Dai quadrati magici alla topologia molecolare.1.Le origini e i temi.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

 a cura di Claudio Della Volpe

Un quadrato magico è una tabella quadrata di numeri distinti (ossia usati una volta sola) usualmente interi, dove i numeri in ciascuna riga, colonna e nelle diagonali principali e/o secondarie hanno come somma il medesimo numero.

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Il più antico quadrato magico di cui si abbia notizia è cinese; il quadrato Lo Shu, un 3×3 conosciuto almeno fin dal 650aC e la cui traduzione numerica vedete a fianco.

Nell’antica Cina ci fu una grande alluvione: il popolo offrì sacrifici al dio di uno dei fiumi che erano usciti dal loro corso, il fiume Luo (洛河), per tentare di calmare la sua ira. Una tartaruga magica uscì dall’acqua avendo sulla sua corazza un disegno del tutto innaturale, appunto il quadrato di Lo Shu: figure di punti uniti da linee che davano la rappresentazione dei numeri in base unitaria da 1 a 9 arrangiati in una griglia tre per tre.quadrati12

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L’evento viene fatto risalire al periodo fra il 4000 e il 2800aC. Da allora il quadrato LoShu fu associato al controllo delle alluvioni e in genere alla magia.

La tradizione di queste forme numeriche e geometriche sfuma per così dire nella notte dei tempi ed acquista un senso veramente magico. Ne esistono in tutte le culture e in tutte le tradizioni, nella matematica persiana, indiana, araba.

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La intuizione del primitivo legame fra natura e matematica, che è evidente, ma mescolato di magia, nella leggenda di LoShu, coronerà nello sviluppo scientifico moderno nella famosa frase di Galileo Galilei (e nei testi di Bacone (Novum Organum) e Cartesio (Discours sur la méthode). Nel Saggiatore, 1623 (il “saggiatore” è una bilancetta di precisione usata dagli orafi, e si contrappone per principio alla rozza e semplicistica “libra” dell’avversario), risponde alle critiche di un avversario, Grassi (Sarsi nel testo), in merito alla comparsa in cielo di alcune comete nel 1618; la specifica ipotesi esposta da Galileo si rivelerà poi sbagliata, ma nel 6 capitolo Galileo esprime la moderna concezione della Natura:

[Lotario Sarsi] forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d’un uomo, come l’Iliade e l’Orlando Furioso, libri ne’ quali la meno importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.

La scienza contemporanea è molto più smaliziata a questo riguardo e pone dei quesiti a cui non è facile rispondere e che travalicano in un certo senso il punto di vista galileiano.

In un articolo molto conosciuto, Eugene Wigner, Nobel per la Fisica nel 1963, (“The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences,” in Communications in Pure and Applied Mathematics, vol. 13, No. I (February 1960). New York: John Wiley & Sons, Inc. Copyright 1960) esprime la tesi che l’efficacia della matematica in fisica e della fisica nel prevedere le cose della Natura su base matematica è totalmente incomprensibile su base razionale, è un vero e proprio miracolo.

Al principio dell’articolo Wigner racconta la seguente storiella:

C’è una storia di due amici, che erano compagni di classe al liceo e che parlano del loro lavoro. Uno di essi era diventato uno statistico e lavorava sulla crescita delle popolazioni. Egli mostra al suo amico un lavoro. Nel lavoro si inizia come al solito con la distribuzione gaussiana e lo statistico spiega al suo amico il significato dei simboli per la popolazione effettiva, media e così via. Il suo compagno è un po’ incredulo e non è sicuro che lo statistico non lo stia prendendo in giro. “Come fai a sapere questo?” è la sua domanda. “E questo simbolo qui cosa è?” “Oh” dice lo statistico- ”questo è pi”. Cioè? “Il rapporto della circonferenza di un cerchio col suo diametro”. “Bene ora hai portato il gioco troppo oltre- dice l’amico- certamente la popolazione non ha nulla a che fare con la circonferenza di un cerchio”.

Il senso comune dell’amico è in stretta contraddizione con la scoperta galileiana. Come dice Giusti in un famoso sonetto: “Il buon senso è morto affatto. L’ha ucciso la scienza sua figliola, per veder com’era fatto”.( https://ilblogdellasci.wordpress.com/2014/06/20/il-buonsenso-e-morto-affatto/)

Tuttavia la scoperta galileiana conduce a delle contraddizioni non banali che Wigner analizza. L’articolo è stato scritto nel 1960, ma già la contraddizione fra meccanica quantistica e relatività era manifesta e non è stata ancora risolta. Wigner si chiede come possano due teorie basate su diversi concetti matematici lo spazio quadridimensionale di Riemann e quello a infinite dimensioni di Hilbert, rispettivamente, essere compatibili. Finora non esistono modi di renderle compatibili, eppure ognuna nel suo dominio è esatta, nel senso che prevede con grande esattezza dati sperimentali; cionondimeno una di esse almeno o entrambe sono sbagliate, e ne potrebbe esistere un’altra di cui entrambe siano casi particolari se l’ipotesi di Galileo è vera.La ricerca su questo punto è estremamente attiva, basti pensare alla recente proposta di Garreth Lisi di una teoria geometrica del tutto, basata sulle proprietà del gruppo cosiddetto di Lie E8 (un insieme dotato di particolari proprietà) che consentirebbe di prevedere l’esistenza di particelle in grado di spiegare tutti i campi di forza che conosciamo (arXiv:0711.0770v1 [hep-th] 6 Nov 2007 e https://www.ted.com/talks/garrett_lisi_on_his_theory_of_everything?language=it).

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Tuttavia c’è un punto che Wigner non approfondisce pur citandolo e cioè:
certamente è difficile credere che la nostra capacità di ragionare sia stata portata dal processo di selezione naturale darwiniano alla perfezione che sembra possedere

Nella parte finale dell’articolo Wigner torna sul tema affermando:

Una situazione molto più difficile e confusa discenderebbe se un giorno potessimo stabilire una teoria dei fenomeni della coscienza , o della biologia, che fosse coerente e convincente come le nostre presenti teorie del mondo inanimato. Le leggi di Mendel dell’ereditarietà e il successivo lavoro sui geni possono ben costituire l’inizio di una tale teoria nel campo della biologia. Inoltre è possibile che si possa trovare un argomento astratto che mostri che c’è un conflitto fra una tale teoria e i principi accettati della fisica. L’argomento potrebbe essere talmente astratto che non si potrebbe risolvere il conflitto in favore dell’una o dell’altra teoria mediante un esperimento. Una tale situazione porrebbe una pesante ipoteca sulla nostra fiducia e nella nostra convinzione della realtà dei concetti che sviluppiamo. Ci darebbe un profondo senso di frustrazione nella nostra ricerca di quel che chiamiamo “verità ultima”. La ragione per cui una tale situazione è concepibile è che fondamentalmente noi non sappiamo perchè le nostre teorie funzionano così bene.

Le scoperte più recenti, avvenute dopo il 1960 nel campo della biologia molecolare e della genetica basata sul DNA e nel campo dei fenomeni irreversibili non potevano essere comprese nella visione di Wigner, ma certo non hanno risolto i suoi dubbi nè hanno risolto il problema dell’origine dell’autocoscienza, pur portando un notevole supporto ad una visione della vita non in conflitto con la fisica e la chimica come le conosciamo; tuttavia ci sono scoperte ancora più recenti che portano nuova luce sul tema della relazione fra evoluzione darwiniana e matematica.

Il lavoro di alcuni ricercatori nel settore del comportamento delle piante carnivore è giunto alla conclusione che le piante carnivore sanno contare almeno fino a due; (Bohm et al., 2016, Current Biology 26, 286–295 February 8, 2016 a2016 http://dx.doi.org/10.1016/j.cub.2015.11.057)

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Si sa che i bambini sono capaci di contare sia pure in modo limitato già a 15–18 mesi. In questo lavoro Bohm e altri dimostrano che la pianta carnivora volgarmente detta “trappola di Venere” ossia Dionaea muscipula è capace anch’essa di contare. Le foglie si trasformano in trappole a scatto, ed è esattamente il numero di contatti della preda con la trappola meccanico-sensitiva che scatena la cattura e la digestione della preda.

Dunque la matematica sta dentro all’evoluzione darwiniana, sta dentro alla crescita dell’individuo singolo (anche se embriogenesi e filogenesi non sono connesse così rigidamente come pensava Haeckel) e sta dentro alla evoluzione storica e sociale con lo sviluppo storico della matematica; alcune piante, alcuni animali complessi (http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/argoment/Matematicae/Settembre_07/animali.htm) * e anche i popoli più primitivi sono in grado di contare “naturalmente”, geneticamente, sia pure in modo limitato (uno, due, molti).

Sembrerebbe quindi che oltre che un linguaggio in cui il mondo è scritto, la matematica sia anche uno strumento che l’evoluzione ha messo a disposizione della vita per adattarsi al mondo. Ma cosa viene prima?

La matematica è un mero strumento adattativo oppure essa è effettivamente dentro la struttura delle cose e l’evoluzione lo “riconosce”?

Domande al momento senza risposta che si mescolano con altre più profonde come sulla natura dell’autocoscienza (self-awareness).

Ma torniamo ai quadrati magici da cui siamo partiti. Anche la cultura occidentale li ha prodotti e accettati, ma in modi diversi.

Il più famoso quadrato magico latino non è scritto in numeri ma in lettere; i quadrati di questo tipo, non avendo a disposizione la somma, usano la proprietà del bifrontismo, sono cioè leggibili in entrambe le direzioni ma hanno un diverso significato in entrambe, come ingessa e assegni.

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Quadrato del Sator ad Oppède in Provenza. (Sator arepo tenet opera rotas).

Probabilmente il più famoso è il quadrato del Sator un 5×5 che entra nella cultura cristiana; il più antico conosciuto è quello di Pompei e le cinque parole possono essere anagrammate in Paternoster scritto due volte e sovrapposto in croce e in una coppia di A e O che indicherebbero l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine delle cose; le parole se lette di seguito costituiscono una frase palindroma , ossia che si può leggere in entrambe le direzioni.

Tuttavia il quadrato magico penetra di fatto nella cultura occidentale anche attraverso la magia e la alchimia e solo poi viene accettato nell’arte e nella scienza; anche se, da questo punto di vista, noi moderni siamo un pò manichei nelle valutazioni: Newton è stato per la maggior parte della sua vita un convinto assertore dell’alchimia ed ha dedicato molto più tempo alla pietra filosofale che alla teoria della gravità; la magia, considerata come il controllo delle cose tramite la conoscenza del loro vero nome, può essere vista come una primordiale teoria “scientifica”.

Come ha notato A. Clarke: Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. (da Profiles of the Future, Harper & Row, 1958) e una certa quantità di matematica è presente nei riti magici più antichi (B. D’Amore Matematica e magia http://www.dm.unibo.it/rsddm/it/articoli/damore/584%20matematica%20e%20magia.pdf)

Il simbolo di questa unione fra conoscenza e magia sono i cappelli dei maghi, di fatto calendari astronomici molto precisi, il più famoso dei quali è quello d’oro conservato al Museo di Berlino e prodotto alla fine dell’età del bronzo (1000 aC) e la cui costruzione, oltre ad implicare una profonda conoscenza dell’astronomia, ne implica una altrettanto profonda della metallurgia (https://it.wikipedia.org/wiki/Cappello_d’oro_di_Berlino).

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capppellomagoL’esemplare numerico più noto di quadrato magico presente nella cultura occidentale è forse il quadrato 4×4 presente nella famosa opera di Dürer, Melencolia, Melanconia (1514). (in alto a destra)

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La data 1514 compare nella riga più bassa e mostra che Durer era in grado di costruire un quadrato magico sulla base delle proprie esigenze pittoriche.

Continueremo questa indagine che ci porta direttamente verso la chimica nei prossimi post.

* non dimentichiamoci la geometria nel linguaggio delle api, su cui c’è stata una vigorosa polemica sul blog (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/12/02/sulle-api-e-gli-insetti-sociali-in-genere-collaborazione-stigmergica-e-intelligenza-collettiva/   ed i post in esso citati)

(continua)

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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

https://www.change.org/p/international-union-of-pure-and-applied-chemistry-giving-name-levium-to-one-of-the-4-new-chemical-elements

Tracciabilità del miele.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Luigi Campanella, ex Presidente SCI

Il miele è un alimento composto prevalentemente da zuccheri semplici come il fruttosio ed il glucosio. Questi, a differenza degli zuccheri composti come il saccarosio (zucchero da cucina) sono facilmente assorbibili dall’organismo umano. Infatti per poter digerire uno zucchero composto (disaccaride) l’organismo deve prima separarlo in due zuccheri semplici (monosaccaridi). Questa caratteristica di facile assorbimento ed il suo alto potere nutrizionale (303 Kcal/100 g miele) lo rende un alimento disponibile a tutte le fasce d’età ed in particolare i bambini, gli sportivi e gli anziani.

Il miele possiede inoltre proprietà antibatteriche ed antinfiammatorie dovute in particolare alla sua elevata osmolarità, all’acidità e al suo contenuto in perossido di idrogeno. Queste caratteristiche sono alla base del suo utilizzo per il trattamento di alcuni disturbi gastrointestinali e delle ferite superficiali della pelle (Greenwood, 1993; Taormina et al., 2001, Molan, 2001; Cooper et al., 2002). Il perossido di idrogeno viene prodotto per via enzimatica ed è il maggior responsabile dell’attività antibatterica del miele.

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Il D.L. 179/2004, che recepisce la direttiva europea 2001/110 EC del 20 dicembre 2001 definisce il miele come “……..la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse bottinano, trasformano, combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare”. A tutela della qualità il D.Lvo. 179/2004 indica anche gli obblighi relativi all’etichettatura del miele.

La regolamentazione tenta di evitare lo spostamento del mercato verso un miele di tipo industriale di imprecisa origine e probabilmente di qualità minore, di diminuire la probabilità del verificarsi di fenomeni di adulterazione e/o sofisticazione,di incentivare l’utilizzo di migliori tecniche produttive.

In Italia il consumo pro capite di miele, che si aggira intorno ai 350-400 g annui, è basso rispetto alla media dei consumi europei (700 g). La produzione italiana di miele è stimata intorno alle 12000 tonnellate per un totale di circa un milione di alveari.

Il miele italiano subisce una forte concorrenza da parte dei mieli che provengono dalla Argentina e dalla Cina, che hanno costi di un 50% inferiore (circa 1.20 euro/Kg). Ciò nonostante, l’Italia è l’unico paese al mondo che produce, grazie alle sue particolari condizioni climatiche e geografiche, più di 30 diversi tipi di miele pregiato. Ciò è indicativo della genuinità, freschezza e qualità del prodotto miele che spesso è riconducibile a particolari zone geografiche di produzione come la zona di Montefeltro nella provincia di Pesaro – Urbino

Il miele è compreso tra i prodotti di origine animale per il quale il D. Lvo: 336/1999, che recepisce le direttive 96/22/CE e 96/23/CE, prevede misure di controllo da parte dei paesi UE finalizzate alla ricerca di residui di farmaci veterinari e di agenti contaminanti.

Tra questi ultimi vengono indicati sia gli elementi chimici, sia i composti organofosforati e organoclorurati (compresi i policlorobifenili). Questi possono contaminare l’alveare ed essere trasmessi ai prodotti dell’alveare mediante molteplici meccanismi, come ad esempio l’adesione di particelle aereodisperse al corpo delle bottinatrici durante il volo, la contaminazione del nettare e del polline per deposizione atmosferica sui fiori o mediante trasporto linfatico nelle piante dopo l’assorbimento dal suolo, l’ingestione di acqua inquinata da parte delle bottinatrici stesse (Conti et al., 1998).

L’autenticità degli alimenti è un argomento che ha una grande importanza economica e sociale. L’autenticità contribuisce a garantire le caratteristiche e la qualità dei prodotti alimentari e ad impedire eventuali adulterazioni o etichettature inesatte. I mieli possono essere adulterati mediante diluizione per aggiunta di acqua o aggiunta di zuccheri e sciroppo oppure etichettati in modo fraudolento come monofloreali o con origine geografica non corretta.

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Varie metodologie statistiche multivariate sono state applicate allo scopo di esaminare l’autenticità di una vasta gamma di prodotti. Una classificazione geografica di oli di oliva italiani (Derde et al., 1984) e di spremute di arance (Bayer et al., 1980) è stata ottenuta utilizzando l’analisi dei gruppi, l’analisi discriminante lineare e SIMCA. Un grande numero di altri esempi sono riportati in letteratura riguardanti una vasta varietà di alimenti (pesce, latte, liquore e soprattutto vino) per i quali sono stati utilizzati varie proprietà chimiche e differenti strumenti statistici (Kwan et al., 1979; Kwan e Kawalski, 1980; Franco et al., 1990; Favreto et al., 1994; Moret et al., 1994). Per quanto riguarda il miele, Pena e Herrero (1993) hanno mostrato che i metodi statistici multivariati possono essere applicati con successo per ottenere una corretta classificazione geografica dei mieli provenienti da differenti origini. Altri lavori in letteratura (Sanz et al., 1995; Pena Crecente e Latorre, 1993; Feller-Demalsy et al., 1989; Gomez et al., 2000) riportano l’applicazione di metodi statistici, su alcuni parametri chimici e fisici, per la classificazione di campioni di mieli con differenti origini geografiche. La composizione specifica di un particolare campione di miele dipende molto dal tipo di fiori visitati dalle api, così come dalle condizioni climatiche in cui le piante crescono (Abu-Tarboush et al., 1993). Ciò permette la determinazione dell’origine botanica e possibilmente anche geografica del miele (Latorre et al., 1999; Paramas et al., 2000; Sanz et al., 1995).

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In definitiva i problemi sono due: garantire un prodotto privo di contaminanti, assicurare tracciabilità geografica e produttività. Ad entrambi gli scopi la Chimica fornisce un contributo determinante.

Le citazioni sono estratte dall’articolo di Conti E. et al. La componente minerale ed alcuni parametri qualitativi dei mieli prodotti nella regione Marche pubblicato Su La Rivista di Scienza dell’alimentazione anno 35 numero unico 2006 .

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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

https://www.change.org/p/international-union-of-pure-and-applied-chemistry-giving-name-levium-to-one-of-the-4-new-chemical-elements

Photochimica contest 2016.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Federico Bella*

federicobellaGli aspetti spettacolari della chimica in laboratorio e la facilità di accesso a fotocamere sulla maggior parte dei dispositivi elettronici in nostro possesso. Unite questi due aspetti e dalla loro sinergia scaturirà una galleria multimediali di immagini straordinarie catturate nella nostra vita di chimici che ogni giorno popoliamo i laboratori di scuole, università e centri di ricerca.

Non a caso, il Consiglio Direttivo del Gruppo Giovani della SCI, unitamente all’European Young Chemistry Network (EYCN, gruppo europeo dei giovani chimici), ha proposto il PHOTOCHIMICA CONTEST 2016. Questa costituisce la prima competizione internazionale volta a premiare i migliori scatti dei nostri giovani chimici under-35. Così, per un mese in tutta Europa ci si è misurati con una gara allo scatto più originale (categoria “Photography in Chemistry”), oppure direttamente a preparare campioni che, quanto introdotti in un microscopio, offrivano un colpo d’occhio inimmaginabile (categoria “Measurement Arts”).
I giovani soci della SCI hanno abbondantemente contribuito a questo contest, e sono giunte più di una decina di raccolte di foto dai nostri atenei, scuole e centri di ricerca. In totale, circa cento application sono state raccolte in tutta Europa e nel prossimo mese si contenderanno il PHOTOCHIMICA CONTEST 2016 attribuito da una giuria internazionale nominata dall’European Young Chemistry Network. Una parte delle immagini potete vederla qui sotto, chissà che non si nasconda proprio lo scatto vincitore! L’EYCN conferirà una decina di premi, uno per ciascun aspetto chiave di uno scatto (colore, contrasto, contenuto, originalità, filtri, etc).
Ci riaggiorniamo a Maggio, per svelare i vincitori!

*Federico Bella, PhD
Coordinator – Italian Chemical Society, Young Group
Group for Applied Materials and Electrochemistry – GAME Lab
Department of Applied Science and Technology – DISAT
POLITECNICO DI TORINO
Corso Duca Degli degli Abruzzi 24 – 10129 – Torino (Italy)
Tel: +39 011 0904643
E-mail: federico.bella@polito.it

“Kindly offered by the Eurepean Young Chemists’ Network from their Facebook page https://www.facebook.com/media/set/?set=a.10154002695053609.1073741831.168599718608&type=3”.

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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

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Il referendum del 17 aprile 2016: (3 parte) clima ed energia.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

I precedenti post di questa serie sono pubblicati qui e qui

a cura di Claudio Della Volpe

Quasi per caso, ma forse non del tutto per caso, alcune notizie relative al clima terrestre degli ultimi giorni rinforzano i ragionamenti di chi vorrebbe votare SI.

La NASA ha pubblicato i dati riguardanti l’anomalia termica di febbraio 2016 e questa anomalia è la più alta mai misurata finora (punto vuoto in alto a destra nel grafico sotto).

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Nel grafico vedete i valori dell’anomalia termica che è la differenza fra i valori medi del mese considerato e quelli della media per il medesimo mese del periodo di controllo scelto qui come 1951-80, riferiti alla media delle stazioni terra+oceano (il metodo preciso è indicato qui).

Dal grafico (in cui i valori dei 12 mesi per un certo anno hanno tutti la medesima ascissa) si vede bene che mesi come gennaio o febbraio, i mesi invernali per eccellenza nell’emisfero Nord (punti rossi e vuoti) sono gli estremi dell’insieme dei valori sia un senso che nell’altro; la spiegazione potrebbe essere connessa al maggior ruolo dell’emisfero nord, che contiene la maggior parte delle terre emerse, nell’incremento di temperatura (l’Oceano ha una capacità termica superiore e sta funzionando da scudo, per cui il comportamento delle terre emerse domina i picchi estremi); l’Oceano ci sta difendendo sia assorbendo una quantità enorme di CO2 ed acidificandosi che assorbendo il grosso dell’incremento termico; visto il suo lento tempo di ricambio stimabile in circa 10.000 anni questo rallenta il riscaldamento; l’Oceano profondo non si è ancora “accorto” di cosa succede in superficie.

In particolare gli ultimi 5 punti sulla destra che coprono i mesi da ottobre 2015 a febbraio 2016 sono indicati in alto a destra e per la prima volta da quando si fanno misure, e sicuramente per gli ultimi 136 anni, sono tutti consecutivamente crescenti e superiori al grado centigrado, un indice terribile e tragico insieme del riscaldamento in corso.

Il limite di 1.5°C indicato come estremo del grafico non deve essere confuso con il valore usato come limite sperabile a COP21, perchè in quel caso si tratta dell’anomalia media annua, non di quella mensile; “fortunatamente” tale anomalia annua è per ora a 0.87°C nel 2015, ma potrebbe superare il limite di 1°C quest’anno.

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Il nostro paese che si trova alla latitudine media di 40° Nord è nella zona in cui l’effetto crescente del riscaldamento si fa sentire; spostandosi verso Nord nel nostro emisfero le anomalie termiche si incrementano in modo massivo, raggiungendo il valore estremo nella zona polare, dove è in corso la fusione dei ghiacci una volta definiti “eterni”.

Da quando si raccolgono misure, circa la fine del ‘700, la temperatura media italiana è cresciuta in modo considerevole.

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Dati ISAC-CNR

Anche qui non confondete il valore dell’anomalia termica italiana con quel limite di 1.5°C che è ragionevole su scala planetaria (mix di terra e oceano). Si tratta comunque di un valore molto alto che cresce andando verso Nord; in Finlandia l’anomalia termica è di quasi 3°C e l’Artico questo inverno ha avuto una anomalia termica di oltre 10°C.

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Questa situazione è ormai ben conosciuta a livello mondiale e COP21 la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici tenutasi a Dicembre 2015 a Parigi ha concluso che occorre:

tenere l’incremento della temperatura media mondiale ben sotto i 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali e fare sforzi per limitare l’incremento della temperatura a 1.5 °C, riconoscendo che ciò ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico”.

La riduzione minima nella produzione di CO2 per mantenere la temperatura nei limiti è stimata -8 GTonCO2 al 2020 e -11 nel 2030 rispetto agli attuali 35-40 Gton/anno, ossia attorno al 20%.

Questo dipende dal fatto che l’apporto umano di gas serra è considerato la causa principale dei cambiamenti climatici attuali.

Quale è la situazione mondiale del consumo energetico?

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Come vedete dal grafico nel tempo il gas ha iniziato a sostituire il petrolio e in parte il carbone il cui comportamento oscillante dipende dal fatto che nonostante l’inquinamento e i limiti tecnici ha un prezzo basso; ma il totale dei fossili domina l’orizzonte, costituendo grosso modo il 90% dell’energia primaria.

Il nostro paese si è impegnato come gli altri a fare questo: ridurre i livelli di emissione del 20% entro una quindicina di anni.

A causa della crisi economica e della modifica della sua struttura economica, da più manifatturiera a più terziaria, l’andamento dei consumi primari italiani ha avuto un picco nel 2005:

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Grossolanamente siamo fra l’1 e il 2% del consumo mondiale quindi dobbiamo contribuire con una riduzione corrispondente fra 80 e 160Mton di CO2; attualmente ne produciamo circa 550-600.

Nonostante i successi ottenuti nello sviluppo di energie rinnovabili nuove come eolico e fotovoltaico che hanno raggiunto il 40% della percentuale di elettricità come vedete il valore complessivo sull’energia primaria ed inclusa la energia idroelettrica rimaniamo attorno ad un interessante 20% che ci colloca ai primi posti nello sviluppo delle rinnovabili, ma non ci elimina l’obbligo di ridurre la quota di gas serra. Purtroppo il nostro paese non ha un piano energetico nazionale degno di questo nome e non ha nessun progetto credibile per raggiungere gli obiettivi COP21.

La questione che si pone insomma non è come sostituire i fossili che non estrarremo con altri fossili, ma come sostituire quei fossili con energia rinnovabile.

Occorre dire che anche la nostra estrazione endogena di gas ha già piccato e in tempi non sospetti:

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Perchè? Prima di tutto perchè il nostro gas è un gas non poco costoso rispetto al mercato medio e quindi non molto appetibile se non fosse per le basse royalties, molto basse ripetto a quelle medie internazionali.

Fra l’altro di fatto il 17 aprile spenderemo 350 milioni per decidere se circa 50 milioni all’anno di quelle royalties ci rimarranno o no.

Anche il trend di produzione delle specifiche zone estrattive soggette a referendum (una parte di quelle entro le 12 miglia come detto qui) è in riduzione da tempi non sospetti.

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Slide di Dario Faccini, Aspo Italia

Il referendum del 17 aprile diventa quindi una occasione, tutto sommato poco costosa di iniziare questo percorso obbligato e virtuoso verso il futuro. Concordo che non c’è un progetto razionale dietro, ma la voglia di cominciare a fare qualcosa, qualcosa che chi decide la politica energetica ancora non si decide a fare.

C’è un altro aspetto che occorre sottolineare:

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Slides di Luca Pardi, Aspo Italia.

Le riserve italiane corrispondono a un consumo pari a 1-2 anni di consumi, e sono una quantità sostanzialmente irrisoria nel panorama mondiale; gli unici ad avvantaggiarsi dell’estrazione locale sono coloro che lo faranno alle condizioni favorevoli garantite dalle bassissime royalties italiche, un mero favore all’industria petrolifera.

Nel prossimo post parleremo degli aspetti lavorativi ed ambientali del referendum, che pur non essendo per quanto detto finora centrali sono da analizzare in qualche dettaglio.

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Noterelle di economia circolare. 3. Cowper.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Giorgio Nebbia

Le prime due parti di questo post sono pubblicate qui e qui.

Non siamo stati i primi a pensare al risparmio energetico e a pensare come produrre merci e manufatti cercando di consumare meno materie prime e meno energia, anzi alcune innovazioni di “economia circolare” furono applicate proprio nell’industria più inquinante, quella del carbone e dell’acciaio.

Nella metà dell’Ottocento l’acciaio si produceva già, come del resto si fa ancora oggi, partendo dai minerali di ferro; come è ben noto, il minerale viene dapprima agglomerato con il carbone coke, prodotto nella cokeria, e con calcare; la cokeria e l’agglomerazione sono fra le fasi più inquinanti dell’intero inquinantissimo processo siderurgico.

L’agglomerato viene caricato dal foro superiore dell’altoforno nel quale contemporaneamente viene introdotta, dal basso, una corrente di aria calda, il “vento”. Dalla riduzione degli ossidi di ferro con il carbonio del coke si forma la ghisa insieme ad una miscela di gas caldi, costituiti da anidride carbonica, ossido di carbonio, idrogeno e altre sostanze che all’inizio venivano perdute nell’aria; poi si è scoperto che alcuni di questi gas erano combustibili e potevano essere bruciati per fornire una parte dell’energia al processo.

cowperQualcuno aveva proposto di far passare i gas caldi entro tubazioni circondate dall’aria del “vento” da preriscaldare ma il sistema non era efficiente. La vera soluzione fu trovata da un ingegnere inglese, Edward Alfred Cowper, nato nel 1819 a Londra e figlio di un professore di ingegneria meccanica. A quattordici anni Edward era stato mandato a lavorare in una officina e mostrò subito una grande attitudine all’innovazione e alle invenzioni; ancora giovanissimo aveva fondato l’Associazione britannica degli Ingegneri Meccanici nelle cui riunioni gli inventori e gli ingegneri riferivano e rendevano pubblici i risultati delle loro scoperte.

Nel 1857 Cowper affrontò con successo il problema del recupero del calore dei gas d’altoforno; il materiale più umile che ci sia, il mattone, quando è scaldato ad alta temperatura restituisce lentamente all’ambiente circostante il calore immagazzinato. Su questa proprietà è basato il funzionamento della “torre” che porta il suo nome: si tratta di un grande tubo metallico verticale pieno di mattoni disposti in maniera alternata, in modo da lasciare lo spazio per la circolazione dei gas. I gas caldi provenienti dal foro superiore dell’altoforno entrano dal fondo della torre, passano attraverso la massa dei mattoni, li scaldano ed escono freddi dalla parte superiore della torre. A questo punto i mattoni hanno immagazzinato gran parte del calore dei gas e il ciclo viene invertito; l’aria fredda esterna (il “vento”) passa attraverso la massa di mattoni caldi, si riscalda e viene immessa nell’altoforno, con cicli alternati.

Negli stabilimenti siderurgici le torri “cowper” sono a coppie: una viene riscaldata dai gas provenienti dall’altoforno e l’altra è percorsa dal “vento” che si preriscalda prima di entrare nell’altoforno. Il dispositivo permise ben presto di produrre una tonnellata di ghisa consumando 400 kg di carbone meno di prima. All’instancabile Cowper si devono molte altre invenzioni. Sempre nel campo del risparmio energetico, che era un problema già nell’Inghilterra della metà dell’Ottocento, come lo è per noi oggi, Cowper inventò un recuperatore del calore per le locomotive ferroviarie che fece diminuire molto i consumi di carbone a parità di chilometri percorsi.

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Aveva appena diciotto anni, nel 1837, quando aveva inventato un dispositivo di allarme per l’arrivo dei treni; si era all’alba della diffusione delle ferrovie e Cowper pensò di mettere sulle rotaie una piccola cartuccia; il rumore dell’esplosione che si verificava al passaggio del treno avvertiva i casellanti che dovevano abbassare le sbarre dei passaggi a livello anche quando la fitta nebbia impediva di vedere il treno in arrivo: in questo modo i treni potevano viaggiare più rapidi e sicuri e diminuivano gli incidenti.

A Cowper, che morì nel 1893, si devono innovazioni nella costruzione di ponti metallici, di rotaie ferroviarie, l’invenzione di una telescrivente e di macchine per la stampa e l’invenzione della pedivella, la ruota dentata su cui scorre la catena della bicicletta, il perfezionamento che fece uscire la bicicletta dalla sua infanzia*. I lettori che usano questo ingegnoso e utile mezzo di trasporto ecologico, non inquinante, nel pedalare dicano grazie all’ingegner Cowper.

Ricordo personale a proposito della capacità termica dei mattoni. Nell’inverno del 1946, quando ho cominciato a frequentare l’Istituto di Merceologia dell’Università di Bologna, allora in Via Belmeloro (lo dico per i lettori che hanno frequentato l’Istituto Chimico Ciamician che confinava con quello di Merceologia), l’elettricità era erogata con interruzioni ma era disponibile il gas di città; mancando altri sistemi di riscaldamento, mettevamo un mattone su un bunsen e si attenuava così per qualche ora il gran freddo. scaldaletto2

Un mattone caldo, avvolto in un panno di lana, si metteva anche sotto le lenzuola.

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  • *(Nota del blogmaster)  in effetti sembra che Cowper abbia inventato , ma non brevettato una bici con parecchi accorgimenti moderni tra i quali i raggi delle ruote e gli pneumatici di gomma

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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

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Insegnamento della chimica: situazione critica.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

Autori vari.

Stavolta non si tratta di un post vero e proprio ma di alcune lettere di protesta che abbiamo ricevuto sul tema della ristrutturazione dei settori di insegnamento della chimica e sul ruolo giocato finora dalla SCI in queste modifiche.

E’ chiaro che la responsabilità dei cambiamenti decisi di recente e che modificano profondamente insegnare la chimica è del Governo Renzi e della Ministra Giannini in carica, non della SCI, che ricordiamolo non è un sindacato ma una associazione scientifico-culturale; la strategia seguita dalla SCI e dal CNC, che sono stati consultati e che si sono inutilmente opposti, è illustrata qui.

Tuttavia anche su questo ci sono delle critiche, come vedrete leggendo le mails che qui riportiamo; insomma il punto vero di questo post è: che ruolo per la SCI, per il CNC ed eventualmente per Federchimica, che spesso ci rappresentano, nel campo della scuola e dell’insegnamento?

Non siamo riusciti ad organizzare velocemente un post organico, ma avremo certamente delle risposte da parte di chi queste trattative ha svolto. Sentire le opinioni di tutti è importante. Questo blog è un luogo dove discuterne.

La redazione.

mail di Cosimino Malitesta <cosimino.malitesta@unisalento.it>, UniSalento, L’insegnamento delle discipline chimiche nelle nuove classi di concorso per la scuola secondaria
L’insegnamento delle discipline chimiche nelle nuove classi di concorso per la scuola secondaria (classe A-34 Scienze e tecnologie chimiche, DPR n. 19/2016): la SCI è stata consultata?

Il 23 febbraio scorso è entrato in vigore il DPR n.19/2016 che nell’intenzione dichiarata dal Legislatore vuole razionalizzare ed accorpare le classi di concorso attraverso cui è organizzata la docenza della scuola secondaria. La “vecchia” classe di concorso 13/A (Chimica e tecnologie chimiche) è stata accorpata con la 12/A (Chimica agraria) e la 66/A (Tecnologia ceramica) producendo un’unica nuova classe A-34 denominata Scienze e tecnologie chimiche che dà accesso ad una lunga lista di insegnamenti che gli interessati possono trovare in corrispondenza della classe A-34 nell’ultima colonna della Tabella A allegata al DPR (http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-02-22&atto.codiceRedazionale=16G00026&elenco30giorni=false).

Non voglio qui prendere posizione sull’indicazione che viene da questo accorpamento, ossia l’idea che per tanti anni sia stato sbagliato immaginare che gli abilitati dell’una classe non potessero insegnare le discipline dell’altra. Quest’approccio non è nuovo e chi ha qualche anno come me si ricorda di operazioni analoghe negli anni ‘90. Prima o poi sarebbe però bene che la SCI si interrogasse su quanto debba essere specializzata la formazione dei docenti che devono insegnare in istituti nominalmente specializzati ( non esistono solo i licei classico e scientifico tra le scuole secondarie!).

Invito invece i Colleghi ad andare a considerare le colonne, dalla seconda alla sesta (quest’ultima riportante alcuni vincoli), che indicano quali lauree degli ordinamenti che via via si sono susseguiti danno accesso a questa classe di concorso. Ve ne troveranno un ampio numero, accanto alle lauree in Scienze Chimiche,  Scienze e tecnologie della chimica industriale.

Per la verità tutte le lauree indicate prevedono generalmente almeno un insegnamento di Chimica generale e molte anche almeno uno di Chimica organica. Sono poche quelle che invece aggiungono a questo elenco anche la Chimica analitica, la Chimica fisica, la Chimica Industriale, gli Impianti chimici, ecc. Vi segnalo questo, perché tra le discipline che si possono insegnare ve ne sono un numero significativo ( per es. Chimica analitica e analisi applicate, Scienza dei materiali, Tecnologie applicate ai materiali ed ai processi produttivi, ecc.) che a mio parere richiedono una specifica formazione universitaria.

A questo aggiungerei un altro aspetto, assolutamente generale, temo trascurato dagli esperti che compilano le tabelle delle classi di concorso. Dopo la riforma, le tabelle ministeriali che regolano gli ordinamenti universitari indicano solo gruppi di settori scientifico-disciplinari per la composizione del percorso formativo di un corso di laurea, ossia la presenza di un SSD in quelle tabelle non è garanzia che il piano di studi lo preveda. Peraltro le lauree magistrali lasciano una buona libertà alle singole sedi nello stabilire la formazione d’ingresso (requisiti curriculari). Non che non vi sia rimedio a tutto ciò: altre classi subordinano l’accesso alla classe di concorso non solo al possesso di una specifica laurea, ma anche a piani di studio con corsi in SSD particolari. Solo a mo’ d’esempio, alla nuova classe A-20 (Fisica), corrispondente alla precedente 38/A (Fisica), può accedere il laureato in ingegneria (classi da LM-20 ad LM-35) solo se con un piano di studi con almeno 24 crediti nel settore scientifico disciplinare FIS/01 od il laureato in matematica (LM-40) solo se con un piano di studi con almeno 12 crediti nel , settore scientifico disciplinare FIS/01 o 08 ed, ancora, alla nuova classe A-40 (Scienze e tecnologie elettriche ed elettroniche) possono accedere i laureati LM-35 Ingegneria per l’ambiente ed il territorio solo con un piano di studi con almeno 48 crediti nei settori scientifico disciplinari ING-IND e ING-INF di cui 12 ING-IND/31, 12 ING-IND/32, 12 ING-IND/33, 12 ING-INF/07; e vi sono molti altri esempi che si possono fare.

Mi chiedo se la SCI, in quanto comunità di Chimici, sia stata coinvolta in questo processo di “ridefinizione” e, nel caso lo sia stata, che tipo di posizione abbia preso.

Cosimino Malitesta, UNisalento

Ho letto con attenzione le note del 19/02 e del 26/11/20158 (nota del blogmaster: cioè quelle riportate nella pagina sopra linkata della SCI – Relazioni con il MIUR) : esse trattano quasi esclusivamente dell’insegnamento della Chimica nei Licei, con un approccio che condivido in pieno (la Chimica la insegnino i chimici). Si occupano molto marginalmente dell’insegnamento delle discipline chimiche specializzate negli istituti specializzati (quelle che nel testo in vigore riguardano la nuova classe A-34). L’unico accenno che ho trovato è nel documento sulla proposta di abilitazioni bidisciplinari (“Negli istituti tecnici e in quelli professionali, per le intrinseche caratteristiche, le discipline di insegnamento sono attribuite ai soli docenti in possesso di abilitazione primaria coerente con i contenuti del corso.”). Nessuna attenzione poi sulle lauree d’accesso alla classe A-34, che è il tema che io pongo in relazione alle discipline chimiche specializzate e che segue proprio la linea di pensiero espressa in occasione della bidisciplinarietà. Tutto ciò mi dice che la SCI non si è occupata della faccenda che pongo ( non solo io ti assicuro).
Quindi, confermo la mia comunicazione. Dopo aver guardato meglio, va bene come post nel blog con avviso sulla SCI-list.

mail di Giovanni Spina <chim.spina@alice.it> Gli ex A060 possono insegnare la chimica al I biennio degli istituti tecnici ma il programma per il concorso è diverso da quello della ex A013

Buonasera, non riesco a capire come mai l’insegnamento della chimica nel primo biennio degli istituti tecnici (che doveva rimanere alla sola A-34 ex A013) è stato affidato anche alla nuova classe di concorso A-50 (ex A060 – la maggior parte naturalisti e biologi) quando i programmi di chimica per i concorsi nelle due classi sono diversi per contenuto.

CHIEDO ALLE PARTI INTERESSATE COSA FACCIAMO, RIMANIAMO A GUARDARE?

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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

https://www.change.org/p/international-union-of-pure-and-applied-chemistry-giving-name-levium-to-one-of-the-4-new-chemical-elements

Ora della Terra 2016.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Claudio Della Volpe

La Nuova Zelanda ha dato il via all’Ora della Terra alle 8.30 di oggi (ora italiana): la maratona di luci spente per un’ora sta già facendo il giro del pianeta alle 20.30 di ogni paese e dopo 24 ore terminerà domenica mattina nel Pacifico (8.30 ora italiana ) nelle Isole Cook, già drammaticamente colpite dai cambiamenti climatici per l’innalzamento del livello del mare che minaccia ecosistemi e comunità.

Oggi alle 20.30 tocca a noi. E’ un simbolo di quel che sta accadendo al clima ed è anche un simbolo di quel che si può fare: mettersi d’accordo ed agire tutti insieme!

earthhour

Volevo ricordarlo a voi tutti e anche farvi notare due cose che sono accadute nelle ultime ore e che riguardano entrambe il clima.

Una vede come protagonista l’Amministratore Delegato di ENI, Claudio Descalzi; in occasione della presentazione del piano strategico 2016-2019 l’ENI ha lanciato un hashtag #AskDescalzi, cosicchè chiunque potesse chiedere a Descalzi qualcosa su ENI; alla domanda:

“Buongiorno, quale è la strategia di Eni rispetto alla questione climate change? Grazie! Keep in mind COP21”

Descalzi ha risposto con un video di 28 secondi (https://twitter.com/eni?lang=it) in cui tra l’altro dice:

“Il climate change è per Eni un fatto prioritario, l’abbiamo detto, ma non solo abbiamo parlato di climate change, abbiamo fatto molto. In quattro anni abbiamo ridotto le nostre emissioni del 27%, abbiamo messo tecnologie, abbiamo aperto nuove direzioni per occuparcene, stiamo lavorando per ulteriori riduzioni e soprattutto per quello che riguarda le emissioni di CO2 e il venting di gas”.

(https://stopfontifossili.wordpress.com/2016/03/19/il-cambiamento-climatico-secondo-eni/)

Questa risposta mi ha ricordato quell’editoriale di Ferruccio Trifirò su C&I che sosteneva che la produzione di concimi sintetici era un esempio emblematico di chimica sostenibile perchè durante la fase di produzione si erano ridotti enormemente i costi energetici.

In quell’occasione scrissi un post (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/11/16/ma-e-proprio-vero-che-i-fertilizzanti-sono-un-esempio-emblematico-di-chimica-sostenibile/) per far notare a Trifirò che la questione è un po’ diversa; non si tratta di produrre i concimi sintetici in modo pulito ma di usarne in modo pulito, ossia di riciclarli senza alterare il ciclo dell’azoto e quello del fosforo, cosa al momento del tutto trascurata.

Allo stesso modo Descalzi dovrebbe convincersi che la questione non è produrre i fossili in modo sostenibile; non c’è un modo sostenibile di produrre i fossili che non sia non produrli. I combustibili fossili sono insostenibili per definizione, occorre solo smettere di usarli.

In un film di alcuni anni fa che si chiamava “War games” i protagonisti concludevano che non c’era un modo vincente di fare la guerra atomica mondiale e che certi tipi di “giochi” si possono vincere solo non giocandoli.

wargames2 wargames

L’umanità sta giocando ad un gioco che si chiama crescita infinita che non ha alcun vincitore; ed usa uno strumento, quello dei combustibili fossili, che sta alterando il clima del pianeta.

Ma ci sono anche le buone notizie. Alcuni colleghi italiani, riuniti sotto l’etichetta “Energia per l’Italia” coordinati da Vincenzo Balzani hanno pubblicato un breve comunicato che vi accludo sul tema di cui sto discutendo che dice le cose giuste.

Referendum 17 aprile: una politica energetica per il paese ai tempi della COP21

 

“Chi vuole dare un segnale politico, fa politica”, dicono i due vice segretari del PD. Noi ricercatori di Energia per l’Italia abbiamo svolto un’azione politica chiedendo al Presidente del Consiglio e ai Ministri interessati di aprire un costruttivo dibattito sulla Strategia Energetica Nazionale che l’attuale Governo ha ereditato da quelli precedenti e che poi ha sostanzialmente peggiorato con una serie di decreti.  Non abbiamo mai avuto risposta. Il referendum ha certamente un significato politico perché contesta una Strategia che ignora lo stato di degrado e di pericolo in cui si trova il pianeta evidenziato  dagli scienziati, sottolineato da papa Francesco nell’enciclica Laudato sì e oggetto dell’accordo alla Cop 21 di Parigi, firmato dalle delegazioni di 185 paesi fra cui l’Italia.

 

“Finché c’è gas, ovviamente è giusto estrarre gas. Sarebbe autolesionista bloccarle dopo avere costruito gli impianti, … licenziare migliaia di italiani e rinunciare a un po’ di energia disponibile, Made in Italy. Col risultato che dovremmo acquistare energia nei paesi arabi o in Russia, a un prezzo maggiore” scrivono i due vice segretari.

 Keepitintheground

Nel Regno Unito si sta svolgendo la campagna “Keep it in the ground” (letteralmente lasciali nel sottosuolo), perché lo spazio per i rifiuti nella casa comune Terra è quasi esaurito: vi è posto solo per le emissioni di CO2 che corrispondono a un quinto dei combustibili fossili che si trovano nel sottosuolo. Se ne estraiamo più di un quinto, l’aumento di temperatura supererà i 2 °C, la soglia che unanimemente è stata riconosciuta come un limite invalicabile nella conferenza di Parigi. Ecco, perché NON è giusto estrarre gas ed è invece giusto investire sul risparmio energetico e sulle energie rinnovabili.

Sostenere il SI al referendum significa anche definire gli indirizzi strategici della politica industriale del paese. Il principale risultato atteso è la conversione delle aziende del settore oil&gas verso le nuove tecnologie.

 

Il costo dell’energia è stabilito dal mercato globale e da complessi meccanismi finanziari ed economici. Ad esempio, l’energia in eccesso prodotta dalle fonti rinnovabili, ovvero non consumata da chi la produce, viene venduta a prezzi molto inferiori al costo di mercato. 

Inoltre, l’estrazione di idrocarburi in Italia ha margini di profitto relativamente bassi, perché le quantità totali sono esigue (pari al fabbisogno energetico del paese per 2-3 anni) e perché richiedono procedimenti complessi per la tutela ambientale, quali la re-immissione di acqua per ridurre la subsidenza e l’erosione delle coste.  

Non è chiaro, quindi, perché la produzione italiana dovrebbe ridurre i costi dell’energia per gli utenti finali.

 

Il referendum è una grande opportunità che il fronte politico riformista dovrebbe cogliere per progettare una transizione energetica coerente con gli accordi di Parigi e che avrebbe conseguenze molto positive sulla nostra economia.

 

Confermiamo la nostra piena disponibilità a progettare con il Governo questa transizione.

 

Vincenzo Balzani

coordinatore di Energia per l’Italia

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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

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Polveri e inquinamento atmosferico

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

 a cura di Luigi Campanella ex Presidente SCI

Considerazioni generali sulle polveri.

L’atmosfera è uno strato che difende la vita sulla terra assorbendo sia i raggi cosmici e i raggi UV ed eliminando il loro effetto sugli organismi terrestri sia i raggi emessi della terra durante la notte consentendole quindi di mantenere una temperatura stabile (intorno ai 10 – 20 °C) idonea allo sviluppo della vita. D’altra parte l’atmosfera serve anche come un “deposito” per molte sostanze di origine naturale ed antropica che si trovano allo stato di “vapore” o di “aerosol” e che hanno un effetto negativo sulla salute umana.

Il deposito secco ambientale è una fonte importante di informazione e di monitoraggio ed è una matrice essenziale per gli studi che sono legati ad essa. La caratterizzazione chimica dei composti nel deposito secco atmosferico è un dato essenziale per la valutazione della qualità dell’atmosfera e dei tipi di inquinamento dell’aria. Le particelle si formano dalla polverizzazione delle sostanze combustibili, dalla dissoluzione e lavorazione dei metalli, dal trasporto, dalle eruzioni vulcaniche, dalle polveri della terra, dagli aerosol di origine marina.

La classificazione del particolato in aria sulla base del diametro delle particelle si articola in:

  1. Sabbia: particelle grandi (diametro maggiore di 76μm) che cadono con l’accelerazione che deriva dalla forza di gravità, e si possono vedere.
  2. Fumo: particelle molto piccole (diametro minore di 1μm, (definizione IUPAC Gold Book) ) che si trovano nell’aria in forma di sospensione e si possono identificare tramite microscopio elettronico.
  3. Polveri: particelle piccole (diametro maggiore di 1μm e minore di 76μm) che possono restare sospese in aria e si possono identificare con microscopio normale.

polveri1bis_L.1183636919Le particelle nell’aria hanno una composizione chimica molto diversa, alla quale partecipano sali, ossidi, composti dell’azoto e dello zolfo ma anche i metalli. La composizione risultante dell’aria di un ambiente è una funzione meteorologica che dipende dal fattore di ventilazione (indice dello spessore dello strato di mescolamento, della velocità del vento e della densità dell’aria). Gli elementi più tipici nelle particelle per concentrazioni maggiori di 1mg/m3 sono Al, C, Na e Si, mentre a valori più bassi si trovano Cd, Co, Cr, Ni, Li, Mn, Sn. In generale il rapporto degli elementi nella composizione delle particelle in aria riflette il rapporto all’origine.

Negli ultimi anni lo studio degli aerosol atmosferici è molto avanzato per merito delle determinazioni sempre più affidabili della massa totale delle particelle e di quella dei vari composti in essi contenuti. È stato determinato che alcuni metalli tossici come As, Cd, Pb, Zn, Hg, Co, Cr, e i loro composti durante lo stato di sospensione in aria modificano leggermente le proprie dimensioni. Questo fatto rappresenta un evento di grande interesse per la salute umana, sia perché le particelle piccole (diametro aerodinamico più piccolo di 2.5μm) possono essere inalate sia perché esse persistono in atmosfera dove possono subire reazioni chimiche e trasportarsi a grandi distanze dalla loro fonte. La presenza di particolato nell’aria influenza molto la terra non solo per l’effetto inquinante ma anche per quello negativo sulla salute umana e per quello catalitico per molte reazioni chimiche indesiderabili che avvengono in atmosfera. D’altra parte, le particelle servono come punto di coagulo, una sorta di embrione per le condensazioni dei vapori atmosferici, il che è una strada naturale per rimuovere le polveri dall’atmosfera. Oggi più che mai lo studio dei composti nell’aria è di grande interesse sia per la determinazione del livello di inquinamento sia per l’eliminazione o la diminuzione del grado di pericolosità di questi inquinanti.

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Gli elementi in traccia più importanti nelle polveri che esistono sulla crosta terrestre sono: Fe, Mn, Zn, Pb, Cr, Ni, Cu, Co, Hg e Cd. La quantità di questi elementi varia da 0.2 mg/g per il Cd fino a 550 mg/g per il Mg.

Queste quantità cambiano molto riflettendo così i vari tipi di materiali esistenti sulla terra. Gli aerosoli oceanici contengono soltanto quantità in traccia di Fe, Mn, V, Pb e Zn, quantità che variano da 0.009mg/g di V fino a 5mg/g Fe.

Un’altra fonte naturale del particolato sono le piante: sono stati effettuati studi legati alla presenza di Zn e Hg nelle foglie di varie piante e inoltre è stato evidenziata anche la presenza di V, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn, As, Pb, Cd e Sn negli alberi coniferi. Anche la lava dei vulcani contiene metalli quali: Fe, Mn, V, Zn, Co, As, Sn, Cd.

Come fonte antropica di particolato devono essere anche ricordate le centrali termiche, le cui ceneri contengono concentrazioni significative di Fe, Zn, Pb, V, Mn, Cr, Cu, Ni, As, Cd. Così anche i forni dell’industria pesante producono ceneri nelle quali sono stati ritrovati Fe, Zn e in piccole quantità Cr, Cu, Mn, Ni e Pb. Da questi studi è emerso che gli elementi più importanti sono legati alle particelle di dimensione maggiore.

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http://www.appa.provincia.tn.it/aria/qualita_aria_sezione/documentazione_divulgativa_aria/-Inquinanti_principali/pagina27.html

Un’altra fonte antropica di emissione dei metalli pesanti tossici è il traffico. Dalle analisi effettuale sui campioni di polvere di strada sono stati identificati elementi come: Pb, Ni, Zn e Cd i quali sono il risultato della emissione dai tubi di scarico delle automobili. Il Pb è stato a lungo un metallo presente a concentrazione molto alta in atmosfera come risultato dell’aggiunta di tetraalchile di Pb alle benzine, per l’innalzamento del loro numero di ottano. Il Ni si trova ai livelli di traccia nell’olio dei motori per autovetture; Zn e Cd si trovano invece come componenti degli accumulatori anche se a concentrazioni sempre più ridotte.

Le tecniche analitiche che si usano oggi, sono in grado di dare un’informazione non solo sulla concentrazione totale dei metalli, ma anche sulla composizione specifica cioè sulla natura delle varie specie presenti. Spesso in mancanza di queste informazioni viene accettato che molti elementi di origine antropica (in particolare da ceneri) si trovino presenti come ossidi. Le polveri emesse dai forni delle combustioni possono contenere elementi anche in forma di cloruro. Gli elementi legati in forma di polvere sulla crosta terrestre o nelle polverizzazioni meccaniche (le particelle più grandi) sono in genere in forma di solfito, silicato, carbonato e altri composti minerali. D’altra parte è stato verificato che alcuni metalli hanno un legame forte con il solfato nei campioni di polvere e che gli ossidi di Fe, Mn e Pb assorbono SO2. Se supponiamo che gli elementi come As, Cd, Mn, Pb, V e Zn siano volatili alle temperature alte che si producono durante la combustione delle sostanze infiammabili fossili e condensino uniformemente sulla superficie delle particelle delle polveri nell’aria dove la temperatura è minore di quella di combustione, si comprende come le fonti antropiche di emissione degli elementi in traccia siano considerate più importanti (dal punto di vista della tossicità) delle fonti naturali. Spesso può avvenire una coagulazione da cui deriva un’azione sinergica tra le particelle dell’ambiente (sia di origine naturale che antropica) e altri composti identificati come composti di As, Cu e Zn che si trovano in forma di strati agglomerati di argilla o minerali. Alcuni composti metallici presenti in traccia nella polvere di strada possono derivare dalle fonti antropiche o dalla crosta terrestre; sono stati trovati Pb, Zn e Cd aggregati come carbonati a ossidi di Fe e Mn. Invece il Cu è legato di solito con la fase organica e meno con quella carbonato. Queste “associazioni” influenzano sia gli spostamenti come anche la degradazione ambientale che ovviamente risente anche delle relative trasformazioni subite dalle particelle con il passare del tempo, fra le quali la solfatazione e la nitrazione degli ossidi metallici sono le più importanti.

polvere_03

Polvere. Fibre tessili. Il colore diverso di queste fibre testimonia la
loro origine da tessuti differenti. Campione colorato con eosina. 250 X.

si veda anche: http://www.funsci.com/fun3_it/polvere/polvere.htm

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Metanolo e “narsulin”

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Mauro Icardi

Quando si discute di argomenti inerenti alla chimica, specialmente con interlocutori non chimici, il discorso finisce per toccare il sempreverde tema della sofisticazione alimentare. Trent’anni fa le prime pagine dei giornali si occuparono di uno scandalo rimasto nella memoria di molte persone. Quello del vino al metanolo. Io ho parenti che vivono nella zona del basso Monferrato e sono o sono stati viticoltori. Ho ricordi molto vivi del periodo della vendemmia. Del ritiro delle uve presso la cantina sociale di Mombaruzzo il paese d’origine dei miei genitori e dove vivevano i miei nonni. Negli anni della mia infanzia prima ed adolescenza poi ho assimilato alcuni fondamentali valori: etica del lavoro, amore per la terra ed anche un minimo di cultura sulla coltivazione della vite e sulla produzione del vino. Le vicende della vita paradossalmente mi hanno portato ad occuparmi di acqua, ma alcune basi di enologia le ho imparate sul campo.

mombaruzzo

Veduta delle colline di Mombaruzzo

La vicenda ebbe anche un riscontro che è rimasto vivo nella mia memoria. Durante una cena con i parenti in un ristorante ci venne proposto di bere un barbera imbottigliato a Narzole. Ricordo che uno zio si mise a discutere animatamente con il cameriere e con il padrone del ristorante, fino ad ottenere di far portare a tavola un vino di altra provenienza. Questo perché i miei zii esperti viticoltori sapevano benissimo che a Narzole non vi erano colline né vigneti, e quindi diffidavano del vino proveniente da quella zona. Anzi sostenevano che quella zona era una zona buona per i noccioleti, non per i filari delle vigne. Forse addirittura una terra che nei romanzi di Pavese e Fenoglio viene definita gerbido, cioè un terreno incolto per abbandono da parte dei contadini. Ma più spesso perché non adatto alla coltura della vite. Il termine dialettale “narsulin” non significa quindi persona originaria di Narzole ma adulteratore, sofisticatore di vini.

Purtroppo non riesco a ricordare quando accadde questo episodio, ma sono quasi certo che sia precedente al verificarsi dello scandalo.

Nel 1986 Narzole aveva centodieci aziende vinicole in un paese di tremila abitanti. L’attività era quella di imbottigliamento , di commercio e di rivendita di vini più che di coltivazione della vite.

Narzole

Veduta di Narzole dove aveva sede la ditta di Giovanni Ciravegna

La tentazione di sofisticare vino può prendere piede fatalmente e direi statisticamente in queste condizioni. Ma esiste una fondamentale differenza per esempio tra la pratica di aggiungere zucchero ai mosti, oppure a tagliarli con mosti di bassa qualità, o ancora nei casi più “naif” a spacciare per vino una mistura di mosto, acqua zuccherata, vinacce e carbonati. Queste sono truffe, frodi in commercio. Disdicevoli e truffaldine certamente ma senza effetti letali.

Invece nel vino che un’ imbottigliatore di Asti (Vincenzo Odore) distribuiva a grandi catene di supermercati come Esselunga a Milano e che era stato a sua volta acquistato dalla ditta Ciravegna di Narzole ci finì il metanolo.

Odorevincenzo

Due anni prima nel 1984 l’alcol metilico detto anche spirito di legno era stato detassato. Forse questo fu il fattore che spinse qualcuno ad avere l’idea di utilizzarlo per aumentare la gradazione di un prodotto che tutto era meno che vino. Dopo i primi casi di morti sospette (la prima fu quella di un uomo di cinquantotto anni Armando Bisogni invalido ed alcolista, trovato morto in casa il 3 marzo 1986 a Milano) segui un altro decesso. Altre tre persone si recarono al pronto soccorso dell’ospedale Niguarda di Milano con i sintomi dell’avvelenamento da metanolo: dolori alla testa, nausea, crampi. Dichiararono di essersi sentiti male dopo aver bevuto del vino da tavola comprato al supermercato. Scattarono i sequestri del vino eseguiti dai Nas e le analisi effettuate mostrarono valori di metanolo superiori di dieci volte il limite percentuale di 0,16 ml consentiti per legge come prodotto naturale della fermentazione.

Furono 23 le persone che morirono per questa intossicazione mentre una ventina subirono danni permanenti ai nervi ottici perdendo la vista.

La semplice mancanza di quel gruppo metilenico interposto tra il gruppo metilico e l’ossidrile fa la fondamentale differenza tra un veleno letale (l’alcool metilico) e l’alcool per antonomasia, quello etilico.metilalcol

etilalcol

Per quanto riguarda le vicende processuali Giovanni Ciravegna dopo essere stato detenuto in attesa di giudizio per un anno e mezzo, scarcerato per decorrenza dei termini e tornato al paese trovò assolutamente normale richiedere in camera di commercio l’autorizzazione a proseguire nell’attività di negoziante all’ingrosso di vini.

Il processo a Giovanni Ciravegna e a suo figlio Daniele, all’imbottigliatore di Asti Vincenzo Odore e ad altre figure minori (agenti di commercio non piemontesi ed autotrasportatori) venne celebrato nel 1991. La sentenza fu di omicidio colposo plurimo e non di omicidio volontario. Gli imputati non ammisero mai le loro responsabilità. Si ipotizzò che fossero stati usati reflui di distilleria per il taglio di quelle partite di vino, per abbassare il prezzo ed aggiudicarsi la fornitura alle grandi catene di supermercati. Probabilmente si sapeva della presenza di metanolo in quei reflui, ma si sottovalutarono o ignorarono i rischi di intossicazione e di avvelenamento.

Lo scontrino dell’Esselunga di Viale Sarca ritrovato a casa della prima vittima mostrava il prezzo del bottiglione di vino da due litri: 1860 lire. Oggi in euro quel vino costerebbe mezzo euro al litro, un prezzo assurdamente basso e fuori mercato.

In Italia abbiamo ridotto il consumo pro capite di vino che allora era di 70 litri/anno, e abbiamo imparato a capire che il vino non può costare come un soft drink qualunque. Allora questa vicenda rischiò di azzerare le esportazioni di vino e di uccidere l’industria enologica. La politica della qualità invece finì per modificare la cultura del consumo del vino. Giovanni Ciravegna morì nel 2013 senza mai ammettere nessuna colpa, anzi sostenne di essere stato ingannato, ma soprattutto di non aver dovuto sborsare una lira in risarcimenti.

Enzo Binotta un carpentiere di Monza dopo due bicchieri di quel vino bevuti la sera prima a tavola, il giorno dopo rientrò al lavoro e guardò le lancette dell’orologio. Poi improvvisamente non le riuscì più a vedere.

Perse l’uso della vista e finì per fare il telefonista in comune.

Esiste un’associazione “Vittime del metanolo” che si batte per ottenere risarcimenti per le persone che sono morte o hanno subito cecità e danni neurologici permanenti, e che non sono mai state indennizzate.

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Il caso aiuta la mente preparata. Il cellophane

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Giorgio Nebbia

“Coprilo col cellofan”: quante volte abbiamo sentito questa frase e chi la pronunciava si riferiva a un oggetto da proteggere con una pellicola trasparente, qualche volta di cellofan vero e proprio, molte volte di una delle tante altre materie plastiche trasparenti e flessibili. Il vero “cellophane” (il nome scritto così è brevettato) è stato utilizzato per la prima volta nel 1908, ed è stato una delle grandi invenzioni del secolo scorso.

drbrandLa leggenda vuole che un chimico svizzero, Jacques Brandenberger (1872-1956), un giorno fosse in un ristorante quando un cliente ha versato un bicchiere di vino sulla tovaglia; il cameriere ha portato via la tovaglia sporca e l’ha sostituita. Brandenberger si chiese in che modo si potesse rendere impermeabile un tessuto come quello della tovaglia e ricordò che pochi anni prima era stato scoperto un processo per ottenere un derivato della cellulosa che era impermeabile. La cellulosa è uno dei materiali presenti in natura, in tutti i vegetali, nelle foglie, nel cotone, nel tronco degli alberi, insolubile in acqua, ma capace di assorbire l’acqua; lo si vede bene osservando come un foglio di carta, che è cellulosa quasi pura, assorbe facilmente l’acqua.

Alla fine del 1800 il chimico francese Hilaire de Chardonnet (1839-1924), alla ricerca di una fibra artificiale che sostituisse la seta, aveva scoperto che la cellulosa, trattata con idrato di sodio e solfuro di carbonio, si trasformava in un composto, lo xantogenato sodico di cellulosa, che, in acqua, formava una soluzione viscosa; la soluzione poteva essere fatta uscire da piccoli fori e, per trattamento con acidi, si trasformava di nuovo in cellulosa “rigenerata” sotto forma di sottili fili. Era il “rayon”, la prima importante fibra tessile artificiale.

Cellulosa1

cellulosa

Rayon_synth

Rayon

Rayon_synthLa produzione industriale del rayon era stata realizzata dagli inglesi Charles Cross e Edward Bevan nel 1898. Branderberg, che era un industriale tessile, pensò dapprima di impermeabilizzare i tessuti stendendoci sopra una soluzione di viscosa; scoprì però che la viscosa non aderiva al tessuto, ma si staccava sotto forma di pellicola trasparente e, adesso, impermeabile. Aveva, insomma, scoperto un processo per trasformare la cellulosa delle piante in una pellicola impermeabile, flessibile, bella a vedersi e trasparente che chiamò “cellophane”, un nome che ricordava la cellulosa di partenza, abbinato con la radice della parola greca “diafane”, trasparente, appunto.

La produzione industriale del cellophane consisteva nella preparazione del solito xantogenato sodico di cellulosa; la sua soluzione acquosa veniva fatta passare attraverso una sottile fessura; la lamina di liquido viscoso che ne usciva era scomposta in una soluzione di acido solforico e si trasformava in una pellicole sottile che veniva poi lavata. Il cellophane, per la sua limitata permeabilità all’aria, ai grassi e ai batteri, si presentava ideale per avvolgere gli alimenti e per moltissime altre applicazioni, fra cui per avvolgere fiori e regali; durante la prima guerra mondiale fu utilizzato come “vetro” per la protezione degli occhi nelle maschere antigas, usate dai soldati contro i gas asfissianti. Più tardi è stato impiegato per la preparazione dei nastri adesivi, quelli che si chiamano “scotch” e che furono inventati nel 1930 dall’americano Richard Drew; per la preparazione di membrane semipermeabili usate in medicina per la dialisi; come antiadesivo nella preparazione di rotoli di materiali appiccicosi come la gomma greggia, e in tanti altri campi.

Nel 1917 Brandenberger cedette i suoi brevetti alla società francese “La Cellophane SA”, che rimase il principale produttore ed esportatore di cellophane fino al 1924 quando la società a sua volta cedette i diritti di utilizzazione del processo, segreto, di fabbricazione alla società americana DuPont, la quale costruì la prima fabbrica di cellophane negli Stati Uniti; un’altra società e fabbrica di cellophane fu creata insieme alla società inglese Courtaulds. Il cellophane aveva ancora un inconveniente: era parzialmente permeabile all’acqua e all’umidità e questo ne ostacolava la diffusione nel campo alimentare; un dipendente della società DuPont, William Charch (1898-1958), cercò un sistema di impermeabilizzazione del cellophane; si dice che dopo oltre duemila tentativi sia riuscito finalmente, nel 1927, a brevettare un processo efficace che ha ulteriormente allargato il campo di applicazione del cellophane.

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Nel 1947 la Dupont fu accusata dal governo americano di aver venduto il cellophane impermeabile in condizioni di monopolio, in violazione della legge Sherman che vieta, appunto, tali pratiche. Per oltre mezzo secolo il cellophane ha continuato il suo cammino trionfale; negli anni cinquanta del Novecento sono comparse sul mercato altre pellicole fatte con materie plastiche derivate dal petrolio, come il politene e il polipropilene. Per molte applicazioni hanno sostituito il cellophane perché costavano meno; secondo alcuni dati, nel 1970 nel mondo esistevano circa 50 fabbriche di cellophane che producevano 700.000 tonnellate all’anno di questo materiale; oggi tali fabbriche sono ridotte a circa 40 e la produzione è scesa a 50.000 tonnellate all’anno, anche a causa dell’inquinamento provocato da residui della loro lavorazione. Il cellophane continua comunque a trovare impiego nelle applicazioni in cui le pellicole di materie sintetiche sono inadeguate, tanto più che le sue pellicole sono adatte per avvolgere i cibi anche quando questi sono scaldati in forni a microonde o conservati in frigoriferi a bassa temperatura. Da qualche tempo si sta osservando una resurrezione dell’uso del cellophane le cui pellicole, a differenza di quelle delle materie plastiche, sono biodegradabili in tempi relativamente brevi, un mese o due. Potrebbe essere quindi l’ecologia a far rinascere, anche in questo caso, una merce e una industria apparentemente in declino.

Altrettanto singolare, come quella della materia da lui inventata, è la storia dell’inventore, quel Brandenberger che ebbe successo finanziario vendendo i brevetti della sua invenzione; la figlia ha voluto creare una fondazione sul cui sito Internet www.stiftungbrandenberger.ch (visitato 10-3-2016) un lettore curioso troverà notizie interessanti, magari per una tesi di laurea in chimica o merceologia o storia della tecnica. La stessa vita dell’inventore sembra una dimostrazione della celebre frase di Pasteur: il caso aiuta la mente preparata. Ma qualche mente “preparata” può forse scoprire ancora altre applicazioni; variando le condizioni del processo di fabbricazione si possono ottenere tipi di cellophane con proprietà molto diverse; pellicole molto sottili sono state usate per creare immagini tridimensionali sugli schermi dei televisori e computer; applicando una corrente elettrica su sottili elettrodi di oro stesi sulle due facce di una pellicola di cellophane la pellicola può mettersi a vibrare.

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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

https://www.change.org/p/international-union-of-pure-and-applied-chemistry-giving-name-levium-to-one-of-the-4-new-chemical-elements