Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo
a cura di Claudio Della Volpe
Un recente episodio mi spinge a riflettere sul ruolo della SCI nella società e nella cultura italiana e a considerare il seguente quesito: la SCI (e in generale le organizzazioni dei Chimici, per esempio gli ordini professionali e il CNC) dovrebbe prendere posizione su alcuni almeno dei grandi temi che quotidianamente si pongono all’attenzione (a volte, ma non sempre, connessi direttamente con la Chimica)? E cosa potrebbero fare?
Qualcosa del genere, con qualche mal di pancia, è avvenuto nel caso del clima e mi sembra molto positivo. Ma vediamo a cosa mi riferisco.
Mi riferisco qui a un episodio avvenuto negli scorsi giorni; la condanna di alcuni dirigenti della società Syndial da parte della magistratura per un episodio di grave inquinamento verificatosi in Sardegna.
In questo caso la chimica è chiamata in ballo dal ruolo e dalle attività della società implicata, la Syndial, che è una società ENI che si occupa di riqualificazione ambientale; alcuni dei cui dirigenti sono stati condannati in un processo per inquinamento ambientale.
Il processo, denominato “Darsena dei veleni” era nato in seguito a un sovralluogo effettuato dai vigili del fuoco nella darsena servizi del porto industriale di Porto Torres, sopralluogo culminato con il sequestro cautelare di una parte della darsena.
L’inchiesta era poi stata avviata dalla procura della repubblica di Sassari che aveva individuato nei vertici di Syndial e Polimeri Europa i presunti responsabili dell’inquinamento della darsena servizi (proprio a ridosso dell’ex petrolchimico), che per anni era stata “alimentata” dalla falda acquifera inquinata caratterizzata dalla presenza di sostanze cancerogene, con livelli migliaia di volte superiori ai limiti consentiti dalla legge.
Succintamente e attingendo ai testi dei giornali:
il pool difensivo di Eni – composto dai legali Carlo Federico Grosso, Mario Maspero, Fulvio Simoni, Grazia Volo, Luigi Stella, Piero Arru – (ha presentato) le controdeduzioni proprio relativamente alla costituzione delle parti civili. Dopo mesi di accertamenti e audizioni di testimoni erano stati iscritti nel registro degli indagati il rappresentante legale di Syndial Spa Alberto Chiarini, il responsabile gestione siti da bonificare Francesco Papate, il responsabile Taf Management (Taf è l’impianto per il trattamento delle acque di falda) Oscar Cappellazzo, i responsabili dell’area operativa Taf Gian Antonio Saggese e di salute, ambiente, sicurezza del Taf Francesco Leone, il rappresentante legale di Polimeri Europa Daniele Ferrari, il direttore di stabilimento Paolo Zuccarini e il responsabile della sezione salute, sicurezza, ambiente, Daniele Rancati. A tutti veniva contestato di “non aver adottato le opportune cautele” e di aver quindi “cagionato un disastro ambientale per lo sversamento in mare di sostanze inquinanti”.
Il punto è che per l’accusa, gli interventi di risanamento ambientale messi in atto dalla Syndial non avrebbero funzionato.In altri termini, dalla barriera idraulica costituita da pozzi di emungimento collegati a sistemi di trattamento delle acque e dispositivi per misurare il gradiente di diffusione dell’inquinamento, continuano a fuoriuscire inquinanti. Tesi, questa, respinta dalla difesa, che ha commissionato una perizia ad esperti americani. Per i quali la barriera bloccherebbe il deflusso delle sostanze inquinanti verso la darsena. Sempre per gli esperti della difesa, responsabile dell’inquinamento in quell’area, sarebbe una condotta fognaria della rete comunale.
In passato, è stato proprio il Ministero dell’Ambiente a denunciare l’inefficacia del sistema. Ma da allora nessuna nuova procedure di contenimento è stata messa in atto. Per avere un’idea dei livelli d’inquinamento della falda, basta riportare i dati notificati dalla stessa Syndial: “Arsenico 50 volte il limite, mercurio 10 volte il limite, benzene 139.000 volte il limite, etilbenzene 100 volte il limite, toluene 4.900 volte il limite, cloruro di vinile monomero 542.000 volte il limite, dicloroetano 28.000.000 di volte il limite, dicloroetilene 9.980 volte il limite, tricloroetilene”
Il rito abbreviato che ha caratterizzato il processo e che ha consentito il dibattito a porte chiuse (e questo atteggiamento sarebbe da spiegare da parte dell’ENI) si è chiuso con la condanna di tre degli 8 manager implicati (Saggese, Papate e Cappellazzo) accusati di disastro ambientale colposo e deturpamento delle bellezze naturali per avere riversato in mare rifiuti industriale altamente inquinanti. Sono tutti e tre di Syndial, e dovranno pagare oltre 500.000 euro di danni.
Infatti andranno 200 mila euro al ministero dell’Ambiente, 100 mila euro alla Regione Sardegna, 100 mila euro al Comune di Porto Torres, 50 mila euro a testa a Giovanni e Alessandro Polese (titolari di un cantiere nautico della zona). Altri 10 mila euro a testa come risarcimento dei danni morali sono stati riconosciuti alle associazioni Anpana, Lega per l’abolizione della caccia onlus, Comitato cittadino Tuteliamo il Golfo dell’Asinara e al Comitato d’azione protezione e sostenibilità ambientale per il nord ovest Sardegna.
Questi sono gli episodi che poi costituiscono la base per la immagine negativa della chimica; gli episodi in cui la Chimica viene avvicinata all’inquinamento al danneggiamento della Natura e che costituiscono il presupposto per l’uso così negativo della nostra parola chiave.
Anche se nello Statuto della nostra associazione non è esplicitamente indicata la difesa dell’immagine della Chimica, questo scopo può e deve essere, sia pure implicitamente, considerato un obbiettivo strategico; nel comma 1 dell’art. 2 si dice infatti “di divulgare la conoscenza della Chimica e l’importanza delle sue applicazioni nel quadro del benessere e del progresso della Nazione”.
Dovrebbe essere sufficiente a porsi il problema e l’obiettivo di usare come strumento l’azione legale e considerarsi parte lesa in questi episodi e di iscriversi nella lista delle associazioni che ricevono danno morale da episodi di questo tipo; su questa base la SCI potrebbe chiedere in questi casi di costituirsi parte civile nei processi di questa portata e contenuto.
Fra l’altro queste sono le condizioni per recuperare la nostra immagine positiva nei confronti dell’opinione pubblica; far vedere che ci poniamo attivamente contro i comportamenti dell’industria e dei suoi attori quando questi sono contrari all’etica e al vivere civile e alla legge stessa: chimica si ma l’uomo e la Natura vengono prima.
E’ un quesito che rivolgo al CC della SCI e a tutti i soci; apriamo un dibattito su questi temi. E aggiungo: Cosa succederebbe se in episodi del genere fossero coinvolti iscritti SCI o degli ordini? Ci sarebbe un effetto? O tutto passerebbe o passa di fatto in cavalleria? Ci sono stati soci o iscritti agli ordini contro i quali a causa di episodi del genere il filtro delle organizzazioni nazionali di categoria o culturali come la nostra abbia funzionato; non ne sono a conoscenza; chi ne sa di più?
A voi la parola.