Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.
a cura di Benito Leoci
Cominciamo col ricordare che l’energia è anche una merce, sebbene molto strana e atipica. C’è chi la produce nelle varie forme utili, chi la vende e chi l’acquista. E che sia una merce atipica, indefinibile, in altre parole strana, ancora non vi sono dubbi. Infatti non c’è nessuno che la possa produrre, nessuno che la possa consumare, come è ben noto. Tutto ciò che si può fare e si fa in pratica è cercare una fonte bella e pronta (un lago in alto in montagna, un giacimento di petrolio o di gas o di carbone o semplicemente le radiazioni solari, i venti e così via) e utilizzare delle macchine per trasformare la forma energetica individuata (calore, movimento, radiazioni, ecc.) nella forma desiderata atta alla vendita o all’uso. E’ ben noto come l’uso dell’energia, nelle sue varie forme, è indispensabile per svolgere qualsiasi ciclo produttivo. La stessa vita degli organismi viventi, animali o vegetali che siano, non sarebbe possibile senza l’utilizzo di energia. Si può dire quindi che si è in presenza di una merce che può essere considerata la “madre di tutte le merci”. Se poi la vogliamo raffigurare nella nostra mente, l’impresa è impossibile, al contrario di quanto accade per altre merci.
Ma cos’è dunque l’energia? Questa è forse la domanda più insidiosa fra quelle che si possono formulare circa l’energia, alla quale si usa dare una risposta fuorviante che sollecita altri interrogativi: “capacità di un sistema a compiere un lavoro..” Ma da dove viene questa capacità? Siamo al punto di partenza! Le ambiguità connesse con questa “definizione” sono ben note e furono espresse brillantemente più di cento anni fa da Poincarè (1): “Il ne nous reste plus qu’un énoncé pour le principe de la conservation de l’énergie; il y a quelque chose qui demeure constant. Sous cette forme, il se trouve à son tour hors des atteintes de l’expérience et se réduit à une sorte de tautologie.” A complicare le cose ci pensò Albert Einstein con la famosa equazione dell’equivalenza massa–energia (1905), ovvero E = mc2, che, come è noto, non significa che la massa può essere convertita in energia, ma semplicemente che l’energia totale di un sistema può essere calcolata moltiplicando la sua massa per una costante. Qualche anno prima Planck (2) aveva collegato un’altra costante h al valore dell’energia E dell’onda elettromagnetica con la sua frequenza v (E = hν), esposta però per la prima volta dallo stesso Einstein (3). Non ci soffermeremo su questi ultime implicazioni dell’energia in quanto per i nostri scopi è sufficiente il ricorso al concetto classico prima ricordato, sebbene contestato e respinto (4), emerso come conseguenza della scoperta del “principio di conservazione” che può essere considerato come una fondamentale pietra miliare da porre fra le maggiori conquiste del pensiero umano. Una vetta raggiunta solo il 1847, dopo un faticoso, lungo e difficile cammino che aveva visto l’impegno delle menti migliori del genere umano: da Aristotele a Leonardo da Vinci, da Cartesio a Leibniz, a Huygens, a Carnot e così via, via, fino a Helmholtz. Prima di esaminare le implicazioni economiche dell’energia (con le Note 2 e 3) sarà conveniente dare una rapida occhiata allo sviluppo storico dell’idea connessa. Non sarà possibile seguire un preciso ordine cronologico perché, come si sa, le varie scoperte e le diverse teorie spesso si accavallano in un complesso intrigo di avvenimenti che, nell’insieme, formano un quadro eccezionalmente disordinato, molto distante da quello raffigurato sui libri di testo, utilizzati nelle aule scolastiche.
Andiamo indietro nel tempo perché il termine ha radici molto antiche e diamo uno sguardo al movimento filosofico che nel VII e VI secolo a.C. esplose nell’antica Grecia, sulle coste orientali del Mediterraneo. Fino allora, in Europa, in Asia, nelle Americhe, qualsiasi avvenimento naturale (dal fulmine alla pioggia, dai terremoti alle alluvioni, alle eclissi e così via) veniva attribuito alla volontà capricciosa di numerosi Dei. Fra il VII e il VI secolo a.C. invece un piccolo gruppo di persone, aderenti alla cosiddetta Scuola ionica (fra cui Talete, Anassimandro e Anassimene, tutti di Mileto), si mise a pensare in modo diverso e ad esaminare il mondo circostante con uno scopo ben preciso: cercare nel caos apparente un filo conduttore (l’unità nel molteplice, il permanente nel cangiamento). Pensavano costoro che dovevano esserci delle ragioni precise, delle leggi che regolavano i fenomeni naturali, che forse non avevano niente a che fare con gli Dei. In quei luoghi e in quel periodo, con quei primi pensatori nasceva dunque la Scienza moderna.

Talete di Mileto
Per gli antichi greci la parola energheja (ἐνέργεια) significava, come è ben noto, “in azione” (εν-ἐργον) e come tale venne utilizzata dai diversi filosofi, dai presocratici fino ad Aristotele. Quest’ultimo, con energheja voleva intendere la “realizzazione di un certo stato di potenzialità”. Il termine gli serviva per chiarire che la praxis ha caratteristiche ontologiche diverse sia da quelle della kinensis che da quelle dell’attività di Dio che è “energheja pura” (5). Per Aristotele, dunque, è bene ricordarlo, tutto nella natura “è moto e ogni moto presuppone un motore come causa: niente può muovere se stesso. Ciò che si muove è mosso a sua volta e così via via indietro fino al πρῶτον κινοῦν ἀκίνητον (primo motore o motore immobile)” (6). Aristotele poi al termine energia contrapponeva un altro termine, quello di Δύναμις (potenza), altrettanto carico di conseguenze e di significati fisici per noi del XX e XXI secolo. Ora ci si chiede, Aristotele aveva o non aveva dato al termine energheja il significato attribuito successivamente, circa 22 secoli dopo? Non sembra, anche se la tentazione di sostituire la parola “moto” con la parola “energia”, si fa irresistibile, con risultati stupefacenti: vorrebbe dire che tutti i concetti moderni di energia, conservazione della stessa, di entropia, ecc. erano già chiari ad Aristotele. Non sappiamo. Forse hanno ispirato Helmholtz, ma non sappiamo nemmeno questo. Questo gioco delle sostituzioni però non è nuovo ed è stato ripetuto anche per le affermazioni di altri filosofi. Il più noto riguarda Empedocle, per il quale, come è noto, le radici di tutto erano rappresentate dalla terra, l’acqua, l’aria e il fuoco, unificando così il pensiero di altri filosofi (Talete, Anassimene ed Eraclito). Effettuando le sostituzioni opportune e ribattezzando gli elementi in base alle loro caratteristiche scopriremmo che già i presocratici avrebbero classificato la materia secondo i suoi tre stati fondamentali (solido, liquido e gassoso), così come si ritiene attualmente. Anzi, se pensiamo che con la parola “fuoco” volessero intendere “energia”, le idee di Empedocle sarebbero di un’attualità impressionante. Ma non è così. L’analisi approfondita del pensiero e delle opinioni dei vari filosofi dell’antica Grecia porta alla conclusione che le idee possedute sull’argomento erano vaghe e molto lontane da quelle attuali.

Statua di Aristotele a Calcide
L’esame di tutti i filosofi dei secoli successivi non ci rivela nulla di più a questo riguardo anche perché le idee di Aristotele dominarono incontrastate per oltre un millennio. Per trovare le prime novità dobbiamo dunque risalire nel corso dei secoli, per giungere fino all’età rinascimentale (15-16° secolo d. C.), caratterizzato, come è noto, da una forma di indagine che andava sotto il nome di “magia”, connessa con l’alchimia e l’astrologia. Naturalmente nel Rinascimento l’indagine della natura era sollecitata anche dai bisogni sociali e politici. L’attività industriale e l’uso delle risorse naturali iniziava a svilupparsi senza soste, spinte dall’aumento delle popolazioni e dalle grandi scoperte geografiche. In questo clima si sviluppò l’opera di Leonardo da Vinci, di Galileo, di Cartesio e di altri.

Leonardo da Vinci (1452-1519) era convinto, in piena conformità con quella che era l’intuizione centrale del meccanicismo, che “il moto è la legge universale della natura e che al moto è riconducibile ogni manifestazione delle energie fisiche, della luce, del suono, del magnetismo”. Del principio di inerzia diede un’enunciazione assai vicina a quella moderna (“ogni moto naturale e continuo desidera conservare suo corso per la linea del suo principio …”) (7). Le osservazioni di Leonardo rappresentano un altro passo verso l’intuizione dell’esistenza di “una qualche cosa” chiamata poi energia.
Con Galileo Galilei (1564-1642), come è ancora ben noto, la meccanica diventa la scienza tipica, la “nuova scienza”, sicchè la realtà naturale viene assimilata ad un vasto meccanismo. L’universo viene concepito come un’immensa macchina il cui funzionamento si doveva scoprire attraverso il calcolo (8). Un altro piccolo passo verso il concetto unificante dell’energia.
René Descartes (1596-1650) a sua volta fece derivare i principi generali della fisica dai principi metafisici ovvero dall’idea di Dio e dei suoi attributi. Poiché Dio è immutabile deriva che la quantità della materia esistente nell’universo è costante, non può aumentare, né diminuire. Poiché i mutamenti del mondo fisico sono tutti dovuti al movimento che Dio impresse alla materia nell’atto della creazione, la quantità di movimento è immutabile. La costanza dell’azione divina si manifesta nel permanere d’una cosa nel suo stato di quiete o di moto, sicchè non intervenga una causa esterna a modificarlo (ancora il principio di inerzia) (9). Il moto, dunque, deve essere uno “stato”, anziché un processo e si inizia a credere che il moto, conservandosi, possa essere convertito in calore. Per il lettore di Cartesio il gioco delle sostituzioni si fa di nuovo allettante. Se invece di Dio si pone la parola energia, si ottengono concetti molto vicini a quelli attuali.

L’idea di Cartesio circa il movimento furono ben presto revisionate da Leibniz (1646-1716) che sostituì ad esso il concetto di forza. Non è la quantità di moto che nel mondo rimane costante, bensì la quantità di “forza viva” che è conatus o tendenza all’azione, possibilità di produrre un determinato effetto e quindi mancante al movimento che è semplice spostamento nello spazio (10). La forza viva è la vera realtà dei corpi. Dobbiamo ricordare che a Leibniz (e a Huygens) si usava attribuire il merito di aver introdotto in fisica il concetto di energia in senso moderno. La forza viva sarebbe l’energia cinetica. Questa tesi da tempo non viene più accettata. Per la verità Leibniz usa nei suoi scritti il termine energia ma in contesti totalmente diversi, avendo sempre in mente il significato aristotelico di energheja. Lo stesso può dirsi di Huygens (1629-1695) che si occupò a lungo del problema della conservazione della forza viva, applicando poi il principio alla risoluzione del problema dell’urto (11). Chi si avvicina maggiormente al concetto di energia è Thomas Young (1773-1829), che nel 1807, nelle Lectures on Natural Philosophy, affermava testualmente: “The product of the mass of a body into the square of its velocity may properly be termed its energy. … This product has been called the living or ascending force …(12)”. Young però non aveva, né poteva averla, alcuna idea di conservazione. Ma è evidente che un altro passo importante veniva compiuto.
Quasi contemporaneamente, negli stessi anni, un altro vecchio problema veniva definitivamente affrontato e risolto. Ci riferiamo all’impossibilità del “Perpetuum mobile”, già affermata da Leonardo da Vinci e confermata da Cardano e da Stevinus. Nel 1775 dunque l’Académie des Sciences di Parigi, dopo l’ennesimo esame di numerosi congegni costruiti con la speranza di ottenere lavoro dal nulla, dichiarava ufficialmente ed in maniera definitiva che tali tentativi erano inutili (13). E’ curioso ricordare il testo emesso in quell’occasione: “l’Académie ha approvato quest’anno la risoluzione di non esaminare alcuna soluzione di problemi sui seguenti argomenti: la duplicazione del cubo, la trisezione dell’angolo, la quadratura del cerchio (14) o alcuna macchina per dimostrare il moto perpetuo”.. Secoli di tentativi per realizzare il sogno del moto perpetuo venivano dunque ufficialmente sconfessati per sempre. Non tutti però conoscono questa bocciatura, sicchè i tentativi di preparare macchine che producono movimento dal nulla proseguono ancora.
Nel frattempo vedevano la luce gli studi di Lagrange (1736-1813), matematico italiano, che pubblicava, nel 1788, la fondamentale Mécanique analytique (15), ove riporta le leggi dell’equilibrio e del movimento attraverso una formulazione matematica. Appronta un sistema di equazioni, che posseggono alcune proprietà notevoli (per esempio la loro invarianza rispetto a trasformazioni puntuali arbitrarie), oltre a rappresentare un principio differenziale di energia. Da queste si può dedurre il principio di conservazione della forza viva. Da non sottovalutare l’opera di Gaspard Gustave de Coriolis (1792-1843) che introduceva il fattore ½ nel calcolo della forza viva e definiva il lavoro come il prodotto di una forza per una distanza (16). Occorre anche ricordare le opere di ingegneria teorica di Lazare Nicolas Marguerite Carnot (1753-1823), padre di Sadi Carnot, ove cerca di applicare i concetti di forza viva e di lavoro per spiegare il funzionamento di macchine, considerate come mezzi per la trasmissione dell’attività meccanica (per noi da intendersi come energia) da un corpo all’altro (17). E’ stato messo in evidenza come Lazare Carnot si sia avvicinato molto al principio della conservazione dell’energia e alla definizione del lavoro, pur senza toccarli. Un altro che sfiorò la comprensione del principio di conservazione, senza coglierlo, fu Henry Cavendish (1731-1810), nel momento in cui stava elaborando una formulazione della teoria cinetica del calore. Occorre ricordare a questo proposito che il concetto di energia è anche collegato alla natura del calore che è stata svelata dopo secoli di studi e intuizioni.
Per diversi secoli due teorie, quella dinamica e quella materiale, si erano fronteggiate per spiegare la natura del calore che si sprigiona durante alcune operazioni: segando o perforando un metallo, battendo un chiodo con un martello, nel corso di alcune reazioni chimiche e naturalmente durante le combustioni. Era anche noto che il calore, quasi fosse un fluido, si propagava lungo i metalli ma non lungo altri materiali (legno, vetro, ecc.). La prima teoria, quella dinamica, vedeva come sostenitori Bacone (18), Boyle (19), Bernoulli (20), Sadi Carnot (25), Hooke e Locke, la seconda, quella materiale, annoverava come sostenitori Gassendi (22), Black (21), Laplace, Lavoisier (23), Davy (24). Fino a tutto il settecento entrambe godettero di uguale credito e bisogna giungere a Clausius per vedere trionfare la teoria dinamica in grado di spiegare qualsiasi aspetto o comportamento del calore. Non vi è dubbio che il grande Lavoisier, con l’idea del suo fluido, ovvero il calorico, contribuì non poco a mettere fuori strada gli altri sostenitori. Fra questi certamente Sadi Carnot, fondatore del 2° principio della termodinamica, che si riferì al calore in termini di calorico. Carnot morì comunque molto giovane (durante un’epidemia di colera), sicchè, si pensa, non ebbe il tempo di riflettere. Negli ultimi anni sembra infatti si fosse convertito alla teoria dinamica.
La scoperta del principio di conservazione
Siamo dunque giunti agli anni 1840-50 e le idee per pervenire alla scoperta del principio di conservazione dell’energia e quindi al concetto di energia erano finalmente mature. Nel 1841 J. P. Joule (1818-1889) esponeva la legge che porta il suo nome, sulla produzione di calore sviluppato dal passaggio della corrente in un conduttore. Nel 1843 determinava l’equivalente meccanico della caloria ed enunciava il principio di conservazione dell’energia meccanica, introducendo il concetto di energia cinetica. Joule però, e questo è accertato, non si rese mai conto di aver scoperto il principio della conservazione dell’energia ovvero il fatto che la somma di tutti i tipi di energia in un sistema è costante. Joule a quanto pare sfiorò la vera e propria definizione del principio durante una conferenza dal titolo On Matter, Living force and Heat tenuta nella sala di lettura della chiesa di S. Anna a Manchester, il 18 aprile 1847 (26). In quell’occasione affermava, tra l’altro, che “you see, therefore, that living force may be converted into heat, and that heat may be converted into living force…”. “the same quantitative of heat will always be converted into the same quantity of living force”.
Siamo dunque al 1847 quando la meta venne raggiunta, in maniera del tutto imprevedibile, da un altro giovane scienziato che in quel periodo si occupava prevalentemente di medicina. Il principio venne infatti descritto in tutto il suo significato, in termini matematici, da un medico tedesco, Herman von Helmholtz (1821-1894), in un saggio che è poi passato alla storia (27). Gli studi, le scoperte e le invenzioni di Helmotz, per la loro vastità e versatilità, non mancano di stupire chiunque abbia l’avventura o l’occasione di esaminarli (28). Fra le prime sue intuizioni, aveva solo 26 anni, fu appunto la descrizione del principio di conservazione dell’energia. Principio individuato quando era chirurgo presso lo squadrone degli Ussari a Potsdam e quindi distratto da altri compiti e afflitto da condizioni economiche poco floride. Si ritiene che, al contrario di molte altre scoperte e intuizioni di altri scienziati, questa non fu casuale. Helmholtz si trovava in quel momento ad essere l’unico studioso che combinava in sé tutti i requisiti necessari per pervenire alla formulazione del principio: profonda conoscenza della meccanica, possesso dei principi riduzionistici in fisiologia, abilità matematica, influenza della filosofia di Kant ovvero fede nell’esistenza di forse unificatrici in natura. Studiando, come fisiologo, il metabolismo muscolare, ebbe modo di verificare come durante la contrazione non si ha dispendio di energia, ma solo una sua trasformazione. Da qui l’origine dei suoi studi teorici sulle forze fisiche e la conseguente ben nota formulazione matematica (dUA = dQ – dW).
La legge si applica, come è noto, ai processi relativistici oltre a quelli descritti dalla meccanica quantistica. Si applica ai processi possibili in natura ma anche a quelli impossibili. Nel decennio 1850-60 questa consapevolezza fece del principio di Carnot, l’altra legge, la 2a della Termodinamica (che ebbe però anche altre formulazioni equivalenti). La prima legge implica l’impossibilità del moto perpetuo e la reciproca convertibilità di ogni forma di energia ma che non esclude processi impossibili in natura (macchine del moto perpetuo di secondo tipo). In breve non tiene conto che i processi naturali e spontanei presentano proprietà direzionali. Di quest’ultima si tiene conto in una delle altre formulazioni della 2a legge (quella di William Thomson, noto anche come Lord Kelvin).
Riassumendo, fino alla seconda metà del 19° secolo i concetti fondamentali della fisica erano lo spazio, il tempo, la massa e la forza. Da allora in poi diventano lo spazio, legato in maniera indissolubile al tempo, la massa e l’energia. La formulazione del principio della conservazione condusse alla scienza dell’energetica, ricca di tonalità metafisiche e persino religiose. Al meccanicismo tradizionale, che risolveva ogni fenomeno come forme speciali di movimento, si sostituisce l’energetismo che respinge il concetto di materia, prima contrapponendolo a quello di energia e poi assorbendolo e che guarda tutti i fenomeni fisico-chimici come variazioni di energia e tutte le realtà come manifestazioni di energia. Le masse inerti non sono altro che energia latente. In parole povere, la sensazione di solido che si prova toccando un corpo nasce in realtà dalle forze di repulsione che si manifestano. Nella materia, costituita da atomi, prevale il vuoto, ove agiscono forze di attrazione e repulsione in costante equilibrio. E da ricordare che anche le attività produttive, la stessa economia vengono reinterpretate in chiave energetica, come vedremo nelle prossime note.
Bibliografia
(1) J. H. Poincarè (1902), La Science et l’Hypothèse, Flammarion, Paris.
(2) K. E. L. M. Planck (1900), “Ueber die Elementarquanta der Materie und der Eletricität”, Annalen der Physik, vol. 2.
(3) A. Einstein (1905), “Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt”, Annalen der Physik, vol. 17.
(4) Si veda R.L. Lehrman (1973), “Energy is not the ability to do work”, The Physics Teacher, 1: 15-18. Secondo questo studioso una definizione accettabile, che asseconda contemporaneamente i primi due principi della termodinamica sarebbe: “Energy is a quantity having the dimensiono of work which is conserved in all interactions”.
(5) Si rimanda fra i tanti a F. Rivetti Barbò (1994), Lineamenti di antropologia filosofica, Editoriale Jaca Book Spa, Milano, p. 38 e segg.
(6) Si legga: Aristotele, Metafisica, a cura di C.A. Viano,Torino, Utet, 1974, p. 509 e segg.
(7) M. De Micheli (2008), Leonardo da Vinci. L’uomo e la natura, Feltrinelli, Milano.
(8) Galileo Galilei (1623), Il Saggiatore. Nel quale con bilancia squisita e giusta si ponderano le cose contenute nella Libra, Cap. VI, in Roma appresso Giacomo Mascardi.
(9) “Ciascuna cosa, in quanto è semplice rimane per quanto è in sé, sempre nel medesimo stato, e non è mai mutata se non da cause esterne.” Si veda: R. Descartes (1629-1633), Le Monde ou le traité de la lumière et des autres principaux objects des sens, pubblicato postumo il 1644 ad Amsterdam: Louis Elzevir. Gli studiosi sono concordi nell’affermare che non si può attribuire solo a Cartesio la paternità della scoperta del Principio di Inerzia.
(10) G. W. Leibniz (1686), “Essay de dynamique sur les loix du mouvement, où il est monstrè, qu’il ne se conserve pas la meême quantite de mouvement, mais la même force absolue, ou bien la même quantité de l’action motrice”, Mathematische Schriften, ed. C. I. Gerhardt, 9 vols. in 5 (Halle, 1860), Ser. II, Vol. II, pp. 215-231.
(11) C. Huygens (1667), “De motu corporum ex percussione”, “Appendice I”, in OC, XVI, p. 103 [Hug. 26A, f. 13v] (pubblicata postuma nel 1703).
(12) T. Young (1807), Course of lectures on Natural Philosophy and the Mechanical Arts, volume II, printed for J. Johnson by W. Savage, 1897, London, p. 52.
(13) Cfr. The Sciences in Enlightened Europe a cura di William Clark, Jan Golinski, Simon Schaffer (1999), The University of Chicago Press, Chicago, p. 254; R. Hahn (1969), Anatomie d’une institution scientifique, l’Académie royale des sciences de Paris, Archives contemporaines, Paris, 1969.
(14) La duplicazione del cubo, la trisezione dell’angolo e la quadratura del cerchio, utilizzando solo righello e compasso, costituirono, come è noto, i tre problemi classici della geometria greca. Nel 18° secolo, per risolvere il problema della quadratura del cerchio si era perfino istituito un premio, per cui l’Académie ritenne utile intervenire: “…l’Académie ayant été aux voix il a été décidé que désormais l’Académie ne recevrait ni n’examinerait aucun mémoire qui ait pour objet la quadrature du cercle”. Si veda per maggiori particolari: M. Jacob (2005), “Interdire la quadrature du cercle à l’Académie: une décision autoritaire des lumiéres ?”, Revue d’histoire des mathématiques, 11: 89–139.
(15) J.L Lagrange (1788), Mécanique analytique, Mme Ve Courcier, Paris.
(16) Coriolis introdusse i termini lavoro ed energia cinetica, attribuendo loro un significato simile a quello moderno, nella sua opera maggiore (Du calcul de l’effet des machines, Carilian-Goeury, Paris, 1829, ripubblicato postumo come Traité de la Mécanique des corps solides il 1844”).
(17) Lazare Carnot, Essai sur les machines en géneral, par un officier du Corps Royal du Géne, A. M. Defay, Dijon, 1783. Successivamente, il 1803, estese l’argomento intitolandolo Principes fondamentaux de l’Equilibre et du mouvement.
(18) F. Baconis (1650), De Verulamio, Summi Angliae Cancellarij, Novum Organum Scientiarum, LVGD. BATAV., Ex Officina Adriani Wyngaerden, Anno 1650.
(19) R. Boyle, De Mechanica Caloris, et Frigoris Origne. Experimenta, et Notae Circa Mechanicam caloris Et Frigoris originem, Seu Productionem, LONDINI. Impensis Samuelis Smith ad Insignia. Principis in Coemiterio D. Pauli. (Pubblicato postumo nel 1692).
(20) D. Bernoulli (1738), Hydrodynamica, sive De Viribus et Motibus Fluidorum Commentarii, Opus Academicum, I edition,, Johann Reinhold Dulsseker, Strasbourgh, 1738.
(21) J. Black (1803), Lectures on the Elements of Chemistry delivered in the University of Edinburgh, J. Robison, 2 vols., Edinburgh.
(22) P. Gassendi (1658), Opera omnia, Lyons.
(23) A.-L. Lavoisier, P.-S. La Place (1783), “Mémoire sur la chaleur”, lu à l’Académie royale des sciences, le 28 juin 1783, Gauthier-Villars, Paris.
(24) H. Davy (1799), On Heat, Light and the Combinations of Light, with a new Theory of Respiration and Observations on the Chemistry of Life, Beddoe’s West Country Collections, Bristol.
(25) Nicolas L. Sadi Carnot (1824), Réflexions sur la puissance motrice du feu, Mallet-Bachelier, Parigi.
(26) J. Prescott Joule (1847), “On Matter, Living Force, and Heat”, a Lecture at St. Ann’s Church Reading-Rom, pubblicato nel “Corriere” di Manchester (Manchester “Courier” newspaper), il 5 e 12 maggio 1847.
(27) Herman Ludwig Ferdinand von Helmholtz (1847), Über die Erhaltung der Kraft, eine physikalische Abhandlung, Druck und Verlag von G. Reimer, Berlin.
(28) Si occupò di acustica, ottica, fisiologia e matematica. Studiò il moto dei fluidi, l’elettromagnetismo, la percezione dei suoni e dei colori, la velocità di propagazione degli impulsi nervosi, i moti dell’atmosfera, pose le fondamenta dell’idrodinamica e svolse persino ricerche sulle trombe d’aria, temporali e ghiacciai. Formulò la teoria (detta appunto di Young-Helmholtz) secondo la quale le sensazioni cromatiche possono essere ricondotte alla combinazione di tre colori fondamentali (rosso, verde e blu ovvero oggi noti come RGB, iniziali dei corrispondenti termini inglesi) ciascuno dei quali risulta dalla stimolazione di tre differenti recettori. Sulla stimolazione da parte di elettroni di composti diversi in grado di provocare l’emissione di radiazioni RGB e delle loro combinazioni, si fondano attualmente tutti i monitor dei computer, TV, ecc