dalla sorella dell’abate, signorina Marie Euphrésine Elisabeth Brossard-Vidal. Alla morte dell’abate Vidal nel 1863, la signorina Brossard-Vidal ereditò l’invenzione dal fratello, ma senza successo economico, anzi cadde nella più completa miseria.

La sua sorte attrasse l’attenzione di Edouard Malligand, commerciante di vini di Parigi, che collaborò con la signorina Vidal per altri perfezionamenti dell’ebulliometro che furono brevettati insieme nel 1872, 1874 (brevetto inglese n. 1885), 1875, 1880. Nella sua forma definitiva “il Malligand” consiste in una caldaietta di rame nella quale viene posto il vino fino ad una altezza che consente l’immersione del bulbo del termometro nel vino; sulla caldaietta è avvitato un termometro di precisione piegato ad angolo in modo che il capillare è orizzontale ed è abbinato ad una scala metallica scorrevole graduata nella quale lo zero corrisponde alla temperatura di ebollizione dell’acqua e con cui è possibile risalire dalla temperatura di ebollizione alla gradazione alcolica. Sulla caldaietta è avvitata anche un tubo condensatore del vapore raffreddato ad acqua; la quantità di acqua nel refrigerante è sufficiente ad assicurare la condensazione del vapore nei pochi minuti, una diecina, di funzionamento dell’ebulliometro; il vino contenuto nella caldaietta è portato all’ebollizione scaldandolo con un fornelletto entro una tubazione esterna circolare e inclinata, a termosifone, collegata alla caldaietta.

malligand

Per tenere conto dell’effetto della pressione, subito prima della misura della gradazione alcolica si misura la temperatura di ebollizione dell’acqua; l’acqua distillata è posta nella caldaietta ad un livello inferiore a quello del vino, in modo che il bulbo del termometro è lambito solo dal vapore acqueo. Si pone allora lo zero della scala in corrispondenza della temperatura di ebollizione dell’acqua nel luogo e nel giorno della prova sul vino. Un insieme di “furbizie” che sorprendono ancora oggi. Un modello dell’ebulliometro fu presentato da Malligand e Vidal all’Accademia delle Scienze di Parigi che nominò una commissione giudicatrice composta di illustri chimici; la relazione, con un giudizio molto lusinghiero, è pubblicata negli atti dell’Accademia relativi alla seduta del 3 maggio 1875.

Il testo della relazione è stato riprodotto, con l’intera storia “del Malligand”, dai professori Ottilia De Marco (1934-2009) e Benito Leoci dell’Università di Bari nel 1975. La ditta Malligand si vantava di aver ottenuto la medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi del 1878 e a quella di Anversa del 1885.

Il successo del “Malligand” fu grandissimo e il chimico francese Edmond Thénard (1819-1884) lo dichiarò il miglior metodo per la misura della gradazione alcolica dei vini. A dire la verità il rapporto fra temperatura di ebollizione e concentrazione alcolica è esatto per le soluzioni idroalcoliche pure; nel vino sono presenti sostanze che alterano tale rapporto facendo innalzare o abbassare la temperatura di ebollizione del vino per cui, in corrispondenza di una certa temperatura, la gradazione alcolica appare, rispettivamente, inferiore o superiore a quella vera, il che potrebbe prestarsi a frodi commerciali. Nella pratica i fattori si compensano e la gradazione alcolica misurata col Malligand è sostanzialmente quella vera.

ebulliometro Malligand“Il Malligand”, per la sua praticità e rapidità, continua ad essere usato in molte contrattazioni commerciali e i relativi apparecchi si trovano a centinaia nei laboratori chimici e merceologici. Venduti in eleganti cassette dotate di istruzioni sono oggetto di un fiorente commercio di antiquariato e si possono acquistare in Internet per cifre variabili fra 50 e 100 euro. Non sono riuscito ad avere altre notizie sulla famiglia Malligand e sulla sua premiata ditta.

Molte altre utili notizie si trovano nell’articolo di M. Castino, purtroppo scomparso, sulla storia della determinazione del grado alcolico dei vini, pubblicato in: Accademia dell’Agricoltura di Torino, vol.. CXLVII, 2004-2005, che si trova in rete in:

http://www.darapri.it/immagini/nuove_mie/enocultura/cronologiapersonaggi/ebulliometro.pdf.

Una pallottola spuntata

a cura di C. Della Volpe.

Uno dei maggiori successi della chimica e della biologia sono state la scoperta e la capacità di sintetizzare gli antibiotici; dopo la scoperta degli antibiotici e lo sviluppo della loro produzione industriale i tassi di mortalità dovuti alle malattie infettive si sono ridotti drasticamente.

Il mercato degli antibatterici ha raggiunto cifre da capogiro negli ultimi anni, come si vede dal grafico seguente (tratto da http://www.antiinfectivesconsulting.com/about.php, di David Shlaes, da cui sono tratte anche  altre figure di questo post):

antibmarket

Tuttavia la fame di profitto delle grandi aziende farmaceutiche, sostenuta dal cattivo uso che la classe medica e gli utenti medesimi possono fare degli antibiotici, sta portando all’indebolimento di questa potente arma a disposizione dell’umanità; l’abuso degli antibiotici, spinto dalla vendita smisurata e, in molti paesi, libera degli antibiotici  e dall’uso nell’allevamento animale rappresenta la principale causa di sviluppo delle cosiddette resistenze, cioè della capacità di un batterio di rimanere insensibile finanche ad alte dosi di un antibiotico di qualsiasi tipo.

Il caso della vancomicina che si vede nel grafico seguente, che riporta quantità vendute e sviluppo delle resistenze, esemplifica questo rapporto:

vancomicina

Al momento esistono batteri sia gram-positivi che gram-negativi resistenti a TUTTI gli antibiotici conosciuti.

Perfino il carbopenem, l’ultimo ritrovato sintetico della ricerca è ormai incapace di sconfiggere alcuni ceppi di Staffilococchi o di Klebsielle.

carbopenem

Qualcuno guarda alla possibilità di usare sostanze sintetizzate dagli Archea, gli archeobatteri, che insieme ai comuni procarioti e agli eubatteri costituiscono una delle classi principali di organismi più primitivi; altri trovano in natura sorgenti inattese di potenti sostanze antibiotiche nuove (dalla pelle della Rana Temporaria (J. Proteome Res., 2012, 11 (12), pp 6213–6222) tuttavia la crisi economica rende difficile che le grandi aziende investano in ricerca in un settore dai “tempi lunghi”, dove i bassi prezzi e la sovrapproduzione la fanno da padroni.

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In parole povere le regole del mercato hanno indebolito e stanno indebolendo la piu’ potente arma conosciuta contro le malattie infettive. Vendere antibiotici in quantità (e fregandosi le mani, tanto aumenta il PIL) perchè qualcuno li usa contro l’influenza (che come si sa è causata da virus ad essi del tutto insensibili) o come promotori di ingrasso negli animali da allevamento sono un buon esempio del tipo di pazzie cui assistiamo quotidianamente.

Si tratta, come hanno scritto recentemente su Nature Matthew A. Cooper e David Shlaes (Nature 472, 32 (2011)),di una tempesta perfetta:

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che vede la contemporanea riduzione del numero di nuovi antibiotici immessi sul mercato e l’incremento delle resistenze ai vecchi antibiotici.

Il problema è ben presente a chi lavora nel campo ed è stato analizzato sia nei paesi avanzati che in quelli in via di sviluppo (Archives of Medical Research 36 (2005) 697–705, Emerging Infectious Disease, 5,1 (1999)).

La pallottola magica di Elrich si sta spuntando grazie alla lima del profitto e alla sabbia abrasiva dell’ignoranza e della superficialità. Cosa hanno da dire i chimici in proposito?

La Società Italiana di Fisica (SIF) sulla SEN.

Nota del blogmaster: Accolgo volentieri l’idea di pubblicare sul blog un documento sulla strategia energetica nazionale scritta da un’altra Società scientifca italiana, la SIF. Come molti altri scienziati considero l’opzione nucleare non sostenibile oltre che fortemente limitata nel tempo al livello attuale di tecnologia; essa è stata rifiutata dalla maggioranza del nostro paese e da molti altri nel mondo; ma  apprezzo molto che  una società scientifica abbia sentito l’esigenza di pronunciarsi nel merito della SEN e mi auguro che nel futuro la SCI senta la medesima esigenza. Buona lettura.

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OSSERVAZIONI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI FISICA IN MERITO AL DOCUMENTO DI CONSULTAZIONE PRESENTATO DAL GOVERNO SULLA “STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE: PER UN’ENERGIA PIÙ COMPETITIVA E SOSTENIBILE”
Bologna 30 novembre 2012
Presentazione
La Società Italiana di Fisica (SIF) è un’Associazione non profit che ha lo scopo di promuovere, favorire e tutelare lo studio e il progresso della Fisica in Italia e nel mondo. La SIF rappresenta la comunità dei fisici italiani, dal mondo della ricerca e dell’insegnamento a quello professionale, pubblico e privato, in tutti i campi fondamentali e applicativi della fisica.
Tra le sue molte attività la SIF si è occupata con continuità e grande interesse delle questioni energetiche. In particolare, nel 1987 ha promosso e organizzato il primo Convegno nazionale sul tema “Energia, Sviluppo e Ambiente“, di notevole risonanza per gli argomenti discussi e la dichiarazione, firmata da un panel significativamente rappresentativo e sottoscritta da mille fisici italiani, per un Piano Energetico Nazionale aperto ad un mix di fonti per uno sviluppo sostenibile senza discriminazioni, che non rinunciasse all’opzione nucleare.
Più recentemente la SIF, all’inizio del 2008, ha pubblicato il Libro Bianco “Energia in Italia; problemi e prospettive (1990-2020)”, che fotografa la situazione degli anni 90 e le prospettive delle varie fonti di energia nel nostro Paese, suggerendo alcune possibili linee guida. In esso viene in primo luogo segnalata l’esigenza di un Piano Energetico Nazionale redatto in armonia con il contesto europeo e, soprattutto, con il coinvolgimento di un arco di forze politiche il più ampio possibile, in modo da rendere trascurabile il rischio di ripensamenti di parte o a livello locale. Viene poi presentato, come proposta percorribile nel decennio in corso, uno scenario articolato in cui trovano spazio un aumento consistente delle fonti energetiche rinnovabili e delle importazioni di energia elettronucleare, un utilizzo contenuto delle fonti fossili, intese soprattutto come carbone e gas, e una convinta riapertura all’opzione nucleare. Si tratta di una ipotesi equilibrata e lungimirante, basata sullo sviluppo delle tecnologie innovative che consentono all’industria italiana di recuperare posizioni a livello internazionale.
Attualmente la SIF ha in corso un’impegnativa ed efficace attività di formazione e di informazione sulle tematiche dell’energia. In particolare la SIF cura la pubblicazione, per le scuole secondarie superiori, di una collana di fascicoli tematici sulle più importanti e promettenti fonti energetiche, le loro potenzialità e i loro problemi. Lo scopo di tale iniziativa è di presentare le idee fondamentali e gli aspetti tecnologici della questione energetica in modo comprensibile agli studenti e a tutti coloro che, benché privi di una certa cultura scientifica, possiedono tuttavia la curiosità e l’interesse per la conoscenza ai fini di una maggiore consapevolezza.
La SIF ha inoltre costituito, in collaborazione con l’European Physical Society (EPS), l’International School on Energy per promuovere la conoscenza delle tematiche dell’energia a livello universitario e post dottorato. I corsi della Scuola, iniziati quest’anno in agosto, si svolgono con cadenza biennale a Varenna, sul lago di Como, presso la Villa Monastero, sede della Scuola Internazionale di Fisica “Enrico Fermi” della SIF.
La SIF partecipa anche all’Energy Group dell’EPS per discutere e promuovere strategie europee atte ad affrontare l’attuale sfida energetica ed ambientale, il futuro dell’energia nucleare e delle energie rinnovabili, il risparmio di energia e l’efficienza energetica.

Osservazioni sul Documento di consultazione
La SIF ritiene il documento emanato dal Governo un significativo passo avanti rispetto alla carenza, ormai pluridecennale, di un Piano Energetico Nazionale. Una strategia energetica che contempli, da una parte, la necessità di un piano di sviluppo atto a superare l’impasse tecnologico nell’innovazione dei mezzi di produzione di energia e, dall’altra, il superamento delle cause legate alla crisi economica che impediscono un serio e corretto confronto delle varie opzioni energetiche, è quanto mai opportuna. La SIF sottolinea l’esigenza di coniugare la sostenibilità ambientale con la necessità di un mix di fonti di energia affidabili, non aleatorie, non sbilanciate economicamente e fondate su una corretta valutazione tecnico-scientifica.
La SIF ritiene che il documento in oggetto possa fornire una base di discussione ampia e documentata che, tuttavia, a suo parere dovrebbe portare ad una più rigorosa e realistica valutazione delle possibilità offerte dalle varie opzioni, sia a breve che a medio e lungo termine. La SIF indica, pertanto, i punti salienti che, a suo avviso, in base alle indicazioni del documento governativo meritano un approfondimento.
1) Giustamente il documento richiama gli aspetti peculiari e le criticità dell’attuale assetto energetico del nostro Paese, rilevando, in particolare, la debolezza del sistema nazionale legata alla forte dipendenza energetica dall’estero, alla elevata incentivazione a certe fonti rinnovabili, che forse richiederebbero una più attenta valutazione, e all’eccessivo costo della bolletta elettrica, la più elevata in sede europea (cfr. “svantaggio rispetto a concorrenti internazionali”).
A tale riguardo, il confronto con le realtà di altri Paesi dell’Unione Europea rende esplicito un rilievo sottinteso e, cioè, la mancanza di una politica energetica di ampio respiro che avrebbe dovuto considerare più attentamente la necessità di un più equilibrato mix energetico che includa, in modo sia pur oculato e con criteri programmatici chiari, anche l’opzione nucleare.
2)    Delle priorità segnalate, l’efficienza energetica è certamente importante e da migliorare rispetto agli standard attuali (peraltro già significativi), così come lo sviluppo delle infrastrutture e del mercato elettrico. Più problematici appaiono, nel breve-medio termine, lo sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili, da una parte, e la produzione sostenibile di idrocarburi nazionali, dall’altra.
Per il raggiungimento di obiettivi quali, nel primo caso, il superamento degli obiettivi europei 20-20-20, a parte l’apprezzamento per un miglior bilanciamento a favore delle rinnovabili termiche, una riduzione dei costi di incentivazione è sicuramente necessaria per una sostenibilità economica ragionevole, anche per evitare una forzatura costosa di una concorrenza artificialmente introdotta. Nel secondo caso, relativo alla produzione di idrocarburi nazionali, i vincoli imposti da ragioni di sicurezza e ambientali sembrano costituire una barriera difficilmente superabile nel nostro Paese.
3)    L’enfasi data alla ricerca, in particolare per ciò che riguarda lo sviluppo delle fonti rinnovabili innovative e gli studi relativi ai materiali e all’efficienza energetica, dovrebbe evidenziare l’importanza di una maggiore attenzione e di un pianificato coinvolgimento delle risorse materiali ed umane dell’Univerità e degli Enti di Ricerca. In questo contesto la ricerca, a livello accademico e industriale, relativa a tutte le opzioni, inclusa l’energia nucleare (reattori a fissione di IV generazione, tecnologie innovative della fissione nucleare, fusione nucleare) dovrebbe essere considerata tra le priorità essenziali per una corretta impostazione della strategia energetica anche a lungo termine. Il rafforzamento delle risorse pubbliche ad accesso competitivo atto a favorire il partenariato università-centri di ricerca-imprese, nonché la razionalizzazione dell’attuale segmentazione delle iniziative dei vari Enti di Ricerca, previsti nel documento, sono certamente validi strumenti allo scopo. Resta da meglio definire, in termini quantitatvi e distributivi, l’insieme dei criteri e delle azioni per concretizzare tali intenti e dare al mondo della ricerca un segnale che porti ad un coinvolgimento esplicito degli esperti e dei giovani che si avviano al perfezionamento degli studi universitari.
4) Un punto essenziale, che in qualche modo viene evidenziato nel documento, riguarda la compartecipazione dei vari elementi interessati (amministrazioni locali, stakeholder nazionali, istanze istituzionali, coinvolgimento territoriale, ecc. ) nel sistema di governance, che tuttavia dovrebbe tener presente due fattori importanti: la ridefinizione del rapporto Stato-Regioni (positivo il disegno di riportare allo Stato le competenze in materia di energia), e il coinvolgimento coordinato di Enti di ricerca e rappresentanze tecnico-scientifiche adeguate e non condizionabili. E, parte non trascurabile, il fattore informazione non disgiunto da una organica operazione di acculturamento dell’opinione pubblica, cui istanze come quelle della SIF potrebbero dare un valido contributo.
5) Il merito dell’iniziativa strategica non può prescindere, a nostro avviso, dal metodo di consultazione. Qui si avverte ancora una volta una lacuna già presente in altre occasioni e in altre consultazioni. Gli incontri con le principali istituzioni e associazioni di categoria interessate, come recita il documento nella parte dedicata al percorso di consultazione, ci si augura che possano essere estesi, per esempio, alle Associazioni Scientifiche che, come la SIF, dispongono di un patrimonio di competenze e rappresentano comunità tecnico-scientifiche non subordinate a specifici interessi economici e politici.
Tali incontri avrebbero potuto (potrebbero) essere utili rilevando e tenendo nel debito conto le analisi e gli studi già effettuati (cfr. le pubblicazioni della SIF) in merito a realistiche strategie energetiche basate su possibili ed equilibrati mix delle varie fonti per le quali i criteri di scelta siano non soltanto di tipo economico-ambientale ma anche supportati da rigorose valutazioni tecnico-scientifiche.
6) Il percorso individuato per la consultazione non è stato, a nostro parere sufficientemente pubblicizzato rendendo di difficile e tempestiva predisposizione le analisi e le osservazioni di istanze competenti e consapevoli tra la platea di consultati. Si rende perciò necessaria un’azione informativa più ampia e mirata e l’organizzazione di una Conferenza Nazionale sull’Energia, che non sia una semplice rassegna di pareri e posizioni spesso poco incisivi e pertinenti.

Recensione: “CHIMICA! Leggere e scrivere il libro della natura.”

a cura di Claudio Della Volpe

CHIMICA! Leggere e scrivere il libro della Natura.di Vincenzo Balzani e Margherita Venturi Ed. ScienzaExpress  Collana:Parliamone.Trieste, 2012, 135p. 12 euro 

Come sicuramente ricorderete Galileo sostenne ne “Il Saggiatore” che il libro della Natura era scritto in lingua matematica e i suoi caratteri erano le figure geometriche; una posizione fortemente innovativa rispetto ai canoni del suo tempo.

In questo agile libretto Balzani e Venturi, due colleghi dell’Università di Bologna che tutti noi conosciamo, fortemente impegnati nella ricerca ma anche nella divulgazione, fanno un passo ulteriore; il libro della Natura è scritto in un linguaggio chimico, dove gli atomi corrispondono alle lettere e le molecole alle parole. Si tratta di un linguaggio che ci permette non solo di leggere la Natura ma anche di scriverci, inventando nuove parole, ossia nuove molecole.

E quindi sia “Chimica!” con tanto di punto esclamativo, una esclamazione che riflette l’entusiasmo di chi comprende la incredibile potenza di questo linguaggio.

chimica!

Questa correlazione fra molecole e parole ha nobili richiami nella storia culturale da Lucrezio a Leibnitz, da Levi ad Asimov e a Hoffman, da Cavaliere a Bartezzaghi; Odifreddi in un commento ad una recente conferenza di Enzensberger ricorda le molte affinità fra poesia, matematica e chimica. Insomma la Chimica è scienza centrale prima di tutto perchè essa è al centro della nostra cultura; ma perchè poi meravigliarsene? Essa ha fatto parte del nostro processo di ominazione, eravamo chimici già 100.000 anni fa, nella grotta di Blombos, preparando i primi pigmenti.

Supportato da un notevolissimo numero di illustrazioni, citazioni di concetti e frasi celebri, ma spesso dimenticate, il libro di Balzani e Venturi ripercorre la storia delle idee della Chimica e guida anche coloro che ne sono completamente a digiuno attraverso le basi della nostra disciplina; riesce perfino a parlare di chimica supramolecolare e delle nuove invenzioni chimiche legate all’imitazione dei processi naturali, a partire dalla fotosintesi artificiale, cui richiama la foglia in copertina. Tocca, e ripetutamente, i concetti base della termodinamica e della cinetica, senza mai aver bisogno di usare una sola formula matematica, ma usa invece e ripetutamente esempi chimici in una lunga e ben fornita sequenza di esempi stimolanti (dal più dolce, al più amaro, al più esplosivo, etc.).

Nel capitolo 8 affronta il tema della didattica della Chimica, a partire da un numero speciale di Science (aprile 2010) in cui si individuavano tre elementi base di un approccio diverso per la Chimica: temi legati alla realtà quotidiana; approccio interdisciplinare; laboratorio. Su questa base il libro propone quattro nuclei tematici da sviluppare (atomi, molecole, ioni – stati di aggregazione – reazioni – chimica quotidiana) ed una serie di indicazioni base sull’impostazione didattica che potrebbero essere riassunte nella famosa frase di Teofrasto:

          “Insegnare non è riempire un vaso, ma accendere un fuoco”.

L’ultimo capitolo è dedicato a quello che potremmo chiamare chimica ed etica, un argomento che spesso viene trascurato e che invece qui acquista un rilievo forte.

Un testo di questo tipo oltre allo spazio, che oggettivamente si crea da solo nel mercato culturale general-purpose, potrebbe trovare una ottima collocazione nelle indicazioni dei libri per il TFA; in grado cioè di fornire i concetti base e l’impostazione da usare nella didattica; ricco di illustrazioni e di citazioni da riusare ed approfondire, fornisce anche una serie di strumenti concreti; insomma uno sforzo culturale e creativo (e anche commerciale: il libro costa pochissimo ma ha una grafica di primo ordine), che ancora una volta fa onore alla scuola chimica di Bologna e a Vincenzo Balzani e ai suoi colleghi che continuano a fornirci esempi concreti di come divulgare la chimica e la sua bellezza, ma senza rinunciare al rigore e soprattutto all’etica, compagno irrinunciabile dello scienziato moderno.

Chi gli ha dato il nome? Kjeldahl.

a cura di Giorgio Nebbia

“Azoto totale secondo Kjeldahl”, è questa una delle analisi richieste per la valutazione della qualità di molti alimenti, per il controllo delle acque e di altri materiali di interesse merceologico o ambientale. Chi era mai questo Kjeldahl ? Se il suo nome è pronunciato continuamente nei laboratori chimici, altrettanto poco nota è la storia del chimico danese Johan Gustav Kjeldahl (1849-1900) che ha inventato il metodo di analisi dell’azoto. Nel 1847 l’imprenditore danese J.C. Jacobsen (1811-1887) aveva fondato una birreria chiamata Carlsberg, dal nome del figlio Carlo. Jacobsen era un uomo di grande cultura e lungimiranza e, ispirato dalle scoperte fatte in Francia da Louis Pasteur (1822-1895), volle utilizzare le più recenti conoscenze scientifiche per migliorare la qualità della birra di sua produzione. Nel 1876 creò così un laboratorio di ricerche e ne affidò, la direzione al giovane Kjeldahl.

Nato vicino Copenhagen, Kjeldahl aveva studiato al Regio Politecnico e, dopo la laurea, fu assunto al Regio Collegio di Agricoltura come assistente di C.T. Barfoed (1815-1899), un amico di Jacobsen. Fu così incaricato di controllare il contenuto di proteine dei cereali usati nella birreria, una analisi che sostanzialmente richiedeva la misura del contenuto in azoto del campione in esame.

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Nella metà dell’Ottocento il contenuto in carbonio e idrogeno, il CH, come si diceva e si dice tuttora, di una sostanza organica era misurato con la combustione del campione ad alta temperatura in presenza di ossido di rame e con successiva analisi della quantità di anidride carbonica e di acqua liberate, rispettivamente, dal carbonio e dall’idrogeno. Per l’azoto c’erano invece dei problemi; durante la combustione si formano ossidi di azoto difficili da analizzare; Dumas, il grande rivale di Liebig, scaldava i campioni in assenza di ossigeno e raccoglieva l’azoto gassoso su mercurio, un metodo complicato e lungo.

Nel 1841 due studenti di Liebig, Heinrich Will (1812-1890) e Franz Varrentrapp (1818-1877), descrissero un metodo di analisi dell’azoto nei prodotti organici, consistente nella pirolisi del campione direttamente con alcali; si liberava così ammoniaca che veniva facilmente titolata. Il metodo non era però adatto ad analisi in serie, come quelle che Kjeldahl doveva fare per controllare il contenuto di proteine dell’orzo; Kjeldahl mise allora a punto un nuovo metodo.

Il campione veniva trattato con acido solforico concentrato in presenza di permanganato, in un pallone e collo lungo; il campione veniva scaldato fino a quando l’acido solforico non diventava limpido; a questo punto si era certi che tutto l’azoto del campione fosse trasformato in solfato di ammonio. Il pallone veniva allora trasferito in uno speciale ingegnoso distillatore, il “kjeldahl”, appunto. Attraverso un imbuto con rubinetto veniva fatta scendere lentamente una soluzione di idrato sodico concentrato; quando la soluzione era diventata alcalina si era certi di essere in presenza di ammoniaca che veniva distillata, raccolta in una soluzione titolata di acido e misurata per titolazione con acido. Il processo fu poi migliorato aggiungendo all’acido solforico “un pizzico” di selenio.che fungeva da catalizzatore.

Kjeldahl descrisse il nuovo metodo nel Rapporto annuale del laboratorio di Carlsberg del 1882-83 e lo espose al congresso della Fondazione Chimica Danese nel marzo 1883. Il grande chimico inglese William Crookes (1832-1919) ne parlò in maniera entusiasta nell’agosto nella rivista “Chemical News” e il metodo si diffuse rapidamente. L’americano Lyman F..Kebler nel “Journal of Analytical Chemistry” osservò che nessun altro metodo era stato così universalmente adottato in così poco tempo, come il metodo di Kjeldahl.

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L’apparecchio originale.

Il metodo di Kjeldahl diventò il metodo standard per la misura del contenuto di azoto nelle proteine ed è oggi usato anche per analisi di piccole quantità di campioni in un apparecchio di vetro molto pratico, il microkjeldahl. Come è noto, si risale al contenuto in proteine moltiplicando il contenuto in azoto N per 6,25, nel caso di latte e latticini (considerando che in media le loro proteine contengono il 16 % di azoto), per 5,7 nel caso di farine e cereali.

Fra le ricerche successive di Kjeldahl si possono ricordare quelle sull’idrolisi dell’amido, sull’influsso dell’ossigeno come fonte di errore nella analisi degli zuccheri per riduzione con soluzioni di sali di rame e nel perfezionamento di tale metodo che divenne il metodo standard per l’analisi degli zuccheri riducenti. Kjeldahl studiò anche l’attività ottica delle proteine delle piante e riconobbe la presenza dell’amminoalcol colina nella fermentazione della birra. Nel 1892 divenne professore universitario e nel 1894 l’Università di Copenhagen gli conferì la laurea ad honorem. Kjeldahl non era sposato e morì ad appena 51 anni di una emorragia cerebrale mentre stava facendo un bagno nel mare. Nel 1983 la Royal Society of Chemistry ha celebrato il centenario della scoperta del metodo di Kjeldahl pubblicando una monografia apparsa negli “Analytical Proceedings” della stessa società.

Schema di un moderno apparechio di Kjeldhal.

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E’ ancora possibile l’innovazione tecnologica di processo in Italia?

a cura di Martino Di Serio

Arriviamo (io e il prof. Santacesaria) a Pechino da Milano Malpensa.  Uscito dall’aereo mi trovo in un aeroporto ultramoderno. Una sensazione di sconforto mi prende facendo il confronto con Malpensa. Da Pechino prendo un altro aereo per Changsha, la città principale della provincia dell’Hunan.  A pochi km da Changsha c’è il villaggio di nascita di Mao Tse-tug, e questo si vede nella città costellata di monumenti  a lui dedicati.

Changsha  è un cantiere aperto (come d’altra parte la maggior parte delle città della Cina),  si sta trasformando sulla base di un progetto urbanistico che, a dire dei nostri colleghi cinesi, si basa sui  principi dello sviluppo sostenibile (http://www.worldbank.org/projects/P075730/hunan-urban-development-project?lang=en). La Cina dello sviluppo a tutti i costi è sparita, le scelte oggi vengono fatte prendendo in considerazione anche l’ambiente e la sicurezza. Ho avuto notizie di Impianti Chimici anche di grosse dimensioni chiusi perchè non rispettavano i limiti di emissione. Contrariamente a Shangai che ormai ha l’aspetto di una città occidentale, il centro di Chansgha ha ancora zone in cui possiamo trovare la Cina di 10-20 anni fa, ma probabilmente tra 5 anni tutto questo sarà solo un ricordo. Venendo in Cina si capisce cosa significa avere un tasso di sviluppo del 9-10%.Fitodepurazione

Siamo venuti a Changsha su invito dell’ Hunan Academy of Foresty (http://www.asemwater.org/Partnerships/Partners/2011-05-19/218.html) nell’ambito di un accordo di ricerca internazionale con l’Università di Napoli Federico II. L’ Hunan Academy of Foresty è impegnata nello sviluppo sostenibile della produzione di Biodiesel utilizzando “non-edible oils”.  Hanno avuto interessanti risultati attraverso  tecniche classiche di plant breeding nell’ottenere nuove varietà di ricino ottimizzando sia le rese di olio per ettaro che le tecniche di raccolta.

Ricino

Ora stanno cercando di migliorare ulteriormente ricorrendo all’ingegneria genetica. Questo tipo di ricerca è sicuramente fatta anche il Italia, la differenza sostanziale è che l’Academy ha costruito e gestisce un impianto pilota per la produzione di biodiesel, a partire dalle materie prime che sta studiando, da 5000 ton/a  (nel miglioramento di processo hanno richiesto la collaborazione con il nostro gruppo di ricerca). L’impianto prevede la sezione di trattamento della materia prima per ottenere l’olio, la sezione di raffinazione dell’olio e la sezione di produzione di biodiesel e la sezione di trattamento delle acque di scarico che prevede tra l’altro una unità di fitodepurazione. Sulla base dei risultati sarà progettato un impianto da 100.000 t/a.

Impianto di Biodiesel

Una situazione analoga l’ho trovata incontrando a Shangai i responsabili della ricerca sui polietossilati del RIDCI (China Institute of Daily Chemical Industry,  http://english.ridci.cn/). Con questo ente di ricerca abbiamo recentemente fatto una richiesta comune di finanziamento ai rispettivi ministeri degli esteri, nell’ambito del programma di cooperazione scientifica e tecnologica tra l’Italia e la Cina per gli anni 2013-2015.

Shangai

Il RIDCI ha sede a Taiyuan (nella provincia di Shanxi), ma  a Shangai ho visitato un impianto produzione di APG (Alkyl polyglucosides )da 13000 ton/a costruito sulla base della tecnologia sviluppata da RIDCI e gestito da una società in cui l’ente di ricerca ha una partecipazione consistente.   Essendo il RIDCI un ente di ricerca che oltre a fare ricerca di base ha come clienti i produttori di tensioattivi in Cina ho chiesto se questa loro attività industriale non fosse in conflitto con il loro scopo istituzionale. La risposta è stata: “per noi questo è un impianto dimostrativo. La Cina ha necessità di molto più APG. I nostri industriali vedendo l’impianto in funzione e la qualità dei prodotti hanno la possibilità di decidere per un eventuale investimento sulla base di dati reali.”

Ho riportato questi due esempi per mettere in evidenza come due enti di ricerca pubblici possano sviluppare una tecnologia ed arrivare fino all’industrializzazione. Naturalmente in queste operazioni c’è un forte intervento dello Stato, ma la ricaduta sull’innovazione e sull’economia è sicuramente di grosso impatto. Questo approccio non è un’invenzione Cinese. Ad esempio in Francia l’IFP Energies nouvelles (IFPEN,  http://www.ifpenergiesnouvelles.com/ ) fa ricerca nei settori dell’energia, dei trasporti e dell’ambiente. IFPEN per sviluppare i propri processi innovativi e industrializzarli crea società o acquista partecipazioni in società già esistenti che abbiano già raggiunto risultati nel trasferimento tecnologico in settori di ricerca di proprio interesse.

Qual è la situazione Italiana? Esistono enti di ricerca che svolgono  azioni simili a quelle descritte in precedenza? Purtroppo io non ne ho notizia. Se qualcuno ha invece informazioni in proposito sarei felice di essere smentito. In Italia però fiorisce la nascita di centri di trasferimento tecnologico (nazionali, regionali, provinciali) che organizzano la ricerca e gestiscono i finanziamenti ad essa collegata, ma sull’efficacia di queste iniziative nonostante l’eccellenza dei nostri ricercatori coinvolti non ho informazioni di successi eclatanti. Probabilmente non è mai stata fatta una statistica: quanti progetti sono stati finanziati? Quanti brevetti sono stati ottenuti? Quanti nuovi processi/prodotto sono stati industrializzati ? Quanti processi/prodotti hanno continuato ad essere sul mercato dopo 5 anni dalla fine dei finanziamenti?

Il finanziamento alla ricerca applicata può essere sicuramente un volano per la crescita. Non si hanno però certamente effetti positivi se i risultati rimangono nei laboratori, o peggio il finanziamento è visto come fine a se stesso e rimane improduttivo.