Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo
a cura di Claudio Della Volpe
Quante molecole si possono concepire? E quante ne sono state effettivamente concepite e poi sintetizzate? E quante di tali molecole possiamo impunemente produrre o rilasciare nel nostro ambiente? Molta della nostra vita di chimici ruota attorno a queste domande. Non tutte queste domande hanno risposa, anzi direi che nessuna ha una risposta completa; si tratta piuttosto di domande alle quali la chimica moderna sta cercando di rispondere, e non senza fatica.
Per rendere questo compito più semplice sono stati sviluppati molti strumenti veramente accattivanti; per esempio potrei citarvi, MQN-Mapplet (http://www.gdb.unibe.ch/MAPPLET-webpage/home.html), un programma scritto in Java e quindi di fatto adatttabile a qualunque ambiente informatico moderno; personalmente l’ho usato sotto Mac OS X, ma funzionerebbe egualmente sotto Windows o Linux. Lo trovate descritto in un recente articolo(http://pubs.acs.org/doi/pdf/10.1021/ci300513m) di Jean-Louis Reymond e collaboratori. E’ un programma che a differenza di molti database non richiede che formuliate una domanda precisa, anche se potete farlo, potete insomma esplorarlo per il piacere di vedere la chimica con i vostri occhi e godervi il “dove vi porta” un viaggio del pensiero, verso quali strutture vi trasporta, un volo di fantasia pura; ripeto potreste fare anche una domanda precisa, una query, come si dice nel gergo informatico ed allora avreste a disposizione un sottoprogramma grafico con il quale costruire la vostra struttura e vedere in quale parte dell’universo chimico essa giaccia. Il nome informatico di questo universo è Global Data Base, GDB seguito da un numero per indicare a quale quantità di atomi legati facciamo riferimento.
Questo modo di lavorare espande moltissimo le cose rispetto ai tradizionali database; molti di voi conosceranno DrugBank (>6000 farmaci approvati), ChEMBL (>1.1 milioni di composti con attività biologica), PubChem e Chemspider (>32 milioni di molecole). Ma per esempio il più piccolo GDB in uso GDB11 contiene 26.4 milioni di molecole.
Secondo Jean-Louis Reymond e Lorenz Blum il solo insieme delle molecole di 13 atomi di C, N, O, S e Cl, denominato GDB-13 (1) contiene oltre 977 milioni di diverse molecole, mentre il GDB-17 (2) (C, N, O, S e gli alogeni) ne contiene oltre 166 miliardi.
Dato che il CAS ne riporta al momento solo poco meno di 102 milioni (comprendenti tutte le molecole sintetizzate nella letteratura chimica) ce ne sono molte altre da sintetizzare.
Il concetto di “spazio chimico”, cui fu dedicato uno storico numero di Nature(4), comprenderebbe almeno 1060 diverse molecole; si tratta, come già notato di un numero pressochè infinito e noi siamo solo all’inizio di un cammino che avrebbe come durata possibile la vita dello stesso universo.
L’immagine sopra (4) è una proiezione bidimensionale dello spazio a 42 dimensioni in cui le molecole del GDB-13 sono rappresentate e in cui i falsi colori sono correlati (Rosso 1, Blu 0) al conteggio degli atomi in anelli nelle molecole.
Le 42 dimensioni sono scelte con riferimento ad aspetti chimici , strutturali o topologici delle molecole e sono elencate in questa tabella:
Ma 42 variabili sono comunque troppe per poterle rappresentare. In un grafico bidimensionale come quelli mostrati la scelta del significato degli assi cartesiani ha un ruolo chiave; per fare questo si usa la cosiddetta PCA o principal component analysis, ossia un metodo numerico che riduce sistemi a molte variabili scegliendo quelle 2-3 combinazioni arbitrarie di esse che riescono ad esprimerne meglio il comportamento complessivo; per i vari database sono state scelte diverse combinazioni principali, per esempio nel grafico del GDB13 mostrato nella prima figura di questo post l’asse orizzontale rappresenta le dimensioni mentre quello verticale rappresenta la rigidità o il numero di cicli; i colori codificano per aspetti che dipendono dal singolo database e che potete scoprire lavorandoci sopra (per esempio il numero di cicli).
Si tratta di un viaggio affascinante, in cui potete espandere o ridurre il vostro panorama come su una mappa geografica.
Grande interesse ha recentemente ricoperto la ricerca apparentemente “da record” della sintesi della molecola più grande del mondo la PG5, con una dimensione di circa 10 nanometri ed una massa di 200 MDa(5).
L’interesse per queste cose non è solo teorico; il numero di Nature cui faccio cenno fu supportato da Aventis, una delle maggiori aziende farmaceutiche del mondo, e il motivo è semplice: solo l’esplorazione sistematica di questo immenso spazio, che è sostanzialmente vuoto di molecole utili alla vita o alla pratica farmaceutica, può portare alla scoperta di gruppi di molecole che, come le stelle nello spazio reale possono essere la sede della vita, possiedono attività utili e/o di interesse biologico.
Tutti questi numeroni fanno da contraltare al piccolo numero di molecole le cui conseguenze, nelll’uso pratico sia umano che ambientale sono ben conosciute e mostrano come il problema della gestione delle sostanze chimiche di sintesi sia complesso.
Il lavoro di REACH, che è entrato nel vivo dal 2013, dimostra che in realtà non sappiamo ancora abbastanza nemmeno delle pochissime molecole, 8032 nel registro ECHA, che rivestono importanza industriale.
Il lavoro certosino dei chimici ambientali, per esempio delle APPA o dell’ISS sta pian piano costringendo a rivedere molto di quello che pensavamo sulla innocuità di molte molecole, che però abbiamo contribuito a diffondere a man bassa nell’ambiente, realizzando di fatto il più grande esperimento chimico mai concepito, che ha diffuso su tutta la Terra e in tutta la biosfera atomi e molecole, spesso stabili, ma molte volte pericolosi. Ne ritroviamo dove meno ce lo aspettiamo, per esempio sulla sommità delle montagne, nei ghiacciai, ai Poli, in quelli che potremmo definire “le dita fredde” del pianeta, i punti di condensa di molecole volatili e stabili che l’umanità ha distribuito equanimamente da Polo Nord a Polo Sud.
Sul sito di WECF, (Women in Europe for a Common Future) una organizzazione non-profit sovvenzionata da molti governi europei e dai loro ministeri dell’ambiente (ma non da quello italiano e da nessun grande marchio della industria chimica mondiale) ho trovato un breve depliant che cerca di informare sugli EDC.
Gli EDC sono gli Endocrine Disrupting Chemicals, sostanze come i parabeni o gli ftalati, più di 200 sostanze che diventano contaminanti del cibo o dell’ambiente e che hanno rischi potenziali sulla bassa qualità dello sperma umano, sulla infertilità femminile, sul diabete e sul cancro, sulla adiposità e su alcune condizioni neurologiche.
La mia domanda è semplice: perchè non siamo prima di tutto noi i chimici, gli esploratori orgogliosi del Chemical Space a denunciarne anche i rischi? Perchè lasciamo questo ingrato compito ai non-chimici, che molto spesso non sono nemmeno qualificati a farlo ?
Finchè faremo fare agli altri il nostro lavoro ci sono due semplici conseguenze: da una parte non lo faranno bene e in secondo luogo noi ne avremo solo conseguenze negative.
Il fatto è che per fare bene questo lavoro di esplorazione dello spazio chimico che non può essere disgiunto dall’etica e dalla attenzione all’ambiente dovremo giocoforza assumere una posizione di “terzietà”, di indipendenza culturale rispetto a coloro (che sono numerosi) che traggono inusitati benefici economici dalla nostra difficile esplorazione.
Finchè ci sarà confusione fra gli esploratori e chi ne attende sulla terraferma industriale i risultati per usarli a proprio vantaggio, spesso senza attenzione alle conseguenze, gli esploratori potranno continuare ad essere considerati delle teste calde o perfino degli sconsiderati, certo non degli eroi.
Voi che ne pensate?
1.J. Am. Chem. Soc. 2009, 131, 8732-8733
2.J. Chem. Inf. Model., 2012, 52, 2864-2875.
3.http://www.gdb.unibe.ch
4.Kirkpatrick, P.; C. Ellis (2004). “Chemical space”. Nature 432 (432): 823–865
5.Djuke Veldhuis, New Scientist gennaio 2011
altre fonti:
http://www.gdb.unibe.ch/gdb/home.html
https://www.soc.chim.it/sites/default/files/chimind/pdf/2013_2_149_ca.pdf