Il 5 febbraio si sono svolti a Roma, al Tempio di Adriano in piazza di Pietra, gli Stati generali contro lo spreco alimentare, in occasione della prima Giornata nazionale contro lo Spreco alimentare. Il min. Orlando ha istituito un gruppo di lavoro che è coordinato dal presidente di Last Minute Market Andrea Segre’, docente all’Universita’ di Bologna e promotore della campagna europea ‘Un anno contro lo spreco’, e di cui fanno parte Susanna Tamaro, scrittrice, Vincenzo Balzani, scienziato, Maite Carpio, regista, Giobbe Covatta, artista. Questo che segue è l’intervento di Vincenzo Balzani.
a cura di Vincenzo Balzani, membro dell’Accademia dei Lincei
Buongiorno, grazie prof. Segré per la presentazione, ringrazio anche il ministro Orlando per avermi chiamato a far parte del gruppo di lavoro antispreco e per l’invito a presentare oggi alcune mie riflessioni, di carattere generale, sull’argomento.
Globalmente, l’obiettivo che vogliamo, che dobbiamo imporci è la sostenibilità, cioè il poter continuare a vivere su questo pianeta, noi e le prossime generazioni.
Al fine di raggiungere questo obiettivo, per prima cosa bisogna sapere come è fatto e come funziona il mondo. Sembra quasi che molti, particolarmente fra gli economisti, non l’abbiano ancora capito bene, anche se si tratta di un ragionamento semplice, che si può condensare in quattro punti:
1. Il pianeta su cui viviamo è una specie di astronave che viaggia nell’universo con 7 miliardi di passeggeri; nessuno se ne può andare, dobbiamo vivere tutti assieme su quel 30% di superficie del pianeta che è costituito da terra.
2. Fatta eccezione per l’energia che arriva con continuità dal Sole, non possiamo sperare di ricevere altri aiuti dall’esterno.
3. Le risorse che abbiamo sulla superficie del pianeta o nelle miniere sono limitate.
4. Le risorse, quando vengono usate, si consumano e vengono trasformate in rifiuti.
Basta meditare pochi minuti su questi concetti per capire che non possiamo permetterci il lusso dello spreco.

Per decenni, prima della crisi attuale, siamo stati così abituati alla crescita economica da non riuscire ad immaginare possibili alternative. Ancora oggi certi economisti teorizzano il ritorno ad una “crescita” basata sul continuo aumento dei consumi, senza capire che è scientificamente assurdo, oltre che in contrasto col comune buon senso, pensare ad una crescita infinita in un sistema, come la Terra, che ha risorse “finite” e capacità limitate di accogliere rifiuti.
Purtroppo, ormai, molti danni sono stati fatti e la situazione in cui ci troviamo è critica: la possiamo riassumere con una frase di un grande filosofo, Hans Jonas: “ … è lo smisurato potere che ci siamo dati, su noi stessi e sull’ambiente, sono le immani dimensioni causali di questo potere ad imporci di sapere che cosa stiamo facendo e di scegliere in quale direzione vogliamo inoltrarci”. E’ una frase che riassume il passato (ci siamo dati uno smisurato potere con conseguenze immani), stabilisce il compito che ci assegna il presente (dobbiamo imporci di sapere cosa stiamo facendo) e ricorda che siamo gli artefici del nostro futuro (dobbiamo scegliere in che direzione andare).
Per vivere, in senso puramente materiale, dobbiamo usare risorse. Abbiamo bisogno di cibo, acqua, aria, energia, terreno coltivabile, metalli, ecc., e anche di un ambiente non inquinato e di un clima favorevole, ecc. Tutte queste cose, tutte queste risorse sono fra loro collegate, e tutte sono importanti. Ma ce n’é una che è più importante delle altre: l’energia. Per fortuna è anche l’unica risorsa che ci arriva dall’esterno, dal Sole, che continuerà ad inviarci energia per più di quattro miliardi di anni.
L’energia è la risorsa più importante per l’umanità perché tutte le altre risorse dipendono da quale energia usiamo e da quanta energia è disponibile. Cibo ed energia sono fortemente collegati. Facciamo un esempio: National Geographic ha valutato che per far crescere un vitello fino a farlo diventare una mucca di 5 quintali sono necessari 6 barili di petrolio. Forse che la mucca mangia petrolio? No, ma mangia prodotti dell’agricoltura, che si ottengono con una serie di operazioni (arare, seminare, fertilizzare, raccogliere, trasportare, ecc.) che vengono compiute con macchine agricole alimentate con combustibili fossili. A conti fatti, per ottenere le 1600 kcal contenute in un kg di carne bovina servono 40.000 kcal di combustibili fossili. In pratica, quindi, mangiando una bistecca è come se “mangiassimo” petrolio. Per rendere il paragone meno crudo, diciamo che mangiando una bistecca “consumiamo” petrolio. Qualcuno può dire: che problema c’è se per mangiare consumiamo petrolio? Come molti sanno, di problemi ce ne sono due: il primo è che il petrolio e gli altri combustibili fossili sono risorse limitate, non rinnovabili, in via di esaurimento; il secondo è che usando il petrolio e gli altri combustibili fossili inquiniamo l’ambiente, danneggiamo la nostra salute e provochiamo il riscaldamento del pianeta, con conseguenti cambiamenti climatici. E’ chiaro, quindi, che c’è una stretta connessione fra energia, cibo, salute ed ambiente.
Lo spreco alimentare non è legato soltanto al cibo che non viene utilizzato, ma anche, e forse di più, alla dieta che si adotta. Un kg di grano ha un contenuto energetico di 3500 kcal, fornite per ¾ dall’energia del sole e per ¼, 800 kcal, da combustibili fossili. Come abbiamo visto, per ottenere 1 kg di carne bovina servono non 800, ma 40.000 kcal di combustibili fossili, cioè 50 volte quella necessaria per ottenere 1 kg di grano. La differenza fra grano e carne, poi, non sta solo nella differente quantità di energia consumata per produrli, ma riguarda anche il terreno e l’acqua. Si stima, infatti, che per aumentare di 1 kg il peso di una mucca bisogna nutrirla con 7 kg di cereali. Ciò significa che la produzione di 1 kg di carne bovina richiede l’uso di una estensione di terreno 7 volte più grande di quella necessaria per produrre 1 kg di grano. Oggi circa 1/3 del terreno arabile mondiale è infatti utilizzato per nutrire gli animali. Infine, l’impronta idrica di 1 kg di carne è 10 volte maggiore a quella di 1 kg di grano. Da questi dati e dal fatto che 1 kg di carne fornisce soltanto la metà delle calorie che fornisce 1 kg di grano, si deduce che 1 kcal ottenuta dalla carne richiede 100 volte più energia, 15 volte più terreno e 20 volte più acqua rispetto ad 1 kcal ottenuta dal grano.
E’ chiaro quindi che lo spreco è strettamente collegato alla dieta. Tutti gli esperti, e anche un recentissimo rapporto della United Nations Environment Programme, intitolato Assensing global land use: balancing consumption with sustainable supplì, insistono sul fatto che dovremo mangiare sempre meno carne; potremo continuare ad usarne piccole quantità come condimento per dare sapore ad altri cibi, ma dovremo orientarci sempre più verso una dieta vegetariana. E se in America si insiste, molto anche per ragioni di salute, per instaurare l’abitudine del Meetless Monday, cioè di fare a meno della carne almeno un giorno alla settimana, in Cina il governo fa una intensa campagna per disincentivare l’uso di carne.
C’è molto da fare nel campo dell’educazione alimentare, particolarmente nelle scuole. Quando in una scuola c’è qualche professore che riesce a motivare i ragazzi, si ottengono risultati splendidi. Ad esempio nel liceo classico di Casale Monferrato, dove mi sono recato recentemente per una conferenza, sono stati eliminati tutti i distributori di bevande e di dolci e sono state messe all’interno della scuola delle fontanelle di acqua naturale e gassata, e poi ad ogni studente è stata regalata una bella borraccia, così che tutti bevono acqua, acqua pubblica. Nello stesso liceo hanno attivato una iniziativa nell’ambito della quale gli studenti insegnano ai bambini della vicina scuola elementare i concetti e le buone pratiche della sostenibilità.
Allarghiamo ora lo sguardo su tutte le risorse rinnovabili, cioè quelle risorse che la Terra genera con i ritmi della sua biocapacità, come gli alberi delle foreste, i pesci del mare, l’acqua potabile, il terreno fertile, ecc. La situazione riguardo il consumo di queste risorse si può valutare usando come parametro l’impronta ecologica, definita dall’estensione di superficie terrestre necessaria a coprire le esigenze di un individuo. Facendo parti uguali fra tutti gli abitanti della Terra, ci toccherebbero 1,8 ettari a testa. Se però andiamo a valutare i consumi, troviamo che, in media, ogni abitante consuma come se avesse a sua disposizione non 1,8, ma 2,2 ettari, come cioè se avessimo a disposizione un pianeta più grande di quello su cui viviamo. Questo significa che, in media, stiamo vivendo sopra le nostre possibilità, o meglio stiamo vivendo sopra le possibilità che il pianeta ha di fornirci risorse. Se andiamo a vedere l’impronta ecologica dei cittadini dei vari paesi, troviamo che i cittadini americani hanno un’impronta ecologica di 9 ettari: un piedone enorme! Ma anche i cittadini di tutti gli altri paesi sviluppati hanno impronta ecologica molto superiore a quell’1,8 ettari che toccherebbe, in media, ad ogni persona della Terra. Ovviamente l’impronta ecologica dei cittadini dei paesi poveri è invece bassissima, minore di 0.5 ettari.
I valori dell’impronta ecologica, quindi, oltre ad informarci sul fatto che viviamo al di sopra della capacità che il pianeta ha di fornirci risorse, ci dice anche che ci sono disuguaglianze fortissime riguardo il consumo delle risorse. In qualche modo bisognerà rimediare, perché dobbiamo vivere tutti assieme e se ci sono disuguaglianze troppo forti non si può vivere in pace.
In effetti, oltre che in una situazione di insostenibilità ecologica, viviamo anche in una situazione di profonda insostenibilità sociale. Ci sono disuguaglianze di reddito troppo grandi. In Italia, il 10 per cento delle famiglie possiede il 50 per cento della ricchezza, mentre 9 milioni di persone sono in una situazione di povertà relativa e altri 5 milioni sono in povertà assoluta. Negli USA, accanto ai grandi manager e ai banchieri che guadagnano fino a 1 milione di dollari al giorno (cioè di 10 dollari al secondo!), ci sono 46 milioni di americani (15% della popolazione) che vivono grazie ai buoni pasto (food stamps) forniti dallo Stato. Queste disuguaglianze causano un’insostenibilità sociale ancor più pericolosa della insostenibilità ecologica. Studi recenti dimostrano che i problemi sociali e sanitari di un paese (fra i quali salute mentale, abuso di droghe, basso livello di istruzione, numero di carcerati, obesità, violenza, mancanza di fiducia, scarsa vita comunitaria) sono tanto più gravi quanto maggiori sono le disuguaglianze di reddito nella popolazione. Si noti: non è tanto importante se il reddito, in media, è alto o basso; quello che crea problemi è la disuguaglianza di reddito. Questi studi dimostrano che se in un paese si riduce la disuguaglianza di reddito stanno meglio non solo i poveri, ma anche i ricchi. Purtroppo però la forbice fra ricchi e poveri si va sempre più allargando.

Differenze in uguaglianza dei redditi tra le nazioni del mondo come misurate dal coefficiente di Gini nazionale. Il coefficiente di Gini è un numero tra 0 e 1, dove 0 corrisponde alla uguaglianza perfetta (nella quale tutti hanno lo stesso reddito) e 1 corrisponde alla disuguaglianza assoluta (dove una persona ha tutto il reddito e tutti gli altri hanno reddito nullo)
C’entra tutto questo con lo spreco? Certamente. Perché lo spreco ha molte facce: non è solo ogni abuso nell’utilizzo delle risorse del pianeta; in senso lato, è spreco anche ogni azione che provoca ed aumenta le disuguaglianze. E’ spreco portare a casa due kg di frutta e poi gettarne uno, lasciare aperto il rubinetto dell’acqua, tenere la caldaia al massimo e le finestre aperte, ma anche comprare una macchina di lusso e, ancor più, spendere 10 miliardi di euro per comprare 90 aerei F35; ed è spreco anche il tempo che ci fa perdere una burocrazia inefficiente, sono spreco le pensioni d’oro, ed è spreco occupare simultaneamente decine di poltrone, come recentemente si è visto accadere per alti dirigenti statali.
Torniamo all’energia. E’ la risorsa più importante perché usiamo energia in ogni azione della nostra vita e c’è energia nascosta in ogni oggetto che ci circonda. Ad esempio, si può stimare che per costruire un computer si consuma una quantità di energia pari a quella ottenibile da 240 litri di petrolio. Un computer, quindi, così come un’automobile o una qualsiasi altro apparecchio, non comincia a consumare energia la prima volta che lo usiamo: ne ha già consumata tanta per essere prodotto. Si valuta, ad esempio, che un computer, prima ancora di accenderlo la prima volta, abbia già consumato il 70-80% dell’energia che consumerà in tutto il suo ciclo di vita. Quindi bisogna andar cauti con la pratica della rottamazione. Rottamare un’automobile, col pretesto che consuma troppo e che quindi conviene prenderne una nuova che consuma di meno, in realtà dal punto di vista energetico non è un buon affare, perché con l’automobile vecchia si getta via anche l’energia usata per costruirla. E se i materiali di cui è costituita l’auto rottamata si possono in parte recuperare, l’energia che era stata usata per costruire la macchina non si può recuperare.
Oggi l’energia utilizzata è essenzialmente quella dei combustibili fossili, ma sappiamo che i combustibili fossili sono in via di esaurimento e sappiamo anche che usandoli causiamo danni alla salute e all’ambiente. Quindi, bisogna agire rapidamente su tre fronti: risparmio (che significa non produrre cose inutili e non fare attività inutili), efficienza (che significa usare in ogni caso la minima quantità di energia possibile) e, infine, sviluppo delle energie rinnovabili (solare, eolica, idraulica ecc.).
Risparmio ed efficienza sono il contrario di spreco e sono strategie che devono essere messe in atto ogni volta che usiamo risorse non rinnovabili, come ad esempio i metalli, che sono contenuti nelle miniere in quantità limitate: se li sprechiamo, non ne rimarrà nulla per le prossime generazioni. Per rimediare parzialmente alla scarsità di certe risorse sarà sempre più necessario ricorrere al riciclo (operazione che peraltro richiede l’uso di energia).
In fine, vorrei fare qualche riflessione sulla competizione fra cibo e biocombustibili. Anzitutto è necessario ricordare che ogni ragionamento sulla sostenibilità deve partire da due punti fermi, due dati che non possiamo cambiare: la superficie di terra disponibile, 150 milioni di km2, e la quantità di energia che ci arriva dal sole, in media 170 W/m2.

Circa il 13% del suolo è terreno arabile, poi ci sono pascoli, foreste, ecc. Il terreno coltivabile non si può ampliare più di tanto per vari motivi fra i quali la necessità di conservare la biodiversità e gli ecosistemi che forniscono all’uomo servizi insostituibili per il mantenimento della vita sulla Terra.
Il terreno arabile è oggi oggetto di competizione fra produzione di cibo e di biocombustibili. E’ un problema che ha profondi risvolti etici: per riempire di biocombustibile il serbatoio di un SUV si utilizza una quantità di mais che sarebbe sufficiente a nutrire una persona per un anno. I motivi per i quali si usa terreno fertile per produrre energia sotto forma di biocombustibili sono vari (sussidi agli agricoltori, particolari situazioni locali, ecc). E’ chiaro, però, che dal punto di vista scientifico usare terreno fertile per produrre biocombustibili non ha senso. Semplicemente perché il rendimento della fotosintesi naturale, cioè del processo con cui le piante convertono l’energia solare in energia chimica, è bassissimo: 0.1-0.2%. E’ molto più conveniente allora convertire quei 170 W di energia solare che cadono in media su ogni metro quadrato di terrenonon in biocombustibili, ma in elettricità con i pannelli fotovoltaici, la cui efficienza è del 15-20%, cioè almeno cento volte più alta; poi usare l’elettricità per alimentare motori elettrici, che fra l’altro sono più efficienti dei motori a combustione interna. Non per nulla ci si sta sempre più orientando verso mezzi di trasporto alimentati da elettricità. I pannelli fotovoltaici, poi, non è necessario metterli su terreni fertili, anzi dovrebbe essere proibito farlo. Dovrebbero essere messi sui tetti dei fabbricati o su terreni non coltivati. D’altra parte, non è vero che, come spesso si dice, dovremmo coprire gran parte dell’Italia di pannelli fotovoltaici per produrre l’energia di cui abbiamo bisogno. Si può facilmente calcolare, ad esempio, che per fornire tutta l’energia elettrica di cui il Paese ha bisogno sarebbe sufficiente ricoprire di pannelli fotovoltaici lo 0.8% del territorio, una superficie poco superiore a quella dei tetti e dei cortili dei 700 000 capannoni industriali o commerciali che abbiamo in Italia.

CIASCUN disco nero copre l’area necessaria a produrre TUTTA l’energia elettrica attualmente usata mediante il solo FV; la loro superficie dipende dalla latitudine, essendo minore quanto più fossero posti vicini all’equatore.
In conclusione, è giusto, anzi doveroso, combattere lo spreco di cibo perché in un mondo dove milioni di persone sono sottonutrite sprecare cibo è un’ infamia. E’ necessario combattere lo spreco di cibo anche perché sprecando cibo si sprecano anche energia, acqua e terreno fertile. Infine, è giusto combattere lo spreco perché dietro lo spreco si nascondono quelle disuguaglianze sociali che dobbiamo eliminare o almeno ridurre se vogliamo vivere in pace su questo pianeta.