Riverginare l’olio extravergine.

a cura di Luigi Campanella, ex Presidente SCI

(an english version of this post is here)

Il New York Times accusa: l’olio di oliva extra vergine italiano è adulterato e mescolato con quello dal Nord Africa. Lo fa con un racconto a fumetti.
I 15 disegni sulla produzione nazionale di extravergine raffigurano l’Italia come un covo di truffatori, protetti dal potere politico, che importano olio dall’estero da adulterare e miscelare con quello nostrano per poi spacciarlo come Made in Italy. Mettiamo un po’ d’ordine. Le cose non stanno proprio così.

http://www.nytimes.com/interactive/2014/01/24/opinion/food-chains-extra-virgin-suicide.html

(nota: vedere qui per qualche critica più dettagliata all’articolo  e qui per le implicite critiche ai Carabinieri)

extravirginoil
L’Unione europea ha intensificato gli sforzi per il rilancio dell’olio d’oliva. Essa infatti è il principale produttore e consumatore di olio d’oliva, in quanto produce il 73% e consuma il 66% dell’olio d’oliva nel mondo. Per mantenere e rafforzare questo primato sul mercato mondiale, il piano di azione della Commissione Ue prevede 6 assi:

1.  Qualità e controlli;
2.  Ristrutturazione del settore;
3.  Strutturazione della filiera;
4.  Promozione;
5.  Consiglio oleicolo internazionale (Coi);
6.  Concorrenza con i paesi terzi

Alla luce delle suddette considerazioni, le principali azioni da intraprendere dovrebbero riguardare:

1. la qualità e il controllo della qualità, attraverso misure volte a stimolare l’immagine dell’olio d’oliva europeo e a tutelare e a informare meglio il consumatore;
2. il potenziamento della filiera, attraverso tutte le possibilità offerte dalla riforma della Pac (Politiva Agricola Comunitaria)e la mobilitazione di tutti i suoi operatori.

Il punto più importante è il miglioramento dei controlli sull’osservanza dei criteri chimici, organolettici e di autenticità degli oli.
Passando all’Italia l’olio extravergine di oliva è uno dei prodotti d’eccellenza del nostro Paese, ma anche quello a maggior rischio di frodi e sofisticazioni.
La contraffazione può avvenire in modi più o meno laboriosi e complessi. Quello più semplice consiste nell’importare oli da Spagna, Grecia e Tunisia sfruttando il loro basso costo, per miscelarlo con basse quantità di olio italiano. Più complesso è invece il processo di deodorazione che permette di eliminare odori sgradevoli dovuti ad una cattiva conservazione delle olive, ammassate per lungo tempo sotto il sole, oppure stipate nei cassoni degli autocarri prima di essere pressate. In queste condizioni si formano sostanze, chiamate alchil esteri*, che alterano l’olio sia chimicamente sia dal punto di vista del gusto.
Secondo un recente rapporto Eurispes, il piano di sorveglianza attivato in Italia per campionare l’olio su tutto il territorio nazionale, realizzato dall’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei Prodotti Agroalimentari (ICQRF), ha prodotto risultati allarmanti: il 49% dei 102 campioni esaminati, è risultato “non conforme” rispetto al valore di 30 mg/Kg di alchil esteri, considerato dagli esperti come indice massimo per ritenere un extra vergine di buona qualità. Si noti che questo valore è stato fissato dal Decreto Sviluppo del 2012 ed è molto inferiore a quello europeo di 75 mg/kg.
L’interpretazione del Decreto tuttavia non dice che l’olio con una quantità di alchil esteri superiore a 30 mg/Kg debba essere soggetto a sanzioni e nemmeno vieta la possibilità di etichettarlo come italiano. Il Decreto Sviluppo 2012 permette di segnalare anche l’olio italiano con un valore di alchil esteri tra i 30 mg/Kg e i 75 mg/Kg. Di recente però il Consiglio Oleico Internazionale (COI) ha approvato una modifica dei limiti di alchil esteri che dovrebbe avvenire in modo graduale ma con effetti molto restrittivi rispetto alla denominazione del prodotto venduto. Innanzitutto si darà peso solo al contenuto di esteri etilici, dovuto proprio alla cattiva conservazione delle olive, e quindi si passerà da un limite di etil esteri inferiore o uguale a 40 mg/Kg per questa campagna, pari a 35 mg/Kg per quella del 2014/15 fino ad arrivare a un valore di 30 mg/Kg per l’anno successivo.
Il Consiglio Oleico Internazionale (COI) preme anche affinché i limiti abbiano maglie molto strette da non permettere ai produttori di abbassare la qualità e di giocare sul prezzo. In questo ambito prosegue anche la ricerca di sistemi di analisi chimica e sensoriale per fornire strumenti adatti a rintracciare i campioni non conformi.
Esiste di certo il problema dell’utilizzo della scritta “made in italy” per commercializzare olio di bassa qualità sia italiano sia importato dalla Spagna, Tunisia e Grecia. Ma come si vede sia sul piano normativo che tecnico si cerca di opporsi alle forme di contrabbando e di adulterazione a danno del consumatore. Non è una battaglia facile ma non si può negare che sia in corso e che la guardia non è stata abbassata. Le aggiunte di beta-carotene e di clorofilla di certo avvengono, ma non nell’indifferenza di chi invece cerca di vigilare. Non si tratta quindi di Paesi Virtuosi o viziosi, ma di produttori onesti e disonesti e questo vale in tutto il mondo.

Note.

* alchil esteri sono gli esteri metilici e gli esteri etilici degli acidi grassi  che si formano nell’olio extravergine; essi derivano dalla esterificazione degli acidi grassi liberi con l’alcol metilico che deriva a sua volta dall’idrolisi delle pectine costitutive del frutto dell’oliva per azione di enzimi che si chiamano pectin-metil-esterasi endogene e dall’alcool etilico che proviene da processi fermentativi degli zuccheri naturalmente presenti nel frutto. Tutto ciò avviene essenzialmente quando le olive vengono conservate per periodi più o meno lunghi, dopo la raccolta e prima dell’estrazione solo meccanica dell’olio e quindi alte concentrazioni sono rivelatrici di olio proveniente da lungo trasporto. Garantire che la loro concentrazione sia molto bassa è un modo per rendere la vita impossibile agli imbroglioni.

Una proposta inattesa

Cari amici e colleghi, ho ricevuto la seguente lettera da uno degli consulenti della Autorità Nazionale per il Controllo delle Armi Chimiche, e credo che possa interessare tutti coloro che lavorano nell’Università ma è comunque di generale interesse per i Chimici e il blog mi appare come il sito adatto per renderla nota; se avete bisogno dei dati telefonici del prof. Bonini scrivetemi pure.

Gentile dott. Della Volpe,

il commento apparso il 18 gennaio sulla lista SCI relativo allla Chimica delle Armi e  le Armi della Chimica, mi induce ad inviarle in allegato, con preghiera di diffonderlo in SCI list,  una proposta, a nome dell’Autorità Nazionale per il Controllo delle Armi Chimiche alla quale stavo gia lavorando ma  che aveva  subito un ritardo a causa dell’urgente questione del trasbordo a Gioia Tauro. Spero che questa iniziativa, con il sostegno dei colleghi, possa aiutare a riflettere sull’immagine ed il futuro della Chimica ancora una volta messa in discussione da disinformazione e interessi strumentali.Sperando che l’iniziativa  incontri l’interesse sopratutto dei giovani, invio un cordiale saluto

a lei e a tutti i colleghi.

 Carlo Cesare Bonini

Prof. Carlo Cesare BONINI

Ministero degli Affari Esteri

Autorità Nazionale per il Controllo delle Armi Chimiche Roma

carlo.bonini@esteri.it

Ciclo conferenze dell’Autorità Nazionale presso l’Università italiana

Contesto

Tra gli aspetti della Convenzione sulle armi chimiche (CWC) venuti in rilievo dopo la grande attenzione dedicata alla distruzione e alla non proliferazione delle CW, un posto di particolare importanza ha assunto la questione dello sviluppo di una chimica sostenibile e al servizio dell’umanità. Questo aspetto e le relative conseguenze sia a livello industriale che culturale generale, darebbero alla CWC e allo strumento OPAC  una proiezione di lungo termine che possa anche riabilitare l’immagine della chimica quale scienza di progresso in cooperazione tra tutti gli uomini.

In particolare quindi per le giovani generazioni, la conoscenza anche critica della CWC con i suoi sviluppi e le sue implicazioni etiche, appare di fondamentale importanza, anche recuperando su questo terreno un ritardo non sempre giustificabile. In ogni Stato Parte quindi ed in confronto con altre organizzazioni e soggetti, appare oramai indispensabile una non episodica attenzione alle tematiche  suddette, in particolare rivolta agli attori del settore nel prossimo futuro (studenti,  ricercatori nel pubblico e nel privato) .

Tra i compiti di questa Autorità Nazionale  per l’attuazione della CWC, può e deve quindi rientrare una tale opera di divulgazione e conoscenza, in collaborazione con le istituzioni e gli organismi che hanno una funzione decisiva nell’indirizzo e nell’educazione  dei giovani, anche sfruttando il cresciuto interesse dell’opinione pubblica suscitato recentemente dalla questione siriana e soprattutto dall’attribuzione del Nobel per la Pace all’OPAC.

 

Situazione in Italia

Sui contenuti sopraesposti iniziative nel nostro Paese sono state volenterosamente intraprese sia in collaborazione tra A.N. e colleghi ed esperti del mondo accademico ed industriale, sia da importanti  istituzioni accademiche principalmente presso l’Università di Bologna. Inoltre nella stessa direzione va ricordata  una iniziativa del Prof. Trifirò ( membro del SAB dell’OPAC)  con la messa in rete sul sito della S.C.I. con  un dossier accurato e divulgativo della CWC, dell’OPAC e relative tematiche. Infine da segnalare le tre conferenze tenute alle Università di Basilicata, Padova e Firenze e tenute tra il 2012-13 dal prof Bonini consulente dell’A.N. . L’interesse tra gli studenti (Chimica ed Ingegneria principalmente ma non solo) e i ricercatori suscitato da queste singole iniziative ha spinto l’A.N. a proporsi di programmare in maniera più sistematica ed organizzare una serie di iniziative per il prossimo 2014 di cui viene riportata una bozza di agenda

Proposta di intervento dell’A.N.

Argomenti dell’intervento:

-Illustrazione della tematica delle CW e della CWC

-Ruolo e funzioni dell’OPAC, organizzazione e possibilità di impiego in ruoli dell’organizzazione

-Illustrazione  del ruolo e dei compiti dell’A.N. in Italia nel settore industriale ed economico

-“Scientists awareness”  e educazione alla non proliferazione, etica della ricerca

Università coinvolte nel 2014: Milano, Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata, Napoli Federico II, Bari,  con il coinvolgimento di studenti e ricercatori in Scienze e Chimica in particolare, Ingegneria, ma anche altri indirizzi quali Sc. Politiche e affini.

 

Organizzazione dell’intervento

Le tematiche scelte, proposte alle università, verranno illustrate e dibattute in una unica soluzione da più esperti dell’A.N. per un massimo di 2-3 ore, scegliendo con l’aiuto delle Università,  luogo e date in modo da favorire il massimo della partecipazione, Le tematiche dovranno essere svolte in forma divulgativa per evitare di coinvolgere solo specialisti ed esperti del settore. L’iniziativa andrà ovviamente monitorata costantemente e poi eventualmente ripetuta nei prossimi anni fino a coinvolgere  la maggior parte degli Atenei più interessati.

Il progetto di intervento definito sarà presentato all’OPAC nell’ambito dell’International Cooperation Activity per la concessione di un finanziamento dell’iniziativa.

Carlo Cesare Bonini

Anche questa è memoria

a cura di Marco Taddia

Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio d’insegnante e adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria e al Regime Fascista. Giuro che non appartengo nè apparterrò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concili con i doveri del mio ufficio.

É la formula del giuramento, contenuta nell’art. 18 del Regio decreto legge n. 1227 (Disposizioni sull’istruzione superiore) pubblicato sul n. 233 della G.U. 10 agosto 1931, che i professori di ruolo e i professori incaricati nei Regi istituti d’istruzione superiore  dovevano prestare se non volevano essere cacciati dall’Università.

ErreraNella Giornata della Memoria, il ricordo del chimico va anche al professore  Giorgio Errera (Venezia 1860 – Torino 1933), nato da una famiglia ebrea di origine sefardita, studente a Padova e Torino, professore a Messina, Palermo e infine a  Pavia (Chimica Generale), socio corrispondente dei Lincei, uno dei pochi che rifiutò di giurare.  Il loro numero oscilla, secondo le fonti, di qualche unità da un minimo di 12 a un massimo di 19, su un totale di oltre 1200.

Ecco alcuni nomi: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vilda, Fabio Luzzato, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Lionello Venturi, Vito Volterra, Francesco ed Edoardo Ruffini.[nota]
Vorrei ricordare Errera senza retorica, tanto è palese la grandezza del suo gesto. Esso fa risaltare , purtroppo, la pavidità o il desiderio di quieto vivere degli incerti e degli opportunisti  che tentarono di giustificarsi in vari modi.

errera1Lo vorrei ricordare non per le sue pubblicazioni di chimica organica, tra cui quelle assai importanti sui terpeni, oppure per il suo trattato di Chimica Inorganica (Sandron, Milano, 1917) ma  con un suo lavoro inerente la storia della nostra disciplina. Ho tra le mani un suo scritto ingiallito incluso nel poderoso volume “L’Europa nel Secolo XX”, terzo della serie diretta dai Prof.ri Donati (Padova) e Carli (Roma), dedicato a “Le Scienze”. Il contributo di Errera ( ben 59 pagine) si trova nella prima parte, riservata alle scienze teoriche e, manco a dirlo, s’intitola “La chimica”.

errera2Il volume fu pubblicato a Padova nel 1932 dalla Casa Editrice Milani per iniziativa dell’Istituto Superiore di Perfezionamento per gli Studi Politico-Sociali e Commerciali in Brescia. Si capisce il perché dalle prime righe del saggio di Errera laddove spiega che esso riproduce tre conferenze tenute a quell’Istituto, per un “pubblico non avente della chimica una speciale conoscenza”.  Questo impegno di Errera e la sede stessa delle conferenze sono rivelatori della sua maniera di intendere la cultura e anche della sua apertura intellettuale. Si può notare che il librò uscì l’anno dopo la cacciata di Errera  e un anno prima della sua morte, a  72 anni suonati. E’ uno scritto limpido, scorrevole e preciso senza pedanterie, al quale mi sono riferito spesso per i miei studi.  Consta di tre capitoli:

Atomi e molecole;

Struttura delle molecole, leggi e dinamica delle azioni chimiche;

Classificazione degli elementi e sistemi.

Errera si rendeva conto che riassumere lo sviluppo della chimica teorica (come la si intendeva allora) nel secolo XIX e agli inizi del XX era un compito difficile. Sentiva quasi il bisogno di prevenire eventuali critiche :

…Lo studio di necessità incompleto,  poiché in un vastissimo campo limitato alle cose principalissime, riguarda più che altro le nozioni fondamentali di atomo e di molecola, le leggi e la dinamica delle azioni chimiche.

A mio parere ci riuscì bene. Chi di noi è stato chiamato a tenere qualche conferenza su un tema di tale vastità a un pubblico non specialista, magari  limitandosi a un’oretta di tempo, sa bene che a volte ci si domanda se non sia un’impresa folle e con ciò rimanere paralizzato dal dubbio. Eppure bisogna andare avanti, proprio come fece lui.

All’obbligo del giuramento, rifiutato da Errera, seguirono le altre “prodezze” del regime in campo razziale,  la nascita dell’antisemitismo di stato con il Manifesto degli scienziati razzisti  del 14 luglio 1938 e il decreto legge n. 1390 del 5 settembre che decretava l’espulsione di tutte le “persone di razza ebraica” dalla scuola italiana di qualunque “ordine e grado”. I professori universitari epurati furono un centinaio. A questi vanno aggiunti: fuori ruolo, liberi docenti, incaricati, assistenti. I liberi docenti decaduti furono 196. Tra i chimici: Clara di Capua, Guido Tullio Levi, Mario Levi Malvano, Alfredo Terni, Nerina Vita, Emilio Viterbi, Mario Giacomo Levi e lo storico della disciplina Giulio Provenzal.

Tra i cacciati Leone Maurizio Padoa, già aiuto di Ciamician, poi ordinario di Chimica generale a Modena, arrestato dai tedeschi nel 1945, trasportato in un campo di concentramento  a Bolzano, prelevato da un ufficiale delle SS e avviato con altri verso la Mendola, probabilmente per andare in Germania. Di lui non si seppe più nulla.

[nota] Parlando di chimici che non si piegarono al fascismo non si può dimenticare il comportamento esemplare di Michele Giua (1899-1966) la cui carriera universitaria fu bloccata nel 1926 anche per motivi politici e che all’epoca del giuramento insegnava presso la Scuola di applicazione di artiglieria e genio di Torino. Era un animatore del Gruppo Giustizia e Libertà e fu allontanato da tutti gli incarichi pubblici nel 1933.  Continuò l’attività cospirativa nella Resistenza e giunse alla cattedra universitaria solo dopo la Guerra.

Da consultare:

V. Riganti, Giorgio Errera (1860-1933), Altronovecento, n. 4 (2000)

G. Israel, P. Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, Il Mulino, Bologna, 1998

A. Citti, A. Trombetti, Un ricordo ed un tributo al professor Maurizio Leone Padoa : Atti della Giornata della memoria, 27 gennaio 2004. CLUEB, Bologna, 2004

http://archiviostorico.corriere.it/2006/febbraio/14/1931_professori_giurano_fedelta_fascismo_co_9_060214108.shtml

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuramento_di_fedelt%C3%A0_al_Fascismo

ed i numerosi volumi ivi citati

http://www.storiaxxisecolo.it/antifascismo/antifascismo5.html

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/10/15/quei-dodici-che-dissero-no-al-fascismo.html

LA CATTEDRA …e la sedia

a cura di Gianfranco Scorrano, ex Presidente SCI

Sul “Corriere della Sera” dell’8 gennaio è apparso un articolo di Gian Antonio Stella dal titolo “Concorsi Universitari-Bocciati i migliori”. Come voi saprete, i nuovi concorsi richiedono: di ottenere una valutazione positiva nei giudizi di idoneità forniti da una commissione dei professori del raggruppamento (area); segue col tempo a questa fase quella ancora più importante della effettiva chiamata dell’idoneo/a da una sede universitaria.

Nell’articolo Stella esamina il concorso di Lingua e Letteratura Latina e porta virgolettati alcuni pareri dei commissari giudicati incoerenti con le conclusioni. Diremo, i soliti letterati, che non  hanno metodi un po’ più precisi di quello occhio-metrico.

E noi chimici? Se permettete prendo ad esempio il settore in cui sono stato professore ordinario dal 1975 al 2011: la Chimica Organica.

Il Ministero ha preso la ottima soluzione di chiedere a tutte le commissioni di pubblicare sul web i verbali delle riunioni della commissione, i titoli presentati dai candidati, i giudizi dei commissari e quello finale. Per CHIM/06 chimica organica il sito è

https://abilitazione.cineca.it/ministero.php/public/elencodomande/settore/03%252FC1/fascia/1

Qui si apprendono parecchie cose: prendiamo il caso di un ricercatore anziano, 62 anni,  C che però ha prodotto 147 lavori pubblicati tutti su ottime riviste: il giudizio su questo punto è unanime e eccellente, il massimo tra i 5 livelli di giudizio. Però la commissione nota che il candidato non mostra di avere ricevuto finanziamenti. E qui c’è un mistero: come avrà fatto a produrre tanti lavori? Con quali soldi? Procurati come? Certo il candidato ha ricevuto parecchi premi da editori per i lavori pubblicati, certo è molto apprezzabile. E’ anche vero che “Alcuni lavori hanno avuto citazioni di eccellenza”. Però non ha avuto inviti all’estero (chissà se le citazioni venivano tutte da italiani, ma mi sembrano troppe). Per questo (mancanza di finanziamenti e mancanza di inviti) la commissione lo giudica non idoneo. Aggiungono anche che manca il trasferimento tecnologico, ma qui mi pare che hanno confuso con qualche settore applicativo o di ingegneria.

Il candidato C. ha un fattore h superiore a quello di almeno tre dei commissari. Mi pare che come coerenza siamo latinisti.

asn1

Passiamo al candidato B. Questo è più giovane (si fa per dire, quasi 50 anni), ha meno lavori, 56 per la precisione, quasi meno di un terzo di quelli di C. Tuttavia quello che è curioso che i titoli dei lavori e delle riviste sono un po’ strani: negli anni vi sono stati pronunciamenti del Consiglio Universitario Nazionale (seduta del 16-18 dic- 2008) che ha prodotto gli indicatori di attività scientifica e di ricerca per l’area 03 e che per i professori ordinari richiede tra l’altro che “almeno il 60% della produzione scientifica del candidato deve essere di pertinenza del SSD di cui nel bando di concorso o di ambiti culturali ad esso correlati”. Non vi è mai stato nel CUN un pronunciamento che ritenesse correlato o tanto meno equivalente un altro SSD con il CHIM/06.

Sul suo sito B descrive la sua area di ricerca come “Protein crystallography” checoncerns with the study of the architecture and structure of proteins, to elucidate the basic mechanisms underlying the biological function at molecular level

In effetti, se si paragonano i titoli delle riviste usate da B. con gli elenchi di riviste organiche, per esempio elencate dalla Div.Org.Chem. americana http://www.organicdivision.org/?nd=p_organic_journals

si trovano solo un paio di articoli su 56 pubblicati su riviste organiche, mentre sono tutti i titoli elencati su riviste biochimiche

http://www.medical-journals-links.com/biochemistry-biological-chemistry-journals.php

Questo è anche coerente con la carriera di B. che dal 2006 fa ricerca presso il Venetian Institute of Molecular Medicine (VIMM) e mantiene solo una scrivania nel Dipartimento di Chimica, dove non ha trovato il modo in tanti anni di cooperare con altri docenti organici, inclusi quelli che lavoravano nel campo dei peptidi.

Detto questo, non sorprende il giudizio del commissario prof KOENIG Burkhard

The candidates research is in structural biology, where he has contributed well and with good impact, e.g. to the field of kinases. The overall scientific performance is good, but I wonder why he is applying in the section of organic chemistry. His scientific performance would qualify him for an application to full professorships in biochemistry or molecular biology. For a full professorship in organic chemistry I see the candidate as not eligible.

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Tutto perfettamente condivisibile. Come mai invece i quattro italiani hanno giudicato la produzione di B. organica? Su quale criterio? Mai il CUN ha deliberato che  il gruppo BIO/10 sia compatibile con CHIM/06. Personalmente ho tentato al CUN di discutere se per caso la parte di Chimica che si insegna a medicina potesse essere attribuita ad un chimico invece che a un BIO. Ovviamente, per medicina la Chimica propedeutica a Biochimica deve essere insegnata da un medico. Io credo che anche per noi deve valere che la chimica organica non può essere insegnata da un biochimco (cosa peraltro prevista per legge).

Comunque mi sento di fare una raccomandazione ai miei ex-colleghi organici, in particolare a coloro che andranno a formare le commissioni delle chiamate che poi avverranno sede per sede. Ricordatevi che un professore di prima fascia avrà la responsabilità di insegnare la nostra disciplina. Non vi sono evidenze che un personaggio che mai ha lavorato in chimica organica né mai ha insegnato discipline organiche possa adesso farlo perché una commissione, per ragioni di 4/5 ha così deciso senza dare spiegazioni di sorta.

Un’ultima nota: si dirà che a differenza di C., B. ha ricevuto fondi di ricerca: sui fondi dell’Università (ex 60%) si può solo dire che vengono divisi tra i membri del dipartimento, essenzialmente, o quasi, divisi in parti uguali. I due Prin di cui B. fa parte sono stati coordinati da due professori del gruppo BIO/10 ed assegnati nella ripartizione fatta dall’area 05-Scienze Biologiche.

La Chimica non c’entra.

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per approfondire la situazione dell’ASN:

Ultime info su ASN 2012,

https://www.facebook.com/groups/222457594480176/

a cura di Riccardo Scateni:

https://docs.google.com/spreadsheet/pub?key=0ArOwLh5tg9c6dFc2bHVmN29kQjFzT3R2clkzcmItOXc

http://asn-chimica.blogspot.it/

a cura di Alessandro Pezzella

Cancro e ambiente

 a cura di Luigi Campanella, ex Presidente SCI

Un interessantissimo recente articolo comparso su Cancer and Oncology Research affronta il problema della diffusione della malattia del secolo XXI, il cancro giungendo alla conclusione che la giustificazione genetica nota in un’estensione come teoria della Mutazione Somatica, non può essere la sola. Questa si focalizza piuttosto che sull’alterazione strutturale del DNA, sulle differenze funzionali nell’espressione genica, dovute specialmente ad alterazioni epigenetiche come la metilazione del DNA, la rimodellazione della cromatina, l’acetilazione dell’istone. Adottando questo approccio alternativo il ruolo delle alterazioni extracellulari micro- ambientali è reindirizzato verso eventi molecolari occorrenti soprattutto nella cellula. In questo modo il collegamento cancro ambiente diviene focalizzato sull’effetto dei cancerogeni sui geni, perfino quando molti cancerogeni non sono genotossici.

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Il secondo approccio, largamente sviluppato all’interno di una prospettiva biologica dei sistemi considera la carcinogenesi come un processo multicellulare formalizzato dalla teoria del Campo della organizzazione tessutale. Secondo questa teoria lo sviluppo biologico di sistemi multicellulari coinvolge una combinazione fra ambiente intra ed extra cellulare dove un set di dinamiche e processi multifattoriali precorre dei rischi, come il cancro ed altre patologie. Secondo gli autori (Oddone, Crosignani, Modonesi) gli studi sperimentali hanno mostrato che le fasi iniziali dell’insorgere del cancro dipendono dalle variazioni nel modo in cui le cellule interagiscono fra loro e con l’ambiente circostante; gli autori indicano anche che le cellule cancerose possono riconvertire il loro fenotipo maligno quando il nucleo ambientale circostante viene modificato: la progressione del cancro non è cioè irreversibile. I tessuti possono invertire il comportamento cellulare, non viceversa. Gli autori attraverso un’accurata analisi a partire da differenti database giungono alla conclusione che l’insorgere del cancro può essere prevenuto sulla base di condizioni ambientali idonee. Il tradizionale paradigma del cancro guarda alla carcinogenesi come ad un processo che dipende dal singolo evento chimico che occorre nella cellula e si attiva attraverso una cascata di effetti fino alla comparsa della malattia, eccetto i casi nei quali le conseguenze chimiche non diventano mai manifeste. Questa posizione suggerisce che un’azione durante le esposizioni ambientali potrebbe cambiare il destino e la qualità della vita dei malati di cancro. Le dinamiche del cancro accorrono su una scala biologica più alta di quella della singola cellula.

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C’è un’evidenza crescente che il cancro si sviluppa come conseguenza di fenomeni collettivi che coinvolgono le strutture tessutali. Il primo step è probabilmente in qualche cambiamento nelle interazioni fra cellule come possibile effetto di una condizione ecologica negativa sulla correlazione fra organismo e ambiente. Da tutto ciò si evince la necessità per combattere a livello di ricerca questa malattia che si integrino tra loro competenze diverse in epidemiologia, ecologia, biologia, chimica. L’articolo è correlato da una serie di dati statistici estratti da ben 88 lavori scientifici e dedicati alle possibili cause della malattia: fumo, alcool, dieta, attività fisica con alcuni suggerimenti protettivi e preventivi quali consumo di fibre, frutta, soia, isoflavoni, vitamina C e attività fisica regolare.

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Cancer as a Continuum: a Literature Review and a Biological Interpretation

Enrico Oddone, Paolo Crosignani, Carlo Modonesi

Cancer and Oncology Research 01/2013; 1(2):40-51. DOI:10.13189/cor.2013.010204

ABSTRACT Basic research shows that the genetic control of development cannot fully explain the phenotypic plasticity of humans and other metazoans. This challenges some tenets of the conventional paradigm of life sciences based on DNA, restoring a role of the environment in biological processes like the regulation of development, cell differentiation and disease. The environment — in a broad sense — affects biological phenotypes throughout the entire lifespan and can induce cancer, its progression and recurrence as well as its reversal. This is very important in cancer epidemiology as it implies that environmental exposures can be considered both as risk (or protective) and prognostic factors. This review integrates information from epidemiologic and biological research. We studied the impact of hazardous and protective exposures, lifestyles, and diet on the survival of patients who had been diagnosed with cancer. We selected studies from two digital databases, using a few combinations of key terms, namely overall survival, cancer-specific survival, recurrence and quality of life (QoL). Survival and/or recurrence were expressed as hazard or risk ratios, as second cancer diagnosis and as indicators of QoL such as performance status. We found 53 articles indicating that risk and protective factors can also influence prognosis after cancer diagnosis. Cigarette smoking and, among protective factors, diet and physical activity are the exposures most frequently investigated after a diagnosis of cancer.

per approfondire:

http://www.sciencemag.org/content/278/5340/1068.short

http://www.cancer.gov/cancertopics/understandingcancer/environment/AllPages

La guerra del gas

a cura di Guido Barone*

barone_fotoGrande attenzione è stata posta negli ultimi anni, e in particolare negli ultimi mesi, sulla possibilità di estrarre petrolio e gas dalle sabbie bituminose superficiali e dalle rocce scistose profonde (shale rocks). Recentemente il Presidente USA Obama ha promosso lo stanziamento di ingenti fondi per lo sfruttamento di gas naturale (metano) dalle rocce scistose con il triplice obiettivo:

a) rendere in prospettiva la politica energetica nazionale indipendente dall’ approviggionamento dalle fonti petrolifere medio-orientali nonché da quella venezuelana, date la attuale situazione politica;

b) fare concorrenza al gas russo sui mercati europei e asiatici, in particolare giapponese;

c) prevenire la messa a punto di analoghe tecnologie cinesi, cercando di riassestare il bilancio economico nei confronti della nuova potenza mondiale.

D’altra parte, sul fronte della politica interna USA, lo stanziamento di fondi in quella direzione serve a tacitare in parte le opposizioni ambientaliste, propagandando l’utilizzo almeno provvisorio di una fonte energetica alternativa, meno inquinante degli altri combustibili fossili; al contempo si dà soddisfazione alle lobby dei petrolieri.

Sui numerosi articoli della stampa italiana e estera, spesso fin troppo entusiasti, apparsi tra il 2010 e l’anno appena chiuso si è però anche fatta una certa confusione tra le tecnologie di estrazione – fratturazione idraulica (hydraulic fracking) delle rocce scistose e sfruttamento intensivo delle sabbie bituminose superficiali – e tra gli obiettivi strategici: potenziare la produzione di petrolio o di gas naturale. Proviamo a fare un poco di chiarezza.

  1. 1.     Origini dei giacimenti di petrolio e gas

Il gas naturale e il petrolio vengono originati da processi microbiologici seguiti eventualmente da lenti processi termogenici. I processi termogenici sono infatti preceduti da processi di accumulo, demolizione e trasformazione biologica di detriti organici in condizioni anossiche: si tratta di resti di microorganismi marini, zoo- e fito-plancton, alghe, carcasse di piccoli animali, pollini terrestri. Tutto questo materiale si deposita nel tempo assieme ad argille su bassi fondali marini o bacini lacustri. Questi strati vengono poi periodicamente ricoperti da strati di sabbia silicea (Fig 1). Il lento sprofondamento porta i sedimenti a sperimentare temperature crescenti e alla loro trasformazione termochimica (Fig.2). Negli strati più recenti e poco profondi l’azione biologica è predominante e la composizione percentuale delle componenti più leggere degli idrocarburi è discriminante nel suggerire le origini puramente biologiche o meno.

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Fig. 1 – Origine e trasformazione geochimica degli strati sedimentari di cellule morte e composti organici di demolizione ad opera di microorganismi. La pressione e la temperatura tendono a compattare il miscuglio, formando la roccia madre, nei cui pori sono presenti gli idrocarburi.

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Fig. 2 – Origine termogenica dei differenti idrocarburi nei sedimenti marini o lacustri. Man mano che gli strati originari vengono ricoperti da sabbie e/o argille essi sprofondano e raggiungono temperature e pressioni che ne modulano la composizione chimica: a sinistra il numero medio di atomi di carbonio degli idrocarburi dello strato, a destra il rapporto tra gas e idrocarburi liquidi (questi ultimi riportati in grigio).

I corrugamenti della crosta terrestre e dei fondali marini, dovuti ai movimenti della crosta terrestre (tettonica a zolle) porta alla formazione di cupole nei cui strati superiori si accumula gas e in quelli inferiori acqua per lo più salmastra (Fig. 3).

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Fig. 3 – (G) indica il deposito di gas (metano e altri idrocarburi volatili ) sovrastanti lo strato di petrolio (P), che a sua volta sovrasta lo strato di acqua salata (W). In ogni caso non si tratta di strati fluidi, ma di strati di rocce porose imbevute di ciascun componente. Tutti e tre gli strati sono compresi tra due fasce di rocce impermeabili che ne impediscono la migrazione in verticale e orizzontale.

  1. 2.     Tipologia delle riserve di gas

2a) La Figura 3 rappresenta un giacimento in cui il gas è associato originariamente al petrolio. In parte il gas è disciolto nell’olio liquido e il contenuto relativo può variare a secondo della storia del giacimento. Il petrolio della valle sedimentaria del sistema Mississippi-Missouri è probabilmente ricco della componente volatile, così come i corrispondenti giacimenti dei fondali del Golfo del Messico: ciò potrebbe essere stata una concause del disastro della piattaforma BP, che oltre a incendiarsi sprofondò per la mancanza di portanza della struttura, a causa della miscela di acqua e bolle di gas liberate dalla caduta di pressione.

2b) Se le rocce madri non sono circondate da tutti i lati da rocce impervie, ma da uno dei lati sono presenti altre rocce porose quanto basta da consentire la infiltrazione delle sole componenti di dimensioni molecolari inferiori, si può avere la migrazione del gas anche per centinaia di chilometri, andando così a costituire un giacimento separato.

2c) Il petrolio può imbibire strati relativamente superficiali di sabbie bituminose (tar sands), sempre contenute da strati argillosi impermeabili.

2d) Sia il petrolio che il gas invece possono permeare delle rocce scistose compatte (shale rocks) profonde (1,5 -3 km o più).

2e) Infine se le zone in cui si formano i giacimenti di gas sono a temperatura prossima o inferiore allo 0°C si possono avere, sotto la pressione di poche atmosfere, la formazione di clatrati idrati di metano o misti con altri idrocarburi leggeri. Queste formazioni sono caratteristiche del permafrost delle aree circum-artiche sia asiatiche che nord americane.

  1. 3.     Estrazione di gas dagli scisti bituminosi mediante Hydraulic Fracking

Iniziamo da questa tecnologia che ha suscitato grandi entusiasmi anche nella stampa italiana (vedi interviste di Leonardo Maugeri, ex dirigente ENI e ora docente di Energy Geopolitics alla Harvard University (Affari e Finanze di Repubblica 27 febbraio 2012 e 8 ottobre 2012) e l’appello lanciato di recente da Giuseppe Recchi, attuale Presidente ENI, contro le pregiudiziali “ideologiche” che frenano le possibilità europee di effettuare trivellazioni almeno esplorative in diverse aree continentali promettenti: (Affari e Finanza di Repubblica 23 novembre 2013). Molti degli articoli di stampa per altro hanno anche sottolineato gli allarmi e le preoccupazioni per i danni ambientali che queste pratiche stanno provocando. Le riserve accertate di questo gas (prevalentemente metano) nelle rocce scistose (shale rocks) nei soli Stati Uniti ammonterebbero a 24.400 miliardi di metri cubi, contro riserve mondiali presunte di 450.000 miliardi di metri cubi (Repubblica 19 maggio 2013). Queste quantità sono paragonabili a tutte le riserve di gas naturale tradizionale accertate. La richiesta continuamente in aumento di gas e prodotti petroliferi sta spingendo le Compagnie statunitensi e canadesi a sfruttare le riserve interne che si presentano competitive sul mercato, al riparo da eventi geopolitici (primavera araba, conflitto libico, tensioni nel Golfo Persico). E ciò malgrado si andasse ad intaccare quelle che sono riserve strategiche, preziose per future necessità della sicurezza nazionale. Si noti che finora la maggior opposizione industriale alla politica di esportazione del gas è venuta dai settori chimici e siderurgici, timorosi di restare con scarse riserve energetiche nazionali nel caso di una improvvisa e grave crisi mediorientale. Il totale degli investimenti USA è passato da 700´000 $ nel 2001 a oltre 4.5 milioni di $ nel 2010. L’intensità dello sfruttamento di questa risorsa negli USA e Canada e le relative esportazioni stanno portando ad una forte diminuzione dei prezzi sul mercato mondiale. Le riserve canadesi vengono valutate in 11´000 miliardi di mc. Quelle potenziali del Messico 19´300 Mmc, dell’Argentina 21´900 Mmc, del Brasile 6´400 Mmc, del Sud Africa 13´700 Mmc, dell’Australia e Oceania 11´200 Mmc, infine quelle della Cina 36´100 Mmc. Le riserve del Nord Africa vengono stimate ad oltre 15´000 Mmc, mentre quelle dei principali potenziali produttori europei, Polonia e Francia, assommano a 5´300 e 5´100 Mmc rispettivamente. Per altro solo la Polonia, malgrado le restrizioni imposte dalla Unione Europea, ha iniziato la produzione con un consorzio capeggiato dalla Shell e con interessi anche dell’ENI. La Francia ha invece deciso l’embargo dopo gli incidenti occorsi durante i primi tentativi effettuati sulle coste inglesi, che presentano riserve molto ridotte.

Il processo di estrazione può essere difficile perché i giacimenti sedimentari sono relativamente profondi, al di sotto delle falde acquifere, e racchiusi tra strati di rocce argillose impermeabili. E’ quindi indispensabile ricorrere a tecniche di trivellazione mediante pozzi, simili a quelli per l’estrazione del gas o del petrolio. Il processo è illustrato nella Figura 4. L’estrazione viene effettuata ricorrendo inizialmente ad un pozzo verticale, ma che nella parte finale sotterranea si sviluppa orizzontalmente; lo “spillamento” (tapping) avviene attraverso la frantumazione idraulica delle rocce scistose. La perforazione viene condotta per 1-3 km e man mano il pozzo viene incamiciato con una tubazione di acciaio. Le pareti del pozzo sono consolidate e cementificate fino al di sotto del livello delle falde acquifere, per evitare che il gas o i fluidi di trivellazione ed estrazione risalgano all’esterno della tubazione di acciaio o finiscano nella falda stessa inquinandola.

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Fig. 4 – Schema dell’impianto di estrazione di gas naturale dalle rocce scistose (da A.Granberg: WSJ Research, Chesapeack Energy). In superficie viene schematizzato l’andirivieni delle autocisterne attrezzate con il sistema di pompaggio che portano la miscela di acqua, sabbia e additivi chimici al pozzo di trivellazione o quelle che trasportano il gas dai serbatoi di stoccaggio alla rete di distribuzione. Altre cisterne trasportano l’acqua risalita dal pozzo dalla piscina di decantazione agli impianti di trattamento. Nei tre riquadri sono schematizzate invece le fasi di apertura dei fori nella tubazione mediante le cariche, l’intrusione della miscela acquosa con la fratturazione della roccia e la risalita del gas liberato nel pozzo. Maggiori dettagli sono mostrati nello schema affiancato.

Una volta raggiunta la profondità del giacimento si fa compiere una svolta a gomito a 90° al pozzo di trivellazione e si prosegue ancora per alcune centinaia di metri continuando a incamiciarlo con la tubazione di acciaio. Quindi si inietta sotto forte pressione una sospensione di acqua e sabbia (per lo più silicea) contenente anche sostanze antiaggreganti che servono a stabilizzarla, nonché battericidi e altri prodotti chimici (tra cui alcuni notoriamente cancerogeni, come il benzene). La parte terminale della camicia porta delle cariche che si fanno esplodere elettricamente, provocando sia dei fori nella tubazione che delle estese fratture, ramificate in tutte le direzioni, nelle fragili rocce circostanti. Le fratture e fenditure vengono mantenute pervie da grani di sabbia silicea opportunamente dimensionati. A volte, se la pressione di pompaggio è sufficientemente forte, bastano dei fori nella camicia di acciaio, senza bisogno di ricorrere a cariche esplosive.

Nella Figura 5 si vede la differenza tra l’estrazione tradizionale da una “cupola” di rocce porose, dove la pressione degli strati sovrastanti è sufficiente per la spontanea fuoriuscita del gas, e la situazione che si ha nel caso precedente.

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Fig. 5 – Confronto fra le tecnologia di estrazione di gas dagli scisti e da cupole di rocce sedimentarie contenenti gas naturale.

Finora le principali contestazioni avevano riguardato il pericolo di inquinamento delle falde superficiali, vuoi per fratture nelle pareti di cemento dei pozzi, poco accuratamente colate, vuoi per la cattiva impermeabilizzazione del fondo dei bacini di raccolta delle acque di risalita dai pozzi (in qualche caso hanno traboccato a causa di piogge torrenziali). In un recente passato vi sono state aspre polemiche con le popolazioni della Pennsylvania, del Texas, del Colorado e altri Stati federali. Nel caso del Wyoming l’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) ha riscontrato la presenza di additivi chimici provenienti dal processo di fatturazione nella falda acquifera. Talvolta dai rubinetti domestici, come in Pennsylvania, sono fuoriusciti gas infiammabili o fanghi maleodoranti (Marianne Navelle in National Geographyc ed. ital. dicembre 2012). Matt Damon ha prodotto un film (Promiseland), con ogni genere di opposizioni da parte della lobby dei petrolieri (che ne hanno ritardato l’uscita fino a dopo la rielezione di Obama) sui disastri che l’estrazione di petrolio tramite fracking sta creando in Pennsylvania (Federico Geremei su Venerdì Repubblica 8 febbraio 2012). Le Autorità dello Stato di New York hanno quindi proibito l’estrazione, con questo metodo, nei bacini idrografici utilizzati per l’approvvigionamento idrico delle grandi città, New York e Syracuse, e hanno chiesto in generale di utilizzare solo serbatoi stagni per lo stoccaggio. Ciò potrebbe esser dovuto alla propagazione della rete di fratture fin nello strato argilloso che contiene verso il basso la falda di acqua potabile (Figura 6) o al cedimento della camicia di cemento che protegge la parte più superficiale della tubazione di acciaio.

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Fig. 6 – Rischio di intrusione delle fatturazioni nelle falde acquifere.

Il metodo dell’Hydraulic Fracking comporta comunque un grande consumo di acqua: ogni pozzo nella sua vita estrattiva richiede da 7.5 a 15 milioni di litri di acqua, di cui il 75% risale nei bacini di raccolta e deve essere alla lunga depurata e smaltita, mentre il 25% rimane nel sottosuolo insieme alla sabbia. Inoltre vengono impiegati da 60 a 230 litri di agenti chimici (antiaggreganti, pesticidi etc.).

Adesso l’allarme arriva dall’Ohio alla fine del 2011 e da altri Stati degli Usa (Arkansas) e da un’area nord occidentale dell’Inghilterra, in zone contigue a impianti di estrazione del gas dagli scisti mediante il metodo del Fracking. L’allarme dell’Ohio, è stato preceduto da numerose lievi scosse da marzo a novembre del 2011. Inoltre negli ultimi giorni del 2011 intorno alla cittadina di Youngstown si sono succeduti ben 11 terremoti, di cui gli ultimi due del grado 2.7 e 4 della scala Richter (Scientific American, ed. it. Le Scienze gennaio 2012). Lo Stato dell’Ohio è costituito da una vasta pianura, in gran parte alluvionale e di fatto non sismica, compresa tra il grande fiume (da cui prende il nome) a Sud e ad Est, il Lago Erie a Nord e gli stati del Michigan, sempre al Nord, e dell’Indiana ad Ovest. Associazioni di cittadini infuriati per le continue e inusuali scosse sismiche, hanno ottenuto dalle autorità dell’Ohio la chiusura provvisoria di alcuni impianti di trivellazione della Northstar Disposal Service attorno alla città di Youngstown. I danni sono stati notevoli alla rete stradale locale (Figura 7) e a molte abitazioni (lesioni delle pareti, caduta di mobili e suppellettili).

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Fig. 7 – La sorpresa di Capodanno nell’Ohio. Foto di Martin Luff.

Le autorità dello Stato di New York hanno sospeso le estrazioni, in attesa di un parere dell’EPA. Il blocco è momentaneo perché questa tecnologia di estrazione del gas è ritenuta regolare dai regolamenti federali. Una indagine sismica è stata condotta da ricercatori della Columbia University su incarico dell’ Ohio Department of Natural Research. I ricercatori deducono che i movimenti potrebbero essere causati dallo slittamento delle rocce scistose lungo faglie alla stessa profondità del pozzo di fracking, ma distanti anche alcuni chilometri, causati non dal pompaggio sotto pressione o dalle esplosioni, bensì dall’azione lubrificante degli additivi alle interfacce di rocce adiacenti. D’altra parte i portavoce scientifici delle Imprese interessate hanno messo fortemente in dubbio che esista una correlazione di causa ed effetto ed hanno fatto ricorso ai tribunali statali. Ad ogni modo l’Agenzia Federale per la protezione dell’ambiente (EPA) ha preparato un rapporto completo che però è stato pubblicato in ritardo solo l’anno scorso.

Anche nell’Inghilterra Nord occidentale presso Blackpool, vi sono stati dei fenomeni sismici di lieve intensità (1.5 – 2.3 Richter), che sono stati collegati all’attività di estrazione di gas mediante fatturazione idraulica da parte della compagnia Cuadrilla Resources. Anche qui le Autorità locali hanno imposto una pausa nel processo minerario. Vista la rottura dei mercati creati dalle esportazioni di gas da parte degli Stati Uniti, nell’Unione Europea si sono cominciati ad attivare programmi di estrazione di questo tipo dai giacimenti scistosi o dalle sabbie bituminose del gas o anche del petrolio. I giacimenti più consistenti e promettenti si trovano in Polonia (Silurian shales) e si stanno cominciando a sfruttare. Ma altre riserve sono nella Svezia meridionale, in Olanda e nelle aree marittime confinanti della Germania, a cavallo fra Austria. Slovenia e Repubblica Ceca (Mikulov shales), in Francia, sia sulle aree marittime del Nord Est che nelle pianure pedemontane dei Pirenei. E infine in aree più o meno vaste dell’Ucraina, Romania. Ungheria e a cavallo della frontiera tra Bulgaria e Grecia. Per ora si hanno scarse notizie dalla Russia, che è però poco interessata perché non vuole compromettere economicamente gli enormi flussi di gas siberiano che alimentano buona parte dell’Europa. Lo stesso si può dire in parte per gli Stati produttori di gas dal Mare del Nord (Norvegia innanzi tutto).

Per l’Italia le Compagnie Italiane non si sono ancora attrezzate e i loro tecnici sono molto più impegnati per lo sfruttamento del gas e/o del petrolio in Texas, in Nigeria e in Libia. Per altro alcune aree sono promettenti (Monti Alburni, aree della Basilicata, Molise e Abruzzo e del Piemonte).

Comunque per l’Europa vi sono difficoltà sia per ottenere le autorizzazione a effettuare sondaggi e trivellazioni, sia perché le Compagnie sono statali o a partecipazione statale ed è più difficile impegnare notevoli capitali di rischio. In generale la densità di popolazione europea è molto elevata rispetto agli Stati Uniti o al Canada, dove è più facili reperire aree adatte allo sfruttamento in zone poco popolate, anche se in Europa vi è il vantaggio dell’esistenza di una fitta rete di metanodotti già predisposta.

  1. 4.     Estrazione di petrolio dagli scisti bituminosi mediante Hydraulic Fracking

Nello Stato del North Dakota, al confine con il Saskatchewan e il Manitoba canadesi, esiste la grande riserva di scisti di Bakken che vengono invece sfruttati per l’estrazione di petrolio dalle shale rocks a 3000 m di profondità con una tecnologia di hydraulic fracking analoga a quella usata altrove per la produzione di gas (vedi articolo di Edwin Dobb su National Geographyc Italia del marzo 2013). Anche in questo caso il processo produce grandi quantità di acque inquinate, soprattutto dagli additivi fluidificanti usati per facilitare la fuoriuscita dell’olio greggio dal pozzo di produzione. Tali fluidi possono migrare provocando lo slittamento di strati di rocce sovrapposti e creare danni in superficie.

  1. 5.     Metano dagli idrati del permafrost artico e dai rift sottomarini

I clatrati idrati di gas sono dei composti stechiometrici, preparati già nel 1810 da Sir Humphrey Davy. Lo schema della struttura dell’idrato di metano è riportata in Figura 8. Essi furono riscoperti negli anni trenta del secolo scorso come incrostazioni, miste a fango, che intasavano gli oleodotti operanti nelle zone artiche. Altre formazioni furono scoperte nel Golfo del Messico, a 2-3000 metri di profondità, in corrispondenza di fratture dei fondali dalle quali filtravano affioramenti di materiali sottostanti (Fig. 9).

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Fig. 8 – Schema di un cristallo stechiometrico (8 CH4.46H2O) di idrato di metano (raffigurato come una sfera); ai vertici dei solidi si collocano le molecole di acqua mentre gli spigoli rappresentano i ponti idrogeno che le collegano.

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Fig. 9 – Formazione di idrati di metano sui fondali del Golfo del Messico a seguito della fuoriuscita da una frattura di gas misto a petrolio: quest’ultimo affiorava formando delle estese macchie in superficie. La temperatura dei fondali è prossima allo zero centigrado e la pressione sufficiente per la formazione spontanea dei cristalli.

I campi di idrati si estendono sotto varie aree del permafrost canadese, alaskano e siberiano, talvolta associato a giacimenti di gas. Il loro sfruttamento dura da molti anni, addirittura dalla metà degli anni trenta del secolo scorso nel caso siberiano. Vaste riserve sono sicuramente presenti nelle piattaforme continentali, ma altre sono state accertate in diversi corrugamenti sottomarini paralleli alle coste atlantiche degli USA e di quelle pacifiche di tutte le Americhe, dal Canada al Perù. (vedi articolo dell’autore con Elena Chianese su Chem. Sus. Chem. febbraio 2009). La separazione del gas dagli idrati si ottiene pompando acqua calda nella riserva. È sufficiente un riscaldamento di qualche grado per rendere instabile gli idrati e a quel punto il gas esercita una pressione sufficiente a provocarne la fuoriuscita (si tenga presente che la quantità di gas contenuta nei cristalli di idrato è tale da esercitare una pressione di 76 Atm alla stessa temperatura se liberata dal solido).

La tecnica dei pozzi di estrazione a gomito fu proposto dai giapponesi per lo sfruttamento degli idrati presenti nel corrugamento costiero di Nankai a sud est della grande isola di Shikoku. In tal modo la incastellatura del pozzo di esplorazione o di estrazione, collocata su di una nave e non su di una piattaforma galleggiante, non era posizionata sulla verticale del sito di produzione ed era al riparo dalle fuoriuscite di gas che ne avrebbero compromesso il galleggiamento.

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Fig. 10 – Struttura della fossa di Nankai.

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Fig. 11 – Nave–piattaforma usate per le trivellazioni.

  1. 6.     Estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose superficiali

Lo sfruttamento delle sabbie bituminose è stato utilizzato a lungo in maniera brutale sfruttando quelle superficiali ricche di petrolio, creando dei veri disastri ambientali, come in alcuni degli Stati del Centro e dell’Est degli USA: la coltivazione di questi giacimenti prevede infatti un esteso disboscamento e l’asportazione degli strati superficiali di suolo fertile o paludoso per mettere allo scoperto gli strati bituminosi utili. Questi ultimi vengono poi prelevati con grandi escavatrici, caricati su autoarticolati e trasferiti agli impianti costruiti in loco e trattati per separare con acqua calda l’olio combustibile dalla sabbia e dalla fase bituminosa semi solida. (vedi l’articolo di David Biello su Le Scienze di settembre scorso).Il bitume residuo è utilizzabile per la pavimentazione stradale, per la impermeabilizzazione di terrazze e fondali di riserve di acque cittadine o di depositi di rifiuti urbani (per altro oggi oltre il 95 % della produzione di asfalto è basata sulle peci ottenute come sottoprodotto della distillazione del petrolio). Tra l’altro con questa pratica industriale, la fase volatile si perde in gran parte nell’atmosfera come tale e solo una limitata percentuale è comunque bruciata alla testa degli impianti di separazione, con una procedura analoga a quella delle “torce” degli impianti di distillazione, raffinazione e rettifica del petrolio. Questo tipo di processo può sfruttare strati di sabbie bituminose (tar sands) profondi non più di 60 – 80 m. Per strati inferiori il costo diventa eccessivo. Invece al di sotto dei 200 m si può utilizzare la spinta creata dalla pressione delle rocce sovrastanti per estrarre l’olio grezzo misto al bitume fluidificato con acqua calda mediante un pozzo analogo a quelli utilizzati per l’estrazione di gas con l’hydraulic fracking. Il pozzo infatti una volta raggiunta la quota della sabbia da sfruttare, viene fatto proseguire a gomito in orizzontale. Vi è il pericolo di interferenze con le falde acquifere.

Da alcuni anni il maggior sforzo finanziario è stato effettuato dal Canada per lo sfruttamento delle enormi riserve di sabbie bituminose presenti nel bacino dell’Athabaska, nello Stato dell’Alberta. Le autorità canadesi hanno svolto una grande opera di propaganda anche verso i Paesi europei: ad esempio nel marzo del 2012 l’Ambasciata ha organizzato a Roma con l’ENEA un grande convegno a Roma (se ne è discusso allora sul sito di Climalteranti). Non vi sono state particolari opposizioni locali all’avvio dello sfruttamento in quell’area piuttosto spopolata. Le proteste sono iniziate invece nei confronti del progetto di costruzione del nuovo oleodotto (Northern Gateway) che, perforando le propaggini delle Montagne Rocciose e attraversando il Great Bear Rainforest (unica foresta pluviale temperata del Nord America) dovrebbe raggiungere le coste del Pacifico al terminale di Kitmat. Questo porto è situato in fondo ad uno stretto fiordo, chiuso parzialmente da isole, dove tempo addietro è naufragata la Queen of North, che è rimasta a 430 metri di profondità e continua ad emettere il combustibile inquinante. Il nuovo oleodotto lungo 1175 km dovrebbe trasportare l’olio dall’Alberta e affiancarsi al nuovo gasdotto dal sito del più vicino Summit Lake. Quest’ultimo dovrebbe sostituire il precedente che sboccava più a nord, a Prince Rupert di minore portata e che aveva messo in crisi l’attività di pesca dei nativi canadesi (vedi l’articolo di Bruce Barcott su National Geographyc Italia di agosto 2011). Il nuovo oleodotto per il Pacifico è visto come possibile alternativa alla improbabile costruzione di oleodotti che invertissero il flusso e attraverso la regione di Grandi Laghi raggiungessero invece la costa atlantica. La vera alternativa per l’’esportazione verso gli USA e l’Europa è invece rappresentata dal Keystone XL, il gigantesco oleodotto destinato a trasportare l’olio grezzo dell’Alberta fino alle coste del Texas per essere processato nei grandi impianti colà già funzionanti. Finora il trasporto avveniva per treno con capacità ridotta e maggior pericolo di incidenti. Proteste molto estese sono state sollevate da parte degli abitanti degli Stati americani che saranno attraversati da questa opera, proteste che hanno visto impegnati anche personaggi famosi e che sono stati arrestati durante una manifestazione nella Capitale Washington, come Bob Kennedy jr., Daryl Hannah e il direttore del Sierra Club Michael Brume (febbraio 2013).

*http://www.dol.unina.it:8445/idea/tecnologie_energetiche/UD00/autore01_ita.htm

Anno Internazionale della Cristallografia, IYCr2014

a cura di Alessia Bacchi*, alessia.bacchi@unipr.it coordinatrice delle attività IYCr2014 per l’Italia

Nei giorni 21 e 22 gennaio si inaugura a Parigi, nel Palazzo dell’UNESCO, l’Anno Internazionale della Cristallografia, IYCr2014.

Qui ci sono le informazioni sulla cerimonia, a cui è ancora possibile registrarsi gratuitamente.

In tutto il mondo ci saranno celebrazioni e manifestazioni, e in Italia sono già in programma eventi nazionali e locali, e iniziative didattiche e divulgative tra cui la pubblicazione di un libro gratuito per studenti e insegnanti, e la compilazione di una lista dei luoghi cristallografici italiani, che diventerà una app per smartphones. Questo è il sito italiano che raccoglie eventi e materiale, a cura dell’Associazione Italiana di Cristallografia.

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«La nostra attuale comprensione e concezione della natura della materia nel mondo in cui viviamo è fortemente basata sulle conoscenze apportate dalla cristallografia». Con questa motivazione l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione di dichiarare il 2014 come Anno Internazionale della Cristallografia, a 100 anni dal conferimento del premio Nobel per la Fisica a Max Von Laue per la scoperta della diffrazione dei raggi X da parte dei cristalli nel 1914 e a padre e figlio W. Henry Bragg e W. Lawrence Bragg nel 1915 per la determinazione della struttura cristallina di NaCl.

Qui c’è un video divulgativo.

A queste due fondamentali pietre miliari della storia della scienza moderna seguirono una catena di brillanti esperimenti e geniali intuizioni che aprirono la strada alla possibilità di comprendere le proprietà delle sostanze attraverso la visualizzazione della struttura tridimensionale delle molecole. Qui si trova la linea del tempo della cristallografia. Il 21 aprile 1912 Max Von Laue e due suoi giovani assistenti illuminarono con raggi X un cristallo di blenda, un minerale costituito da solfuro di zinco, e scoprirono che i raggi venivano sparpagliati in una costellazione di macchie scure su una lastra fotografica: il cristallo deviava i raggi X in fasci con direzioni precise. Qualche mese più tardi William Lawrence Bragg, usando uno strumento costruito dal padre William Henry, professore di fisica a Leeds, replicò l’esperimento usando cristalli di cloruro di sodio e formulò un’interpretazione che avrebbe segnato la nascita della cristallografia moderna e della chimica contemporanea. Grazie alla sua teoria innovativa, a soli 23 anni, William Lawrence scoprì la struttura della disposizione degli atomi in un cristallo di cloruro di sodio. Fino ad allora nessuno conosceva la struttura intima della materia: la scoperta portò William Lawrence a conseguire il Premio Nobel per la Fisica nel 1915, assieme a suo padre. A quel tempo William Lawrence aveva 25 anni, il più giovane vincitore del Premio Nobel della storia. Negli anni successivi la comunità scientifica si gettò con entusiasmo a sperimentare la nuova tecnica, rivelando la struttura atomica di sostanze di grandissimo interesse: i Bragg mostrarono che il diamante è costituito da atomi di carbonio legati in una solidissima rete tetraedrica che conferisce al materiale le proprietà per cui è noto. Nel 1929 Kathleen Lonsdale rivelò che i derivati del benzene sono planari, mettendo fine al mistero sul tipo di legame presente negli idrocarburi aromatici.

 

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Modello tridimensionale della densità elettronica della penicillina, Dorothy Hodgkin.

Nel 1945 Dorothy Hodgkin svelò la struttura molecolare della penicillina, permettendo lo sviluppo della prima famiglia di antibiotici, e più tardi determinò la struttura della vitamina B12, dell’insulina, della ferritina e del virus del mosaico del tabacco, gettando le basi della moderna scienza farmaceutica, e meritando il Premio Nobel per la Chimica nel 1964.

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Cristalli di Vitamina B12

Nel 1953 Rosalind Franklin, James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins condussero esperimenti che portarono alla determinazione della struttura a doppia elica del DNA, e per tale scoperta Watson, Crick e Wilkins ottennero il Premio Nobel per la Medicina nel 1962. Con un lavoro impressionante durato decenni Max Perutz e John Kendrew nel 1959 determinarono la struttura della mioglobina e dell’emoglobina, le proteine che permettono di trasportare l’ossigeno nel sangue, chiarendo le basi molecolari della respirazione; Perutz e Kendrew furono insigniti del Premio Nobel per la Chimica nel 1962.

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Max Perutz, modello dell’emoglobina

L’epopea trionfale della cristallografia proseguì con vette segnate da 28 Premi Nobel fino a rivelare il meccanismo di funzionamento dei ribosomi, i macchinari molecolari sedi della trascrizione del codice genetico nella sintesi proteica, la cui struttura è stata scoperta da Ada Yonath, Thomas Arthur Steitz e a Venkatraman Ramakrishnan grazie a un colossale lavoro durato anni che ha fruttato loro il Premio Nobel per la Chimica nel 2009.

crista5La cristallografia ha portato la visione molecolare nella scienza, ha popolato di immagini e strutture la chimica moderna, la biologia molecolare, le scienze farmaceutiche, la fisica dello stato solido. Grazie alla cristallografia moderna in questi 100 anni l’immaginario scientifico si è arricchito di splendide architetture molecolari, di meravigliose simmetrie, e il concetto di relazione tra forma e funzione si è esteso dal mondo macroscopico delle macchine meccaniche e degli organismi biologici al microscopico mondo delle macchine molecolari, dove dettagli grandi quanto un decimiliardesimo di metro determinano con precisione inesorabile le proprietà di un materiale per l’elettronica, l’efficacia di un farmaco, la funzione di un enzima.

It is structure that we look for whenever we try to understand anything. All science is built upon this search; we investigate how the cell is built of reticular material, cytoplasm, chromosomes; how crystals aggregate; how atoms are fastened together; how electrons constitute a chemical bond between atoms. We like to understand, and to explain, observed facts in terms of structure. A chemist who understands why a diamond has certain properties, or why nylon or hemoglobin have other properties, because of the different ways their atoms are arranged, may ask questions that a geologist would not think of formulating, unless he had been similarly trained in this way of thinking about the world”

Linus Pauling, ‘The Place of Chemistry in the Integration of the Sciences’, Main Currents in Modern Thought (1950), 7, 110.

* http://blogs.rsc.org/ce/2012/03/12/interview-with-alessia-bacchi/

Inquinanti emergenti nelle acque: qualche considerazione

a cura di Valentina Furlan* e Mauro Icardi*

Negli ultimi anni tra gli addetti alla gestione del ciclo idrico integrato (approvvigionamento,distribuzione,depurazione delle acque reflue)  si è iniziata a focalizzare l’attenzione sulla presenza di contaminanti definiti “emergenti”, riscontrati sia nelle acque destinate al consumo umano,sia nelle acque reflue. La provenienza di questi contaminanti è piuttosto varia. Il termine emergenti significa che sono composti sui quali si stanno approfondendo controlli e studi. Questo per due principali motivi: inserirli nelle tabelle dei limiti di emissione, se non ancora normati, e verificare quali possono essere le tecnologie più adatte per la loro rimozione.

Sono sostanze che  possono derivare da trattamenti di potabilizzazione delle acque (per esempio i cloriti),dall’incremento dell’uso di prodotti per la detergenza personale,  dall’uso di farmaci e dal consumo di droghe d’abuso. Gli effetti di questi prodotti sulle acque sono da diversi anni in fase di studio e di monitoraggio, vista la loro diffusione  capillare nell’ambiente.

I farmaci per esempio non vengono  metabolizzati completamente, e possono venire escreti tal quali,o come metaboliti attivi con le urine o le feci. Queste sostanze finiscono così nel flusso di acque fognarie destinate ai trattamenti di depurazione negli impianti centralizzati. Non riescono ad essere degradate adeguatamente .

La maggior parte degli impianti di depurazione presenti in Italia sono di tipo biologico. La fase principale del trattamento avviene in una vasca di ossidazione detta  a fanghi attivi. In questa vasca si sfrutta l’azione metabolica dei microorganismi che possono essere di diverso tipo,dai batteri ai protozooi ,e che sfruttano le sostanze organiche e l’ossigeno disciolti nel liquame per le loro necessità di sviluppo e riproduzione. In questo modo si formano fiocchi di fango facilmente eliminabili poi nella successiva fase di sedimentazione finale. E’ di tutta evidenza che se i microrganismi trovano nel liquame per esempio sostanze ad azione antibiotica, la loro attività può essere inibita o ridotta. In questo modo le sostanze non biodegradabili si ritrovano inalterate alla fine del processo di depurazione, e quindi finiscono per essere scaricate nei corsi d’acqua dove possono esplicare attività tossica. O interferire con il sistema endocrino dei pesci,e della fauna in generale.

Per ovviare a questo problema è necessario adottare trattamenti di tipo terziario, consistenti principalmente nei sistemi di filtrazione su membrana, che attualmente stanno cominciando a trovare impiego in alcuni depuratori consortili.  Il costo gestionale però  sta ancora limitandone la diffusione. La tecnica di filtrazione su membrana è,dal punto di vista gestionale, di più facile applicazione e gestione, rispetto per esempio ai sistemi di ossidazione avanzata. Questi ultimi se non correttamente condotti e gestiti possono portare alla formazione di intermedi di reazione più tossici dei prodotti di partenza.  Sono comunque sistemi utilizzati. Si possono utilizzare per questa tecnica anche le lampade uv, che però trovano maggior impiego per le disinfezione finale delle acque già sottoposte a sedimentazione finale, prima dello scarico nel corpo idrico. Questo perché uno dei principali fattori limitanti delle lampade uv, è la riduzione della capacità ossidativa delle lampade, a causa di problemi di sporcamento delle stesse.

L’adsorbimento su appositi materiali, quali filtri a carboni attivi è, nel settore del trattamento acque ancora uno dei maggiormente usati, sia nel trattamento delle acque reflue, sia in quello delle acque destinate al consumo umano. I filtri a carboni attivi riescono ad eliminare microinquinanti sia inorganici che organici,quali metalli pesanti,insetticidi e altri fitofarmaci.

Per quanto riguarda gli inquinanti emergenti nel settore delle acque destinate al consumo umano, l’attenzione nel tempo è stata focalizzata sia sui prodotti  intermedi della disinfezione, sia su inquinanti derivanti da particolari situazioni ambientali.

Nel primo caso si può citare il problema dei cloriti. I cloriti sono prodotti intermedi che si originano nel trattamento delle acque destinate al consumo umano con biossido di cloro, per garantirne la purezza microbiologica al punto di erogazione.  Se l’approvvigionamento  di acqua per uso potabile non viene effettuato da pozzi o da acque sorgentizie, ma da acque superficiali, questo tipo di trattamento è indispensabile, soprattutto se la rete di distribuzione è particolarmente estesa.

Ma i cloriti sono sospettati di poter produrre problemi di anemia nei bambini, e disordini nel sistema nervoso. Per questa ragione, in un primo momento il limite di questi composti nelle acque potabili era stato fissato a 200 microgrammi/litro. Ma ci si è accorti molto presto che era un valore troppo basso, e che si rischiava di non riuscire ad effettuare un’adeguata disinfezione dell’acqua. Giova ricordare che se l’acqua non è disinfettata adeguatamente può essere veicolo di problemi sanitari piuttosto gravi, quali colera, tifo, varie patologie dissenteriche di origine batterica. A seguito di verifiche effettuate dall’Istituto superiore di sanità, questo limite è stato innalzato al valore di 700 microgrammi/litro dal decreto del Ministero della salute del 5 settembre 2006, modificando il precedente valore di 200 microgrammi inserito in origine nel decreto legislativo 31 del 2001.

Le modifiche di questi valori di parametro, ovviamente seguono l’evoluzione delle ricerche e degli studi effettuati da diverse organizzazioni, prima fra tutte l’Organizzazione Mondiale della sanità. Le indicazioni sono poi di norma recepite dalle normative europee, e da quelle italiane.

Acqua_potabile

L’altro problema dovuto ad un inquinante, che forse non si può definire emergente in senso stretto, ma che ha avuto molto risalto  è quello dell’arsenico. Problema particolarmente grave nella zona di Viterbo, ma anche in altre zone d’Italia. E su questo problema occorre fare chiarezza, per diversi motivi.

L’arsenico che si può trovare nelle acque destinate ad uso potabile, può derivare da inquinamento ambientale, o da dissoluzione naturale . In Lombardia concentrazioni significative di Arsenico si possono riscontrare per esempio nella zona nord della provincia di Varese e nelle zone di Cremona e Mantova.

La tossicità dell’Arsenico, e gli effetti negativi sulla salute sono ben noti da tempo. L’ingestione di acqua contenente arsenico può provocare gravi patologie, quali cancro a pelle, polmoni, fegato, effetti neurotossici, iperpigmentazione.

Le acque inquinate da Arsenico possono subire opportuni  trattamenti. Le forme principali dell’Arsenico solubilizzato sono quelle ossidate  di arseniati (As+5) o ridotte di arseniti (As+3).

Si può quindi rimuovere l’arsenico con vari processi

-Coagulazione/precipitazione  con  coagulanti quali solfato di alluminio, solfato ferrico, cloruro ferrico. Questi processi necessitano di una preossidazione alla forma As+5

. In assenza di questa fase il rendimento che solitamente è pari al 90% si riduce drasticamente fino al 10%. Uno degli svantaggi di questa tecnica è la produzione di fanghi di risulta che necessitano di essere poi avviati allo smaltimento.

– Ossidazione , principalmente con ozono, cloro,permanganato di potassio, che permettono di ottenere rendimenti di rimozione fino al 95%. In questo tipo di processi non risultano controindicazioni evidenti. Occorre ovviamente procedere con molta cura ed accuratezza alla gestione del processo per evitare il rilascio di sottoprodotti di reazione.

– Processi di adsorbimento su vari materiali quali idrossidi di ferro, allumina attivata. Questi processi prevedono controlli per verificare la necessità di rigenerazione dei letti di filtrazione. Gli idrossidi di ferro sono meno influenzati dallo stato di ossidazione dell’Arsenico, mentre l’allumina ha maggiore affinità per la forma  arseniato rispetto all’arsenito, che necessita anche in questo caso di preossidazione. I rendimenti di rimozione sono dell’ordine del 90-95%.

– Scambio ionico con resine sintetiche anioniche caricate “forti”, che riescono a rimuovere solo le specie ioniche dell’As+5 ma non quelle dell’As+3 perché non caricate. I problemi gestionali  di questa tipo di tecnica sono principalmente lo sporcamento (fouling), la presenza di ioni competitivi, il rilascio di eluati.

Anche in questo caso il rendimento di rimozione può arrivare al 90%.

-Processi di ultrafiltrazione a membrana, che devono però essere preceduti  da precipitazione.  Questi processi non richiedono una fase preossidativa, anche se risultano maggiormente efficaci sulla forma ossidata dell’Arsenico. Si possono verificare problemi di incrostazione in presenza di acque dure, ed intasamenti in caso di presenza di sostanze colloidali.

Per concludere si può dire che la risorsa acqua, che diventa ogni giorno più scarsa, soggetta ad inquinamenti di vario tipo, necessita di adeguate politiche di gestione e tutela.

Che è necessario che gli addetti , ma anche i semplici cittadini si rendano conto di quelle che sono le problematiche per la gestione di questo bene prezioso.

E che la chimica svolge un ruolo importante e fondamentale in questo settore. Non soltanto fornendo prodotti per il trattamento, ma anche fornendo le basi fondamentali per la conoscenza dei processi che riguardano la risorsa acqua.

Ed insieme agli aspetti di chimica delle acque, occorre porre molta attenzione agli aspetti  riguardanti e contaminazioni e  i processi biologici e biochimici delle acque. Non dimenticando quelli che possono essere i problemi di altri inquinanti emergenti  attinenti alla biologia, quali la giardia lamblia.

acquabenecomune

L’acqua va gestita, va difesa e non deve essere sprecata. Ma bisogna che sia conosciuta, per evitare che anche in questo ambito la tecnologia e la scienza siano soppiantate dalle ormai onnipresenti bufale.

Questo è uno dei compiti più importanti a cui ci dobbiamo applicare.

per saperne di più:

http://www.europarl.europa.eu/news/it/news-room/content/20130701IPR14760/html/Acque-di-superficie-nuove-sostanze-chimiche-da-monitorare

http://www.acqualab.it/innovazione/files/20080522-Verlicchi-Dondi-LARA_H2O.pdf

http://www.greenreport.it/news/acqua/inquinamento-delle-acque-i-nuovi-standard-di-qualita-ambientale-dellue/

http://it.wikipedia.org/wiki/Acqua_potabile

*Mauro Icardi e Valentina Furlan sono tecnici di laboratorio in una azienda che si occupa di gestione integrata della acque in provincia di Varese.

Felice Ippolito

a cura di Gianfranco Scorrano, ex presidente SCI

Nasce a Napoli il 16 novembre 1915. Si laurea nel 1938 in ingegneria civile ma indirizza poi la sua carriera verso la geologia: nel 1948 ottiene la Libera Docenza e nel 1950 la cattedra di Geologia Applicata presso l’Università di Napoli

Come racconta Paoloni, Ippolito, convinto che in Italia potessero esserci buone quantità di uranio, per i suoi studi geologici interpellò il fisico Edoardo Amaldi che gli fornì alcuni contatori Geiger e lo  mise in contatto con il fisico Giuseppe Bolla, che lavorava nel  CISE,  di cui Ippolito divenne poi consulente esterno. Il Centro Informazioni Studi Ed Esperienze (CISE) di Milano  finanziato dai colossi elettrici Sade, Edisonvolta, Fiat, Falck, etc, aveva come direttore l’ing. De Biasi, amministratore delegato della Edison. La speranza, come riporta  Roberto Renzetti, sia di Ippolito che del CISE, era quella di ottenere il supporto  del Governo per ricerche nucleari. Tuttavia De Gasperi, allora capo del governo, era abbastanza insensibile ai temi della ricerca.

Si sperava anche sull’appoggio del Consiglio Nazionale delle Ricerche, guidato da Francesco Giordani. Giordani, che era stato a capo dell’IRI, ed aveva conoscenze nel campo industriale, identificò Pietro Campilli, ministro dell’Industria nel De Gasperi-7, con cui condividere l’idea di creare un ente, diverso dal CNR, che potesse dedicarsi a ricerche nucleari. Campilli nel 1951 si recò

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I professori Felice Ippolito e Edoardo Amaldi

a Milano per visitare i laboratori del CISE: era accompagnato da un consulente esterno del CISE, Felice Ippolito e dal padre di Felice, Girolamo, che era Presidente delle Acciaierie Terni.

Convinto della serietà delle ricerche , Campilli decise di spingere per la realizzazione del progetto di Giordani : piuttosto che puntare su un Ente, che per essere creato necessitava di una legge, decise di creare invece un Comitato, che si occupasse di ricerche nucleari, senza finanziamenti stabili, che certamente sarebbe passato senza particolari problemi.

Così, il 26 giugno 1952, su decreto del Presidente del Consiglio, di concerto con il Ministro dell’Industria e di quello della Pubblica Istruzione, nacque il Comitato Nazionale  per le Ricerche Nucleari (CNRN), triennale, presidente Giordani e tra i componenti anche Ippolito, che essendo il più giovane venne indicato come segretario. Nel triennio, il CNRM, partito come centro di finanziamento per  la ricerca applicata (CISE) e per quella fondamentale (Istituto Nazionale  di Fisica Nucleare, INFN) lottò per vedere meglio riconosciuto il proprio ruolo, a partire da una appropriata legge, cominciando anche ad assumere  molti tecnici dal CISE. Venuto a scadere il comitato, nell’agosto del 1956, Giordani dette le dimissioni, sperando di accelerare le auspicate procedure legislative di modifica del comitato già scaduto. Ippolito fu nominato segretario generale, più per altro per liquidare le attività del CNRN. Invece, Ippolito, nei sei mesi trascorsi tra le dimissioni di Giordani e la nomina del nuovo presidente (Basilio Focaccia, eletto a fine agosto 1956), potenziò il CNRN assumendo persone (in particolare tecnici del CISE) e iniziando campagne giornalistiche per far pressione sul governo affinchè si impegnasse nella politica nucleare.

Nell’inverno del 1956/57  le Edison chiese al governo italiano la “garanzia di cambio” per il prestito che intendeva concludere con l’americana Eximbank per la costruzione di una prima centrale nucleare in Italia. La garanzia di cambio prevede che la differenza tra il valore del dollaro, nel momento in cui vengono pagate, nel corso di 15-20 anni, le rate di restituzione, ed il valore del dollaro all’atto di stipulazione venga pagata dallo Stato, mentre il beneficiario paga sempre e soltanto il valore iniziale. L’intervento di Ippolito presso il ministro dell’Industria del tempo, il liberale Cortese, convinse quest’ultimo a negare la garanzia del cambio. Naturalmente questo rese Ippolito, già  inviso alla Edison per la sua attività verso il CISE, il nemico n.1 per gli industriali elettrici.

La legge 11 agosto 1960 n.933, una legge stralcio, sanciva finalmente la nascita di un nuovo ente, il Comitato Nazionale Energia Nucleare (CNEN) destinato a subentrare al comitato CNRN: come detto una legge stralcio, che anche conteneva, oltre al finanziamento del piano quinquennale  (80 miliardi)anche il poco razionale fardello di dover provvedere ai finanziamenti per la ricerca fondamentale in fisica nucleare (leggi INFN).

L’attività del CNEN prosegue sotto il coordinamento del segretario generale Ippolito fino a condurre alle tre centrali nucleari di Latina, Garigliano, e Trino Vercellese che, quando in attività nel 1963-1964 produrranno fino al 4,3% della produzione totale di energia elettrica in Italia. Con  ciò l’Italia si collocava al terzo posto al mondo occidentale (dopo Stati Uniti e Gran Bretagna) per produzione di energia elettronucleare.

Agli inizi del 1963 Ippolito viene nominato consigliere dell’ENEL. Sembrò una nomina convincente essendoci il problema di conciliare l’attività del CNEN e quella dell’ENEL. Tutti i consiglieri dettero le dimissioni dalle cariche che occupavano, compreso Ippolito per quanto riguarda la cattedra di geologia applicata, occupata presso l’Università di Napoli. Non si fece parola della sua posizione presso in CNEN, peraltro arcinota a tutte le autorità che ebbero la responsabilità della scelta.

Ippolito prese l’iniziativa di dare le dimissioni da segretario generale del CNEN, facendosi però subito riassumere quale consulente, con lo stesso compito e la stessa retribuzione, eliminando solo formalmente il rapporto d’impiego (Mario Silvestri,Il costo della menzogna,Einaudi, 1968).

Il segretario del partito socialdemocratico, Giuseppe Saragat, di ritorno da una visita probabilmente di propaganda elettorale in vista delle elezioni presidenziali di lì a poco in Italia, dettò all’Agenzia Democratica, di proprietà del PSDI, una nota in cui si sosteneva:1) che l’ENEL era quanto di meglio si potesse avere sul piano organizzativo e produttivo, mentre il CNEN amministrava in modo disinvolto i soldi che lo Stato gli passava; 2) che la costruzione di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica era assimilabile alla costruzione di una segheria con l’intento di produrre segatura.

Il 29 agosto, il settimanale democristiano Vita pubblica un articolo dal titolo Il dossier nucleare sul tavolo di Leone, un dossier, si dice, preparato da 4 senatori democristiani,che poi in udienza dichiararono di averlo solo firmato: provenienza, ufficio studi della Edison. In esso si insiste su due punti:la copertura con i finanziamenti del secondo piano quinquennale di vicende del primo piano quinquennale; e la vicenda di una società, la Archimedes per la costruzione dell’impianto Eurex. La Archimedes era una società fondata nel 1960 da varie persone tra cui lo stesso Ippolito e suo padre. Ippolito si era dimesso dalla società nel 1962.

Sabato 31 agosto il ministro democristiano Togni (Industria) emise un comunicato con il quale Ippolito era dichiarato sospeso dal suo incarico al CNEN. Il 14 ottobre il consiglio di amministrazione dell’ENEL sostituì il nome di Ippolito.

Il 6 settembre il Procuratore Generale della Repubblica di Roma chiese copia della relazione della commissione di indagine istituita da Togni e copia del dossier preparato dai 4 senatori DC.

Il 4 marzo Ippolito venne arrestato, condotto a Regina Cieli e accusato di otto capi di imputazione tra cui falso in atto pubblico, peculato, interesse privato e abuso in ippolito2atti di ufficio.  La sentenza, letta il 29 ottobre 1964, condannò Ippolito a 11 anni e 4 mesi di reclusione. La pena sarà ridotta in appello (4 febbraio 1966) a cinque anni e tre mesi. In attesa del ricorso in Cassazione (poi respinto), Ippolito fu messo in libertà provvisoria  e nel maggio 1968 venne graziato da Giuseppe Saragat, allora Presidente della Repubblica.

Ippolito  riprese l’attività professionale, assumendo, nell’ottobre 1968, la direzione della rivista Le Scienze, edizione italiana di Scientific American ( che mantenne fino al dicembre 1995). Il 1° nov. 1970, tornò all’insegnamento come ordinario di geologia presso la facoltà di scienze dell’Università di Napoli. Alla fine degli anni Settanta riprese a occuparsi di energia, sollecitato in particolare da alcuni dirigenti del Partito comunista italiano (PCI), nelle cui liste fu eletto come indipendente al Parlamento europeo il 10 giugno 1979 e riconfermato il 17 giugno 1984 per la IV circoscrizione.

Nel corso di due legislature l’Ippolito assistette, con amarezza e irritazione, al progressivo affermarsi in Europa di orientamenti contrari all’impiego dell’energia nucleare.  Contrariato dall’opzione antinucleare del PCI se ne distaccò e aderì quindi al Partito repubblicano italiano, della cui direzione nazionale fece parte e nelle cui liste venne candidato, senza successo, alle elezioni europee del 18 giugno 1989.

Ippolito coprì varie cariche in commissioni e comitati scientifici. Morì a Roma il 24 apr. 1997.

Per saperne di più

Giovanni Paoloni, Ippolito e il nucleare italiano, Le Scienze,aprile 2005, pag 74-83

Roberto Renzetti, La storia di felice Ippolito, Fisicamente in

http://www.fisicamente.net/SCI_SOC7index-1838.htm

Giuseppe Sircana, Felice Ippolito, Dizionario Biografico degli Italiani,  Volume 62 (2004)

Emissioni di CO2 e centrali a carbone

a cura di Luigi Campanella, ex presidente SCI

Leggo nel Bollettino dell’Energia del 31 dicembre due notizie che non possono non suscitare preoccupazione.mitigando i sentimenti di speranza che altre notizie circolate  durante l’anno appena chiuso avevano indotto
Secondo i nuovi dati del Global Carbon Project, le emissioni globali di anidride carbonica dai combustibili fossili sono destinate ad aumentare ancora nel  bilancio conclusivo 2013 raggiungendo un livello record di oltre 36 miliardi di tonnellate. Un aumento di circa il 2,1 % atteso per l’anno in corso, vorrebbe dire che le emissioni globali dalla combustione dei combustibili fossili sarebbero al +61 % rispetto ai livelli del 1990.

fig_6_FossilFuel_and_Cement_emissions_300

(http://www.globalcarbonproject.org/carbonbudget/13/hl-compact.htm)
Lo scorso anno, i maggiori contribuenti alle emissioni di combustibili fossili sono stati la Cina con il 27 %, gli Stati Uniti 14 %, l’Unione Europea (10 % ) ed India ( 6 % ). L’aumento previsto per il 2013 arriva dopo un simile aumento del 2,2 % nel 2012. Le maggiori quantità di emissioni sono dal carbone (43 per cento) , poi dal petrolio ( 33 per cento ) , gas ( 18 per cento ) , ed altri . La crescita del carbone nel 2012 rappresentavano il 54 per cento della crescita delle emissioni dei combustibili fossili. Le emissioni cumulative di CO2 dal 1870 dovrebbero raggiungere le 2015 miliardi di tonnellate nel 2013, con il 70% delle emissioni causate dalla combustione dei combustibili fossili e il 30 per cento dalla deforestazione ed altri cambiamenti di uso del suolo.
La seconda notizia riguarda la Germania, il Paese guida dell’UE.Ultimamente, la Germania ha approvato la sua prima centrale elettrica a carbone degli ultimi otto anni che è già in esecuzione, ed ha effettivamente approvato un totale di dieci nuovi impianti a carbone, che dovrebbero entrare in funzione nei prossimi due anni, aumentando la capacità a base di carbone del paese del 33%.
Oggi l’energia mondiale dipende  per circa un quarto dal carbone (in Italia un po’ meno:intorno al 17%),ma questo valore è molto più alto negli S.U. se si considerano anche le  conversioni  del carbone in combustibili liquidi.Nel tempo si è prodotto per degradazione biochimica di grossi alberi cresciuti in un’era caratterizzata da clima molto favorevole.Nel tempo la composizione del carbone è variata arrichendosi in carbonio e perdendo ossigeno.

fig_35_global_carbon_cycle

Il carbone, oltre ad essere stato uno dei simboli della rivoluzione industriale, lo è stato anche dell’inquinamento ambientale,non in relazione all’effetto serra,ma a tutti i composti ed elementi che, presenti nella sua composizione,vengono-all’atto della combusrtione-rilasciati nell’ambiente. Il carbone indubitabilmente deriva dal mondo vegetale da cui ha avuto origine e contiene nella sua matrice anche tracce di altri elementi minerali naturali, compresi l’arsenico e il mercurio, che sono pericolosi se fossero rilasciati in quantità significative nell’ambiente. Come tutti i materiali naturali, anche il carbone contiene tracce di uranio e altri isotopi  radioattivi naturali; Il carbone minerale, contiene sempre, oltre allo zolfo, anche piccolissime porzioni/tracce di metalli pesanti (quali nichel, cadmio, vanadio, piombo, mercurio, cromo e arsenico) e di alogeni, in particolare fluoro, cloro e loro composti.

http://stopcarbone.wwf.it/cosa-facciamo-noi/impatti-carbone-ambiente/item/45-impatti-carbone-salute.html 

SO2

NOX

PM

CO2

EMISSIONI SPECIFICHE

mg/kWh

mg/kWh

mg/kWh

g/kWh

Centrale a carbone USC

280

420

71

770

Centrale a ciclo combinato a gas (CC)

2

95

1

368

Le leggi in vigore nei Paesi avanzati: USA, Giappone, Europa, sono molto restrittive in tal proposito e debbono essere strettamente osservate per poter esercire  centrali a carbone,ma il rischio permane in assenza di rispetto di tali norme e comunque si deve tenere conto della qualità ambientale del carbone di alimentazione.Per tutto ciò anche il carbone- come il nucleare-è stato al centro di accesi dibattiti e confronti fra oppositori e sostenitori ed è stato lo stimolo all’innovazione tecnologica per sistemi adeguati  e sempre più avanzati di purificazione e filtraggio.