Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.
a cura di Luigi Campanella, ex Presidente SCI
Recentemente la prestigiosa rivista Environmental Science & Policy ha pubblicato l’articolo scientifico “The contribution of food waste to global and European nitrogen pollution”, a firma di Ugo Pretato e di Bruna Grizzetti, Luis Lassaletta, Gilles Billen e Josette Garnier del Centre National de la Recherche Scientifique e della Université Pierre et Marie Curie di Parigi.
Lo studio individua nella domanda di cibo uno dei maggiori fattori d’immissione di azoto nell’ambiente, con impatti negativi sulla salute umana e sugli ecosistemi. Nonostante il costo economico e ambientale, la quantità di cibo sprecata è assai rilevante. Il lavoro degli autori quantifica la dispersione di azoto nell’ambiente dovuta allo spreco di cibo su scala europea e globale, e ne analizza il potenziale impatto ambientale lungo il ciclo di vita dei prodotti.
L’impronta d’azoto (nitrogen footprint) costituisce uno strumento utile e innovativo per fornire supporto alla decisione nel quadro delle politiche europee di riduzione del carico ambientale di azoto.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’Unione Europea ha introdotto l’ENA, sigla poco conosciuta, ma molto importante, che rappresenta la valutazione Europea sullo stato dell’azoto e quest’anno ha individuato nell’agricoltura anche finalizzata alle produzioni alimentari la maggior sorgente di perdite di azoto come ammoniaca, nitrato e nitrito. In particolare viene evidenziato il peso minore che le produzioni alimentari basate su piante hanno rispetto alle altre, rapporto circa 1: 4. E’ anche stata calcolata l’impronta azoto per singolo cittadino rilevando che al livello dei Paesi Europei c’è notevole disomogeneità con un fattore compreso fra 2 e 4 fra i valori più alti e quelli più bassi. Il consumo di proteine in Europa è circa del 70% superiore alle raccomandazioni dell’organizzazione Mondiale della Sanità, il che indirizza verso la necessità di diete meno proteiche. Anche per i grassi fra il dato reale e l’optimum si registra una differenza di circa il 40% suggerendo anche in questo caso adattamenti dietetici. Su questi aspetti in uno dei prossimi numeri di Chimica e Industria comparirà un articolo con dati assai più dettagliati, dai quali anche emerge che una riconsiderazione delle diete avrebbe come conseguenza virtuosa una riconsiderazione di come utilizzare il terreno coltivabile a favore di minori emissioni di azoto secondo quanto si diceva all’inizio con presumibile conseguenza anche sul piano sociale ed economico da un lato con attenzione alle produzioni più accessibili a tutti e dall’altro alle produzioni che vengono esportate con conseguente vantaggio per la bilancia dei pagamenti. Tali modifiche possono anche rispondere ad un criterio strettamente ambientale: riduzione dell’inquinamento, riduzione delle emissioni di gas serra e dei conseguenti cambiamenti climatici.
Nell’aprile di quest’anno-in accordo con quanto sopra detto- è stato pubblicato dalla stessa Ue un Rapporto speciale che fornisce una valutazione di che cosa accadrebbe se l’ Europa decidesse di fare diminuire il suo consumo di carne e di prodotti lattier-caseario.Il rapporto mostra quanto ridurre carne e latte nelle nostre diete diminuirebbe l’inquinamento azotato nell’aria e nell’acqua,nonchè le emissioni di gas effetto serra, al tempo stesso liberando ampie aree di terreno coltivabile per altri scopi quali l’esportazione o la bioenergia.Nel rapporto viene anche considerata l’indennità malattia derivante dal consumo diminuito di carne.
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