Chimica ed Europa: modifiche al CLP.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Quando rifletto sull’Europa non posso fare a meno di pensare che si potrebbe fare molto di più nella direzione di un’integrazione piu completa e soprattutto più responsabile e conscia delle possibili differenze, ma anche delle infinite solidarietà ed identità. Anche nel nostro campo, quello della ricerca a volte un passo avanti carico di speranze è seguito da uno stop, se non da uno indietro.
L’ultimo esempio ci viene dai dati di Eurostat a proposito di REACH e di investimenti europei per l’ambiente. Per quanto riguarda il Reach, vero orgoglio del nostro continente per i principi di etica e sostenibilità in esso contenuti, la marcia in progress continua e la prossima scadenza di interesse per le aziende riguarda il regolamento CLP e più precisamente l’allegato VIII, aggiunto con una modifica normativa nel 2017, con lo scopo di mettere in atto le prescrizioni armonizzate sulle informazioni per le notifiche, previste dall’art. 45 del regolamento, ossia quelle informazioni relative alle miscele pericolose, che vengono trasmesse da fabbricanti ed importatori agli organismi designati di ciascuno Stato membro e che sono utilizzate in caso di emergenza sanitaria.
Si tratta di una sorta di Open Science in vivo, con il fine di avere omogeneità nella disponibilità di informazioni all’interno dell’Unione.
L’organismo designato dall’Italia per gestire queste informazioni è l’Istituto Superiore di Sanità, che cura il database delle miscele pericolose commercializzate nel nostro Paese. In effetti la prassi era già in atto, ma la modifica al regolamento CLP prevede l’armonizzazione delle tipologie di informazione, una sorta di guida alle chiavi di accesso e l’istituzione di un codice univoco e di facile consultazione, il cosiddetto “identificatore unico di formula” (UFI), da apporre sull’etichetta della miscela per facilitare il reperimento delle informazioni da parte delle autorità e  soprattutto dei sanitari (i centri  antiveleni).


Sostanzialmente si tratta di una buona notizia, subito bilanciata, quasi in contemporanea, da un’altra negativa relativa agli investimenti europei di Stato per l’ambiente che risultano inferiori alla spesa delle  famiglie per  bevande alcooliche, tabacco e stupefacenti e che scendono dal 2,3 al 2,1% del PIL nel periodo 2006-2017.
La spesa delle imprese rappresenta la quota maggiore della spesa, pari al 54% del totale nel 2018, mentre si attesta al 24% quella delle amministrazioni pubbliche e degli istituti senza  scopo di lucro. L’Italia è più o meno, purtroppo più meno che più, in linea con l’Europa, con una tendenza al ribasso: le spese per la protezione  ambientale sono state pari  al 2% del PIL nel 2006 ed all’1,9 % del PIL nel 2018.
Una precisazione è opportuna: con tale tipo di spesa riferita allo Stato, Eurostat intende la misura delle risorse utilizzate dagli enti nazionali per proteggere l’ambiente naturale. Il NEEP (National Expenditure on Environmental Protection) è calcolato come una somma della spesa corrente per le attività di protezione ambientale più gli investimenti in attività con identico fine, compresi i trasferimenti netti al resto del mondo.

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