Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo
a cura di Rinaldo Cervellati
In questa terza parte ( i precedenti post sono pubblicati qui e qui) parleremo di come si valuta l’efficacia degli antiossidanti e discuteremo alcuni luoghi comuni su questi prodotti che sono ormai diventati di dominio pubblico.
Anzitutto vediamo con quali metodi si misura la capacità di sottrarre radicali liberi di un antiossidante. Va premesso che nessun metodo chimico in vitro (in provetta o su linee cellulari) può simulare ciò che accade nell’organismo umano o animale e che tutti i test proposti forniscono misure relative a uno standard, cioè a una sostanza riconosciuta come antiossidante e quindi presa come riferimento[1]. Tuttavia queste misure forniscono utili indicazioni sul possibile impiego della sostanza in esame che comunque dovrà essere testata in vivo. Premesso ciò, esistono numerosi metodi per valutare la capacità antiossidante chimica di composti puri o in matrice. I vari metodi differiscono per i tipi di reazione utilizzati e per i loro meccanismi, per le sostanze usate come standard, ecc.; tutti poi presentano qualche svantaggio, ad esempio il radicale che viene usato non è fra quelli presenti nell’organismo, il pH di lavoro è diverso da quello dei fluidi corporei. Inoltre, nell’ambito di ciascun metodo, diversi autori usano standard diversi. Nonostante i vari congressi che si sono svolti allo scopo di identificare uno o due saggi da proporre come metodi standardizzati, non è finora stato raggiunto un accordo univoco fra i vari ricercatori. Per questi motivi viene consigliato di utilizzare almeno tre metodi per la valutazione dell’attività antiossidante, in modo da avere indicazioni più realistiche su tale proprietà [1].
Si possono suddividere i test in due grandi categorie, a seconda del meccanismo con cui lavorano:
- a) per trasferimento di un atomo di idrogeno (HAT) dall’antiossidante al radicale, ad esempio:
Ar(OH)n + R−H• → Ar(OH)n-1O• + R−H2
dove con Ar(OH)n si è indicato un generico antiossidante polifenolico di cui si vuole misurare l’attività e R−H• è il radicale usato nel saggio;
- b) per trasferimento elettronico (ET), basato sulla misura della capacità di un antiossidante di ridurre la forma ossidata del reagente del saggio, ad esempio:
R(n+) + Ar(OH)n → R(n+) + Ar(OH)n-1O• + H+
dove lo ione reagente R(n+) trasferisce un elettrone all’antiossidante riducendosi a R(n-1)+.
Alcuni tra i vari saggi comunemente impiegati sono:
– TEAC (Trolox Equivalent Antioxidant Capacity), metodo ET+HAT, radicale: ABTS●+ preformato per reazione fra ABTS (2,2′-azinobis-(3-ethylbenzothiazoline-6-sulfonic acid) diammonium salt) e K2S2O8, pH = 7.4 analogo a quello del sangue;
– DPPH , metodo HAT, radicale 2,2-difenil-1-picrilidrazil (uno dei pochi radicali stabili in forma solida), soluzione metanolica;
– FRAP (Ferric Reducing Antioxidant Power), metodo ET, ossidante tripiridil-s-triazina-Fe3+, in tampone acetato, pH = 3,6;
– BR (reazione oscillante di Briggs-Rauscher), metodo HAT, radicale HOO● intermedio della reazione, pH ≈ 2,2 (analogo a quello dei succhi gastrici).[2] Per i primi due metodi viene usato come standard il Trolox ((R)-(+)-6-hydroxy-2,5,7,8 tetramethylchroman-2-carboxylic acid), un analogo della vitamina E solubile in soluzioni neutre o moderatamente acide, per il terzo il solfato ferroso (FeSO4) e per il quarto il resorcinolo (1,3-diidrossi benzene).

http://www.mdpi.com/1420-3049/21/2/208/htm Molecules 2016, 21(2), 208; doi:10.3390/molecules21020208
L’impiego di linee cellulari, generalmente da organi animali, prevede che a un campione di cellule venga indotto lo stress ossidativo (ad esempio trattandole con H2O2), poi una metà viene trattata (o pretrattata) con l’antiossidante e l’altra con una semplice soluzione tampone. A intervalli di tempo si prelevano aliquote delle due frazioni e si sottopongono a test antiossidanti. Dal confronto si ha una misura dell’efficacia dell’antiossidante[3]. Nell’articolo citato in nota, la capacità di due catechine estratte dalla pianta del tè di ridurre la produzione di ROS e la frammentazione del DNA su linee cellulari di rene di maiale infettate da micotossine, ha mostrato che l’epicatechingallato (ECG) e l’epigallocatechin gallato (EGCG) sono effettivamente efficaci su queste cellule[4]. Tuttavia le altre catechine contenute nel tè (catechina, epicatechina, catechingallato) che pure mostrano una elevata capacità sottrattrice di radicali in provetta risultano inefficaci sulle suddette linee cellulari. Probabilmente l’efficacia di ECG e di EGCG è dovuta al loro carattere parzialmente lipofilo che permette di penetrare all’interno delle membrane cellulari dove viene intrappolato il pericoloso radicale ossidrile.
Si deduce quindi che le prove in vitro su linee cellulari sono una fase importante nella valutazione complessiva degli antiossidanti.
Vengono anche usate linee cellulari prelevate da tessuti umani di persone affette da gravi patologie (tumori, fibrosi cistica,ecc.) di cui lo stress ossidativo è considerato concausa[2].
La valutazione dell’efficacia degli antiossidanti viene effettuata anche in vivo, ad esempio su topi e ratti. Anche in questo caso gli animali vengono divisi in due gruppi, il gruppo controllo e quello a cui viene artificialmente indotto lo stress ossidativo. Al primo gruppo viene somministrato un placebo, il secondo viene trattato con il potenziale antiossidante. Gli effetti vengono confrontati sugli organi interessati anche attraverso opportuni esami istologici[5]. Esempi sono riportati in [3], da questi lavori è stato possibile verificare che estratti da piante contenenti un elevato contenuto di polifenoli, nei casi citati le specie Cynara scolymus, Verbena officinalis e Rosa Canina rispettivamente, presentano proprietà epatoprotettive, gastroprotettive e anti-infiammatorie nei ratti.
Accanto alla capacità di penetrazione nelle membrane cellulari, un altro importante fattore per verificare l’efficacia degli antiossidanti è la biodisponibilità. In senso stretto la biodisponibilità è data dalla frazione di un farmaco che raggiunge la circolazione sistemica senza subire alcuna modificazione chimica rispetto al totale somministrato ed è legata alla velocità con cui il farmaco è reso disponibile nella circolazione sistemica. In senso lato il termine viene applicato anche alle sostanze assimilate con gli alimenti e quindi anche agli antiossidanti polifenolici sia liberi (integratori) sia in matrice (estratti o infusi di piante e vegetali, bevande, ecc.).
La determinazione dell’effettiva biodisponibilità di un antiossidante o di un insieme di antiossidanti assunti per os, richiede esperimenti e calcoli farmacocinetici molto complicati perché essa dipende da numerosi fattori difficilmente isolabili, come ad es. il rilascio dell’antiossidante dalla matrice, l’azione degli enzimi nello stomaco e nell’intestino e gli effetti dei relativi metaboliti, l’assorbimento da parte della mucosa intestinale, il trasferimento attraverso la parete intestinale (inter- e/o intra-cellulare), il raggiungimento nella circolazione sanguigna o nel sistema linfatico, l’escrezione (attraverso le urine o le feci)[6]. Anche fattori quali l’assunzione a stomaco pieno o vuoto, il genere, l’età, la concomitanza di stati patologici influenzano la biodisponibilità.
Sugli antiossidanti sono state e sono tuttora pubblicate un fiume di ricerche e continuano a interessare case produttrici di nutraceutici, cosmetici, fitoterapici ecc. Inevitabilmente tutto ciò ha dato luogo a diverse critiche, polemiche e anche a equivoci. Una critica molto frequente riguarda le quantità di antiossidanti usate negli studi in vitro e in vivo sulla loro efficacia, che sono notevolmente superiori a quelle assunte normalmente con gli alimenti (frutta e verdura). In realtà per alcuni antiossidanti polifenolici sono stati osservati effetti opposti (benefici o tossici) a differenti livelli di esposizione, con variabilità a seconda del polifenolo considerato.
È noto che a dosi elevate la vitamina C invece di agire come antiossidante diventa un pro-ossidante, infatti può ridurre gli ioni ferrici a ferrosi innescando così la reazione di Fenton con formazione di radicali ossidrili[7]. È stato dimostrato che la supplementazione con 20 mg/die di β-carotene (precursore della vitamina A) a un gruppo di fumatori aumenta l’incidenza di tumore al polmone del 18%, successivamente la dose giornaliera raccomandata è stata stabilita a 2-7 mg/die. È dunque necessario acquisire conoscenze adeguate sulla biotrasformazione degli antiossidanti per identificare le dosi ottimali con un alto rapporto beneficio/rischio.
Per tenere conto di tutto ciò i ricercatori consigliano di non superare di tre volte la quantità massima usata per lo standard (Trolox) nei test in vitro sull’attività degli antiossidanti in quanto concentrazioni superiori non sarebbero potenzialmente applicative.
Spesso si ritiene che una sostanza che si è mostrata molto attiva nei saggi in vitro lo sia automaticamente anche in vivo. Come si è visto con le catechine le cose non stanno così: ogni antiossidante ha un suo profilo biochimico, che si riflette nei diversi siti d’azione e nella diversa attività biologica. Difficilmente oggi le riviste specializzate accettano ricerche prive di almeno qualche test su specifiche linee cellulari, alcune poi richiedono anche una verifica in vivo.
Qualcuno ritiene che per svolgere l’azione di sottrazione dei radicali liberi gli antiossidanti debbano reagire più rapidamente con i radicali rispetto a quanto questi ultimi reagiscano con le molecole biologiche, cosa che si sostiene sia impossibile con i radicali estremamente reattivi come l’ossidrile (HO●). Tuttavia, i radicali lipidici perossilici nelle membrane (prodotti dagli HO●), che hanno un’emivita molto più lunga dei radicali idrossilici, possono essere neutralizzati dalla vitamina E. Inoltre, anche per i radicali HO● un antiossidante sito-specifico può fornire una protezione legando il ferro, impedendo così la reazione di Fenton. In altre parole è possibile la protezione primaria, che consiste nel prevenire la formazione dei radicali. Oltre alla sottrazione diretta, gli antiossidanti possono poi anche agire indirettamente tramite attività anti-infiammatoria o induzione di fattori protettivi antiossidanti.
Ecco l’equivoco più comune applicato dal pubblico agli antiossidanti: gli antiossidanti naturali sono migliori di quelli sintetici cioè “chimici”. È purtroppo favorito anche dai media (stampa, TV, internet, social ecc.). Ora, è vero ad es. che l’R,R,R-α-tocoferolo, la forma naturale dell’α-tocoferolo è più efficiente contro la perossidazione lipidica delle membrane rispetto ad altri enantiomeri sintetici derivati dell’α-tocoferolo. Tuttavia, l’R,R,R-α-tocoferolo sintetico è identico alla forma naturale, semplicemente perché si tratta della stessa molecola. Questo ragionamento è identico anche per la vitamina C naturale (estratta dagli agrumi) e l’acido L-ascorbico di sintesi a parità di purezza, come non mi stanco mai di dire a amici e conoscenti.
Infine un equivoco comune a molti addetti ai lavori è quello per cui gli antiossidanti non sono farmaci. Effettivamente in senso stretto i farmaci agiscono su un target specifico come un enzima, un recettore o un trasportatore. La specificità di un farmaco è l’azione con cui esso agisce su un unico target inducendo un forte effetto[8]. L’efficacia clinica di un farmaco è pertanto relativamente facile da misurare. Per contro, gli antiossidanti hanno una moltitudine di effetti (regolano il metabolismo, ne incrementano la flessibilità, migliorano l’omeostasi, favoriscono l’eterostasi, ecc.). La loro azione è certamente non specifica, pertanto i loro effetti sulla salute umana sono più difficili da verificare. Tuttavia, poiché lo stress ossidativo cellulare è comunque uno stato alterato dell’organismo che è probabilmente concausa e certamente è conseguenza di gravi patologie cardiovascolari, polmonari e tumorali, è possibile supporre che l’uso di integratori a base di antiossidanti possa ridurre o alleviare i disturbi collaterali in pazienti affetti da queste patologie. Uno studio molto interessante si è occupato di valutare l’impatto della supplementazione con antiossidanti in chemioterapia [4]. In particolare sono stati osservati gli effetti dell’integrazione con vitamine, glutatione, melatonina, acido ellagico e miscele di antiossidanti, con agenti chemioterapici (podofillina, cisplatino, antracicline) che agiscono producendo ROS diretti alle cellule tumorali. I risultati hanno mostrato che l’integrazione di antiossidanti in chemioterapia non solo non compromette l’efficacia del trattamento antineoplastico, ma è in grado di ridurre nella maggior parte dei casi i gravi effetti tossici a livello nervoso, renale, uditivo ed ematico associati all’azione dei chemioterapici, permettendo ai pazienti di tollerare cicli completi di chemioterapia, migliorandone di conseguenza la qualità di vita durante il trattamento.
Liberiamo allora il campo da uno dei principali equivoci che la pubblicità induce nei consumatori per cui gli antiossidanti curerebbero tutti i mali, essi non sono una cura ma certamente contrastano gli eventi infiammatori causati dallo stress ossidativo cellulare e possono ridurre gli effetti tossici dei farmaci.
Bibliografia
[1] Schlesier K. et al., Assessment of Antioxidant Activity by Using Different In Vitro Methods, Free Radical Research, 2002, 36, 177-187.
[2] Andreani, A. et al., Chemopreventive and antioxidant activity of 6-substituted imidazo[2,1-b]thiazoles, Eur. J. Med. Chem., 2013, 68, 412-421.
[3] Speroni E. et al, Efficacy of different Cynara scolymus preparations on liver complaints, J. Ethnopharm, 2003, 86, 203-211; Speroni, E. et al., Effects of differential extraction of Verbena officinalis on rat models of inflammation, cicatrisation and gastric damage, Planta Medica, 2007, 73, 227-235; Lattanzio, F. et al., In vivo anti-inflammatory effect of Rosa canina L. extract, J. Ethnopharm, 2011, 137, 880-885
[4] Block, K.I. et al., Impact of antioxidant supplementation on chemotherapeutic efficacy: A systematic review of the evidence from randomized controlled trials, Cancer Treatment Reviews, 2007, 33, 407-418
NdB: un recente lavoro che chiarisce parecchi punti controversi è il seguente:
Ten misconceptions about antioxidants Aalt Bast and Guido R.M.M. Haenen in
[1]Una misura non relativa della capacità sottrattrice di radicali si potrebbe ottenere ad esempio dalla determinazione sperimentale della velocità della reazione diretta fra l’antiossidante e il radicale ossidrile (cit. [1] dei precedenti post).
[2]Questi metodi, oltre a un quinto, il DMPD, sono stati utilizzati nell’articolo citato nella nota 1 del precedente post dove è presentata anche una matrice di correlazione fra i risultati ottenuti con i diversi metodi.
[3]v. ad es.: Costa, S. et al., Catechins: natural free-radical scavengers against ochratoxinA-induced cell damage in a pig kidney cell line (LLC-PK1), Food and Chemical Toxicology, 2007, 45 1910–1917 e anche nota 3 del post precedente.
[4]Le micotossine sono prodotte da funghi delle specie Aspergillus e Penicillum e possono infettare i cereali usati come mangimi per animali, soprattutto maiali. Dall’animale le tossine passano ai prodotti freschi o insaccati con conseguenti gravi pericoli per la salute dei consumatori.
[5]Molta attenzione viene fatta per evitare inutili sofferenze agli animali, tutte le procedure vengono controllate dal Servizio Veterinario Universitario e dal Comitato Etico, in accordo con l’ European Communities Council Directive. Gli animalisti se ne facciano una ragione, nessun modello computerizzato può attualmente sostituire la sperimentazione in vivo. Questi animali nascono, sono allevati e nutriti in cattività, fuori non saprebbero cavarsela, sarebbero preda di cani, gatti e quant’altro, un destino molto molto crudele.
[6]La determinazione della biodisponibilità di un farmaco somministrato per via endovenosa è relativamente più semplice. http://www.msd-italia.it/altre/manuale/sez22/2982738.html
[7]A tale proposito vale la pena notare la lunga polemica (non ancora del tutto esaurita) che ha coinvolto Linus Pauling (Premio Nobel per la Chimica 1954, per la Pace 1962), fondatore della medicina ortomolecolare che sosteneva la supplementazione di dosi giornaliere massicce di vitamina C per prevenire/curare malattie dal raffreddore al cancro.
[8]Vi sono tuttavia farmaci multitasking, ne è un esempio l’acido acetilsalicilico (aspirina) di cui si è parlato in un recente post.
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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!