Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.
a cura di Claudio Della Volpe
Se c’è un protagonista della chimica conosciuto anche al grande pubblico ebbene questo è l’acido; l’acido è protagonista anche quando non c’entra nulla o perfino quando sono le basi a fare qualcosa (vi ricordate a Vicenza?”donna ustionata dall’acido soda caustica“); acido è una parola ed un concetto legato alla aggressività, alla corrosione, addirittura ad uno dei sapori fondamentali che siamo in grado di sentire direttamente.
Lo sentiamo con i lati della lingua, con delle papille specializzate.(NdA: in effetti questa nozione, la separazione spaziale del gusto sulla lingua, appare superata dallo sviluppo della fisiologia)
E chi, pur non essendo chimico, di chimica ricorda qualcosa, certamente ricorderà che le proprietà acide corrispondono ad uno ione ben preciso e anche facile da ricordare, indicato per giunta sulle bottiglie di acqua minerale: chiamato ione idrogeno, H+, accapiù, ione idronio, ossonio, idrossonio o semplicemente protone. (E’ vero che ci sono definizioni molto più generali di acido e base, cui ha dato la stura Gilbert Lewis nel 1923, ma in questo post le trascureremo.)
Tuttavia è chiaro che protone nudo non può essere; per un semplice motivo.
Il protone, che è una particella elementare (vedi http://wp.me/p2TDDv-1Cw) , ha un diametro stimato di circa 1.76 femtometri, ossia 1.76 milionesimi di miliardesimo di metro (64000 volte meno dell’atomo di idrogeno) ma ha anche una carica di 1.6×10-19C; applicando l’equivalente della legge di Coulomb, in una forma un tantino più sofisticata, ossia il teorema di Gauss, posssiamo calcolare il campo elettrico corrispondente a queste proprietà.
La carica elettrica è considerata pari al cosiddetto flusso del campo elettrico uscente dall’area superficiale della sferetta protonica; il campo a sua volta è definito come il rapporto fra la forza generata e la carica.
la costante ε0 denominata permittività elettrica del vuoto, quantifica la tendenza del materiale a contrastare l’intensità del campo elettrico presente al suo interno e compare nella legge di Coulomb a denominatore, nel termine costante, è sostanzialmente la “costante dielettrica del vuoto”.
Il suo valore è pari a 8.85*10-12 Farad/metro, dove il Farad è l’unità di misura della capacità dei condensatori.
La superficie del protone è quindi poco meno di 10fm2, 10 quadratini di lato 1fm.
Il flusso totale uscente è quindi 1.6×10-19/8.85*10-12, che diviso per l’area, 10-29m2, corrisponde ad un campo elettrico di 1.8×1021N/C, o moltiplicando numeratore e denominatore per una lunghezza unitaria a 1.8×1021V/m!
Pensate! una differenza di potenziale elettrico pari a 1000 miliardi di miliardi di volt per ogni metro lineare o 1000 miliardi di volt per un solo nanometro!
E’ chiaro che una tale intensità di campo che attrae il protone ed elettroni di altri atomi, produca sfracelli dovunque arriva, rompe legami e ne riforma altri; in parole povere il protone libero non può esistere vicino ad altre particelle atomiche; e quindi si trasforma in uno ione più complesso che seppure indicato come H3O+, in realtà sarà tipicamente ancora più grande: H5O2+ o perfino H9O4+, due cationi che sono comuni in soluzione acquosa acida e che prendono il nome di catione di Zundel e catione di Eigen, dal nome dei due scopritori.

Catione di Zundel

Catione di Eigen
Cationi di queste dimensioni (J. Phys. Chem. B, 2014, 118 (1), pp 278–286 oppure Nature Chemistry 5, 29–35 (2013) doi:10.1038/nchem.1503) “diluiscono” la carica del protone in un volume molto maggiore, con un’area circostante molto più grande diminuendo il flusso del campo elettrico e la sua intensità ad un accettabile (si fa per dire!) 1.1×109 V/m, solo un misero miliardo di V/m, ovvero su un solo nanometro un solo V, che è poi lo stesso valore di ossidoriduzione dell’acqua se si vuole ottenere la sua elettrolisi.
In pratica è “come se” (con una immagine un po’ parecchio approssimata) i voltaggi che usiamo per le ossidoriduzioni fossero efficaci solo sull’ultimo nanometro attorno all’elettrodo e che la soluzione fosse per il resto a potenziale costante.
In conclusione H+ non esiste affatto, a causa della enorme intensità delle forze che scatena in soluzione con il suo mostruoso campo elettrico. Potrà esistere nel vuoto dello spazio e perfino in una fase gassosa diluita, ma non in una fase condensata, come un liquido o un solido; e infatti non ne abbiamo notizia nemmeno nei reticoli cristallini che conosciamo.
C’è un suo stretto parente, che invece è poco conosciuto dalle grandi masse di pubblico, ma silenziosamente presente in molti dispositivi di comune impiego come le pile ricaricabili cosiddette NiMH, o nichel-metallo idruro; ma andate a chiedere anche ad un giovane e baldanzoso studente universitario di ingegneria e quello dovrà fare uno sforzo per ricordare questo nome: ione idruro? Chi era costui?
Si tratta del medesimo protone che ha saturato ad abundantiam i suoi orbitali con ben due elettroni; c’è differenza da H3O+ in cui l’eccesso di cariche positive strizza il volume degli atomi ben oltre la densità dell’acqua (si calcola infatti che il volume parziale molare di H3O+ sia di soli 5.3cm3/mol, in pratica se fosse possibile separarlo avrebbe una densità di oltre 3.5g/cm3, grazie alla elettrostrizione (Y. Marcus, Volumes of aqueous hydrogen and hydroxide ions at 0 to 200 °C, J. Chem. Phys. 137 (2012) 154501); in pratica l’eccesso di carica positiva strizza, comprime la nuvola elettronica: le molecole non sono sfere rigide!
H– è invece un anione ciccione con un eccesso di cariche negative, componente comune nelle atmosfere stellari e nel mezzo interstellare dove funziona come un efficiente assorbitore di radiazione.
Lo ione idruro, a differenza del protone esiste in fase condensata perchè la sua intensità di campo elettrico è molto più bassa, dell’ordine di quella di H3O+, seppure di segno opposto. Lo troveremo come ione puro in composti dove l’altro atomo ha meno capacità di attrare l’elettrone in eccesso, come NaH o KH. Tuttavia mentre lo troviamo in fase solida non possiamo trovarlo facilmente in acqua a causa della sua reattività, dovuta alla sua enorme forza basica, superiore a quella di OH– (e qua rientrano dalla finestra le idee di Lewis sulla basicità, ma noi teniamo duro). Lo troveremo facilmente invece in altri solventi, come gli eteri, ossia molecole del tipo R-O-R, dove R è una catena di tipo idrocarburico, o alchilica come si dice.
Ci sono atomi metallici, in particolare quelli del gruppo del Platino che sono in grado di assorbire facilmente l’idrogeno sotto forma di radicale H•, formando dei composti idruri di tipo covalente; il palladio per esempio ne assorbe qualcosa come quasi 1000 volte il suo volume e quindi potrebbe funzionare da efficiente anche se costoso serbatoio di idrogeno. Comportamento simile hanno altri elementi come il Nickel; oppure composti intermetallici costituiti dal Nickel con alcuni tipi di terre rare, nel rapporto generico AB5. Questi ultimi sono in grado di formare degli idruri con l’idrogeno liberato nelle batterie NiMH e che se no volerebbe via. La parte M della batteria è proprio questo composto intermetallico capace di assorbire l’idrogeno sotto forma di idruro; qui l’idruro è in genere non uno ione, ma solo un atomo polarizzato negativamente in un legame.

Quindi mentre H+ non esiste, H– esiste eccome ed è anche molto utile, ma quasi nessuno (fra i non chimici) lo conosce.
Ma non è il solo ione negativo “strano”; quale ione negativo è più basilare della particella negativa principe della Chimica? Ossia dell’elettrone?
Beh certo direte voi, ma l’elettrone è una particella a carica negativa, mica un vero e proprio anione!
E invece certamente che lo è! può trovarsi “sciolto” in un solvente, esattamente come il protone, ossia legato a qualche molecola di solvente, o come si dice in gergo solvatato.(vedi anche https://ilblogdellasci.wordpress.com/brevissime/la-sai-lultima-sul-sodio/)

L’elettrone solvatato è una specie comune in alcuni solventi poco comuni. Lo si trova in ammoniaca liquida (che non è poi così difficile da ottenere, basta abbassare la temperatura sotto -33°C e assicurarsi che l’ammoniaca sia sufficientemente anidra); se sciogliete sodio in ammoniaca liquida anidra per esempio, un pezzettino piccolissimo, avrete un bellissimo colore blù intenso, che è tipico dell’elettrone solvatato e condiviso con altre soluzioni simili di metalli alcalini, Litio ad esempio.
( http://chemed.chem.purdue.edu/demos/main_pages/9.4.html)
In modo più avventuroso, per esempio tramite un laser UV si riesce ad ottenerlo perfino in acqua, anche se a concentrazioni molto più basse (Phys. Chem. Chem. Phys., 2012,14, 22-34).
A concentrazioni molto elevate (>3M) il colore della soluzione vira verso quello del rame intenso e la conducibilità che eguagliava quella delle soluzioni elettrolitiche normali si alza verso valori da metallo vero e proprio.
Insomma anche l’elettrone solvatato non è così strano; anzi si trova in tutti i cosiddetti Outer sphere electron transpher processes, ossia tutte quelle volte che il trasferimento di un elettrone si effettua fra due specie che rimangono separate durante l’evento di trasferimento, un processo proposto oltre 60 anni da Rudolph Marcus e che domina alcuni processi biologici come il funzionamento delle proteine cosiddette Fe-S.
In effetti la prima osservazione dell’elettrone solvatato fu fatta addirittura nel 1805 da Sir Humphry Davy, una nostra vecchia conoscenza. Ma fu solo cento anni dopo nel 1907 che Charles Kraus propose l’esistenza dell’elettrone libero in soluzione per spiegare quelle osservazioni.
Il dibattito prosegue acceso su quale sia la struttura dell’elettrone solvatato in acqua; qui si scontrano almeno due visioni: l’elttrone solvatato sopravvive in una cavità come si è pensato a lungo oppure le cose stanno diversamente come sostiene qualcuno ed esistono anche componenti attrattive dell’interazione fra elettrone ed altre molecole? (Does the Hydrated Electron Occupy a Cavity?
Ross E. Larsen et al. Science 329, 65 (2010); DOI: 10.1126/science.1189588; Comment on ”Does the Hydrated Electron Occupy a Cavity?”
Leif D. Jacobson and John M. Herbert Science 331, 1387 (2011); DOI: 10.1126/science.1198191; Response to Comments on ”Does the Hydrated Electron Occupy a Cavity?” Ross E. Larsen et al. Science 331, 1387 (2011);
DOI: 10.1126/science.1197884)
Ma c’è da dire che a differenza del protone l’elettrone esiste anche allo stato cristallino come ione; si veda per esempio Dye, J. L. (2003). “Electrons as Anions”. Science 301 (5633): 607–608. doi:10.1126/science.1088103. PMID 12893933.
I materiali che lo contengono in tale forma prendono il nome di elettruri.
Dice Dye:
As is common with organic electrides and alkali metals in zeolites, adjacent electrons form spin-paired dimers or chains. The electrons are mobile enough to yield near-metallic electrical conductivity.
Because only one-third of the trapping sites are occupied, electrons can jump or tunnel from a full site to an empty one, thus avoiding the Coulomb repulsion that prevents double occupancy of cavities in most electrides. No reaction with air and moisture occurs because the small diameter (~0.1 nm) of the connecting channels makes the sites inaccessible at room temperature.
In questa immagine tratta dall’articolo di Science, si vedono le cavità (in color malva) che contengono l’elettrone spaiato.

Insomma la chimica è sempre piena di sorprese, il famoso protone di cui ci parlano dalle medie non esiste libero, se non in casi particolari, mentre lo ione idruro e l’elettrone/anione sono molto più comuni, anche se meno conosciuti ed esistono perfino in materiali stabili a temperatura ambiente.
Questa differenza fra protone ed elettrone che sono entrambe particelle elementari però ci stupisce. Ma perchè poi il protone è così instabile e l’elettrone no? In fondo l’elettrone ha la medesima carica sia pur negativa e un raggio perfino inferiore, quindi una intensità di campo elettrico superiore!
Beh in realtà si potrebbe partire da una ancora più basilare asimmetria; in un precedente post (http://wp.me/p2TDDv-1Cw) abbiamo visto che l’elettrone è un leptone, una particella veramente elementare, mentre il protone è un adrone, formato da un certo numero di quarks (tre per la precisione); questo ci ricorda fra l’altro che la massa del protone è così tanto più alta dell’elettrone (2000 volte ca) da permettere di usare la cosiddetta approssimazione di Born-Hoppenheimer, cioè pensare nell’analisi degli atomi che il nucleo sia fermo mentre solo gli elettroni si muovono effettivamente, cosa che facilita enormemente i conti di MQ.
In effetti non è tanto la massa dei quarks che fa la differenza, ma la loro energia di legame, che tramite la equivalenza massa-energia di Einstein ci spiega perchè la massa del protone è così tanto più alta.
Particelle leggere i quark, ma legate con una forza mostruosamente grande.
Ma nonostante questa basilare differenza noi siamo abituati a considerare in primo luogo che sono entrambe particelle elettriche l’una positiva e l’altra negativa, di carica uguale. Ma allora perchè il protone non esiste in soluzione o nei cristalli e l’elettrone si?
Tutto ciò ci dice qualcosa sulla asimmetria dell’Universo; perchè se è pur vero che l’Universo ha una simmetria profonda, come già abbiamo visto nelle teorie supersimmetriche, tale simmetria si nutre di piccole asimmetrie.
E’ un pò come la bellezza dell’arte che nella simmetria da rapporto aureo dei templi greci nasconde la curvatura delle colonne (una forma che esprimeva la tensione della struttura); è un pò come la statua del David di Michelangelo che ha una gamba flessa in avanti e rappresenta in un certo senso nell’arte il punto di arrivo dell’uomo di Vitruvio, il disegno di Leonardo che sottolinea invece la simmetria del corpo inscrivendolo in un cerchio ed un quadrato; allo stesso modo la differenza fra la stabilità del protone e dell’elettrone ha un senso profondo, che introduce un ruolo dell’asimmetria, nella generale simmetria. (L’amico Mauro Icardi che avete imparato ad apprezzare sul blog, mi dice che questo argomento lo fa pensare al Primo Levi de “L’asimmetria e la vita”(una raccolta di saggi uscita postuma presso Einaudi nel 2002, a cura di Marco Belpoliti).

Le superfici delle cose a livello microscopico sono fatte di elettroni, la parte esterna degli atomi è quindi carica negativamente anche se l’atomo è complessivamente neutro; la repulsione fra le nuvole atomiche è un aspetto dominante del mondo; la impenetrabilità della materia, che pure l’esperimento di Rutherford ci ha dimostrato essere essenzialmente vuota, si spiega proprio con tale repulsione generalizzata.
Le interazioni di tali nuvole elettroniche (che sono anche “diffuse” e quindi poco concentrate e posseggono quindi un campo molto meno intenso del nucleo) con l’elettrone sono molto meno forti che con il protone.
Un protone libero col suo mostruoso campo attrattivo non riesce a rimanere libero, interagisce fortemente con qualunque superficie elettronica vicina e si trasforma in qualcosa d’altro; mentre invece l’elettrone, pur avendo la medesima concentrazione di campo elettrico (o perfino superiore), non genera attraverso la repulsione con le nuvole esterne gli stessi effetti e riesce a sopravvivere in alcuni casi come negli elettruri o in certe soluzioni (e potrebbe perfino avere componenti attrattive in qualche caso).
Non viene prevalentemente attratto, ma prevalentemente allontanato, respinto, sparato via dalla repulsione o, se trova una nicchia (le zone disegnate in malva nella figura di Science), in cui le forze repulsive si eguagliano, può resistere per tempi molto lunghi; e questo avviene negli elettruri.
Gli elettruri sono quindi come la gamba flessa del David di Michelangelo, o la curvatura delle colonne greche, quelle piccole asimmmetrie che rendono il mondo più bello e degno di essere vissuto e nello stesso tempo ci rendono manifesta, almeno per un momento, la struttura profonda dell’universo (o della nostra mente).