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a cura di Angela Rosa Piergiovanni
Forse non è molto noto che il fenomeno del carsismo è molto comune in Puglia. Le Grotte di Castellana, in provincia di Bari, rappresentano sicuramente il risultato più spettacolare e sono una delle maggiori attrazioni turistiche della regione. In realtà, il territorio pugliese è costellato da una varietà di strutture carsiche sia ipogee che epigee (grotte, doline o puli, gravine e lame) che, essendo decisamente meno spettacolari delle grotte di Castellana, restano ai margini degli itinerari turistici più frequentati o ne sono del tutto escluse. Il Pulo di Molfetta, in provincia di Bari, ne è un esempio eppure avrebbe molte interessanti storie da raccontare dall’insediamento neolitico ritrovato ai suoi margini, al convento cinquecentesco dei frati cappuccini ma è anche un esempio, forse unico in Italia, di archeologia industriale collegata al carsismo.
Il Pulo è una depressione di forma ovoidale, con un diametro di circa 170 metri, un perimetro di quasi 600 metri e una profondità intorno ai 35 metri. Una immagine da satellite permette di apprezzare meglio forma e dimensioni (Fig. 1).
La sua origine è dovuta al crollo in tempi molto remoti della volta di ampie cavità sotterranee generate appunto dal carsismo. La conformazione del territorio antecedente al crollo è intuibile osservando le pareti verticali che sono costellate da numerose grotte poste su vari livelli, molte delle quali sono comunicanti tra loro. L’attuale aspetto, sicuramente molto diverso da quello immediatamente dopo il crollo della volta, è frutto di millenni di erosione ad opera degli agenti atmosferici. Questa erosione ha prodotto nel tempo molteplici crolli delle pareti laterali, costituite da calcari organogeni del cretaceo inferiore, ampliando progressivamente la depressione originaria. La penetrazione, e quindi l’azione corrosiva, delle acque meteoriche è infatti favorita dalla fitta stratificazione a “chiancarelle” delle rocce e da una loro notevole fratturazione in senso verticale. Peculiarità del Pulo non è la formazione nei millenni di stalattiti o stalagmiti ma dei nitrati di grotta. Si tratta di una patina biancastra di salnitro che ricopre ampie zone delle pareti e delle volte delle grotte. La formazione del salnitro è causata dalla decomposizione di materiale organico nel suolo sovrastante la dolina. Questo, disciogliendosi nell’acqua piovana, passa nella roccia sottostante ad alta porosità. Il percolato incontra lungo il cammino verso il basso, delle cavità in cui parte dell’acqua evapora producendo il suo progressivo arricchimento in composti azotati. Sulle pareti interne delle grotte, nella zona più vicina all’interfaccia roccia-aria, i composti azotati del percolato possono subire l’azione ossidante dei batteri che da luogo alla formazione di acido nitrico. L’acido così prodotto si combina con i composti basici circostanti contenenti potassio, calcio e magnesio. L’evaporazione dell’acqua residua da luogo ai nitrati che, in condizioni di saturazione, si depositano nelle fratture della roccia.
La casuale scoperta della presenza di salnitro nelle grotte del Pulo avvenne nel 1783 ad opera dell’abate Fortis, studioso padovano in visita in Puglia su invito del canonico molfettese Giuseppe M. Giovene che aveva iniziato la sistematica ricognizione scientifica del Pulo.
(Pulli 1817)
Questa la descrizione che ne fece il Pulli circa 20 anni dopo, in cui è riportato come alle grotte di maggiore rilevanza vennero dati i nomi dei regnanti del tempo. La notizia del ritrovamento non sfuggi all’attenzione delle autorità borboniche. Infatti, questa inaspettata fonte di salnitro poteva rappresentare una parziale alternativa alla dipendenza delle strutture statali da appaltatori privati che all’epoca, gestivano la produzione del salnitro a partire dallo stallatico obbligatoriamente conferito dai contadini. Alla fine del ‘700 la disponibilità di salnitro era garanzia di un adeguato armamento dell’esercito. Infatti, esso era il componente principale della polvere pirica, che si otteneva miscelando nitrato di potassio, carbone di legna e zolfo in rapporto 7:2:1, rispettivamente. Per sfruttare le potenzialità di questa nuova fonte di salnitro nel gennaio del 1784 divenne operativa all’interno del Pulo la “Reale Nitriera Borbonica”. Si trattava di una complessa struttura industriale concepita per trasformare in loco il salnitro estratto dalle grotte sfruttando la disponibilità di legna fornita dalle campagne circostanti, la falda acquifera sottostante facilmente accessibile e un sistema per la raccolta dell’acqua piovana. L’impianto era costituito da tre distinti corpi di fabbrica, in parte in muratura, destinati alle diverse fasi del lungo e laborioso ciclo produttivo. Un complesso sistema di vasche, canali e cisterne consentiva la lisciviazione delle terre nitrose estratte dalle grotte del lato nord della dolina. L’acqua madre così ottenuta ricca di nitrati subiva una fase di decantazione in una vasca interrata. Successivamente il liquido madre era trasferito nell’edificio dotato di fornaci in cui avveniva la cottura e raffinazione del salnitro grezzo. Nella prima fase di operatività della struttura (1784-1786) la cottura avveniva in 4 piccole fornaci ciascuna contenente una caldaia metallica (Fig. 2).
La fase finale del processo produttivo si svolgeva nell’ultima struttura costituita da un vano in cui il salnitro era lasciato cristallizzare in appositi catini di ceramica invetriati internamente. A completamento della nitriera fu riadattato il cinquecentesco convento dei cappuccini, posto all’ingresso della dolina, che divenne sede del corpo di guardia incaricato di sorvegliare l’opificio. All’epoca esistevano diverse nitriere in “Terra di Bari”, alcune delle quali in comuni limitrofi a Molfetta pertanto, sebbene le modalità operative fossero diverse da quelle adottate nel Pulo, il raffronto in termini di produzione fu inevitabile. Dopo solo due anni dall’inizio delle attività, le denunce per la scarsa produttività portarono a miglioramenti del processo produttivo e alla sostituzione dei responsabili della nitriera. Fu abbandonato l’uso di acqua salmastra per la lisciviazione delle terre nitrose e per incrementare la produzione il sopraintendente Targioni fece costruire, tra il 1787 e 1789, una fornace a setti radiali di dimensioni decisamente maggiori rispetto alle fornaci già in uso (Fig. 3).
L’attenzione che la nitriera e il processo produttivo utilizzato per l’estrazione del salnitro suscitò tra gli studiosi del tempo fu notevole. Il famoso geologo francese Dieudonné Tancrède Gratet de Dolomieu accolse con meraviglia la scoperta dell’abate Fortis e molti illustri personaggi del tempo visitarono personalmente la nitriera. Tra essi vanno ricordati il naturalista G.A.W. Zimmermann, il mineralogista inglese sir John Hawkins, l’illuminista teramano Melchiorre Delfico, il conte svizzero Karl Ulysses von Salis Marschlins. A seguito della sua visita Zimmermann stilò un accurato resoconto sull’opificio nel “Viaggio alla nitriera naturale di Molfetta” che fu presentato il 27 agosto 1788 all’Académie Royale des Sciences di Parigi.
Sir J. Hawkins, nella sua visita avvenuta nel 1788, disegnò la famosa veduta del Pulo donandoci una istantanea del tempo che consente oggi di visualizzare la nitriera borbonica in attività (Fig. 4).

Fig. 4. Veduta di J. Hawkins tratta da G. Zimmerman “Voyage à la nitrière nauturelle qui si trouve à Molfetta dans la Terre de Bari en Pouille”. (Bari Biblioteca Provinciale De Gemmis).
In primo piano sono ben visibili due costruzioni con tetto spiovente ricoperto di tegole, attribuibili ai corpi di fabbrica utilizzati per la cottura e lo stoccaggio del salnitro. Analizzando attentamente la veduta si può osservare come la vegetazione arborea circostante appaia molto ridotta, soprattutto se confrontata alla situazione attuale (Fig. 1). Presumibilmente gli alberi presenti nel Pulo furono i primi ad essere utilizzati come combustibile per le fornaci. Infine, sullo sfondo sono ben evidenti i cumuli di pietrame residui del processo estrattivo.
L’attività della nitriera ebbe però vita breve poiché la produzione nonostante gli sforzi dei gestori non raggiunse mai livelli molto elevati. Il 25 ottobre 1808 l’ispettore generale delle nitriere e polveriere del Regno di Napoli, il chimico terlizzese Pietro Pulli (1771-1841), visitò la nitriera del Pulo trasmettendo alle autorità una relazione su quanto osservato. Nel documento sono descritti in dettaglio i corpi di fabbrica utilizzati nel ciclo produttivo, le caratteristiche delle rocce ma soprattutto non sono risparmiate critiche a chi, non esperto in scienze chimiche, aveva ritenuto di individuare nel Pulo una abbondante fonte di salnitro.
Questo rapporto in cui erano ben evidenziati tutti i punti deboli del ciclo produttivo indusse le autorità a decretare la chiusura della “Reale Nitriera Borbonica”. Iniziò così il lento ed inesorabile degrado delle strutture mentre il Pulo nel suo complesso tornava ad essere utilizzato da privati per scopi esclusivamente agricoli.
Recenti campagne di scavo condotte tra il 1997 e il 2003 hanno consentito il recupero e restauro di quanto rimaneva delle strutture della nitriera borbonica (Fig. 5) consentendo anche la fruizione del sito da parte dei visitatori.
Purtroppo anche questa nuova vita della nitriera ha avuto vita breve per vicissitudini burocratiche e l’oblio è nuovamente calato su questo esempio di archeologia industriale decisamente particolare. Oggi è possibile ripercorrere parte di questa storia, come quella più generale del Pulo, come sito di insediamenti umani in epoca neolitica, visitando il “Museo Civico Archeologico del Pulo” a Molfetta. Unica nota positiva che è possibile trovare in questa vicenda di recupero e abbandono, purtroppo non unica nel nostro paese, è rappresentata dal fatto che la mancanza di una stabile presenza antropica nella dolina garantisce la sopravvivenza di un’isola di flora mediterranea, in gran parte spontanea, ed un rifugio per l’avi-fauna ad appena un chilometro dal centro abitato. Le oltre 200 specie vegetali recentemente censite ne fanno un hot spot di biodiversità vegetale di notevole rilevanza scientifica. Tuttavia cercare di conciliare la tutela della biodiversità e la fruizione del sito e della sua storia sarebbe sicuramente un bel risultato per la collettività.
Bibliografia
Chiapperini R. 1983. Contributo botanico e bibliografico per lo studio della flora pugliese: con particolare riguardo al Pulo di Molfetta e alla provincia di Bari. Mezzina Ed., Molfetta.
De Santis M.I. 1983. Molfetta nella descrizione di viaggiatori del Settecento e le vicende della nitriera borbonica al Pulo, Mezzina Ed., Molfetta.
Flores E. 1899. Il pulo di Molfetta: stazione neolitica pugliese. Conferenza tenuta in Molfetta nella sede della societa Dante Alighieri il 19 marzo 1899. V. Vecchi Ed., Trani.
Pulli P. 1817. Statistica nitraria del regno di Napoli. Vol II, F.lli Chianese ed., Napoli, pag. 217-226.
Radina F. 2007. Natura, archeologia e storia del Pulo di Molfetta. Adda Ed., Bari.
Link utili per approfondimento