Le grandi sfide della Chimica -(aggiornamento)

(la prima puntata di questo post è sul nostro sito:

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2013/01/page/2/)

a cura di Bruno Pignataro

Nel ricordare che gli argomenti più discussi/apprezzati in termini di quesiti, sfide, misteri, opportunità per la chimica saranno messi insieme in una lista definitiva entro la fine del 2013, in questo aggiornamento si raccolgono le idee che sono venute fin ora fuori con il contributo principale dei blogger (quali Saggiomo, Gentili, Gifth…) e alcune discussioni con altri colleghi. E’ sempre più ovvio che la lista dei temi è ancora in una sua fase intermedia di definizione, potrebbe essere molto più lunga e gli argomenti scelti anche molto diversi rispetto a quelli qui selezionati. Sarà inoltre conveniente che questo sforzo della SCI, come già detto, sia esteso almeno a livello europeo. In questo post si sta tentando di fare le scelte anche in relazione alla previsione circa la possibilità di portare a degli avanzamenti nelle aree individuate che si possano concretizzare in tempi relativamente brevi. La lista dei temi fin ora individuati, alcuni di più ampio respiro e altri almeno apparentemente più confinati ad aree particolari, è qui di seguito riportata.

1) Vita artificiale non necessariamente basata sul carbonio

Questo argomento, al tempo stesso controverso e parecchio stimolante, può essere visto in relazione ad almeno due ichellaspetti. Il primo è connesso al fatto che recenti esperimenti hanno permesso di definire il campo della “inorganic biology” (vedi per esempio http://www.sciencedaily.com/releases/2011/09/110915091625.htm).                                          Il secondo parte dalla considerazione che per avere delle prove, un esperimento deve essere almeno riprodotto e che, banalmente, non abbiamo un pianeta con le stesse condizioni primordiali e soprattutto non abbiamo miliardi di anni per riprodurre l’esperimento dell’origine della vita, in questo campo avremo sempre e solo ipotesi. Senza per altro entrare in problematiche tipo biocentrismo di Robert Lanza (www.robertlanza.com/ ) secondo le quali la vita crea l’universo piuttosto che il contrario, forse più interessante e divertente  è invece la vita artificiale (nel senso chimico/biologico del termine) come sistema (compartimentalizzato) che si riproduce, che abbia un’eredità “genetica” e sia capace di evolversi.

2) Quanto le molecole possono sostituire/affiancare il silicio per un’elettronica più “smart”?

Per quanto riguarda l’elettronica “smart” non più basata sul silicio é un campo aperto da qualche anno e che mette il chimico, in quanto “molecular engineer”, al centro di tematiche tipicamente di dominio di fisici e ingegneri. Questa é quindi oltre che una sfida, una grossa opportunità per i chimici. Questo contesto include ovviamente lo sfruttamento di numerosi sistemi molecolari come polimeri e molecole coniugate, nanoparticelle a base di carbonio (grafene, nanotubi, fullereni e loro derivati), nanoparticelle metalliche, nanocompositi, blend di film sottili ecc.. sintetizzati/preparati e studiati dai chimici così come l’integrazione di circuiti elettronici su plastica che secondo alcune roadmap industriali potrebbe conquistare, nel prossimo futuro, una fetta di mercato pari al 20-30% di quello dell’elettronica tradizionale e/o aprire nuovi settori applicativi prima non possibili.

3) Nuovi approcci per prevedere e interpretare le proprietà emergenti dei sistemi complessi

La scienza contemporanea è chiamata a vincere le sfide della Complessità Naturale e Computazionale.
Quando riusciremo a comprendere a fondo la Complessità Naturale, saremo in grado di risolvere molti problemi rilevanti per l’umanità, come il problema della salute umana, il problema energetico, il problema della salvaguardia dell’ambiente, e possibilmente i problemi di stabilità politica ed economica. Le sfide della Complessità Computazionale potranno esser vinte ideando nuovi algoritmi (probabilmente ispirati dalla natura) e nuove macchine computazionali alternative agli attuali computer a base di semiconduttori.
Inoltre è importante affrontare lo studio dei sistemi complessi considerando fenomeni lontano dall’equilibrio su diverse scale dimensionali e temporali. Dal punto di vista teorico, computazionale e sperimentale ancora non abbiamo importanti strumenti di continuità che riescano a coprire i comportamenti dei sistemi chimici dalle piccole fino alle grandi scale dimensionali e temporali con particolare riferimento alla dinamica dei fenomeni e quindi ai diversi meccanismi di trasformazione.

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4) Origine dell’omochiralità

Il concetto di chiralità in chimica è un elemento fondamentale per la descrizione della struttura delle molecole e per comprenderne le interazioni, ma è anche fondamentale per la comprensione dell’evoluzione della vita naturale. In particolare, l’origine dell’omogeneità chirale in natura non è ancora compresa come non è ancora chiaro se la vita avrebbe potuto evolversi in modo analogo se al posto degli stereoisomeri presenti ci fossero state le loro immagini speculari, per esempio se tutti gli aminoacidi fossero stati D e non L (http://wp.me/pVgju-cU).

5) Superconduttori ad alta temperatura

Questo argomento è chiaramente messo in relazione ai necessari approfondimenti teorici sui sistemi chimici chiave di volta energetica per l’ambita superconduttività ad alte temperature (possibilmente a temperatura ambiente!) che permetterebbe applicazioni di tipo rivoluzionario in molti campi della scienza e della tecnologia. Vedi “I misteri irrisolti della chimica” (http://wp.me/pVgju-cU).

6) Struttura intima della molecola dell’acqua e sue “strane “ proprietà

Questo al fine di superare i lati oscuri, che incredibilmente ancora esistono nel XXI secolo, della molecola alla base dei principali processi vitali e naturali (http://wp.me/pVgju-cU); vedi anche P. Ball in http://philipball.co.uk/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=13&Itemid=16

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7) Basi chimiche della memoria

Questo altro affascinante tema è in continua evoluzione e ogni giorno si riscontrano degli avanzamenti nella nostra conoscenza dei processi chimici che stanno alla base dei modi che regolano il pensiero e i ricordi del nostro cervello. http://www.lescienze.it/news/2011/10/18/news/prova_articolo-597799/

8) Sfruttamento dell’energia solare a fini energetici

Anche questo è un argomento con molte sfaccettature che vanno dalle arcinote problematiche sull’energia solare incluse quelle sul fotovoltaico (efficienza di conversione energetica, stabilità dei materiali e riduzione dei costi dei processi) e la fotosintesi artificiale a quelle altrettanto studiate sulla produzione di biocombustibili e la conseguente richiesta di catalizzatori efficienti per lo splitting dell’acqua nella produzione di idrogeno.

9) Dalla Supramolecular Chemistry alla System Chemistry

Qui il riferimento è alla realizzazione di sistemi complessi sintetici le cui proprietà non derivano semplicemente la somma delle caratteristiche dei singoli componenti molecolari definendo cioè nuove funzioni a livello di sistema. Limitando per semplicità la discussione al campo della salute, é evidente che la chimica sta sempre più trovando soluzioni in diversi suoi settori dalla prevenzione, alla diagnostica, alla terapeutica. In questo ambito, la possibilità di ingegnerizzare nanosistemi programmabili, capaci di svolgere a livello sub-cellulare simultaneamente e/o in tempi differenti operazioni di monitoraggio e diagnostica, operazioni chirurgiche per riparare e/o distruggere siti e processi molecolari patologici ecc.. è di recente diventata una sfida molto condivisa dalla comunità scientifica. Il settore della nanomedicina sebbene per sua costituzione interdisciplinare vede le competenze dei chimici di fondamentale importanza essendo appunto fondamentale sviluppare capacità sintetiche per la realizzazione di nanoparticelle multifunzionali e macchine molecolari biocompatibili. Oltre allo sviluppo di nuove strategie nel campo della salute, gli approcci chimici di sistema sarebbero ovviamente alla base anche degli altri grandi settori applicativi inclusi quello dell’ambiente e dei beni culturali, del settore energetico e del vivere quotidiano.

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Qui sotto alcuni siti che potrebbero essere visitati in relazione agli argomenti di cui sopra:

(http://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=10-unsolved-mysteries),

(http://portal.acs.org/portal/PublicWebSite/pressroom/podcasts/globalchallenges/index.htm)

(http://wp.me/pVgju-cU)

http://keespopinga.blogspot.it/2012/08/il-mistero-dellomochiralita.html

http://www.sciencedaily.com/releases/2011/09/110915091625.htm)

http://philipball.co.uk/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=13&Itemid=16

http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_unsolved_problems_in_chemistry

www.robertlanza.com/

Aggiungete e commentate vostre idee sui challenges in chemistry

Bilanci di materia.

a cura di C. Della Volpe

Negli ultimi anni è cresciuta la coscienza del ruolo della attività umana nel sistema Terra con effetti climatici ed ambientali enormi. Nonostante le prove di questi stravolgimenti si accumulino sempre più, costringendo alle corde i pochi e rarefatti oppositori scientifici ed onesti di questa visione, rimane a livello di grande pubblico una diffusa ignoranza. Grandi masse di persone ignorano le leggi scientifiche e i risultati della ricerca, rimanendo schiave di visioni e concezioni “neghiste” di varia natura.

Una delle cose più difficili da accettare è la dimensione fisica, nel senso scientifico del termine, dell’umanità, ossia il ruolo che l’attività produttiva ha rispetto alle dimensioni dei flussi planetari di materia, una attività umana che ha sconvolto o alterato praticamente tutti i cicli importanti del pianeta. Tento in questo breve post di dare un piccolo contributo per colmare questa ignoranza fornendo alcune informazioni di base sulle quantità di materia processate dall’uomo in rapporto alle quantità di materia che la natura riesce a riciclare ogni anno.

Sapete, per esempio, quali quantità di acqua usiamo rispetto a quella che riceviamo dalle precipitazioni totali sul globo? Secondo i dati Aquastat, che sono dati ufficiali ONU, nel 2008 le precipitazioni totali contano 108.000km3, se eliminiamo l’acqua che evapora e che ammonta a 65.000km3 rimangono circa 43.000km3 di risorse interne, a fronte dei nostri usi complessivi che sono stati di  3860 km3, ossia il 9% delle risorse interne dell’acqua disponibile.

La percentuale è alta ma all’apparenza non enorme. C’è un ma; come la restituiamo l’acqua che usiamo? Beh, parecchio più sporca! Recentemente l’ISPRA, (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) nel Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque 2013, realizzato sulla base delle informazioni fornite dalle Regioni e dalle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente ha concluso che in Italia il 55% dei punti di campionamento superficiale e il 28% di quelli sotterranei era inquinato da qualcuno dei 350 tipi di sostanze fitosanitarie usate in agricoltura e che in circa un terzo dei casi (34.1%) tale inquinamento superava i valori ammessi per la potabilità delle acque. E la situazione non è migliore nel resto del mondo.

Un secondo dato da conoscere è la quantità di anidride carbonica che immettiamo in atmosfera; è difficile valutarla con precisione perché una parte è diretta, ossia dipende dalle combustioni e l’altra invece è indiretta, ossia dipende dalle nostre attività agricole e forestali. Beh, la sola parte diretta assomma a circa 10 miliardi di ton di carbonio equivalente: i nostri consumi di energia primaria sono di oltre 12 miliardi di ton di petrolio equivalente e per l’87% sono di combustibili fossili, e

primaryenergy2012Source: BP Statistical Review of World Energy, 2012

usando le formule brute di petrolio (CH2), carbone (C) e metano (CH4) la quota di carbonio emessa è esattamente di 9.4Gton anno.

Bene, la stima dell’input totale di carbonio in atmosfera da parte dei produttori naturali terrestri è di circa 60Gton/anno. Quindi per questo solo fattore contiamo per il 15% del totale. Ovviamente una parte di questo carbonio in eccesso viene riassorbito da tutti i meccanismi di riassorbimento (principalmente dal mare il cui pH si è spostato verso il basso negli ultimi 250 anni di circa 0.1 unità di pH, pari al 21%) e quindi l’apporto “netto” al carbonio atmosferico è circa la metà di questo valore.

La domanda è che cosa cambiano 4.5Gton di carbonio, come CO2, ossia 4.5×3.66=16.5 Gton di CO2? Ebbene esse costituiscono all’incirca lo 0.5% in aggiunta allo stock atmosferico di questo gas (sono all’incirca 3000Gton, attualmente corrispondenti a 390ppmv) che così aumenta ogni anno in proporzione: ed ecco le circa 2 ppmv di aumento medio annuo della concentrazione di anidride carbonica!

Sto facendo certo una enorme semplificazione rispetto ai complessi flussi di tutti i meccanismi, ma è impressionante come le quantità complessive si ritrovino:

maunaloa

Volete qualche altro esempio? Allora consideriamo i due elementi non “fungibili” della vita P e N; nella sua poesia Robert Garrels,

garrels

che ne analizzò fra i primi i comportamenti, recitava:

I put some P into the sea
the biomass did swell
But settling down soon overcame
and P went down toward Hell

From Purgatory soon released
it moved up to the land

To make a perfect rose for thee
to carry in thy hand

But roses wilt and die you know
then P falls on the ground

Gobbled up as ferric P
a nasty brown compound

The world is moral still you know
and Nature’s wheels do grind

Put ferric P into the sea
and a rose someday you’ll find

Quante sostanze contenenti fosforo usiamo? In agricoltura usiamo i minerali fosfatici in ragione di 200Mton/anno;

phosphate(dati USGS)

che, dato che le rocce fosfatiche contengono circa un terzo in massa di ione fosfato PO4-3, corrispondono approssimativamente a 7×1011 moli di P. Ebbene questa quantità corrisponde a 7 volte la stima del “fosforo” che arriva in mare dalla degradazione naturale delle rocce (The Earth System 3rd ed. Kump, Kasting, Crane, ed Pearson) e ad un settimo di tutto il “fosforo” che la “pompa biologica”, ossia il complesso dei flussi oceanici in upwelling e downwelling mobilizza ogni anno.

Un numero mostruoso!

Ma non è il solo; che succede con l’azoto? Una cosa equivalente. L’industria dell’ammoniaca, basata sulla reazione di Haber-Bosch, è in grado di fissare ogni anno quasi 140Mton di azoto.

nitrogen(dati USGS)

Stiamo quindi parlando di circa 1013 mol di azoto all’anno che è circa quanto viene “fissato” sulla terra e sul mare dal resto della biosfera, ossia 1.4×1013 mol (The Earth System 3rd ed. Kump, Kasting, Crane, ed Pearson).

Secondo i testi universitari ci sono molti dubbi che attualmente il ciclo dell’azoto e del fosforo siano effettivamente bilanciati, dato il gigantesco apporto umano legato alla moderna agricoltura industrializzata e che non prevede alcun meccanismo retroattivo utile di recupero. Azoto e fosforo si accumulano nell’ambiente con enormi danni alla catena trofica.

La Terra e l’aria sono i nostri depositi dell’immmondizia! Per P e N l’uomo è il player principale. Ha di gran lunga superato ogni altra specie vivente e anche parecchi processi naturali a scala planetaria.

E la cosa più assurda è che nonostante questa gigantesca produzione di azoto e fosforo abbia sbilanciato i due cicli naturali preesistenti, oltre un miliardo di uomini soffre la fame e i più ricchi soffrono di malattie da sovra-alimentazione. La tanto celebrata rivoluzione verde, pur non riuscendo a nutrire tutti, ha certamente sbilanciato i cicli della biosfera e l’unico modo per renderla sostenibile sarebbe di attivare meccanismi di riassorbimento efficaci.

Quale conclusione possiamo trarre?

Direi che gli attuali metodi ed approcci produttivi non sono più a lungo sostenibili e la Chimica avrà la responsabilità di cercare delle alternative sostenibili.

Ma soprattutto chi ha la responsabilità di fare scelte a livello globale deve conoscere e riflettere su questi numeri ed operare scelte conseguenti.

E, infine ciascuno di noi consapevole di questi trend, deve, nel suo quotidiano, vivere cercando di ridurre  il proprio impatto sul pianeta.

Enzo Tiezzi avrebbe detto: L’economia non può fare  a meno della Chimica.

Per approfondire:

The Earth System 3rd ed. Kump, Kasting, Crane, ed Pearson

http://www.educazionesostenibile.it/portale/sostenibilita/tecnica-a-ecologia/racconti/1524-breve-storia-dei-fosfati-nutrimento-della-terra.html

la pagina dello US Geological Survey è una miniera di dati sui minerali

http://www.usgs.gov/

http://www.wri.org/publication/content/8398

Fai clic per accedere a factsheet12.pdf

Quando avremo la Gazzetta Chimica Italiana on line?

a cura di Maurizio D’Auria  maurizio.dauria@unibas.it

La nostra vita è diventata progressivamente una vita legata strettamente ai flussi di informazione. Noi esistiamo perché siamo in grado di trasmettere informazioni e di ricevere informazioni dall’esterno con un ritmo che è diventato sempre più frenetico. L’avvento del web ha reso questo fenomeno ancora più evidente. biblioE’ facile ripercorrere il proprio passato e riscoprire giorni interi passati a tirare giù e rimettere negli scaffali i volumi del Chemical Abstracts, o del Beilstein alla ricerca di un composto o della sua reattività. E una volta fatta la ricerca, inoltrarsi nei corridoi delle nostre biblioteche per consultare quel tal volume del Berichte, del JACS o di Tetrahedron. Tutto questo ormai è quasi solo un ricordo. I Chemical Abstracts non vengono più pubblicati in forma cartacea, e tutti ci siamo abituati ad usare SCIFinder per le nostre ricerche bibliografiche. La ricerca del singolo articolo originale in biblioteca ancora esiste, ma sempre più spesso da un lato politiche folli di gestione dei fondi bibliotecari portano a relegare le biblioteche ad un ruolo marginale e tendenzialmente a sparire per essere relegate in scantinati, dall’altro la cronica mancanza di spazio porta a non dare il giusto peso allo spazio necessario per le nostre biblioteche. In ogni caso, è molto più semplice scaricare un articolo dal corrispondente sito web, o via CASPUR, che mettersi a cercarlo in polverose biblioteche. Ormai, come vedremo poi, esistiamo se il nostro lavoro esiste in rete ed è scaricabile, altrimenti il nostro lavoro semplicemente non esiste.

GAZZETTA_CHIMICA_ITALIANAVeniamo quindi al problema che volevo porre. Ricercare in rete un articolo pubblicato sulla Gazzetta Chimica Italiana è praticamente impossibile. La Società Chimica Tedesca ha messo in rete tutto il Berichte, tutti gli Annalen, tutti i Zeischrift fur Anorganische Chemie, e così via. booksL’American Chemical Society ha in rete tutti i suoi periodici dalle origini, compreso il JACS e il JOC, la Royal Society ha messo in rete tutte le sue riviste. La Società Chimica Italiana non ha fatto nulla di tutto ciò, come se ci si dovesse vergognare di aver scritto qualcosa sulla Gazzetta. Se, come è successo nel mio caso, si vogliono cercare lavori scritti nell’ottocento o nei primi anni del novecento, al fine di documentare l’attività scientifica di alcuni nostri illustri predecessori, e non si dispone della collezione completa della Gazzetta in biblioteca (e questo è la situazione della mia Università, relativamente giovane per avere a disposizione queste fonti in originale), ci si deve rivolgere fuori, aspettare pazientemente che il servizio di trasmissione degli articoli scientifici fra le biblioteche funzioni.

Se invece si cerca la Gazzetta in rete, si resta inevitabilmente delusi. Si può sperare di trovare i numeri più antichi su http://www.archive.org ma è impossibile trovare articoli più recenti.

paternoarticologazzettaLa mia richiesta è molto semplice: la Società Chimica Italiana, proprietaria della rivista, dovrebbe mettere in rete la Gazzetta Chimica Italiana, ed anche tutte le altre riviste interrotte da alcuni anni (penso agli Annali). Probabilmente è un’operazione che ha un suo costo, ma si potrebbero cercare i fondi presso Istituzioni, Fondazioni bancarie, l’Europa, ecc. Io penso che faremmo un favore alla chimica italiana, quella di qualche anno fa, certamente, che, però, non è giusto venga dimenticata perché non accessibile on line.

La cosa non è insignificante. Ho partecipato come ordinario alla selezione per la commissione per i giudizi di idoneità (Abilitazione Scientifica Nazionale). Non sono stato sorteggiato, ma il divertente è stato controllare poi come erano state valutate mie pubblicazioni e come erano state calcolate le mie citazioni.  Il risultato è stato che miei requisiti per partecipare erano stati valutati ignorando sistematicamente tutti i lavori pubblicati sulla Gazzetta. Semplicemente quegli articoli non esistevano.

Fa una certa impressione verificare che una parte del tuo lavoro è scomparso, non viene più preso in considerazione, non esiste.

Nota del webmaster: alcuni volumi sono visibili sul sito di Google Books:

http://books.google.it/books?id=5YQcD9OX0b0C&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false

Chi gli ha dato il nome? Gattermann.

 a cura di Giorgio Nebbia, nebbia@quipo.it

 00173014n“Guarda sul Gattermann”, era il benevolo consiglio di chi cercava un metodo facile, per sintetizzare qualche sostanza organica. “Il Gattermann” era il volume: “Die Praxis des organischen Chemikers” e già il titolo era accattivante perché si rivolgeva a una persona, al chimico che si occupava di chimica organica. Non ricordo quale edizione fosse disponibile nel laboratorio che frequentavo, ma di certo ho imparato a balbettare un po’ di tedesco, con l’aiuto di un vocabolario, proprio sul Gattermann. Un libro fortunato, ebbe 43 edizioni in tedesco fra il 1894 e il 1947, e numerose traduzioni in inglese, francese, italiano (da Hoepli fra il 1941 e il 1958) e probabilmente in altre lingue.

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gattermannQuesta opera straordinaria fu scritta da Ludwig Gatterman, chimico tedesco. Nato nel 1860; figlio di un panettiere, mostrò fin da ragazzo una grande passione per la chimica; nel 1881 si iscrisse all’Università di Lipsia dove studiò con Bunsen, poi a Berlino dove studiò con Liebermann e infine a Gottinga dove fu assistente di Meyer, poi ancora con Meyer a Heidelberg. Gattermann divenne professore a Friburgo nel 1900. Morì di malattia nel 1920. Qualche notizia in: Marco Capponi, http://blog.libero.it/mmcapponi/commenti.php?msgid=9038029

gattermanreactIl nome di Gattermannn è legato alla sintesi di Gattermann-Koch, pubblicata nei Berichte del 1897. Julius Arnold Koch (1864-12965) fu un chimico americano. La reazione consiste nella trasformazione di molecole aromatiche in aldeidi per trattamento con ossido di carbonio, in presenza di acido cloridrico e cloruro di alluminio che svolgono la funzione di catalizzatori. Da Ar + CO si forma così l’aldeide Ar-CHO. Con questo metodo, ad esempio, dal toluene si ottiene la toluenaldeide.

Ma il nome di Gattermann è legato per molte generazioni di chimici al suo trattato di sintesi e preparazioni organiche che potevano essere eseguite con successo a titolo di esercitazioni anche da chimici ai primi passi. Ne ricordo una: la preparazione dell’acido urico per trattamento con acidi delle incrostazioni che si depositano nelle latrine; il residuo insolubile viene purificato, per successive dissoluzioni con idrato sodico e precipitazioni con acido e filtrazioni.

Primo Levi nel libro “Se questo è un uomo”, ricorda che quando fu sottoposto all’esame di chimica per essere assunto nel laboratorio chimico del campo di concentramento di Auschwitz, gli fu mostrato “il Gattermann”. E commenta “è assurdo e inverosimile che quaggiù, dall’altra parte del filo spinato, esista un Gattermann del tutto identico a quello su cui studiavo in Italia, in quarto anno, a casa mia”.

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Fai clic per accedere a the_practical_methods_of_organic_chemistry.pdf

Fai clic per accedere a 000536608-1.pdf

immagine piccola da http://canov.jergym.cz/mechanic/pravidl2/gatt/g.htm

immagine grande da http://external.ak.fbcdn.net/safe_image.php?d=AQDc2Lh7WZiV72cU&w=646&h=794&url=http%3A%2F%2Fupload.wikimedia.org%2Fwikipedia%2Fcommons%2F4%2F49%2FLeuckart_Rudolph_1822-1898.jpg

Ralph E. Oesper J. Chem. Educ., 1942, 19 (9), p 444 DOI: 10.1021/ed019p444 Publication Date: September 1942

Bonifica dei siti contaminati

 a cura di Luigi Campanella ex presidente SCI

Sappiamo che il passato ci ha lasciato una grave eredità, le bonifiche sono ferme, mentre procede la costruzione di nuovi impianti. La necessità prioritaria è per adeguati strumenti e modelli conoscitivi. Nell’ambito degli interventi in un sito sospetto di contaminazione, il progetto di turno effettua ricerche sull’estensione dell’area da bonificare, individua quindi un’area definita “contaminata” secondo la normativa vigente e ne traccia i confini isolandola dal resto del territorio, definito, sempre secondo la normativa, come “non contaminato”.
Dal punto di vista normativo, fino ad aprile del 2006 le attività di bonifica erano disciplinate dal DM 471 del 1999, che, con un approccio tabellare, distingueva tra siti contaminati e non contaminati sulla base delle concentrazioni di sostanze tossico-nocive rilevate nel terreno: analizzando gli esiti di laboratorio veniva definito contaminato un sito in cui uno o più parametri fossero risultati superiori ai corrispettivi limiti fissati dalla normativa, indipendentemente dall’estensione e dall’ubicazione del sito analizzato. Con il varo del Dlgs. 03.04.2006 n° 152 è stato affiancato all’approccio tabellare anche lo studio dell’analisi di rischio, che contempla la valutazione degli effetti nocivi nei confronti dell’uomo e delle risorse acquifere sotterranee dovuti a sostanze pericolose presenti nel terreno. In sintesi, se una o più concentrazioni dei terreni in esame supera i limiti tabellari (ereditati dal precedente DM 471/99 e denominati Csc, Concentrazioni Soglia di Contaminazione), si è in presenza di un sito potenzialmente contaminato. A decretare definitivamente se il sito in questione è contaminato o meno interviene l’analisi di rischio, che, partendo dai dati sperimentali rilevati durante la caratterizzazione e dal Modello Concettuale Sitospecifico dell’area (detto Mcs e contenente i parametri necessari alla modellizzazione fisico-chimica del territorio in esame), valuta i principali percorsi che possono portare le sostanze nocive a contatto dell’uomo e della falda, e calcola i valori di concentrazione oltre i quali il rischio diventerebbe non più accettabile, denominati Csr (Concentrazioni Soglia di Rischio). Solo se le contaminazioni rilevate nel sito sono superiori alla Csr il sito viene considerato contaminato a tutti gli effetti e viene predisposto il progetto di bonifica, mirato al raggiungimento di un livello di rischio accettabile. Possiamo sintetizzare come segue i principali metodi per raggiungere tale obbiettivo:

realizzando operazioni di messa in sicurezza permanente, in cui viene lasciata inalterata la contaminazione e vengono modificate le caratteristiche sitospecifiche dell’area, in modo tale da intercettare i percorsi di migrazione di contaminanti verso i recettori (ad esempio, con coperture impermeabili e diaframmature).
riducendo le concentrazioni presenti (ad esempio, con metodi in situ che prevedono il lavaggio dei terreni o la degradazione dei composti da parte di batteri);
rimuovendo gli strati contaminati (caso dell’asportazione con sbancamento dei terreni).

i 57 siti contaminati di interesse nazionale

i 57 siti contaminati di interesse nazionale

Con l’esclusione delle bonifiche attuate con misure di sicurezza permanente, le Csr così calcolate diventano, in caso di approvazione dell’analisi di rischio da parte della conferenza dei servizi, l’obbiettivo da raggiungere: al termine delle opere di bonifica saranno, infatti, effettuate le verifiche analitiche di collaudo e l’area sarà restituita alla sua piena fruibilità solo se le concentrazioni rilevate saranno inferiori alle Csr.
L’effetto dello studio dei rischi associati alle contaminazioni presenti porta, in molti casi, ad avere valori in Csr superiori alle Csc (e quindi più permissivi), dal momento che sovente le caratteristiche del sito, le estensioni limitate delle contaminazioni e la tipologia dei reattori esposti (ad esempio, adulti anziché bambini) sono tali da ridurre i rischi legati alle sostanze nocive presenti nel terreno.
Per contro, può accadere di ottenere valori di Csr inferiori alle Csc, specialmente nei siti in cui l’estensione della contaminazione è rilevante e/o i percorsi di esposizione siano particolarmente sfavorevoli. In questi casi gli obbiettivi della bonifica possono (e devono, da un punto di vista sanitario) diventare più restrittivi e severi dei limiti tabellari.
La situazione nel nostro Paese è tale da rendere necessario un progetto nazionale finalizzato ad una bonifica delle aree industriali contaminate l(a cui superficie complessiva è valutata in circa il 3% del territorio nazionale). Tale progetto da un lato deve fondarsi sulla valutazione delle risorse disponibili per realizzarlo al fine di evitare di pervenire a bonifiche incomplete, dall’altro deve stabilire alcuni modelli conoscitivi.
Manca un preciso “modello idrologico” che descriva come “si muove l’acqua”; manca un adeguato modello di simulazione della circolazione atmosferica locale e dei fenomeni fisico chimici che in essa si svolgono. Mancano ancora dati fondamentali come quello delle emissioni di impianti in funzione da decenni (perché, secondo le disposizioni attuali, non hanno l’obbligo di essere rilevati al camino). Si costruisce al buio, e si bonifica, al massimo, un pezzettino alla volta.

per approfondire:

Fai clic per accedere a Bonifiche%5CReport2_Bonifiche_SitiContaminati.pdf

Chi gli ha dato il nome? Marcusson.

 a cura di Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

 L’analisi dell’acqua è una delle operazioni più complicate. Per le sue caratteristiche l’acqua è presente (quasi) dovunque, ha affinità per molte molecole e tuttavia spesso occorre conoscere se è presente e quanta ce n’è in molti materiali. Prendete le emulsioni, quelle miscele in cui l’acqua viene combinata con sostanze idrofobiche come oli, grassi, idrocarburi. mediante agenti emulsionanti che abbassano la tensione superficiale fra i due corpi immiscibili. L’emulsione più nota è il latte; nei mammiferi occorreva che i neonati potessero essere nutriti con qualcosa che fosse ricco di energia e di proteine e che fosse digeribile facilmente; la natura ha così predisposto la formazione del latte che contiene oltre il 90 % di acqua, circa il 3-4 per cento di grassi, circa il 3-4 % di proteine e un po’ di sali inorganici; grassi e acqua sono emulsionati mediante lecitine. Con il grasso separato dal latte è possibile ottenere il burro, questa volta una emulsione acqua-in-olio a differenza del latte che è una emulsione olio-in-acqua.

Il burro era buono ma costava tanto; e allora il chimico francese Hippolite Mège-Mouriès (1817-1880) nel 1869 ha inventato la margarina, un burro per poveri, una emulsione ottenuta mettendo insieme grassi poco costosi con acqua usando come emulsionante lecitina. Altre emulsioni si trovano in natura o si formano nei prodotti petroliferi, nei bitumi, eccetera. In tutti questi casi occorre conoscere la concentrazione di acqua con un metodo abbastanza accurato e più rapido di quello per evaporazione a caldo.

Ci ha pensato Julius Marcusson (1871-1934), un chimico tedesco, che era stato assistente di Viktor Meyer (1848-1897) e che è stato funzionario del Laboratorio per la prova dei materiali di Berlino, di cui è diventato poi direttore. Il metodo di distillazione da lui messo a punto nel 1905 consiste nel far bollire il campione da analizzare in toluene e nel condensare il distillato, costituito da toluene e acqua, in una trappola, un tubicino graduato in cui l’acqua, più pesante, si separa dal toluene che viene continuamente rimesso in ciclo attraverso un troppo-pieno. L’apparecchio consiste quindi nel pallone da distillazione, di un adattatore che collega il pallone con la trappola la quale è sovrastata da un condensatore di Liebig. La trappola può raccogliere alcuni ml di acqua e il peso del campione deve essere scelto sulla base della prevedibile concentrazione di acqua.

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tratto da Journal of the Mitchell Society ag. 1945 228-242 C.K. Wheeler e M.L. Jacobs

Il dispositivo, applicato originariamente per l’analisi dell’acqua nei bitumi e nei prodotti petroliferi, è stato perfezionato in altre pubblicazioni dello stesso Marcusson e poi dagli americani E.W.Dean e D.D. Stark in articoli pubblicati nel Journal of Industrial and Engineering Chemistry nel 1920 e ancora da G.L. Bidwell e W.F. Sterling nella stessa rivista nel 1925. Il fondo della trappola può essere dotato di un rubinetto per far defluire l’acqua

Questi autori hanno applicato il metodo di distillazione all’analisi dell’acqua nei grassi, nei cereali, nelle conserve. Il metodo di distillazione è quello ufficiale per l’analisi dell’acqua nei prodotti petroliferi secondo la procedura ASTM D95 ed è largamente usato nelle analisi merceologiche.

Il metodo è abbastanza accurato; qualche difficoltà può essere dovuta alla formazione di una non netta separazione fra gli strati di toluene e acqua nella trappola di raccolta. Al posto del toluene viene talvolta usato lo xilene.

Marcusson è ricordato per molte pubblicazioni fra cui il trattato per l’analisi di laboratorio degli oli e grassi, del 1911, e per il trattato sugli asfalti naturali e artificiali del 1921..

un moderno apparecchio di Marcusson con scarico di troppo pieno*:

marcusson2

per approfondire:

http://www.chimicacentro.it/catalogo/vetreria/acidimetri,alcolometri-e-apparecchi-vetro-ACID/apparecchio-di-marcusson-da-ml-25-div-15-a-rubinetto.html

http://dc.lib.unc.edu/cgi-bin/showfile.exe?CISOROOT=/jncas&CISOPTR=1925

Journal of the Mitchell Society ag. 1945 228-242 C.K. Wheeler e M.L. Jacobs

Mitteilungen 1904, vol. 22 p. 48

* si ringrazia la Chimica Centro snc per l’uso dell’immagine a lato

Le zone morte: 3.Le isole della “monnezza”. Il caso della plastica neustonica* nei giri oceanici.

a cura di C. Della Volpe

 *neuston=organismi microscopici galleggianti

Il più esteso deposito planetario di immondizia, ricoprente una superficie di milioni di chilometri quadri e contenente una quantità di detriti molto grande ma difficilmente stimabile con precisione, si trova suddiviso in almeno 2 dei 5 più grandi “giri” oceanici, ossia quelle zone di Oceano che grazie all’azione combinata del vento e dell’effetto Coriolis, sono circondate da grandi movimenti circolari di corrente marina e che si trovano a latitudini medie su tutto il pianeta.

L’11 aprile prossimo all’Unesco di Parigi e su proposta di un’artista italiana, Maria Cristina Finucci, lucchese di 56 anni che vive a Madrid, e con il patrocinio del ministero italiano dell’Ambiente e dell’università veneziana Ca’ Foscari, le isole della “monnezza”  saranno riconosciute ufficialmente, con una installazione-performance, che le elencherà nei nuovi territori del pianeta.

Le nuove isole non sono territori molto solidi, perchè in realtà sono costituite da un numero estremamente elevato di  pezzi di plastica “neustonica”, galleggiante, di ogni dimensione prodotti dalla distruzione di tutti i detriti di plastica di ogni tipo che per i più vari motivi, dall’incuria all’incidente, alla discarica abusiva, si riversano negli oceani del mondo, un fenomeno segnalato in varie forme fin dagli anni 70.

Cominciamo dall’inizio; cosa sono i “giri” subtropicali?

Si tratta di uno dei principali meccanismi di movimento delle acque degli oceani terrestri; il clima è una gigantesca macchina termica che ripartisce il flusso di energia radiante, ricevuto dal Sole e distribuito con un forte gradiente fra l’equatore e i poli, su tutta la Terra. La principale struttura climatica è la cosiddetta InterConvergence Tropical Zone, ossia quella fascia di territorio che oscilla nella zona tropicale col susseguirsi delle stagioni e lungo la quale si verificano i principali effetti di convezione; a Nord e a Sud di essa si estendono le celle di Hadley, immani strutture convettive che trasportano materia ed energia fra l’equatore e le fasce a 30° Nord e Sud; sotto la loro zona discendente si trovano i principali deserti del pianeta.

la struttura convettiva dell'atmosfera

la struttura convettiva dell’atmosfera

Appena più a Nord e a Sud si stendono altre celle convettive che prendono il nome di celle di Ferrel; queste strutture dominano il comportamento dell’atmosfera e dell’Oceano. I venti che corrono lungo la parte bassa di ciascuna di queste strutture  controllano il nostro clima e anche i nostri comportamenti pratici.  A questo aggiungete che i moti delle masse d’aria vengono deformati dall’azione dell’effetto Coriolis, ossia in pratica dell’effetto di inerzia del moto sulla superficie di una sfera ruotante; per esempio le masse d’aria che tornano a bassa quota da Nord e da Sud verso l’equatore rimangono indietro rispetto alla rotazione del pianeta che è sempre più veloce man mano che si scende verso l’equatore medesimo e quindi vengono deviate verso Ovest; quindi i venti dominanti in queste zone, i venti del commercio, vanno sempre da Est verso Ovest (o venti alisei da NE a SO nell’emisfero Nord e da SE a NO in quello Sud), hanno deciso per secoli i percorsi delle nostre navi a vela, prima che il vapore e il petrolio le liberasse dall’incomodo. Questi venti contribuiscono a spostare grandi masse d’acqua, ma sempre a causa dell’effetto Coriolis le cose non vanno affatto in modo intuitivo. Di questo strano effetto di interazione fra vento e oceano se ne accorse l’esploratore norvegese Fridtjof Nansen scienziato ed esploratore, premio nobel per la pace 1922, che durante un viaggio di esplorazione al polo Nord si rese conto che la sua nave incastrata nel pack, nel ghiaccio galleggiante non seguiva esattamente il senso del vento ma deviava parecchi gradi a destra; successivamente il fisico oceanografico Ekman propose che fosse effetto della “forza” di Coriolis, ossia sempre dell’inerzia applicata ad un sistema ruotante, capace di spostare nella media il flusso di materia di circa 90° passando dall’aria all’oceano.

L’effetto complessivo di questi fenomeni meccanici è grandioso e genera un sistema complesso di correnti subtropicali che trasportano materia ed energia per decine di migliaia di chilometri; in particolare i cinque giri subropicali principali sono fra l’altro parte di un nastro di trasporto a scala planetaria che concentra le acque al proprio interno, costringendole lentamente ad immergersi (downwelling) mentre all’equatore il medesimo effetto le aspira come una pompa gigantesca dalle profondità dell’oceano (upwelling).

i 5 principali "giri" subtropicali.

i 5 principali “giri” subtropicali.

Quando racconto queste cose ai miei studenti del corso di Fisica e Chimica del clima mi sento sempre prendere da una grande ammirazione ed emozione, che vedo riflessa nei loro occhi: sono fenomeni che ci trascendono, eppure li abbiamo compresi e possiamo ammirarli grazie alla nostra intelligenza e tenacia; ma forse questo non basta per rispettarli.

L’effetto complessivo di venti e correnti è di creare al centro di ogni giro un accumulo di acqua, che puo’ superare di un paio di metri il livello medio dell’oceano; in questo modo un flusso continuo di materia ed energia si riversa dall’equatore verso le zone più a nord trasportando un flusso di nutrienti che sostiene una vastissima comunità ecologica, giocando un ruolo insostituibile nel ciclo planetario del carbonio e di altri nutrienti.

Il Sargasso

Il Sargasso

IL Mar dei Sargassi

IL Mar dei Sargassi

Nel giro del Nord Atlantico il flusso del giro concentra al proprio interno le alghe galleggianti del genere Sargassum e questo ha dato per secoli il nome a quell’area dell’Oceano, il mar dei Sargassi, che appare a volte come una vera e propria prateria di alghe galleggianti. In quella prateria le anguille sono tornate per milioni di anni a riprodursi.

Ebbene l’uomo si è inserito in questo flusso in modo del tutto inatteso.

Già nel 1972 E.J. Carpenter su Science scriveva:

Plastic particles, in concentrations averaging 3500 pieces and 290 grams per square kilometer, are widespread in the western Sargasso Sea. Pieces are brittle, apparently due to the weathering of the plasticizers, and many are in a pellet shape about 0.25 to 0.5 centimeters in diameter. The particles are surfaces for the attachment of diatoms and hydroids. Increasing production of plastics, combined with present waste-disposal practices, will undoubtedly lead to increases in the concentration of these particles. Plastics could be a source of some of the polychlorinated biphenyls recently observed in oceanic organisms.

A distanza di oltre 40 anni la sua previsione si è avverata, come dimostrano i dati pubblicati recentemente sulla stessa rivista da Kara Lavender :

Plastic marine pollution is a major environmental concern, yet a quantitative description of the scope of this problem in the open ocean is lacking. Here, we present a time series of plastic content at the surface of the western North Atlantic Ocean and Caribbean Sea from 1986 to 2008. More than 60% of 6136 surface plankton net tows collected buoyant plastic pieces, typically millimeters in size. The highest concentration of plastic debris was observed in subtropical latitudes and associated with the observed large-scale convergence in surface currents predicted by Ekman dynamics. Despite a rapid increase in plastic production and disposal during this time period, no trend in plastic concentration was observed in the region of highest accumulation.

Questa ultima osservazione della Lavender non mi meraviglia affatto, perchè il giro del nord atlantico è sede come dicevo prima di un effetto di downwelling, ossia di immersione di acqua fredda e salata; buona parte dei rifiuti di plastica raggiungono così le parti profonde dell’oceano.

Dall’altro lato della Terra nel grande oceano Pacifico avviene una cosa analoga; il capitano Charles Moore scopritore del Great Pacific Garbage Patch, in un articolo per Natural History magazine nel 1993 scrive:

“So on the way back to our home port in Long Beach, California, we decided to take a shortcut through the gyre, which few seafarers ever cross. Fishermen shun it because its waters lack the nutrients to support an abundant catch. Sailors dodge it because it lacks the wind to propel their sailboats.
“Yet as I gazed from the deck at the surface of what ought to have been a pristine ocean, I was confronted, as far as the eye could see, with the sight of plastic.
“It seemed unbelievable, but I never found a clear spot. In the week it took to cross the subtropical high, no matter what time of day I looked, plastic debris was floating everywhere: bottles, bottle caps, wrappers, fragments. Months later, after I discussed what I had seen with the oceanographer Curtis Ebbesmeyer, perhaps the world’s leading expert on flotsam, he began referring to the area as the ‘eastern garbage patch.'”

northpacifycgyreArea sampled by Robert Day and others in the late 1980’s. (Day, R. H., Shaw, D. G., Ignell, S. E., 1990. The quantitative distribution and characteristics of neuston plastic in the North Pacific Ocean, 1984-1988. In Proceedings of the Second International Conference on Marine Debris, eds. R. S. Shomura and M. L. Godfrey.)

maremotomodelloModello dei detriti scaricati in oceano dallo tsunami del 3 aprile 2012 ; by Nikolai Maximenko from the International Pacific Research Center

Ma non solo i giri oceanici sono soggetti a questo problema, ma anche i mari chiusi come il nostro Mediterraneo; sulla pagina di http://www.expeditionmed.eu/fr/ si possono trovare dati impressionanti rilevati dalla Marina Francese sia della plastica neustonica mediterranea che dei problemi causati alla fauna.

la plastica neustonica mediterranea rilevata dalla Marina Francese

la plastica neustonica mediterranea rilevata dalla Marina Francese

La natura pratica del mondo anglosassone ha concepito un termine preciso per indicare questo tipo di inquinamento: marine debris, che si potrebbe tradurre come rifiuti marini; ormai ci sono pagine web (http://marinedebris.noaa.gov/), blogs, libri, programmi di ricerca su quello che è diventato un fenomeno estremamente importante e che riguarda non solo i giri oceanici ma anche le coste e ovviamente alcune zone dei fondali oceanici.

Quali sono le conseguenze più importanti del fenomeno?

La plastica è un materiale meccanicamente resistente, ma fotodegradabile e spesso contenente altri materiali e componenti, fra i quali molecole a forte potenziale inquinante e bioinquinante perchè dotate di effetti di tipo endocrino; inoltre la densità della plastica è tale da mantenerla a lungo in galleggiamento o comunque nelle zone superficiali dell’oceano, dove la vita e le sue attività fervono; i colori e l’apparenza e le dimensioni che i detriti di plastica assumono nel tempo ne fanno dei simulacri di alcuni esseri viventi, per esempio i sacchetti di plastica assomigliano alle meduse che le tartarughe marine mangiano; in altri casi le dimensioni li rendono simili a plancton o al cibo degli uccelli marini con conseguenze mostruose.uccello tarta

Col tempo, sotto l’azione di sole e vento,  tutta la plastica scaricata in mare diventa un microdetrito con dimensioni sempre più piccole.

In realtà abbiamo appena cominciato a studiare gli effetti di questo inquinamento sull’ambiente marino e non sappiamo con precisione nemmeno quanti detriti di plastica vengano scaricati in mare, ragionevolmente l’ordine di grandezza è di molte decine di milioni di ton all’anno, una quantità enorme, soprattutto data la durata del materiale nel ciclo naturale.

I componenti della plastica, anche quelli ad azione endocrina, possono cosi’ entrare nel ciclo del cibo ed essere assorbiti prima dalle creature marine e poi anche dai loro predatori; e teniamo presente che il superpredatore per eccellenza siamo noi uomini; in questo modo stiamo esponendo la biosfera e noi stessi ad un inquinamento enorme con effetti imprevedibili.

C’è modo di recuperare i detriti dall’ambiente marino? Beh certo è possibile recuperare i detriti più grandi, ma a prezzo di una enorme spesa energetica poichè occorre filtrare una gran quantità di acqua; i detriti più piccoli poi acquistano come detto le dimensioni del plancton o addirittura inferiori; a questo punto diventa impossibile eliminarli perchè a parte il costo energetico si rischia di filtrare anche gli esseri viventi; e quindi la migliore forma di controllo è di evitare di immetterli in mare, ma anche nei fiumi da cui poi raggiungerebbero sempre il mare; insomma non scaricare i nostri detriti in mare, riciclare i rifiuti, chiudere il ciclo dei materiali che noi stessi abbiamo prodotto o attraverso il riuso, o attraverso il riciclo o attraverso la deposizione in ambienti controllati (discariche) o nel caso peggiore negli inceneritori, ma sinceramente non credo che questa ultima sia una buona idea.

Anche in questo caso dunque si tratta di una forma di inquinamento “chimico” che ha prodotto zone morte di difficile recupero, anche qui la cosa migliore è prevenire evitando che l’attività dell’industria chimica coroni in un folle e insostenibile scarico ambientale. Certo non possiamo indicare l’industria come responsabile diretto se non in casi particolari (trasporti insicuri di grandi quantità di prodotti plastici), ma certamente le enormi quantità di plastica prodotta e le deboli regole che sono state in vigore e sono ancora in vigore in molte parti del mondo non garantiscono nulla, prima di tutto non garantiscono i nostri discendenti dagli effetti della nostra dabbennagine. Inoltre molti additivi considerati sicuri in un uso controllato del materiale plastico si rivelano tragici inquinanti quando il materiale sia disperso e quindi dovrebbero essere sempre ridotti e possibilmente evitati; c’è ancora molto da fare per affrontare gli effetti della plastica neustonica; buon lavoro chimici.

Per approfondire.

http://en.wikipedia.org/wiki/Great_Pacific_Garbage_Patch

http://en.wikipedia.org/wiki/North_Atlantic_Garbage_Patch

http://education.nationalgeographic.com/education/encyclopedia/great-pacific-garbage-patch/?ar_a=1

http://en.wikipedia.org/wiki/Ekman_spiral

http://www.sea.edu/plastics/

Fai clic per accedere a 2012_asia_pacific_expedition_report.pdf

http://www.sciencemag.org/content/175/4027/1240.abstract

Kara Lavender Law et al. Plastic Accumulation in the North Atlantic Subtropical Gyre, Science 329, 1185 (2010); DOI: 10.1126/science.1192321E.J. Carpenter

E.J. Carpenter et al. Plastics on the Sargasso Sea Surface, Science Vol. 175 no. 4027 pp. 1240-1241 (1972) DOI: 10.1126/science.175.4027.1240

J.B. Colton et al. Plastic Particles in Surface Waters of the Northwestern Atlantic Science : Vol. 185 no. 4150 pp. 491497(1974) DOI:10.1126/science.185.4150.491

Transport and release of chemicals from plastics to the environment and to wildlife Phil Trans R Soc B 27 July 2009: 2027-2045.

Accumulation and fragmentation of plastic debris in global environments Phil Trans R Soc B 27 July 2009: 1985-1998.

Lost at Sea: Where Is All the Plastic? Science 7 May 2004: 838.