a cura di C. Della Volpe
In Usa hanno una sigla, come tutto; si chiamano climate change counter-movements (CCCM).
In Usa hanno tanti di quei soldi a disposizione che gli vengono dedicati articoli scientifici di analisi (Robert J. Brulle, Institutionalizing delay: foundation funding and the creation of U.S. climate change counter-movement organizations, Climatic Change DOI 10.1007/s10584-013-1018-7)
L’amica Oca Sapiens (al secolo Sylvie Coyaud) nel suo bel blog riporta questo grafico per mostrarne la ampiezza, una spesa totale stimata fra il 2003 e il 2010 in oltre 7 miliardi di dollari da parte di tutti i think thank conservatori USA, una parte dei quali va nell’attacco al Global Warming, come in passato andava alla difesa del fumo libero o contro l’aborto e oggi vanno contro la sanità pubblica, il global warming o il darwinismo.
Sappiamo che nei paesi anglosassoni la lotta fra sostenitori del Global Warming e delle politiche di mitigazione ed adattamento ad esso e i loro detrattori, volgarmente detti “negazionisti climatici” è a coltello e come tutte le lotte sociali porta a situazioni paradossali; ricordate che lo scontro sulla riforma sanitaria di Obama ha portato alla fermata della macchina statale americana per vari giorni? Oppure il caso delle lettere rubate al direttore del CRU dell’East Anglia?
Impensabile da noi. Comunque anche noi abbiamo i difensori del libero mercato che sono anche contro le regole che l’IPCC cerca di proporre per affrontare il GW, per esempio l’Istituto Bruno Leoni. Qui le cose avvengono diversamente, per esempio sull’ultimo numero di C&I (dic. 2013 pag 87-89), con un articoletto di Sergio Carrà dal titolo “Chi ha paura del riscaldamento cattivo?” a cui rispondo qui.
I dati riportati nel grafico sono una prima parte della risposta. Il prof. Carrà cita anche un articolo comparso su New Scientist
““Climate science: Why the word won’t listen” di Adam Corner, uno psicologo che si propone di approfondire perché i reiterati pronunciamenti dell’IPCC, ridondanti di messaggi inquietanti sui pericoli del riscaldamento globale, lasciano nella popolazione una diffusa apatia che sfocia spesso in un atteggiamento negativo nei riguardi di tale fenomeno.”
Beh caro prof., la risposta è manifesta: c’è chi propaganda menzogne sul clima spendendo miliardi di dollari e cercando di confondere le acque. È una politica che negli USA è stata perseguita anche per combattere la battaglia ormai persa contro il divieto del fumo; le grandi corporations americane affinarono in quell’occasione le armi che stanno spendendo anche qui contro il GW o contro l’Obamacare. Miliardi di dollari che hanno come unico scopo di ritardare il crollo dei loro profitti basati su mercati non piu’ sostenibili. Se l’approccio di Kyoto è fallito come recita un articolo di Nature, la responsabilità è proprio di chi ha fatto in modo che restasse fuori dall’accordo il paese che è il maggiore produttore di gas serra del pianeta, gli USA. E le fondazioni della destra americana superconservatrice che si sono battute contro l’IPCC, come per il fumo o contro il darwinismo ne sono pienamente responsabili.
La stessa rivista divulgativa e non-peer-reviewed, partecipa a questa battaglia di retroguardia culturale; infatti è famosa per aver fatto una copertina CONTRO il darwinismo.
Ma d’altronde noi che abbiamo avuto perfino un vicepresidente del CNR che ha organizzato un congresso contro Darwin (http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_de_Mattei) tempo fa, di cosa ci potremmo meravigliare?
Il prof. Carrà cita anche un articolo recentemente pubblicato su una rivista prestigiosa, (Geophysical Research Letters, Vol. 40, 3031–3035, doi:10.1002/grl.50563, 2013) che secondo lui dimostra che il bilancio dell’anidride carbonica è “elusivo”. E’ un aggettivo pesante per uno degli argomenti più studiati del mondo della climatologia e della chimica del clima. L’articolo in questione, scritto da Donohue e coll. dello CSIRO, l’equivalente australiano del CNR, conclude dicendo tre cose che qui traduco e che sono (giudicate voi) incompatibili con la elusività:
1)L’aumento nell’efficienza di uso dell’acqua da parte del processo fotosintetico al crescere della concentrazione di Ca (Nota mia: un simbolo usato per la anidride carbonica atmosferica) si è da lungo tempo anticipato che abbia come conseguenza un aumento della superficie foliare in ambiente caldi ed aridi. [Berry and Roderick, 2002; Bond and Midgley, 2000; Farquhar, 1997; Higgins and Scheiter, 2012], e sia le osservazioni da satellite che da terra a livello mondiale rivelano un cambiamento verso ambienti più densamente coperti di vegetazione e boscosi.[Buitenwerf et al., 2012; Donohue et al., 2009; Knapp and Soule, 1996; Morgan et al., 2007; Scholes and Archer, 1997]. I nostri risultati suggeriscono che Ca abbia giocato un ruolo importante in questo trend di rinverdimento e che, dove l’acqua è il limite dominante per la crescita, la copertura sia cresciuta in proporzione diretta all’aumento di Wp (l’efficienza di uso dell’acqua da partei della fotosintesi). Questo effetto di fertilizzazione della CO2 è da considerare un importante effetto della biosfera.
2)I risultati qui riportati per regioni aride a calde non si trasferiscono semplicemente ad altri ambienti dove possono dominare altri limiti alle risorse (per esempio luce, nutrienti, temperatura) sebbene le equazioni della teoria rimangano valide (eq. 1-3) (omissis)
3)Complessivamente i nostri risultati confermano che l’impatto biochimico diretto del veloce aumento della Ca negli ultimi 30 anni sulla vegetazione terrestre è un processo importante ed osservabile.
Non solo non è elusivo affatto un processo cui sono dedicati molti lavori, che è anticipato tramite equazioni e che si è già studiato; gli autori lo hanno provato a livello mondiale solo PER GLI AMBIENTI ARIDI, dove un elemento limitante è l’acqua; quindi riproporlo per gli altri ambienti sic et simpliciter è sballato e infatti gli autori scrivono che le loro conclusioni non sono valide dappertutto.
E’ un argomento che è molto analizzato in letteratura. Al contrario di quello che sostiene Carrà (In sostanza, a detta degli autori di questi studi, il futuro potrebbe essere molto più verde e molto più benevolo di quanto prevedono i modellisti) gli autori non concludono affatto che questo processo possa essere considerato decisivo nel futuro. I modelli dell’IPCC includono già questi processi e prevedono una estensione della copertura vegetale, ma tale estensione non può verificarsi in tutti gli ambienti a causa della complessità del sistema; dove prevalgono condizioni diverse l’aumento di CO2 non ha gli stessi benefici sulla copertura del manto vegetale spontaneo. Pensate solo ad ambienti dove gli elementi limitanti della fotosintesi sono la luce o la mancanza di altri nutrienti oltre l’acqua o l’effetto degli incendi. Le conclusioni generalizzatrici del prof. Carrà rimangono un pio desiderio basato su processi non definiti e che gli autori dell’articolo non prendono nemmeno in considerazione.
Una seconda questione che il prof. Carrà ripropone ogni volta che scrive di questo argomento è che in passato la CO2 ha raggiunto livelli molto più alti del presente. Fatto verissimo ma che non c’entra nulla con le questioni del clima odierno perchè i periodi a cui si riferisce il prof. Carrà sono di centinaia di milioni di anni fa; all’epoca non solo non c’era l’umanità ma non c’erano nemmeno le piante attuali o gli animali attuali, la forma dei continenti, le correnti erano diversi. Inoltre il Sole era significativamente meno intenso dell’attuale, un paradosso quello del giovane sole debole su cui sono basati tutti i libri di climatologia. In alcuni casi i meccanismi di retroazione, non di causa-effetto che in un sistema complesso come il clima stanno stretti a qualunque modello, erano completamente diversi; da allora la tendenza media è stata verso una riduzione sistematica della concentrazione di CO2 con una temperatura media che ha interagito con essa; non c’è un rapporto causa effetto fra CO2 e temperature, ma un rapporto di retroazione che prevede anelli positvi e negativi. Al momento l’umanità si è inserita nel meccanismo che durava da centinaia di miloni di anni ed ha occupato da subito un posto di rilievo; oggi l’uomo emette il 16% del carbonio che va verso l’atmosfera e questo ha alterato complessivamente il meccanismo di retroazione in un modo che, seppur non prevedibile in dettaglio, va verso l’aumento della temperatura media del pianeta.
C’è un bellissimo lavoro di un ingegnere aerospaziale, Bernard Etkin (Climatic Change (2010) 100:403–406 DOI 10.1007/s10584-010-9821-x A state space view of the ice ages—a new look at familiar data An editorial essay Bernard Etkin) , che ha rappresentato nel linguaggio dei grafici di fase dei sistemi complessi, una tecnica che dovrebbe essere familiare al Prof. Carrà, la situazione delle ultime centinaia di migliaia di anni. Il grafico è questo, tratto dai dati delle carote glaciali:
Il prof. Carrà ha insegnato per anni come si costruisce un grafico di fase di un sistema complesso e quindi potrà apprezzare quanto Etkin dice: il nostro sistema caotico è stato attratto nella zona evidenziata dall’ellisse per centinaia di migliaia di anni e l’azione dell’uomo negli ultimi 250 anni l’ha portato fuori dall’attrattore; dove si avvia il nostro sistema? I calcoli ci dicono che si avvia verso una temperatura media più alta di quella attuale. Non possiamo fare “previsioni” come le chiama impropriamente Carrà; possiamo fare scenari basati sul comportamento “medio” del sistema; le previsioni del tempo cercano di ricostruire a breve periodo il comportamento istantaneo del sistema climatico, mentre i modelli IPCC cercano di cogliere gli scenari, ossia i comportamenti medi del sistema sul lungo periodo, due cose del tutto diverse.
Il testo dell’IPCC citato dal prof. Carrà, scritto dall’amico Sergio Castellari, non può che far dipendere la temperatura media dal tasso di CO2 e quindi dalle scelte che noi, la parte più importante ed attiva della biosfera, faremo nel futuro; non è essa una incertezza che dipende dai metodi di calcolo o dai meccanismi (i vari programmi sono sostanzialmente in accordo) ma dalle nostre scelte politiche ed economiche.
Un esempio di quanto queste scelte pesino già adesso risponde all’ultima domanda del prof. Carrà: Ad esempio, per parlare delle faccende di casa nostra, risulta che il contribuente italiano si trova a dover pagare ogni anno 6-7 miliardi di euro (tariffa A3) per incentivi statali almeno per vent’anni devoluti alle energie rinnovabili, in particolare al fotovoltaico. Ciò nonostante la nostra energia è la più cara d’Europa.
Il prof. Carrà si riferisce al famigerato Cip6, una decisione che ci ha portato per oltre vent’anni a pagare una quota del nostro consumo elettrico per lo sviluppo di rinnovabili ed ASSIMILATE; ma lo sa il prof. Carrà quanto abbiamo speso e come sono state ripartite le spese? E soprattutto sa cosa sono le assimilate? Sono gli oli pesanti scartati dalla produzione, l’immondizia, insomma roba che sarebbe costato smaltire e che grazie a politici compiacenti è diventata combustibile prezioso che ha contribuito allo sviluppo degli inceneritori, di centrali a combustibile in molte aziende che così guadagnavano da ciò che avrebbero dovuto smaltire a caro prezzo. Queste assimilate hanno assorbito oltre il 75% dei 50 miliardi di euro che abbiamo speso su questa voce. Lo sapeva? Spero di no, altrimenti avrebbe dovuto dirlo.
Nonostante questo vulnus inferto al loro sviluppo, le rinnovabili italiane si sono sviluppate ed oggi nel borsino elettrico sfidano l’eccesso di produzione termoelettrica (decine di gigawatt in eccesso cresciuti proprio grazie al Cip6) e l’hanno messo più volte fuori mercato nelle ore di punta facendo alzare alti lai a chi perdeva in questo modo ingiustificati profitti.
Quindi altro che i miliardi all’anno investiti e giustamente in rinnovabili vere, questi sono stati soldi sprecati in rinnovabili false che si sono aggiunti alle decine di miliardi che hanno aiutato e garantito una economia basata sui fossili. Oggi i fossili battono la fiacca perchè i loro prezzi sono altissimi e tali rimaranno a causa dell’abbassamento storico del loro EROEI, cioè della crescente difficoltà estrattiva che porta a costi di estrazione (energetici ed economici) altissimi (si veda un nostro recente post)! Al contrario, i costi delle rinnovabili scendono seguendo una accettabile curva di apprendimento che le sta portando SOTTO i costi dell’energia tradizionale.
In una cosa le dò ragione, prof. Carrà; non sarà facile. Lei scrive: Si dovrebbe intraprendere una trasformazione epocale che viene però solo marginalmente discussa per le sue implicazioni di carattere economico e sociale.
Ma noi chimici la vogliamo e la dobbiamo discutere, prof. Carrà. Abbiamo dei precedenti illustri, come Frederick Soddy il cui Nobel ha compiuto 100 anni pochi giorni fa e che ha anticipato i cinque premi Nobel che hanno contribuito a proporre il nome di Antropocene per la nostra epoca, perché non di sola energia si tratta ma di un modo di produrre basato sull’idea dello sviluppo infinito, sviluppo impossibile in un contesto finito come la biosfera terrestre.
Nel testo di 18 Nobel (http://globalsymposium2011.org/wp-content/uploads/2011/05/The-Stockholm-Memorandum.pdf) si enuncia una ben precisa strategia che meraviglierà sapere non è tanto tecnica ma sociale, come d’altronde le resistenze ai cambiamenti guidati da think-thank ultraconservatori rendono manifesto. Ne ricordo qui i punti essenziali:
1) raggiungere un mondo più equanime, ossia sulla base della sostenibilità globale fare un accordo fra paesi ricchi e poveri per stabilizzare il clima, combattere la povertà e gestire l’ecosistema;
2) gestire la sfida di clima ed energia; raggiungere un picco di produzione di CO2 entro il 2015 e tassare le emissioni di carbonio eliminando i contributi alle energie fossili;
3) creare una rivoluzione dell’efficienza; definire degli standard di efficienza per disaccoppiare lo sviluppo dal consumo delle risorse e sviluppare nuovi modelli economici basati su efficienza energetica e dei materiali;
4) assicurare cibo accessibile a tutti; il modo attuale di produrre cibo basato su spreco di energia e fosforo è insostenibile, occorre una nuova rivoluzione verde basata sul risparmio di territorio e acqua e sullo sviluppo tecnologico dei piccoli produttori;
5) andare al di là di una crescita “verde”; ripensare lo sviluppo economico introducendo il “sociale” in tutti gli aspetti della produzione: introdurre nuovi modi di valutare lo sviluppo, superando il PIL e incentivando solo le innovazioni che servono alla maggior quota possibile di popolazione;
6) ridurre la pressione umana; sia riducendo la crescita della popolazione che combattendo il consumismo; rafforzare i diritti delle donne;
7) rafforzare un sistema di governo della Terra; rafforzare le istituzioni che si occupano di clima, biodiversità e introdurne altre che curino esplicitamente gli interessi delle future generazioni;
8) attivare un nuovo rapporto fra scienza e società, sia lanciando una iniziativa scientifica globale sulla sostenibilità che incrementando l’educazione scientifica delle giovani generazioni.
Nota: ringrazio per i loro commenti Sylvie Coyaud e Franco Miglietta di Climalteranti.
PS I lettori che non essendo soci della SCI non possano accedere al testo dell’articolo di S. Carrà possono chiedere eccezionalmente copia a Claudio.DellaVolpe@unitn.it. Si ricorda qui che i testi de la Chimica e l’Industria sono liberamente accessibli eccetto quelli degli ultimi due anni.