Mauro Icardi
Pochi giorni fa mi è capitato un episodio che mi ha indotto a qualche riflessione.
Durante la pausa pranzo, nel locale mensa stavo riempiendo la borraccia della bicicletta, mezzo che uso per recarmi al lavoro, dal rubinetto della rete idrica. Un collega mi ha guardato e mi ha chiesto perché non la riempissi con acqua in bottiglia, dicendomi anche, in maniera piuttosto esplicita che a suo giudizio l’acqua del rubinetto non fosse buona, anzi che “facesse schifo”.
L’episodio è abbastanza singolare per alcuni motivi. Il primo è che entrambi lavoriamo in un’azienda che si occupa di gestione del ciclo idrico. Per la verità la gestione dell’acqua in provincia di Varese è (purtroppo) ancora frammentata in tre differenti gestori per quanto riguarda la fornitura di acqua potabile. L’azienda per la quale lavoro gestisce una parte significativa della fornitura idrica potabile a livello provinciale.
Il laboratorio dove lavoro è situato alla periferia di Varese, e la fornitura di acqua potabile è a carico di un’altra società. Esaurito il preambolo ho trovato piuttosto strano che il mio collega, che conosce il lavoro che faccio avesse un’idea così negativa dell’acqua del rubinetto.
Io gli ho risposto che per scelta, non solo uso la bicicletta per gli spostamenti quotidiani, ma anche che bevo quotidianamente acqua del rubinetto. Dopo la chiacchierata ognuno è poi tornato alle proprie occupazioni. Io in laboratorio, e lui all’attività di gestione e manutenzione del depuratore dove è inserito il laboratorio.
La vicenda in sé mi ha confermato una cosa: la prevalenza di una idea diffusa. Cioè che l’acqua del rubinetto sia troppo dura, che sappia di cloro, che le tubazioni siano vecchie, e quando non lo siano quelle dell’acquedotto, lo siano quelle del proprio condominio. Queste sono solo alcune delle obiezioni più diffuse di chi utilizza acqua potabile per usi diversi dal bere. In realtà per la mia esperienza personale non credo che le cose stiano esattamente così. Ho bevuto quasi da sempre acqua potabile. In strada dalle fontanelle, e a casa (quando ancora vivevo a Settimo Torinese) sempre dal rubinetto, magari con l’aggiunta delle polveri per acqua da tavola, che ormai sono quasi oggetti di modernariato.
Per quanto riguarda invece l’avversione di molte persone a bere acqua di rubinetto mi chiedo quanto possano influire le martellanti campagne pubblicitarie che negli anni ci hanno mostrato fantomatiche “particelle di sodio” solitarie e tristi, oppure che ci ricordano (in una recente pubblicità) che per una certa acqua con giuste percentuali di calcio e magnesio sia tutta “questione di chimica”.
Forse per questa ragione gli italiani sono così affezionati all’acqua in bottiglia, tanto da esserne i primi consumatori in Europa con 208 litri all’anno secondo i dati riferiti al 2015 da beverfood.com e terzi al mondo secondo Statista.com.
Col tempo poi si sta assistendo ad una tendenza particolare. Sembra che l’acqua si stia trasformando in qualcosa di diverso. L’acqua deve essere colesterol free, vitaminizzata. Si sta affermando la figura del water sommelier, l’assaggiatore di acqua nei ristoranti
Purtroppo tra molte persone si sta facendo strada l’idea che ci possano essere contaminazioni nella rete di acquedotto, mentre l’idea che l’acqua che viene imbottigliata a pochi metri dalla sorgente sia garanzia di miglior qualità. Poi per molti è del tutto secondario che quest’acqua possa viaggiare per chilometri da un capo all’altro dell’Italia, e che esista un problema legato ai rifiuti di plastica.
Viaggiando molto in bicicletta vedo moltissime bottiglie di plastica ancora buttate ai lati delle strade.
L’impegno che io ritengo debba essere prioritario da parte delle aziende di erogazione di acqua potabile credo sia quello di essere maggiormente impegnate in un opera di informazione seria e capillare, in un continuo filo diretto con gli utenti, per fugare timori che sono molto spesso infondati. Parallelamente deve (ed è fondamentale) partire una massiccia opera di ristrutturazione delle infrastrutture della rete acquedottistica. La percentuale di acqua ancora dispersa nelle reti di acquedotto continua ad aggirarsi intorno a valori del 50%.
Rimane la questione del gusto dell’acqua, ma sono convinto che una prova di assaggio di diverse acque in bottiglia non gasate, con l’inserimento di un’acqua di acquedotto lasciata riposare per essere liberata dal cloro volatile residuo, probabilmente non permetterebbe all’ipotetico assaggiatore di identificarla tra le altre, soprattutto quando non sono addizionate di anidride carbonica.
In un contesto generale di scarsità idrica dovuta ai cambiamenti climatici, credo che occorra tornare ad un approccio più naturale al normale gesto di bere un bicchier d’acqua.
Trovo paradossale che per anni si sia sostenuto che l’acqua non dovesse essere una merce, riferendosi a quella potabile, mentre si accetta senza nessuna obiezione di pagare un prezzo molto più alto per l’acqua in bottiglia. Per sincerarsene basta verificare il prezzo al supermercato. Alcune bottiglie possono costare 50 centesimi per un litro e mezzo. Con 50 centesimi io posso acquistare 746 litri di acqua potabile, comprese tasse e costi fissi.
Ecco, la riflessione che mi sento di fare è quella se questa non sia una situazione paradossale.
L’altra riflessione è quella solita: spesso un chimico si trova a predicare nel deserto, ed è riferita alla conversazione iniziale con il collega. Situazione non nuova, ma provata anche in altri contesti.
E questo purtroppo riguarda non solo l’acqua, ma ogni argomento nel quale non si discuta razionalmente, ma si ceda ai luoghi comuni ripetuti fino ad avere ottenuto la dignità di verità.
Siamo i maggiori consumatori mondiali di acqua in bottiglia (privata) e poi al referendum votiamo per l’acqua pubblica. Ottimo articolo, ottime conclusioni.
Purtroppo, caro collega, per via della tradizione culturale cristiana cattolica romana, il nostro è un paese con una mentaliotà diffusa ascientifica (se non anti-scientifica), irrazionale, uterina etc. L’idea che le decisioni della vita siano da prendere, in qualsiaisi contesto, su base razionale, e non istintiva, sentimentale etc è assolutamente minoritaria.
Siamo fatti così, mica siuamo un popolo del nord…
Stefano Antoniutti
PS : non casualmente, il mio buon amico parroco mi definisce “un marcio luterano” quando discutiamo…
… purtroppo sfondiamo una porta aperta. I miei studenti si rifiutavano di bere l’acqua dai rubinetti del bagno ma, bevevano quella dei rubinetti del laboratorio.. poi facendo la determinazione del residuo fisso e confrontandolo con quello di alcune famose marche di acqua (iper o medio) minerale vedevano che il valore dell’acqua del rubinetto era assolutamente inferiore a quello delle bottiglie. Ovviamente lo stesso per la durezza. Eppure continuo a sentire persone che dicono che l’acqua potabile a Roma è troppo piena di “calcio”. Il residuo fisso dell’acqua a Roma è circa 400 mg/l , ben lontano dall’affermazione “troppo calcarea” . Quanto al cloro, l’affermazione di sentire il sapore e l’odore è del tutto infondata. Anche io mi muovo solo in bici, nonostante Roma e i suoi colli, e bevo acqua di rubinetto. Sarà una “fissa” dei ciclisti!!!
Condivisibili gran parte delle argomentazioni dell’articolo. Non si può però trascurare il fatto che la clorazione è un male minore. Il cloro aggiunto, infatti, reagisce con l’humus naturalmente presente in tutte le acque e forma i trialometani. La letteratura pertinente è vastissima ed i trialometani costituiscono l’impronta digitale della clorazione. La loro concentrazione nell’acqua potabile clorata è molto bassa, ma esistono studi scientifici sui possibili effetti di questi composti sulla salute e l’argomento è ancora dibattuto. Vi sono città negli USA dove è stata sperimentata l’ozonizzazione in alternativa alla clorazione, ma i costi sono più alti e la gestione degli impianti più difficoltosa.
Leggo che nell’acqua clorata per la presenza di humus si formerebbero i “trialometani”. Di che si tratta? Del cloroformio? Il sapore di cloro, talvolta fastidioso, sparisce aggiungendo pochi mg di vitamina C in polvere.
Sono sottoprodotti della disinfezione. Il Dl 31 prescrive che il disinfettante residuo ( che potrebbe essere ipoclorito di sodio) non debba superare il valore di 0,2 mg/lt. In molti acquedotti il dosaggio è controllato tramite stazioni di telecontrollo. Tra i controlli di verifica che si effettuano sulle acque potabili i trialometani totali (tra i quali il cloroformio) non devono superare i 30 microgrammi litro. Tale valore non è stato mai superato nelle acque dell’acquedotto provinciale di Varese, che è gestito e monitorato dall’azienda cui lavoro. Risultando sempre molto al di sotto dei valori di rilevabilità strumentale.
Il 22 marzo 2018 sara’ la giornata mondiale dell’acqua : con i miei studenti di 2 classi 4 liceo scienze applicate stiamo seguendo un percorso di alternanza scuola lavoro con IREN ( gestore locale reti idriche) di circa 40 h proprio su questi temi. Saranno previste in quella settimana di marzo prove scientifiche di assaggi al buio e relazioni a tutte le scuole del polo in cui siamo ( circa 5000 studenti) dei risultati delle nostre analisi per sensibilizzare l’uso dell’acqua di rubinetto o comunque sfatare diversi luoghi comuni. Parleremo anche di guerre dell’acqua in un convegno pubblico con la ong CVG e stiamo pensando a un caffe’ letterario, mostre fotografiche e a uno spettacolo teatrale con le colleghe di lettere e arte. Frequento spesso il vostro blog x cercare spunti di riflessione e mi faceva piacere condividere con voi questo progetto.
Grazie per il vostro lavoro
Paola Semeghini ( ins. Chimica e lab scientifico, IIS Pascal Reggio Emilia)
La ringrazio per aver voluto condividere questo interessantissimo progetto. Ci tenga informati.