Spazio chimico e spazio umano

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Claudio Della Volpe

Quante molecole si possono concepire? E quante ne sono state effettivamente concepite e poi sintetizzate? E quante di tali molecole possiamo impunemente produrre o rilasciare nel nostro ambiente? Molta della nostra vita di chimici ruota attorno a queste domande. Non tutte queste domande hanno risposa, anzi direi che nessuna ha una risposta completa; si tratta piuttosto di domande alle quali la chimica moderna sta cercando di rispondere, e non senza fatica.

Per rendere questo compito più semplice sono stati sviluppati molti strumenti veramente accattivanti; per esempio potrei citarvi, MQN-Mapplet (http://www.gdb.unibe.ch/MAPPLET-webpage/home.html), un programma scritto in Java e quindi di fatto adatttabile a qualunque ambiente informatico moderno; personalmente l’ho usato sotto Mac OS X, ma funzionerebbe egualmente sotto Windows o Linux. Lo trovate descritto in un recente articolo(http://pubs.acs.org/doi/pdf/10.1021/ci300513m) di Jean-Louis Reymond e collaboratori. E’ un programma che a differenza di molti database non richiede che formuliate una domanda precisa, anche se potete farlo, potete insomma esplorarlo per il piacere di vedere la chimica con i vostri occhi e godervi il “dove vi porta” un viaggio del pensiero, verso quali strutture vi trasporta, un volo di fantasia pura; ripeto potreste fare anche una domanda precisa, una query, come si dice nel gergo informatico ed allora avreste a disposizione un sottoprogramma grafico con il quale costruire la vostra struttura e vedere in quale parte dell’universo chimico essa giaccia. Il nome informatico di questo universo è Global Data Base, GDB seguito da un numero per indicare a quale quantità di atomi legati facciamo riferimento.

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Questo modo di lavorare espande moltissimo le cose rispetto ai tradizionali database; molti di voi conosceranno DrugBank (>6000 farmaci approvati), ChEMBL (>1.1 milioni di composti con attività biologica), PubChem e Chemspider (>32 milioni di molecole). Ma per esempio il più piccolo GDB in uso GDB11 contiene 26.4 milioni di molecole.

Secondo Jean-Louis Reymond e Lorenz Blum il solo insieme delle molecole di 13 atomi di C, N, O, S e Cl, denominato GDB-13 (1) contiene oltre 977 milioni di diverse molecole, mentre il GDB-17 (2) (C, N, O, S e gli alogeni) ne contiene oltre 166 miliardi.

Dato che il CAS ne riporta al momento solo poco meno di 102 milioni (comprendenti tutte le molecole sintetizzate nella letteratura chimica) ce ne sono molte altre da sintetizzare.

Il concetto di “spazio chimico”, cui fu dedicato uno storico numero di Nature(4), comprenderebbe almeno 1060 diverse molecole; si tratta, come già notato di un numero pressochè infinito e noi siamo solo all’inizio di un cammino che avrebbe come durata possibile la vita dello stesso universo.

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L’immagine sopra (4) è una proiezione bidimensionale dello spazio a 42 dimensioni in cui le molecole del GDB-13 sono rappresentate e in cui i falsi colori sono correlati (Rosso 1, Blu 0) al conteggio degli atomi in anelli nelle molecole.

Le 42 dimensioni sono scelte con riferimento ad aspetti chimici , strutturali o topologici delle molecole e sono elencate in questa tabella:

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Ma 42 variabili sono comunque troppe per poterle rappresentare. In un grafico bidimensionale come quelli mostrati la scelta del significato degli assi cartesiani ha un ruolo chiave; per fare questo si usa la cosiddetta PCA o principal component analysis, ossia un metodo numerico che riduce sistemi a molte variabili scegliendo quelle 2-3 combinazioni arbitrarie di esse che riescono ad esprimerne meglio il comportamento complessivo; per i vari database sono state scelte diverse combinazioni principali, per esempio nel grafico del GDB13 mostrato nella prima figura di questo post l’asse orizzontale rappresenta le dimensioni mentre quello verticale rappresenta la rigidità o il numero di cicli; i colori codificano per aspetti che dipendono dal singolo database e che potete scoprire lavorandoci sopra (per esempio il numero di cicli).

Si tratta di un viaggio affascinante, in cui potete espandere o ridurre il vostro panorama come su una mappa geografica.

Grande interesse ha recentemente ricoperto la ricerca apparentemente “da record” della sintesi della molecola più grande del mondo la PG5, con una dimensione di circa 10 nanometri ed una massa di 200 MDa(5).

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L’interesse per queste cose non è solo teorico; il numero di Nature cui faccio cenno fu supportato da Aventis, una delle maggiori aziende farmaceutiche del mondo, e il motivo è semplice: solo l’esplorazione sistematica di questo immenso spazio, che è sostanzialmente vuoto di molecole utili alla vita o alla pratica farmaceutica, può portare alla scoperta di gruppi di molecole che, come le stelle nello spazio reale possono essere la sede della vita, possiedono attività utili e/o di interesse biologico.

Tutti questi numeroni fanno da contraltare al piccolo numero di molecole le cui conseguenze, nelll’uso pratico sia umano che ambientale sono ben conosciute e mostrano come il problema della gestione delle sostanze chimiche di sintesi sia complesso.

Il lavoro di REACH, che è entrato nel vivo dal 2013, dimostra che in realtà non sappiamo ancora abbastanza nemmeno delle pochissime molecole, 8032 nel registro ECHA, che rivestono importanza industriale.

Il lavoro certosino dei chimici ambientali, per esempio delle APPA o dell’ISS sta pian piano costringendo a rivedere molto di quello che pensavamo sulla innocuità di molte molecole, che però abbiamo contribuito a diffondere a man bassa nell’ambiente, realizzando di fatto il più grande esperimento chimico mai concepito, che ha diffuso su tutta la Terra e in tutta la biosfera atomi e molecole, spesso stabili, ma molte volte pericolosi. Ne ritroviamo dove meno ce lo aspettiamo, per esempio sulla sommità delle montagne, nei ghiacciai, ai Poli, in quelli che potremmo definire “le dita fredde” del pianeta, i punti di condensa di molecole volatili e stabili che l’umanità ha distribuito equanimamente da Polo Nord a Polo Sud.

Sul sito di WECF, (Women in Europe for a Common Future) una organizzazione non-profit sovvenzionata da molti governi europei e dai loro ministeri dell’ambiente (ma non da quello italiano e da nessun grande marchio della industria chimica mondiale) ho trovato un breve depliant che cerca di informare sugli EDC.

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Gli EDC sono gli Endocrine Disrupting Chemicals, sostanze come i parabeni o gli ftalati, più di 200 sostanze che diventano contaminanti del cibo o dell’ambiente e che hanno rischi potenziali sulla bassa qualità dello sperma umano, sulla infertilità femminile, sul diabete e sul cancro, sulla adiposità e su alcune condizioni neurologiche.

La mia domanda è semplice: perchè non siamo prima di tutto noi i chimici, gli esploratori orgogliosi del Chemical Space a denunciarne anche i rischi? Perchè lasciamo questo ingrato compito ai non-chimici, che molto spesso non sono nemmeno qualificati a farlo ?

Finchè faremo fare agli altri il nostro lavoro ci sono due semplici conseguenze: da una parte non lo faranno bene e in secondo luogo noi ne avremo solo conseguenze negative.

Il fatto è che per fare bene questo lavoro di esplorazione dello spazio chimico che non può essere disgiunto dall’etica e dalla attenzione all’ambiente dovremo giocoforza assumere una posizione di “terzietà”, di indipendenza culturale rispetto a coloro (che sono numerosi) che traggono inusitati benefici economici dalla nostra difficile esplorazione.

Finchè ci sarà confusione fra gli esploratori e chi ne attende sulla terraferma industriale i risultati per usarli a proprio vantaggio, spesso senza attenzione alle conseguenze, gli esploratori potranno continuare ad essere considerati delle teste calde o perfino degli sconsiderati, certo non degli eroi.

Voi che ne pensate?

1.J. Am. Chem. Soc. 2009, 131, 8732-8733

2.J. Chem. Inf. Model., 2012, 52, 2864-2875.

3.http://www.gdb.unibe.ch

4.Kirkpatrick, P.; C. Ellis (2004). “Chemical space”. Nature 432 (432): 823–865

5.Djuke Veldhuis, New Scientist gennaio 2011

altre fonti:

http://www.gdb.unibe.ch/gdb/home.html

https://www.soc.chim.it/sites/default/files/chimind/pdf/2013_2_149_ca.pdf

Riflessioni di un anti-Mida.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

Continuiamo la serie di post sugli elementi con il medesimo numero atomico dell’età di chi ne parla, da un’idea di Gianfranco Scorrano.

a cura di Benito Leoci

benitoleociFra poco perderò l’oro che mi era toccato quest’anno. Meglio! Questo metallo giallo (assorbe infatti le radiazioni blu), incorruttibile, attraente non mi è mai piaciuto. Innanzitutto perché è lui che corrompe tutti coloro che si avvicinano troppo e poi perché è falso. Illude coloro che lo detengono, fa credere di conferire loro ricchezza, potenza, benessere. Da sempre. Nel Medioevo, centinaia di studiosi, ricercatori, semplici curiosi persero i migliori anni della loro vita per ricavarlo da altri elementi. Così nacque la chimica, figlia dell’alchimia. Per la verità gli alchimisti cercavano oltre la ricchezza attraverso l’oro, anche l’immortalità preparando le più strane miscele. Sia per avere l’oro sia per trovare l’elisir dell’immortalità , molti di loro morirono. E sì. L’oro ha sulla coscienza, nella sua lunga storia, il maggior numero di morti rispetto a quelli provocati da tutti gli altri elementi messi insieme. Più dell’arsenico, del piombo, dell’uranio (che nemmeno scherzano). Molti si sono ammalati e si ammalano ancora, perché l’oro colpisce anche indirettamente, in maniera subdola. E’ il caso della Birmania. In questo paese, ora noto come Mianmar, pare a tutt’oggi, che molta gente passi le giornate, lungo le rive del fiume Irrawaddy (tre volte più lungo del Po), ove si trovano pagliuzze d’oro, mescolate a fango e sabbia.

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Golden Rock, una roccia coperta di foglie d’oro del monte Kyaikhtyio meta di pellegrinaggi lungo il fiume Irrawaddy in Birmania

Per separarlo usano ancora il mercurio e di qui tutti i noti problemi per gli incauti cercatori. A quanto si dice, quest’oro viene trasformato in foglioline che vengono poi fatte aderire alle numerose statue di Budda che si trovano ovunque. Non ho visto questi cercatori, ma ho visto molta gente che attraverso piccole teleferiche inviava le foglioline verso la sommità dei monumenti. Con queste abitudini l’oro si serve della religione per provocare danni ai malcapitati fedeli. Le statue ingrassano anno per anno, i fedeli si ammalano e muoiono, anno per anno…

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Comunque sia, chi lo possiede in grandi quantità non dorme più per il terrore di perderlo. Lo nasconde ovunque, anche nelle casseforti delle banche. Così facendo è come se non lo avessero. Questo è l’inganno peggiore. La leggenda narra (per bocca di Ovidio) di un altro inganno a spese di un certo Re Mida, la cui tomba si trova in un luogo desolato della Anatolia in Turchia, meta di turisti curiosi. Come è noto, costui ebbe da Dionisio un grande dono, così sembrava: tutto quello che toccava diventava oro. Ben presto l’incauto re si accorse che il potere ricevuto, grazie alla sua ingordigia, lo avrebbe portato a morte per fame e sete. Peggio di così… Aristotele si scervellò tentando di risolvere un dilemma: come mai l’oro che non serve a nulla presenta un valore di scambio alto (prezzi alti), mentre l’acqua che serve per vivere ha valore di scambio bassissimo (quasi non ha prezzo)? Ci sono voluti due millenni per rispondere al quesito. Un altro scherzo dell’oro dunque. Apparire quello che non si è. Possedere un valore che non si ha.

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Monete di Settimio Severo 193 aC

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Maschera aurea di Agamennone

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Ma è davvero inutile questo elemento? Una volta, in pratica fino agli anni ’70 del secolo scorso, gran parte dell’oro veniva utilizzata per fabbricare monete o come riserva per cambiare, su richiesta, i biglietti di banca in circolazione. Il sistema era noto come “gold exange standard” ed era utile in quanto i governi per stampare biglietti ovvero monete di carta dovevano possedere nelle proprie banche le quantità di oro equivalenti, secondo il prezzo dell’oro del periodo. Era utile dunque per frenare la voglia di stampare monete da parte dei governi e quindi evitare l’inflazione (aumento dei prezzi e cioè una tassa occulta a carico dei cittadini). Questo sistema non è più usato da nessuna parte. Per frenare la tendenza alla stampa in Europa si è inventato l’Euro ovvero una moneta unica per tutti i Paesi aderenti che nessuno può stampare. Se ricordo bene l’Ecuador nel 2000 ha abbandonato la sua moneta (il sucre) per utilizzare il dollaro americano. E’ un altro sistema per frenare la tendenza alla stampa… Usare le monete degli altri. Quindi l’oro attualmente viene accumulato nei forzieri delle banche o viene utilizzato per fabbricare monili, gioielli, per la felicità delle signore. Per quest’ultimo uso non viene mai usato da solo, perché molto tenero, ma in lega con altri metalli, principalmente col rame, ma anche col nichel e zinco (oro bianco ). Con quest’ultima mascherata l’oro vuol far finta di essere platino. Una parte crescente viene utilizzata per fabbricare circuiti stampati e schermi termici nel settore spaziale, per la doratura dei metalli meno nobili, il ferro in prima persona. A quanto pare in ogni computer domestico si trovano, specie nella scheda madre, ben 6 grammi di oro. Nei cellulari e nei tablet si trova oro nei punti di contatto delle batterie. In medicina, in forma colloidale viene utilizzato per la cura dell’artrite reumatoide e in amalgama nel campo dentistico. In piccole quantità viene utilizzato per scopi cosmetici, per produrre saponi, creme, ombretti, rossetti, ecc. Questi ultimi utilizzi, al contrario dei gioielli e dell’oro moneta, disperdono oro nell’ambiente che così, a causa dell’elevata entropia, non è più recuperabile per gli eccessivi costi.

Fra pochi mesi, come dicevo, lascerò l’oro e passerò al mercurio, un elemento sincero che dice quello che è. Con un po’ di attenzione non si corrono pericoli. In particolare l’oro deve fare attenzione perché se incontra il mercurio rischia di scomparire ….

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Tutto l’oro estratto finora corrisponde ad un cubo di circa 20 metri di lato (8000 metri cubi) mentre quello totale presente ancora fra crosta e oceano sarebbe pari a circa il doppio (altri 16000 metri cubi).

Chimica e letteratura: La favola di Olga Ossigeno e Carlo Carbonio

Inizia oggi una nuova rubrica: Chimica e letteratura nella quale raccoglieremo contributi di contenuto chimico/naturalistico ma scritti come racconti, poesie o comunque testi non di tipo saggistico che i nostri lettori vorranno inviare o raccogliere e che siano liberi da copyright o comunque disponibili. Iniziamo con un testo che forse alcuni già conoscono, ma che apre degnamente la nostra rubrica, scritto da una Biologa, che si è occupata oltre che di scienza anche di didattica della Scienza. Questa nuova rubrica è aperta al contributo dei lettori.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Annarosa Luzzatto*

annarosaluzzattoL’idea della favoletta mi era nata nell’ambito di un progetto sulla “Didattica delle Scienze” diretto da Maria Arcà e Paolo Guidoni con la partecipazione dell’allora maestro di terza elementare Paolo Mazzoli (anno 1987-88 circa).
Mi preoccupava il fatto che spesso ai bambini si cominciasse con l’insegnare un apparato per volta, prima la respirazione, poi la digestione e così via come se fossero fenomeni indipendenti ed anche piuttosto statici. Insomma, mi pareva importante dare per prima cosa ai bambini una sorta di spiegazione integrata, in cui ogni apparato assumesse il suo ruolo e tutti cooperassero per la sopravvivenza di una persona viva. Naturalmente un racconto globale ma necessariamente breve non poteva certo essere una descrizione esatta di tutti i processi, e questo doveva essere ben chiaro; così ho pensato alle favole. I bambini lo sanno bene, le favole sono invenzioni, ma in genere contengono qualche spunto di verità; stava ai bambini, insieme ai maestri, chiarire quali fossero gli aspetti “veri” delle nostre favole, e quali tra questi era possibile approfondire in una classe di bimbi di otto anni circa. Ho cominciato quindi con la favola di Olga Ossigeno e Carlo Carbonio, per cercare di unificare per prima cosa la respirazione e la digestione, almeno in parte.
La favoletta ha avuto successo ed è stata per anni presente in rete anche nella versione illustrata da una classe dove è stata letta senza la mia partecipazione. Questa versione illustrata è quella che vi presento oggi. Quando l’ho letta la prima volta in una classe i commenti terminavano con quello di una bimba che si è alzata in piedi, ha inspirato ed espirato lentamente, commentando: “Ecco. Quante cose succedono intanto!”.

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* Annarosa Luzzatto è Professore Associato (in pensione) di Biologia dello Sviluppo presso la Università Roma Tre; si è occupata di microscopia elettronica, ma anche di didattica della biologia ed è anche autrice di altri racconti autobiografici. Attualmente, oltre a fare la nonna, dà una mano alla redazione del nostro blog. Annarosa Luzzatto è la nipote di uno degli italiani  che hanno fatto il nostro paese, quel Fabio Luzzatto, udinese, che fu fra i pochi professori universitari (12 in tutto) che si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo.

Attinio, con rimpianto.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

Continuiamo la serie di post sugli elementi con il medesimo numero atomico dell’età di chi ne parla, da un’idea di Gianfranco Scorrano.

a cura di Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

nebbiaSono proprio sfortunato; l’elemento che mi tocca per i miei 89 anni non solo è quasi insignificante, ma è anche dotato di sgradevolissime proprietà.

L’attinio avrà pure un nome accattivante e luminoso, quello di “raggio”, ma è quanto di peggio si possa pensare; per la sua elevata radioattività è nocivo quasi quanto il plutonio. L’attinio abita nel Viale degli attinidi al numero 89, in una grande villa insieme a 30 fratelli che però non stanno mai a casa perché muoiono pochi giorni o ore dopo la nascita. Di questa numerosa famiglia in natura si trovano due isotopi quello 227 e quello 228. L’attinio-227 si forma per decadimento dell’uranio-235; si trova nella pechblenda in concentrazione di pochi decimi di milligrammi per tonnellata, ha un tempo di dimezzamento di poco più di venti anni e decade a torio-227con emissione di radiazioni beta.

L’attinio-228 si forma per decadimento del torio-232 nei cui minerali si trova in concentrazione di pochi nanogrammi per tonnellata, ha un tempo di dimezzamento di circa 6 ore e quindi in natura si ha a che fare sostanzialmente soltanto con l’attinio-227.

Gli altri 28 isotopi dell’attinio sono tutti artificiali.

L’attinio è stato isolato dalla pechblenda dal chimico francese André-Louis Debierne (1874-1949), amico e collaboratore dei coniugi Curie, lavorando sulla pechblenda da cui i Curie avevano estratto il polonio e il radio. Nel cercare di isolare le terre rare presenti si è imbattuto in questo nuovo elemento che ha descritto nel 1899 e chiamato “attinio”.

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André-Louis Debierne (1874-1949)

In Germania, contemporaneamente e indipendentemente, il chimico Friedrich Oskar (talvolta indicato erroneamente come Otto) Giesel (1852-1927) nel 1902 ha isolato lo stesso elemento 89 che chiamò “emanio”, non sapendo che era già stato descritto da Debierne; è stato poi ufficializzato il nome dato dal primo scopritore. Era l’età dell’oro della radioattività, quel decennio fra il 1895 e il 1905 in cui si sono aperte le porte della conoscenza della struttura intima della materia.

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Friedrich Oskar  Giesel

L’attinio è un metallo di aspetto argenteo, del peso specifico di circa 10 g/cm3, con punto di fusione di 1050°C, trivalente con comportamento chimico simile a quello del lantanio che lo precede nello stesso gruppo. Si conoscono dei derivati come l’ossido o il fluoruro di attinio.

Dal punto di vista pratico l’attinio non serve quasi a niente, se si eccettua qualche applicazione come fonte di neutroni; ne è stato proposto l’uso come generatore termoelettrico.

Di qualche interesse commerciale l’attinio-225, ottenuto artificialmente dal torio-229 (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15763472 (2005);

http://researchdirect.uws.edu.au/islandora/object/uws%3A72/datastream/PDF/view (2007);

http://www.osti.gov/scitech/servlets/purl/1032445/ (2011)).

L’attinio-225 presenta una attività di circa 59.000 curie per grammo, ha un tempo di dimezzamento di circa 10 giorni e viene impiegato in radioterapia come emettitore di particelle alfa, in equilibrio con il bismuto-213, nella cura di tumori. La richiesta mondiale è di alcune migliaia di millicurie all’anno, maggiore della produzione che negli Stati Uniti ha luogo nell’Oak Ridge National Laboratory e in Russia è fatta dalla società Rosatom.

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Oak Ridge National Laboratory

Il suo prezzo si aggira su alcune centinaia di dollari per millicurie.

Molte utili cose sull’attinio si trovano nel documento

http://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/compound/actinium#section=Radiation-Limits-a

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Se questa iniziativa del Blog della SCI

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/09/11/un-cammino-tra-gli-atomi/

fosse cominciata l’anno venturo, almeno mi sarebbe toccato il torio che è un elemento meritevole di un po’ più di riguardo.

Anniversari

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Luigi Campanella, ex presidente SCI

In questo anno si celebrano il centenario delle Metamorfosi di Kafka ed i 125 anni anni dalla nascita di Agatha Christie.

Qualcuno potrebbe chiedersi che c’entri la chimica in tutto ciò.

Se avete la pazienza di andare avanti lo scoprirete.

Kafka1906Quante volte capita di sentire l’espressione “una situazione kafkiana”, mai sentita analoga espressione per Proust o Joyce. La popolarità di Kafka è senz’altro superiore grazie all’invenzione di alcune tra le più potenti mitologie moderne.

La metamorfosi, il suo capolavoro,in fondo è forse il primo romanzo che parla di modificazione genetica distinguendo fra mutageni chimici e mutageni chimici in termini di evento onirico fiabesco descritto. Una mutazione si dice indotta quando è causata dall’azione di agenti mutageni, che possono essere fisici o chimici. È detto mutagenesi il processo che determina una mutazione indotta e mutagenizzato l’organismo in cui è stata prodotta.

322px-MetamorphosisI mutageni fisici sono soprattutto le radiazioni ionizzanti (raggi X, raggi gamma), e tra quelle non ionizzanti i raggi ultravioletti. I mutageni chimici sono molto numerosi e appartengono a diverse classi di composti (es. dicromato di potassio, Butadiene, Dicloropropene, Bromometano e moltissimi altri). Una importante differenza tra mutageni fisici e chimici è che i primi agiscono indipendentemente dall’organismo; i mutageni chimici invece possono avere effetti diversi in funzione del sistema biologico. Mentre una radiazione, infatti, colpisce direttamente il materiale genetico, un composto chimico può interagire con altre molecole presenti nella cellula che ne possono variare le caratteristiche.

Christie

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D. Jeannerod Queen’s University, Belfast

Passando ad Agatha Christie quanti di noi leggendo i suoi romanzi gialli si sono posti la domanda: ma chi è l’assassino? Bene proprio per celebrare i 125 anni dalla nascita della scrittrice un gruppo di esperti

ha studiato 27 suoi grandi successi ed ha trovato una serie di ricorrenze che permettono di stabilire con una certa precisione l’identità dell’assassino. Questo risultato non è rappresentato con brillanti intuizioni ma con una vera e propria formula all’interno della quale gli indici di natura chimica sono molti: inquinamento ambientale, alimentazione, consumo energetico.Le conclusioni sono puntualizzate, ma le sconsiglierei ad un amante di gialli, per non togliergli la sorpresa che ogni libro della Christie nasconde.

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si veda anche

http://www.theguardian.com/books/2015/aug/02/academics-unlock-formula-agatha-christies-mysteries

http://www.lastampa.it/2015/08/04/cultura/una-formula-matematica-svela-i-gialli-di-agatha-christie-VXbjiepslxepaCgEYJq7gP/pagina.html

Gian Burrasca chimico

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Giorgio Nebbia

Sono debitore dell’idea di questo intervento alla prof. Francesca Orestano, ordinario di Letteratura inglese nell’Università di Milano e attenta studiosa di letteratura infantile http://users.unimi.it/childlit/index.html, la quale ha presentato, nell’ottobre 2014, un saggio proprio su “Gian Burrasca, piccolo chimico”, ad una giornata di studio su “Letteratura e scienza nei libri per ragazzi”, svoltasi a Milano (in corso di pubblicazione a cura di Elisa Marazzi e Pietro Redondi).

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Firenze, 19 marzo 1858 – Firenze, 27 novembre 1920

“Il giornalino di Gian Burrasca”, di Vamba, pseudonimo di Luigi Bertelli (1858-1920), pubblicato per la prima volta nel 1912, è stato un libro di grande successo per i ragazzi, ma anche per adulti, nell’intero ventesimo secolo. Il libro raccoglie, sotto forma di “diario”, la storia di un ragazzo di circa dodici anni, Giannino Stoppani; i suoi scherzi, talvolta crudeli, svelano e deridono l’ipocrisia dei grandi, come avviene quando, per sincerità, racconta ad uno spasimante della sorella che lei ride di lui, o quando, per amore di verità, chiede ad un giornale cattolico di rettificare l’affermazione che il cognato, aspirante deputato socialista, “rinnega la religione dello stato”. Spiega al direttore che non è vero, che anzi il cognato si è sposato in chiesa; rettifica che il giornale avversario fa ben volentieri per smascherare l’ipocrisia del cognato che così vede la fine della sua carriera politica.

Il gusto chimico di Giannino Stoppani si manifesta durante un viaggio in treno con un rappresentante di commercio di inchiostri, Clodoveo Tyrynnanzy (col cognome anglicizzato perché, “rappresentando le principali fabbriche d’inchiostri d’Inghilterra, gli giova presentarsi con tre ipsilonni”). Mentre l’accompagnatore dorme beatamente, Giannino riempie una peretta di una miscela di inchiostri prelevati dal campionario, li diluisce con acqua, e spruzza la soluzione sulla faccia dei viaggiatori di un treno in movimento nel binario vicino (una scena che ricorda quella di “Amici miei”).

Quando i genitori non ne possono più delle sue bravate mettono Giannino nel collegio Pierpaolo Pierpaoli, diretto da gente gretta e ignorante, che specula sul poco cibo riservato ai ragazzi. Un cibo che consisteva nel riso tutti i giorni eccetto il venerdì quando veniva propinato un minestrone; per costringere i proprietari a cambiare, insieme ai membri di una “società segreta” di collegiali contestatori, antesignani della contestazione di tutti i poteri, Giannino annaffia il riso della dispensa col petrolio da illuminazione trovato in un magazzino e costringe i proprietari a dar da mangiare finalmente pasta con pomodoro.

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Dalla stanza in cui è messo in punizione Giannino scopre che il “buon” minestrone del venerdì era fatto con la risciacquatura dei piatti della settimana precedente. A questo punto un altro dei collegiali preleva dal gabinetto di chimica, nello scalcinato collegio c’era anche un gabinetto di chimica e anche uno di fisica, dei cristalli di “anilina”, probabilmente uno dei coloranti di anilina scoperti da Perkin dal 1856. I collegiali congiurati mettono ogni giorno qualche cristallo di colorante nel piatto e alla fine, il venerdì, il minestrone risulta di un bel colore rosso, che smaschera la frode dei proprietari del collegio.

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Un altro dei congiurati, Gigino Balestra, racconta di essere finito in collegio perché, durante una festa del Primo Maggio, durante l’assenza del padre, pasticcere e socialista, impegnato nella sfilata, per coerenza coi principi egualitari sostenuti dal padre, aderisce alla richiesta dei compagni di spartire le paste della pasticceria con loro, ma non più di una per ciascuno, mi raccomando, al grido: “Viva il socialismo, Evviva il Primo Maggio”. Al ritorno il padre trova chimica da per tutto, “il banco vuoto, in terra un piacichiccio di pasta sfoglia pasticciata, i colli di bottiglie rovesciate dalle quali colavano giù rosoli e sciroppi”. Giannino ascolta solennemente e commenta: ”Vedi ? anche tu sei vittima della tua buona fede e della tua sincerità”.

Immagino che molti dei lettori di questo blog abbiano letto “Il giornalino di Gian Burrasca”; chi non lo conoscesse se ne procuri una copia e si divertirà molto;

gianburrasca2nel pur divertente sceneggiato televisivo in otto puntate del 1964, con Rita Pavone, si perdono molte finezze del testo con i suoi toscanismi. Luigi Bertelli (perfino lo pseudonimo Vamba preso dal nome di un buffone dell’”Ivanhoe” di Walter Scott) era un estroso giornalista fiorentino certamente attento alle novità scientifiche che circolavano, fra la fine dell’Ottocento e la prima metà dell’Ottocento, anche nella letteratura amena; si pensi ai libri di Verne e Salgari. E’ possibile che anche questo abbia contribuito alla nascita della cultura che ha permesso la prima industrializzazione italiana, nel bene e nel male, la nascita di una società moderna in cui “il fare” non era soltanto muovere soldi ma produrre beni materiali, con il lavoro, l’innovazione e la conoscenza. E’ possibile che l’attuale crisi di cultura materiale dipenda anche dal fatto che non ci sono più autori di libri per ragazzi capaci di infilarvi, in maniera divertente, aspetti tecnico-scientifici.

Professore di scienze e matematica cercasi

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Claudio Della Volpe

E’ di poche ore fa la notizia che i 267 abitanti dell’isoletta di Tristan da Cunha, nel mezzo dell’Atlantico del Sud ad almeno 2816 chilometri dalla città più vicina e in effetti ad almeno una settimana di viaggio da qualunque altro posto cercano un professore o una professoressa per i loro 23 studenti. La città capitale si chiama Edinburgo dei settemari e il clima è molto piovoso oltre che essere tipico dell’emisfero Sud; adesso si va verso l’estate.

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Un’occasione per insegnare in una comunità unica e fare una reale differenza per la nostra scuola”, recita l’annuncio. “Il viaggio sarà epico e sarete accolti da una comunità amichevole. Richieste eccellenti capacità relazionali e apertura all’avventura, che vi aiuteranno a integrarvi e adattarvi a vivere in un luogo così remoto“.( http://www.tristandc.com/)

In effetti come al solito le notizie dei giornali sono molto semplificate; la cosa è più complessa.

Nel sito dell’isola si cercano 5-6 persone, un primary teacher, quindi un insegnante della scuola elementare (o una coppia) con un contratto biennale e 2-5 insegnanti GCSE ossia per la scuola secondaria per insegnare, per intervalli più brevi (3-6 mesi), scienze, matematica, geografia e inglese.

Gli interessati possono leggere il testo completo dell’offerta su http://www.tristandc.com/jobs.php.

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Perchè commento questa notizia? Beh a parte che mi ha incuriosito c’è un’ottima ragione; Primo Levi fu affascinato dall’isola e scrisse uno dei racconti del Sistema Periodico ambientandolo nell’Isola della Desolazione; il racconto è “Mercurio”, uno dei due racconti inclusi nel Sistema periodico scritti prima della seconda guerrra mondiale. E un racconto fantastico sulle vicissitudini del caporale Daniel K. Abrahams che viene mandato con la moglie Maggie e una guarnigione in un’isola  oceanica «Desolazione», dove viene scoperto il mercurio. E’ ambientato nella prima metà del XIX secolo.

Nel Sistema periodico più o meno tutti i capitoli  riguardano situazioni di vita quotidiana o di lavoro nelle quali allo scrittore è capitato di dover avere a che fare con un determinato elemento, che appunto dà nome al capitolo. Ci sono solo tre casi in cui non è così, ed in due di questi (piombo e mercurio) Levi ci fa subito capire la differenza, stampando questi racconti in un carattere diverso da tutto il resto del libro, usando una tecnica molto in voga oggi e di cui Levi è stato un antesignano.

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dalla mia copia personale dell’edizione Repubblica L’espresso delle opere complete di Levi(2 vol pag 822); l’immagine è volutamente sfocata e serve a mostrare il carattere italico diverso dal corsivo normale degli altri capitoli, oltre che il disegno dell’isola Desolazione

 

Levi non precisa mai la corrispondenza fra l’isola immaginaria e Tristan da Cunha ma la storia che racconta ha una quantità di appigli con la effettiva storia dell’isola atlantica e nonostante esista un’altra isola con questo effettivo nome nelle Shetland del Sud (in Antartide) ci sono pochi dubbi che “Mercurio” faccia riferimento a Tristan. Il primo appiglio è la posizione geografica, 1200 miglia a sudovest di S. Elena e la scelta si restringe parecchio. La mappa disegnata di suo pugno non è tondeggiante, ma l’isola è certamente  vulcanica come effettivamente è Tristan.

Scoperta nel 1506, questa isoletta, con meno di 100km2 di superficie, fa parte di un arcipelago di varie piccole isole, ancora più remote, su una sola delle quali, Gough, esiste un’altra ancora più piccola comunità, una stazione meteorologica sudafricana (6 persone). L’isola è stata anche abbandonata a causa di una eruzione nel 1961; ma quando l’eruzione terminò, nel 1963 gli abitanti vollero tornare a casa loro, soprattutto perchè erano stati sbalorditi dalla violenza esistente nel resto del mondo.

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Perchè Levi si interessò a questa comunità quasi unica? Dalle notizie che si possono trovare (https://it.wikipedia.org/wiki/Tristan_da_Cunha) la cosa è forse comprensibile. In effetti l’Italia ha a che fare con Tristan da Cunha; il primo ad abitarvi stabilmente nel 1811 fu un pirata americano Johnatan Lambert insieme a due compagni uno americano ed uno di Livorno, Tommaso Corri. La cosa ebbe breve durata perchè pochi anni dopo , quando gli inglesi occuparono l’isola soprattutto per evitare che potesse funzionare da base francese per la liberazione di Napoleone detenuta nella “vicina” S. Elena (solo 2430 chilometri di oceano) trovarono solo Corri e con la scusa che non sapeva spiegare cosa fosse successo agli altri due lo arrestarono ed annessero l’isola.

Dopo qualche anno nel 1892 sul brigantino Italia, che trasportava carbone dalla Scozia a Città del Capo, divampò un incendio per autocombustione in pieno Atlantico. Il suo comandante, Rolando Perasso, riuscì a governarlo in un viaggio durato sei giorni fino a farlo arenare sui fondali dell’isola di Tristan, unico approdo possibile in mezzo all’oceano, il 3 ottobre 1892. Tutto l’equipaggio della nave si salvò, e dopo il fortunoso sbarco gli uomini furono ospitati dagli abitanti di Edinburgh. Tre dei sopravvissuti (i camogliesi Gaetano Lavarello e Andrea Repetto, più il marchigiano Nazzareno Marcianesi detto “Ancona”) decisero di rimanere sull’isola. Marcianesi dopo quattro anni lasciò i compagni e si trasferì a Città del Capo. I due camogliesi rimasero per sempre, ebbero numerosi figli, e i loro cognomi sono ancora oggi presenti a Tristan.

Probabilmente l’interesse di Levi discendeva dalle condizioni particolarissime di vita dell’isola che è dotata di uno statuto particolare. Il denaro è poco usato nell’isola, i prodotti sono divisi fra tutti gli abitanti in base a criteri non economici, ma di solidarietà, non esistono ladri, si vive come una volta nelle nostre campagne, con le porte aperte (http://www.doppiozero.com/materiali/cartoline-da/tristan-da-cunha-fuori-dal-mondo   questo post di Adriano Valerio è assolutamente magnfico!).

Il 28 novembre 1815 sbarcarono sull’isola 38 militari, sette civili, 10 donne e 12 bambini che costruirono degli edifici sullo stesso posto dove ora sorge il villaggio. Il 5 maggio 1817 la nave inglese Conqueror riportò in Gran Bretagna quasi tutti gli abitanti sull’isola, tranne William Glass, sua moglie (che si possono considerare i fondatori della comunità isolana) e due scalpellini che rimasero sull’isola fino al 1819 e al 1822.

Nel 1826 William Glass chiese al Duca di Glouchester di portare sull’isola delle donne per i suoi compagni scapoli (tra cui il sessantaquattrenne Thomas Swain che disse che avrebbe sposato la prima donna che avrebbe messo piede sull´isola), l’anno seguente l’impegno fu mantenuto grazie ad alcune donne di colore di Sant’Elena e del Sud Africa tra cui una grassa quarantenne nera che si sposò con Swain: dalla loro unione nacquero diversi bambini. (da Wikipedia)

Questi due episodi sono riportati di fatto nel racconto di Levi ovviamente con elementi più fiabeschi; il mercurio è un elemento importante perchè, prodotto in quantità notevole da una eruzione (Levi sapeva del fatto che l’isola era un vulcano attivo) costituisce sia il materiale il cui scambio permette l’arrivo nell’isola di alcune donne che bilancino la popolazione dell’isola della Desolazione che l’occasione di rottura del legame matrimoniale fra i primi due abitanti dell’isola.

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In fondo il mercurio è liquido e quindi gli scambi e le rotture sono certamente più facili sotto il suo influsso!

Tristan mi affascina perchè è una comunità che può facilmente rappresentare tutto il nostro pianeta; un’isola tonda, isolata, delicata e difficile da vivere ma splendida e che attira i suoi abitanti irresistibilmente; ma riusciranno a rimanervi in modo stabile nonostante le difficoltà? C’è una differenza importante fra Tristan da Cunha e la Terra; gli abitanti di Tristan possono sempre andar via se succede qualcosa, ci starebbero male, ma possono farlo; noi no, noi abbiamo solo la nostra isola cosmica e dobbiamo trattarla bene, meglio di quanto abbiamo fatto finora. Non abbiamo un “outside”, sia pur più brutto e violento, dove fuggire.

Voi che ne dite?

Si veda anche:

http://digilander.libero.it/fratbigio/Riviste/focus_tristan_da_cunha.pdf

https://it.wikivoyage.org/wiki/Sant’Elena,_Ascensione_e_Tristan_da_Cunha

Quella inspiegabile magia

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Mauro Icardi

Venticinque anni di lavoro in Laboratorio possono sembrare noiosi. Quasi la rappresentazione della ripetitività. Eppure non è cosi, almeno per me. E quando capita di dover tornare ad eseguire analisi utilizzando tecniche che possono sembrare antiquate, sorpassate dalle tecnologie recenti, è proprio in quel momento che si rinnova quella che io definirei l’inspiegabile magia del rapporto personale con le analisi di un tempo.

Nel settore del trattamento delle acque l’analisi del BOD5 è fondamentale. Il consumo di ossigeno che i microrganismi aerobi utilizzano per decomporre le sostanze organiche. E il consumo di ossigeno deve essere misurato e riferito al campione di acqua in esame.

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In commercio si trovano kit di semplice utilizzo, sistemi manometrici che misurano il consumo di ossigeno misurando la depressione nello spazio di testa di una bottiglia. Si può misurare l’ossigeno consumato dopo cinque giorni con un ossimetro portatile.

Ma può accadere che si decida di ricorrere all’analisi volumetrica per determinare l’ossigeno disciolto all’inizio ed alla fine dei cinque giorni necessari per questo test. Il metodo per determinare l’ossigeno disciolto è una titolazione iodometrica. Tornano alla mente con un pizzico di nostalgia ricordi che non sono mai passati. Conviene però ripassare la teoria. Dunque vediamo: lo ione Mn2+ in soluzione alcalina è ossidato dall’ossigeno disciolto nell’acqua, secondo la reazione:

O2 + 2 Mn2++ 4 OH → 2 MnO(OH)2

Il composto formatosi, trattato con un acido forte in presenza di ioduro, libera una quantità equivalente di iodio:

MnO(OH)2 + 4 H+ + 2 I – → Mn2+ + I2 + 3 H2O

Lo iodio liberatosi è titolato con tiosolfato di sodio:

I2 + 2 S2O32- → 2 I – + S4O62-

Il punto finale della titolazione si determina con la salda d’amido.

Questa è la teoria. Nel frattempo si preparano le soluzioni, il solfato di manganese, la soluzione alcalina di ioduro di sodio-sodio azide.

Si pesano i reattivi, si sciolgono. Si usano le dovute precauzioni (la soda sviluppa calore quando la sciogli in un matraccio). Si aspetta che si raffreddi la soluzione prima di portare a volume. Ci si ricorda di una frase che torna alla mente dai vecchi libri ormai consumati e macchiati per l’uso. Cioè che è “il menisco inferiore che deve traguardare la linea di fede”. Ci si ricorda delle raccomandazioni ricevute durante le prime esperienze in laboratorio. Osservare il menisco alla stessa altezza degli occhi per evitare gli errori di parallasse.

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Quando si è terminata la preparazione dei reattivi arriva poi il momento di eseguire l’analisi. Pronte le bottiglie con tappo a smeriglio. Riempite completamente. Devi ricordarti di introdurre i reattivi al di sotto del livello del campione. Se si formano bolle d’aria ricordati di eliminarle battendo con il tappo a smeriglio sul collo della bottiglia. Capovolgi le bottiglie e fai formare il precipitato. Poi lasci che depositi una volta. Ripeti l’operazione una seconda volta e poi aggiungi l’acido solforico . Così hai liberato lo iodio. Il procedimento ti dice di scartare i primi 100 cc dalla bottiglia, e poi di titolare. Il tuo campione nella bottiglia si è colorato di arancione. Inizi a titolare. Naturalmente prima hai avvinato la buretta con la tua soluzione di tiosolfato. Poi al riempimento hai verificato che non vi fossero bolle d’aria. Tutto a posto? Si.

Procedi con la titolazione fino a quando non vedi il giallo paglierino. E ora di aggiungere l’indicatore. Il tuo campione si colora di un bell’azzurro intenso. Continui a titolare. Goccia dopo goccia. Il colore sbiadisce pian piano. Un’ultima goccia ed è completamente incolore. Stop. Chiudi il rubinetto e prendi nota con attenzione del valore.

Poi eseguirai i calcoli ed esprimerai il risultato.

Tutto questo non è altro che la cronaca di quanto accaduto solo la scorsa settimana in Laboratorio. Analizzare uno standard in BOD confrontando metodo potenziometrico e metodo per titolazione.

Questo secondo metodo sembra laborioso. E certamente in parte lo è. Lasciare che tutto il lavoro di misurazione dell’ossigeno consumato lo faccia il manometro differenziale oppure una sonda potenziometrica è comodo. Indubbiamente. Ma riscoprire certe nozioni pratiche, sapere di non avere perso la manualità nelle operazioni di laboratorio è una bella sensazione.

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E questo fascino non è una sensazione riservata solo alla nostra categoria. Qualche mese insieme alla collega abbiamo regalato una buretta di pellet ad un amico che lavora in uno studio dentistico. Francamente non ricordo a cosa gli servisse. Non per fare analisi. Solo per dosare una quantità prefissata di un certo prodotto. Bene questa buretta è stata vista quasi con stupore dai colleghi di questo nostro amico.

L’immaginario collettivo dei non chimici. Ma credo anche il nostro. Che è legato a mio parere più che ad una sala piena di gascromatografi, ad un laboratorio con burette, distillatori, matracci. Con la vetreria. Con le bottiglie di Ranvier.

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Si è proprio un inspiegabile magia.

Un cammino tra gli atomi…….

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

di Gianfranco Scorrano, già Presidente SCI

Spesso,nelle aule universitarie di chimica, si trova, appesa alle pareti, una riproduzione della tavola periodica di Mendeleev. Se ne parla quel poco che serve a ricordare Mendellev e il suo primo tentativo nel 1869, ed è e rimane la bandiera della chimica. Negli anni vi sono stati vari tentativi di usare la tabella come guida anche di racconti da trasmettere ad un pubblico meno specialista: ad esempio Il sistema periodico di Primo Levi percorso2e Uncle Tungsten (Memories of a Chemical Boyhood) di Oliver Sacks.percorso1

Entrambi gli autori sono stati citati nel nostro blog; in particolare Sacks, purtroppo scomparso ad 82 anni il 30 agosto 2015, ha ricevuto l’attenzione anche della stampa normale (Per esempio il New York Times ha pubblicato un accurato necrologio (rif.1) nonché la riproduzione di alcuni degli articoli pubblicati da Sacks sul giornale) e del collega Campanella sul blog.

Tornando per un attimo alla tabella di Mendeleev è bene ricordare che la classificazione degli atomi viene fatta seguendo quanto sperimentato da Moseley , purtroppo ucciso dai turchi il 10 agosto 1915 nella battaglia di Gallipoli (stretto dei Dardanelli) a soli 28 anni. Moseley dimostrò che la frequenza dei raggi X emessi da un elemento chimico è funzione del relativo numero atomico Z. Pertanto, è possibile disporre gli elementi nella tavola periodica sulla base di una quantità fisica misurabile.

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E’ interessante riportare la lettera di condoglianze del Prof. Georges Urbain, dell’università di Parigi scritta a Rutherford: “Sono rimasto molto sorpreso, quando ho visitato i laboratori di Moseley a Oxford e ho trovato un così giovane scienziato capace di completare un pezzo di lavoro rimarchevole…… La legge di Moseley ha confermato in pochi giorni le conclusioni di venti anni di paziente lavoro….La sua legge si sostituisce alla piuttosto romantica classificazione di Mendeleev con scientificamente completa accuratezza“.

Mi riferisco ora ad episodi raccontati dal giovane Sacks, ma anche proseguiti in età matura: la tradizione di ottenere, come regalo di compleanno, un metallo dello stesso numero atomico dell’anno compiuto. Mi piacerebbe che in questo blog potessimo celebrare i compleanni dei colleghi allo stesso modo: descrivendo le proprietà e gli usi dei composti il cui numero atomico corrisponda agli anni compiuti dal collega. Ovviamente sarebbe bene che si trattasse di un blog che venisse preparato dallo stesso collega.

Vi presento un esempio. Ho compiuto gli anni (76) il 4 settembre (auguri;grazie): sono quindi sotto il segno dell’osmio.

percorso4Nella mia vita da chimico non ho mai incontrato l’osmio come tale, ma ho discusso con legioni di studenti sull’uso del tetrossido di osmio. Entriamo nei dettagli. L’osmio viene scoperto da Smithson Tennant a Londra nel 1803. Di studi medico, che però si disgustò del dolore dei suo pazienti, smise la professione medica e si dedicò alla chimica. Studiando lo scioglimento del platino con l’acqua regia, Tennant notò la formazione di un residuo insolubile, costituito da iridio e osmio. Naturalmente a quel tempo era difficile classificare i composti sulla base di qualche loro proprietà così Tennant dette il nome all’iridio perché è capace di dare una fantastica quantità di colori, mentre all’osmio il nome venne assegnato sulla base dell’odore (greco osme) poco gradevole del suo ossido.

L’osmio è un metallo di transizione, del gruppo del platino, trovato come elemento, in tracce, e in lega con platino, iridio,etc. E’ il meno abbondante sulla crosta terrestre: si stima in 50 parti per trilione sulla crosta continentale. In realtà viene ricavato dai residui di lavorazione dei metalli della famiglia e poco citato perfino in relazione e alla sua produzione e al suo prezzo: stime del 2012 sono intorno ai $ 400 per oncia (33 grammi) e la produzione annua si aggira sui 534 chili/annui. In realtà l’osmio non esiste in natura libero: la sua polvere viene ossidata all’aria in osmio tetrossido, ma piuttosto in lega con per esempio iridio. Durissimo, e quindi difficile da modellare, le sue applicazioni sono state pochissime ma anche ora superate: puntine per grammofoni (non servono più), filamenti per lampadine (vedi prima). Di fatto l’unico composto che trovi uso è il tetrossido di osmio.

Il tetrossido si forma spontaneamente per reazione all’aria dell’osmio in polvere ed è usato come ossidante: per anni ho spiegato agli studenti di chimica organica come il tetrossido di osmio OsO4 possa essere utilizzato per trasformare un alchene in un 1,2-diolo

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Negli ultimi anni per dire il vero ho alquanto approfondito il passaggio seguendo come prima cosa i problemi ambientali e poi lo scopo della reazione per illustrare il lavoro del prof.Sharpless, premio Nobel nel 2001.

I problemi nascono con la tossicità del tetrossido di osmio: un solido che fonde a 40°C e che bolle a 140°C; ha una elevata tensione di vapore e il limite di esposizione (media pesata delle 8 ore) è di 2 µg/m3 .

Per superare questo problema Sharpless propose prima di usare un precursore del tetrossido che, reagendo con un ossidante, si trasformasse in situ nel tetrossido di osmio: si tratta dell’osmato (K2OsO2(OH)4 ) e del K2Fe(CN)6 come ossidante; ha poi aggiunto carbonato, per controllare il pH della soluzione ed ha usato due composti chirali come (DHQD)2-PHAL e (DHQ)2-PHAL, due composti appartenenti alla famiglia dell’alcaloide cincona, contenenti un atomo di azoto che si lega all’osmio e rende così chirale il catalizzatore, e quindi capace di attaccare l’alchene solo da una faccia. Le rese ottiche ottenute sono superiori al 95% e più.

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Rimando gli interessati a questa reazione di Sharpless a wikipedia (rif. 2).

Tornando alla Tavola, vi sono descritti al momento 118 elementi. L’età media della popolazione continua per fortuna a crescere; chimici di molte estrazioni possono partecipare a rintracciare il proprio elemento ed a raccontarci un po’ della loro vita. Certo elementi molto usati, i primi della fila, sono generalmente noti, forse anche a qualche non-chimico; quelli più avanti, raccomandati per l’attenzione ai miei quasi coetanei, sono parecchi e poco studiati per varie ragioni.

Buona lettura e coraggio ai volontari.

1) http://www.nytimes.com/2015/08/31/science/oliver-sacks-dies-at-82-neurologist-and-author-explored-the-brains-quirks.html?ribbon adidx=4&src=me&module=Ribbon&version=origin&region=Header&action=click&contentCollection=Most%20Emailed&pgtype=article

2) https://en.wikipedia.org/wiki/Sharpless_asymmetric_dihydroxylation

Eric R. Scerri The Periodic Table: Its Story and Its Significance

Le schiume biologiche negli impianti di depurazione

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Mauro Icardi

La formazione di schiume di origine biologica nel processo di depurazione è un evento abbastanza frequente. Le schiume di per sé non compromettono il processo depurativo, ma possono causare inconvenienti di carattere igienico, e se oltrepassano la sezione di sedimentazione finale possono destare immediato allarme nella popolazione finendo nel corpo idrico ricettore.

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Grandi masse di schiume provocano anche un cattivo funzionamento del sedimentatore finale che si trova sovraccaricato di solidi sospesi nell’effluente. Il fango contenente schiume causa anche problemi di funzionamento nella fase di digestione anaerobica. In particolare flottazione e stratificazione nella massa di fango in digestione, soprattutto se non è prevista una fase di digestione secondaria che deve servire da ispessimento finale, prima della successiva fase di disidratazione.

Schiume di consistenza leggera e grigiastra si possono formare in fase di avviamento dell’impianto, oppure in condizioni di alto carico. In entrambi i casi la causa è da attribuirsi all’incompleta degradazione della sostanza organica in ingresso. Nel primo caso il fenomeno si riduce fino a cessare quando l’impianto è a pieno regime. Nel secondo caso occorre intervenire.

Negli impianti di depurazione biologica se il rapporto BOD/N/P (ossia fra  la quantità di O2 utilizzata dai microorganismi aerobi , azoto e fosforo) non è opportunamente bilanciato (il valore ottimale è teoricamente pari 100/5/1) i batteri producono polisaccaridi extracellulari con proprietà tensioattive.

Se l’impianto è al servizio di un insediamento industriale spesso il problema può essere risolto immettendo nell’impianto anche le acque provenienti dai servizi igienici o dalla mensa aziendale. Se questa operazione è insufficiente a risolvere il problema occorre aggiungere nutrienti specifici. Sono adatti a questo scopo i fertilizzanti composti come il fosfato d’ammonio, oppure composti di azoto come ammoniaca o urea, oppure composti del fosforo come il fosfato trisodico.

Se il problema delle schiume è legato alla proliferazione di batteri, in particolare del tipo Nocardia o Microthrix parvicella il problema deve essere affrontato con un approccio diverso.

I due batteri hanno una superficie cellulare idrofobica per cui aderiscono alle bolle di gas prodotte dal sistema di areazione producendo schiume stabili di solito molto visibili nella sezione di ossidazione e sulla superficie dei sedimentatori.

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I due tipi di batteri possono essere facilmente identificati al microscopio: entrambi hanno una struttura filamentosa, ma nel caso della Nocardia i filamenti sono corti e restano all’interno del fiocco, mentre nel caso della Microthrix i filamenti hanno una struttura più lunga e sottile e fuoriescono dal fiocco di fango.

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Nocardia è un genere di batteri Gram-positivi, aerobi obbligati, catalasi-positivi e debolmente acido-resistenti.

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Microthrix parvicella è un batterio filamentoso, immobile, non connesso, gram-positivo

Un primo intervento di contenimento consiste semplicemente nell’abbattere queste schiume con un getto d’acqua, e dove possibile rimuoverle. Questo riduce i problemi di igiene e sicurezza nell’immediato, ma ovviamente non agisce sulle cause del problema. Altre misure utili di primo intervento sono spruzzare una soluzione di ipoclorito direttamente sulla massa schiumosa, oppure temporizzare il sistema di areazione fermandolo per alcune ore. Entrambe le soluzioni comportano qualche rischio. Un dosaggio non calibrato di ipoclorito può distruggere anche la biomassa non costituita da batteri filamentosi. L’arresto del sistema di areazione può compromettere l’efficienza del trattamento e provocare shock alla biomassa nella sua interezza.

Aumentare l’estrazione di fango di spurgo dalla sezione di ossidazione è un sistema che risolve il problema perché diminuisce il parametro chiamato età del fango. Il parametro è legato al tempo di permanenza della biomassa in vasca di ossidazione. Quando l’età del fango diminuisce si impedisce la riproduzione dei batteri filamentosi. Questa tecnica venne sperimentata negli Usa già negli anni 50. Il grosso limite consiste nel fatto che, mentre non ha effetti sul processo di rimozione del substrato carbonioso riduce la rimozione dell’ammonio perché tende a far diminuire la frazione di biomassa nitrificante (batteri Nitrosomonas e Nitrobacter). Deve quindi essere gestita con la massima attenzione. La diminuzione della temperatura del liquame nel periodo invernale è un altro fattore che riduce il problema della formazione delle schiume da filamentosi bloccandone lo sviluppo.

Negli anni i molti studi e sperimentazioni su questo problema hanno evidenziato che la limitazione dell’ingresso di oli e grassi (che costituiscono un ottimo nutrimento per la Nocardia) sia un fattore di forte limitazione di questo problema. Occorre quindi eventualmente potenziare la sezione di disoleazione e controllare gli scarichi di ristoranti e friggitorie, e più in generale di ogni insediamento che si occupi di preparazione o produzione di prodotti alimentari.

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Oli e grassi non vanno versati nel lavandino, ma conferiti ad appositi centri di raccolta. Questo invito va rivolto anche alle famiglie.schiume5

Quando la schiuma si è formata e necessario adottare misure per evitare che venga ricircolata nella vasca di ossidazione. Introdurre una fase di flottazione tra la vasca di ossidazione ed il sedimentatore finale prima del ricircolo e dello spurgo dei fanghi. La schiuma raccolta nel flottatore può venire separata tramite agitatori o raschiatori meccanici. Il liquido separato può venire rinviato alla vasca di ossidazione biologica. La schiuma separata deve essere disinfettata.

Negli anni molte aziende specializzate hanno formulato prodotti specifici a base enzimatica che hanno dimostrano ottimi risultati nel trattamento delle schiume. La nota negativa è rappresentata dal costo economico, anche se negli anni questo risulta diminuito.