La qualità dell’aria all’interno degli edifici – Seconda parte

Rinaldo Cervellati

(il primo post di questa serie è qui)

Quando i chimici dell’atmosfera si spostano dall’esterno all’interno, un’altra grande differenza che trovano, a parte i livelli di luce più bassi, è l’ubiquità delle superfici. All’esterno, questi scienziati studiano spesso la chimica nell’atmosfera superiore e la superficie principale di cui si occupano è la superficie delle particelle di aerosol.

“Se sei lontano dal suolo nell’atmosfera, trovi le particelle e tantissima aria. E la quantità di materiale che si trova nella fase condensata delle particelle è piccola”, spiega Abbatt dell’Università di Toronto.

Ma al chiuso, le superfici sono ovunque. Sono luoghi in cui le sostanze possono essere assorbite e riemesse, spesso dopo aver subito una reazione. E la quantità di materiale su quelle superfici è molto più alta che nei grandi spazi aperti.

Vicki H. Grassian, chimico dell’Università della California di San Diego, è leader del consorzio SURFace per la chimica degli ambienti interni, che fa parte del programma Sloan. Sta studiando le superfici interne per determinare quali composti si depositano su quali superfici. È particolarmente interessata ai meccanismi molecolari dei processi che avvengono sulle superfici interne. Tali dati potrebbero quindi essere inseriti in modelli computazionali di chimica dell’atmosfera indoor.

Vicki H. Grassian

Il gruppo di Grassian ha iniziato con sistemi di modelli in silice (SiO2) per imitare finestre e altre superfici vetrate. I ricercatori stanno studiando come gas e particelle organiche interagiscono con le superfici di silice, come queste specie si depositano sulla superficie e come vengono riemesse [7]. Stanno anche esaminando come i gas reagiscono con gli ossidanti indoor. Il team utilizza la microscopia a forza atomica accoppiata alla spettroscopia infrarossa per studiare la deposizione di pellicole organiche su superfici di vetro posizionate in vari ambienti interni [8].

Ma il vetro non è l’unica superficie nelle case. Ci sono anche pareti, controsoffitti e tappeti. Tessuti come tappeti e abbigliamento hanno un’enorme capacità di assorbire composti organici, afferma Glenn Morrison, ingegnere ambientale presso l’Università della Nord Carolina: “Se metti un nuovo tappeto in una casa, rilascerà VOC. Ma assorbirà anche così tanti SVOC che vedrai la concentrazione di SVOC nell’aria diminuire per mesi.”

Quando Jonathan Williams, chimico dell’atmosfera al Max Planck Institute for Chemistry, si interessò alla chimica indoor, si rese conto che ogni casa è diversa dalle altre. Le persone cucinano cibi diversi. Usano diversi prodotti per la pulizia, diversi arredi, diversi prodotti di consumo. Alcune persone fumano altre no.

Jonathan Williams

Ogni casa può avere emissioni diverse, e Williams si chiese se esistesse un fattore comune in tutte le abitazioni: “Qual è il fattore comune in qualsiasi spazio abitativo?” La risposta fu: “Ce n’è solo uno, ed è la persona o le persone che vi abitano “.

Il gruppo coordinato da Williams aveva già misurato le sostanze volatili emesse dalle persone in un cinema per rilevare le loro reazioni emotive ai film. Quindi sapeva che le persone emettono una quantità notevole di sostanze chimiche. Ha quindi deciso di estendere questo lavoro collaborando con i ricercatori dell’Università Tecnica di Danimarca per identificare e misurare le sostanze chimiche volatili emesse dalle persone.

I ricercatori hanno condotto esperimenti in camere di dimensioni contenute con basse emissioni di fondo. Hanno variato la temperatura, l’umidità e la concentrazione di ozono delle camere e l’età e l’abbigliamento dei partecipanti volontari nella ricerca. Afferma Williams: “Con solo queste cinque variabili, siamo stati in grado di vedere enormi differenze in ciò che una persona emette”. È stato esaminato il modo in cui tali variabili hanno influenzato i VOC, l’ammoniaca, l’anidride carbonica, il metano, le particelle, la reattività OH totale e i microrganismi.

Williams e collaboratori hanno scoperto che alle basse temperature gli esseri umani emettono meno VOC che alle alte temperature. Di per sé, questo risultato potrebbe non essere sorprendente, ma “anche 5 gradi fanno una grande differenza”, sostiene Williams. E la scelta di una persona di indossare indumenti a maniche lunghe o corte ha influenzato le misurazioni. Le persone devono rendersi conto che le decisioni che prendono possono davvero influenzare le sostanze chimiche cui sono esposte perché molte di esse provengono dalla pelle o dal respiro.

Goldstein e i suoi colleghi di Berkeley hanno anche condotto osservazioni sugli effetti degli occupanti sulla composizione dell’aria in una classe universitaria [9]. I ricercatori hanno misurato i VOC e l’ozono nella stanza per un periodo di 2 settimane.

È risultato che quando l’aula era normalmente occupata con più di 20 studenti, i due terzi dei composti organici volatili presenti nella stanza provenivano dalle persone, poco meno di un terzo dall’esterno e meno del 10% da oggetti nella stanza stessa. Sono stati rilevati sottoprodotti del metabolismo come isoprene e acetone, indicando che la maggior parte delle emissioni derivavano da prodotti per la cura personale. I livelli erano più alti al mattino per poi diminuire nel corso della giornata.

Il composto organico volatile dominante nella stanza è risultato un metilsilossano ciclico, il decametilciclopentasilossano, noto semplicemente come D5, che è un ingrediente comune in antitraspiranti, balsami per capelli, cosmetici e lozioni, che agisce come lubrificante o idratante. Preoccupante è stato constatare che anche le persone che non facevano uso di questi prodotti sono state esposte al D5 perché tutti hanno respirato la stessa aria.

Gli intensi studi in ambienti residenziali interni sono limitati da ciò che gli occupanti degli ambienti riescono a sopportare. Non è un segreto che la maggior parte degli studi sull’aria interna nelle abitazioni sono condotti all’interno di quella del ricercatore principale. In questo modo, si possono gestire meglio gli eventuali reclami degli occupanti. Ma i ricercatori hanno trovato un modo per risolvere il problema.

I membri della comunità dei chimici indoor si sono riuniti nel 2018 per intraprendere uno studio sul campo di 4 settimane all’interno di una casa appositamente dedicata alle misurazioni, che è stata chiamata HOMEChem (House Observations of Microbial and Environmental Chemistry ). L’idea nacque da Delphine K. Farmer, chimico dell’atmosfera, e Marina E. Vance, professore di ingegneria meccanica all’Università del Colorado. L’intenzione era di effettuare una ricerca sul campo su larga scala che avrebbe fornito un ampio insieme di dati riunendo nel contempo molti ricercatori in una comunità affiatata. La Fondazione Sloan ha fornito oltre 1 milione di dollari per il progetto HOMEChem.

E la casa perfetta li stava aspettando all’Università del Texas ad Austin. Un gruppo di professori aveva acquistato la casa mai abitata con fondi della National Science Foundation degli USA.

La casa è catalogata come attrezzatura da laboratorio e i ricercatori non sono autorizzati a dormirvi. Ma fornisce un posto per l’esecuzione di esperimenti che potrebbero essere troppo invadenti per essere effettuati in case private.

Il progetto HOMEChem si basa sugli studi come quelli condotti da Goldstein e Nazaroff, che hanno entrambi preso parte anche a HOMEChem.

“Avevamo un’enorme quantità di strumenti scientifici avanzati e siamo stati in grado di esaminare più tipi di molecole nell’ambiente interno di quanto non fosse mai stato visto contemporaneamente in precedenza.”, afferma Farmer.

Delphine Farmer (a sinistra) e Allen Goldstein nella casa-laboratorio

Oltre a identificare e quantificare i composti organici, i ricercatori hanno anche misurato ossidanti come radicali idrossilici, ozono e ossidi di azoto, cruciali per capire cosa succede in un ambiente interno.

Dozzine di ricercatori hanno lavorato nella casa-laboratorio di Austin nel giugno 2018. Hanno effettuato un vasto programma di esperimenti esaminando fattori come ambienti, pulizia e ventilazione [10]. In alcuni giorni, un singolo tipo di attività è stato ripetuto più volte, come ad es. cucinare in padella e far uscire l’aria dalla casa.

Altri giorni prevedevano attività sequenziali come cucinare seguito da un’intensa pulizia. Sono stati usati diversi sistemi di pulizia in giorni diversi per vedere come vari tipi di prodotti per la pulizia – a base di olio di pino, a base di cloro, a base di ammoniaca e i cosiddetti prodotti per la pulizia naturale – influenzassero la chimica della casa. La pulizia con un detergente al profumo di pino ha aumentato i livelli di limonene, mentre la pulizia con candeggina ha aumentato i livelli di cloro.

I ricercatori hanno anche misurato la concentrazione di particelle all’interno e all’esterno della casa. Hanno scoperto che la concentrazione di particelle inferiori a 2,5 micron è generalmente più bassa all’interno che all’esterno, salvo durante la cottura.

Peter F. DeCarlo della Drexel University ha misurato le particelle di aerosol come parte di HOMEChem. È risultato che molte particelle indoor provengono dall’esterno, ma le attività di cottura generano enormi quantità di particelle che riducono la concentrazione di quelle provenienti dall’esterno. Queste particelle provengono dal combustibile usato nella cottura e da oli e alimenti da cucina.

Peter F. DeCarlo

I ricercatori hanno anche scoperto che l’ordine delle attività influenza la chimica dell’aria interna nella casa sperimentale. Se per prima cosa si effettua la pulizia e poi si cucina si ottiene un certo risultato, viceversa si ottiene un risultato diverso.

Non si nota una linea di base che cambia di giorno in giorno, ma si osserva che ciò che è accaduto immediatamente prima di un’attività può avere un impatto sulla chimica successiva.

Il gruppo di DeCarlo ha anche misurato l’ammoniaca nella casa-laboratorio. L’ammoniaca è un irritante noto per gli occhi e i polmoni. È anche abbastanza reattivo. DeCarlo è interessato all’ammoniaca perché ha dimostrato di allontanare altre specie contenenti azoto dalle superfici e tornare nell’aria. Un primo esempio è la nicotina del fumo di tabacco che si è depositato sulle superfici, il cosiddetto fumo di terza mano, che viene respinto nell’aria.

Ma prima, DeCarlo doveva determinare un livello base di ammoniaca. Lui e il suo team hanno scoperto che il livello di fondo di ammoniaca all’interno era circa 10 volte più alto rispetto ai tipici livelli esterni [11]. Tutte le attività pianificate – cucina, pulizia e occupazione – hanno aumentato i livelli di ammoniaca, soprattutto la pulizia.

DeCarlo sospetta che l’alto livello di ammoniaca provenga dall’edificio stesso. “Ciò che stiamo imparando sempre di più è che i materiali da costruzione diventano una spugna per qualsiasi cosa accada al suo interno”, afferma.

Studi come HOMEChem sono ancora gli inizi della comprensione della chimica indoor. Al momento HOMEChem e molti altre indagini sul campo stanno catalogando i composti organici nelle abitazioni e le loro possibili reazioni prima di porsi domande sulla loro dannosità. Alcune ricerche, tuttavia, hanno iniziato a valutare gli effetti sulla salute di specifiche sostanze.

Ad esempio, Heather M. Stapleton della Duke University sta studiando gli effetti dell’esposizione dei bambini agli SVOC negli ambienti interni. In questa ricerca, il gruppo di Stapleton ha visitato abitazioni nella zona di Durham, nella Carolina del Nord, e raccolto campioni di polvere domestica, salviette per le mani e campioni di sangue e urina da bambini che erano disposti a collaborare [12].

Heather M. Stapleton

I ricercatori si sono concentrati sulla rilevazione di molecole come ritardanti di fiamma, plastificanti e pesticidi. Hanno scoperto che la quantità di ftalati nelle urine dei bambini era correlata alla percentuale di pavimenti vinilici in casa. Gli ftalati sono usati come plastificanti nei pavimenti in vinile e sono noti per avere effetti di interferenza endocrina. In alcune case, tutto il pavimento era in vinile. I bambini in quelle case avevano livelli elevati di metaboliti di ftalato.

“Sfortunatamente, nel nostro studio, le case con pavimenti in vinile al 100% erano case popolari”, dice Stapleton. Le autorità pubbliche per l’edilizia abitativa rinnovano di rado tali case, quindi i residenti non hanno molta scelta quando si tratta di sostituire i vecchi pavimenti.

Nonostante tali studi, comprendere l’esposizione e l’impatto dei vari composti sulla salute umana è ancora molto lontano.

Bibliografia

[7] Yuan Fang et al., A molecular picture of surface interactions of organic compounds on prevalent indoor surfaces: limonene adsorption on SiO2., Chemical Science, 2019, 10, 2906, DOI: 10.1039/c8sc05560b

[8] Victor W. Or et al., Crystal Clear? Microspectroscopic Imaging and Physicochemical Characterization of Indoor Depositions on Window Glass., Environ. Sci. Technol. Lett. 2018, 5, 514-519.

[9] Xiaochen Tang et al., Volatile Organic Compound Emissions from Humans Indoors., Environ. Sci. Technol. 2016, 50, 12686-12694.

[10] D.K. Farmer et al., Overview of HOMEChem: House Observations of Microbial and Environmental Chemistry., Environ. Sci.: Processes Impacts, 2019, 21, 1280-1300.

[11] L. Ampollini et al., Observations and Contributions of Real-Time Indoor Ammonia Concentrations during HOMEChem., Environ. Sci. Technol. 2019, 53, 8591-8598.

[12] S.C. Hammel et al., Children’s exposure to phthalates and non-phthalate plasticizers in the home: The TESIE study., Environment International, 2019, 132, 105061

 

La raccolta differenziata di Don Giovanni Bosco.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Sono da tempo un supporter delle Missioni don Bosco e mi diverto a studiare la vita di questo personaggio di certo complesso ,educatore e fondatore, genio della carità,e che in questi giorni ho scoperto anche ecologista con una chicca sulla raccolta differenziata. Risale al 1885 una sua circolare a stampa che nel suo piccolo-la città di Torino di allora –anticipa ed ovviamente a suo modo risolve il grande problema della nostra società:quello dei consumi e dell’usa e getta con accumulo progressivo di scarti e rifiuti.

Trattandosi di una sua circolare il destinatario è generico:”La S.V. saprà che le ossa,avanzate dalla mensa e generalmente dalle famiglie gettate nella spazzatura come oggetto d’ingombro,riunite in grande quantità riescono in quella vece utili alla umana industria,e sono perciò ricercate dagli uomini dell’arte (industria), pagate alcuni soldi per miriagramma. Una società di Torino, colla quale mi sono messo in rapporto, ne acquisterebbe in qualsivoglia quantità”.

A questo punto don Bosco lancia la sua proposta”In vista di ciò ed in conformità di quanto già si sta praticando in alcuni Paesi a favore di Istituti di beneficenza,io sono venuto nel pensiero di ricorrere alle benestanti e benevole famiglie di questa illustre città,e pregarle ,che invece di lasciare che vada a male e torni disutile questo rifiuto della loro tavola, lo vogliano cedere gratuitamente a benefizio dei poveri orfanelli raccolti nei miei istituti, e specialmente a vantaggio delle Missioni di Patagonia, dove i Salesiani con ingenti spese e con pericolo della propria vita stanno ammaestrando ed incivilendo le tribù selvagge,per fare loro godere i frutti del progresso. Simile ricorso e siffatta preghiera io fo pertanto alla S.V. benemerita convinto che vorrà prenderli in benigna considerazione ed esaudirli.

Il progetto sembrava appetibile da più parti: le famiglie si liberavano di parte dei rifiuti da tavola, la ditta era interessata ad raccoglierli per riutilizzarli diversamente (prodotti alimentari per animali,concimi per la campagna); don Bosco ne ricavava denaro per le missioni e la città rimaneva più pulita. I vantaggi erano di tutti, ma non potevano bastare; occorreva procedere alla raccolta di ossa “porta a porta” in tutta la città. Don Bosco non si scompose; ed eccolo organizzare questa impresa facendo attenzione ad evitare i sempre possibili abusi.

A quelle famiglie che avranno la bontà di aderire a questa umile mia domanda ,sarà consegnato un apposito sacchetto, ove riporre le ossa mentovate,le quali sarebbero spesso ritirate e pesate da persona a ciò incaricata dalla società acquisitrice,rilasciandone un buono di ricevuta,il quale- in caso di controllo colla società medesima- sarebbe di quando in quando ritirato a nome mio. Così alla S.V. non resterà altro da fare che impartire gli ordini opportuni,affinché questi inutili avanzi della sua mensa che andrebbero dispersi,siano riposti nel sacchetto medesimo ,per essere consegnati al raccoglitore e quindi venduti ed usufruiti dalla carità. Il sacchetto porterà le lettere O.S.(Oratorio Salesiano) e la persona che passerà a vuotarlo presenterà pure un qualche segno per farsi conoscere dalla S.V. e dai suoi famigliari”.Ovviamente la proposta andava sostenuta con qualche incentivo!Eccolo:”La S.V. si renderà benemerita delle opere sopraccennate ,avrà la gratitudine di migliaia di poveri giovinetti,e- quello che maggiormente conta-ne riceverà la ricompensa di Dio promessa a tutti coloro che si adoperano al benessere morale e materiale dei loro simili. Appena avuta la sua adesione darò ordine che le sia consegnato il mentovato sacchetto.”

Non sappiamo-non ho trovato notizie in merito-se l’iniziativa abbia poi avuto successo,ma certo i temi ed i modi affrontati sono gli stessi di oggi per imporre, gestire e incrementare la raccolta differenziata ed il riciclo degli scarti, specialmente di quelli alimentari. Quello che stupisce e fa riflettere è che quanto ho raccontato risale ad un secolo e mezzo fa.

L’ultimo Natale di guerra.

Mauro Icardi

Nell’approssimarsi delle festività di fine anno mi capita di rileggere, con un filo di nostalgia, le pagine dedicate al Natale da scrittori che non sono quelli ritenuti unanimemente i classici narratori di questa ricorrenza. Ovviamente conosco ed apprezzo i racconti di Charles Dickens, o le struggenti poesie di Guido Gozzano. Ma c’è chi ha raccontato il Natale in maniera molto diversa. Lo ha fatto Mario Rigoni Stern. E lo ha fatto Primo Levi.

Nel 2000 la casa editrice Einaudi pubblica un volume intitolato “L’ultimo Natale di guerra” che raccoglie i racconti «dispersi» di Primo Levi, scritti tra il 1977 e il 1987 e pubblicati in tempi diversi. Il racconto che dà il titolo alla raccolta era comunque già presente nella prima edizione delle “Opere complete”, quella pubblicata nel 1997.

Nell’ambito della fabbrica di Buna e in particolare nel laboratorio chimico al quale Levi è stato assegnato, si instaura tra lo scrittore torinese, deportato e prigioniero, e Frau Mayer una ragazza tedesca un rapporto particolare. La Mayer è l’unica tra le ragazze che lavorano nel laboratorio della Buna a non mostrare disprezzo verso il giovane chimico ebreo. Anzi dovendo riparare la gomma forata della sua bicicletta chiederà proprio a Levi di fare questo lavoro. Lo chiederà rivolgendosi a lui non con superbia ed altezzosità. Ma dicendo semplicemente “per favore”. L’educazione e la cortesia sono usuali tra gli uomini liberi. Ma all’interno del Lager l’educazione e la cortesia, possono essere comportamenti rischiosi, sia per Frau Mayer, che per il prigioniero haftlinge 174517.

Un sovvertimento totale delle assurde regole dell’universo concentrazionario. Superando timori e reticenze, aggirando le assurde e burocratiche regole del Lager, Levi ripara la gomma forata, ricevendo come ricompensa per il lavoro fatto (rischioso perché è lavoro sottratto alla mai realizzata produzione di gomma sintetica destinata allo sforzo bellico tedesco), quattro zollette di zucchero e un uovo sodo.

E oltre a questo la Mayer, consegnando questa ricompensa particolare sussurra a Levi che “Presto viene Natale”. Frase che lo stesso autore ritiene ovvia ed allo stesso tempo assurda, se rivolta ad un prigioniero ebreo. Levi conclude dicendo che queste parole intendevano significare altro. Quello che nessun tedesco avrebbe osato formulare in chiaro. Per Levi questo gesto e queste parole non possono riabilitare gli innumerevoli tedeschi indifferenti o inumani. Ma tutta la vicenda narrata ha avuto il merito di rompere uno stereotipo. Dal mio personale punto di vista mi piace pensare che, invece si sia trattato di breve momento nel quale si stabilisce un effimero, debolissimo legame di empatia ed umanità. Fugace ma prezioso.

Questa prima parte del racconto è quella che ricordo con maggior emozione. Vi è poi una seconda parte quasi picaresca, dove si narra che in quello stesso Natale del 1944 Levi riesce a ricevere un pacco di viveri, inviato dalla famiglia, che gli sarà poi rocambolescamente rubato in Lager. I viveri che sono stati nascosti in tasche segrete cucite nella giacca da prigioniero, prendono letteralmente il volo. Levi appende la giacca ad un chiodo nel lavatoio comune, e la vede scomparire verso l’alto, pescata da un amo legato ad una funicella, calata dall’abbaino sul tetto mentre è intento a lavarsi. La conclusione filosofica è che comunque qualche altro prigioniero potrà festeggiare il Natale a spese di Primo e dell’amico Alberto, che fortunatamente erano riusciti a consumare più della metà dei viveri contenuti nel pacco, che si erano fraternamente divisi. Magari l’astuto ladro potrà anche mandare loro le sue benedizioni. Comunque di una cosa i due amici si sentono sicuri. Quello sarà l’ultimo Natale di guerra e di prigionia.

Auguro a tutti di trascorrere delle serene festività. Magari rileggendo questo racconto. Forse fuori dai canoni delle narrazioni tradizionali del Natale. Ma per quanto mi riguarda autenticamente natalizio.

La qualità dell’aria all’interno degli edifici – Prima parte

Rinaldo Cervellati

I chimici dell’atmosfera hanno trascorso decenni concentrandosi sulla qualità dell’aria esterna (outdoor). E continuano a farlo, mettendo in guardia sul problema delle emissioni antropiche, in particolare biossido di carbonio e altri gas serra, responsabili del riscaldamento globale del pianeta. Minor attenzione è stata posta alla qualità dell’aria che respiriamo al chiuso (indoor), specialmente nelle nostre abitazioni, ma anche nei luoghi di lavoro, nelle scuole ecc.

Il problema è stato affrontato nel recente numero del 24 novembre di Chemical & Engineering News in un dettagliato articolo di Celia Henry Arnaud, Senior correspondent della rivista dal 1999.

(C.H. Arnaud, Chemists move indoors to measure the air quality in our homes. C&EN, V. 97, n. 46).

Celia Henry Arnaud

Un’indagine durata due anni, pubblicata nel 2001, sponsorizzata dall’Agenzia per la Protezione Ambientale degli USA, rilevò che l’87% degli intervistati trascorreva la maggior parte del proprio tempo in edifici chiusi e circa il 6% in veicoli chiusi [1].

Dai risultati di quell’indagine a oggi, un crescente numero di ricercatori ha posto attenzione alla qualità dell’aria negli ambienti chiusi, utilizzando gli strumenti sviluppati per monitorare l’aria esterna, iniziando a effettuare misure all’interno.

Oltre al monossido di carbonio e al fumo di sigaretta, gli inquinanti presenti nell’aria interna potenzialmente dannosi per la salute sono molteplici, afferma William W. Nazaroff, ingegnere ambientale dell’Università della California a Berkeley, un pioniere della chimica indoor. Ciò che non è ancora ben chiaro è se l’esposizione a questa “ricca complessità chimica” dell’aria di una casa causi effetti sulla salute, dice Nazaroff. Per capirlo, i chimici dell’atmosfera dovranno prima individuare ciò che è realmente presente nell’aria dove cuciniamo, mangiamo, dormiamo, e giochiamo ecc. Solo allora i tossicologi e gli altri esperti di salute saranno in grado di determinare l’effetto che questi inquinanti hanno sulle nostre condizioni fisiche.

Per fare un esempio di questa ricca complessità chimica, consideriamo le seguenti sostanze:

Esse provengono da molte fonti: l’acido oleico dalla cucina, il limonene dai prodotti per la pulizia, il D5 da prodotti per la cura personale, il dietilftalato da pavimenti in vinile e lo squalene dalle persone stesse.

La Alfred Sloan Foundation ha lanciato il programma di esplorazione dell’ambiente interno, Chemistry of Indoor Environments, nel 2013, come estensione di un precedente programma, denominato Microbiology of the Environment, ricorda Paula J. Olsiewski, direttrice del programma.

Paula J. Olsiewski

I chimici dell’atmosfera sono stati la scelta ovvia per ricevere sovvenzioni dal programma Sloan.

Nella chimica dell’atmosfera, “la raffinatezza delle tecniche strumentali con cui abbiamo affrontato il complesso problema dell’inquinamento atmosferico esterno si sono notevolmente affinate negli ultimi 10 o 20 anni“, afferma Jonathan Abbatt, un chimico dell’Università di Toronto che faceva parte del gruppo iniziale del programma Sloan. “Queste tecniche vengono ora portate al chiuso“.

Jonathan Abbatt

Oggi i chimici che partecipano al programma Sloan non partono da zero. Si stanno basando su alcuni studi di chimica degli ambienti chiusi che hanno preceduto la nuova spinta per analizzare l’aria che respiriamo nelle nostre case.

Uno di questi studi è stato la ricerca delle relazioni fra aria interna, esterna e personale (RIOPA, Relationship of Indoor, Outdoor and Personal Air). I ricercatori hanno misurato le concentrazioni di un insieme mirato di composti organici volatili (VOC) e semivolatili (SVOC) e la massa di particolato fine all’aperto e in un gran numero di case in tre città degli Stati Uniti [2]. Hanno scoperto che i composti carbonilici come la formaldeide e l’acetaldeide avevano concentrazioni più elevate all’interno che all’esterno, suggerendo che provenissero da fonti interne.

Altri composti, come acroleina e crotonaldeide, provenivano principalmente dall’esterno nelle case, tutte abitate da non fumatori [3].

Barbara J. Turpin, ora all’Università della Carolina del Nord, è stata una delle leader di queste ricerche. “Sono stata coinvolta nella chimica indoor perché mi occupavo di chimica degli ambienti esterni”, dice Turpin, “[La casa] è il luogo principale in cui le persone sono esposte all’inquinamento esterno.”

Questa affermazione apparentemente paradossale è vera poiché le persone trascorrono la maggior parte del loro tempo in ambienti chiusi e perché esiste un significativo scambio d’aria tra l’ambiente interno ed esterno. Tale scambio è guidato da sistemi di ventilazione meccanica e ventilazione naturale, che comprende porte e finestre.

Barbara J. Turpin

Per la ricerca RIOPA, Turpin e i suoi collaboratori hanno raccolto e conservato campioni d’aria per successive analisi di laboratorio. Hanno misurato concentrazioni indoor, concentrazioni outdoor e concentrazioni immediatamente attorno alle persone. Il confronto con i dati derivati da campioni conservati può fornire una visione media nel tempo di ciò che è contenuto nell’aria, ma non può dare informazioni su come determinate attività causino cambiamenti in tempo reale della chimica dell’aria.

Per ottenere un’immagine in tempo reale, i ricercatori stanno conducendo studi più estesi sul campo. In queste indagini, i ricercatori monitorano solo una o due case alla volta, ma lo fanno accuratamente, con strumenti che consentono loro di analizzare una gamma più ampia di composti durante il giorno.

Ad esempio, Nazaroff e Allen H. Goldstein, hanno esaminato due case nel nord della California. In una casa, hanno misurato gli SVOC con gascromatografia aerosol a desorbimento termico. Hanno effettuato misurazioni ogni ora per un periodo di più settimane [4].

William W. Nazaroff

Nell’altra casa, hanno misurato i VOC usando la spettrometria di massa a trasferimento di protoni. I ricercatori hanno utilizzato i tubi per portare aria dall’esterno allo strumento, come pure da cinque spazi interni: soffitta, cantina, cucina, camera da letto e soggiorno, campionando ogni 30 minuti [5].

Nazaroff e Goldstein furono sorpresi da ciò che trovarono. “La stragrande maggioranza dei prodotti chimici organici che potemmo misurare in aria era sostanzialmente più alta all’interno che all’esterno”, afferma Goldstein. Su circa 200 sostanze chimiche rilevate, circa la metà avevano concentrazioni circa 10 volte più elevate all’interno che all’esterno e circa l’80% aveva concentrazioni almeno due volte più elevate all’interno.

Alcune emissioni provengono dalla cottura e dai detergenti. “È chiaro che cucinare con il forno ad alte temperature tende a causare molte più emissioni rispetto ad altri tipi di cottura. C’è stata una giornata in cui i residenti hanno grigliato alcune capesante a temperature molto elevate e le emissioni sono state impressionanti “, racconta Goldstein. “Le emissioni non provenivano dalle capesante ma dai film organici depositati all’interno del forno”.

“Alcune delle sostanze chimiche indoor più interessanti provengono da spezie utilizzate in cucina”, afferma Goldstein. “Molti composti aromatici presenti nelle spezie sono in realtà terpenoidi: monoterpeni e sesquiterpeni e alcoli terpenici. Molte di queste sostanze chimiche sono abbastanza reattive all’aria”.

Le misurazioni effettuate a tempi determinati hanno permesso ai ricercatori di osservare picchi di attività su uno sfondo già elevato e persistente.

“Se gli alti livelli di fondo sono persistenti, significa che ci sono emissioni continue all’interno. Provengono dall’edificio stesso o da film organici che si trovano su tutte le superfici “, spiega Goldstein. “Abbiamo tentato di ridurre le concentrazioni aumentando la velocità di ventilazione della casa. Ma non appena abbiamo abbassato il tasso di ventilazione chiudendo le finestre, tutte le sostanze chimiche sono tornate ai livelli precedenti, il che significa che c’è un serbatoio relativamente abbondante della maggior parte di queste sostanze all’interno”.

Quindi il contenuto di una casa può essere una fonte di inquinanti emessi nell’aria. E così anche la casa stessa. I ricercatori hanno osservato alcuni composti che pensano siano prodotti di degradazione dell’emicellulosa e della lignina dal telaio di legno della casa.

“Il modo in cui abbiamo svolto questi studi è stato molto dettagliato”, afferma Goldstein. Oltre alle misurazioni chimiche, è stato chiesto ai residenti di tenere un diario di tutte le loro attività nelle case. Hanno installato sensori per tenere traccia di quali stanze erano occupate, quali finestre erano aperte e quali apparecchi erano accesi o spenti. I residenti sono stati disponibili a collaborare con i ricercatori.

I composti emessi nell’aria interna possono trasformarsi in altre molecole, rendendo difficile il loro riconoscimento. Le reazioni di ossidazione sono la via principale per la trasformazione di sostanze chimiche nell’aria. All’aperto, i radicali idrossilici sono i principali responsabili di queste reazioni. I radicali si generano quando la luce forma ozono o altri precursori per fotolisi. I radicali continuano quindi a strappare elettroni dai composti vicini e a trasformarli.

La maggior parte dei precursori che diventano radicali idrossilici all’aperto non possono essere fotolizzati al chiuso perché non c’è abbastanza luce, afferma Cora Young, professore di chimica alla York University che studia chimica dell’ossidazione sia all’aperto che al chiuso. All’interno, entrano in gioco ossidanti diversi dai radicali idrossilici. Young è particolarmente interessata al ruolo del cloro come ossidante, che svolge solo un ruolo minore all’aperto, ma può svolgere un ruolo importante all’interno.

Cora Young

Il cloro è anche generato dalla fotolisi delle molecole precursori, ma richiede meno luce per la sua formazione. “Anche se le fonti di luce all’interno sono deboli, è ancora possibile ottenere la fotolisi”, afferma Young. “Siamo ancora nelle fasi iniziali della comprensione del fenomeno, ma sembra il cloro possa essere molto più importante di quanto si pensasse in precedenza a causa delle differenze nella disponibilità di luce”.

In una recente indagine, Young ha utilizzato la spettroscopia laser a cavità ottica per misurare i livelli di acido cloridrico (HCl) generati da cottura, dall’uso di candeggina e dall’impiego della lavastoviglie [6]. L’HCl si forma quando il cloro reagisce con i composti organici nell’aria, quindi può essere un indicatore che si sia verificata l’ossidazione. Nella lavastoviglie, HCl si forma solo se viene utilizzato un detersivo clorurato, con emissioni che si verificano sia durante i cicli di lavaggio che di asciugatura. Sia il lavaggio con candeggina che la cottura aumentavano i livelli di HCl. Il forno elettrico dell’abitazione esaminata non ha prodotto emissioni quando era acceso in assenza di cibo, quindi Young conclude che l’aumento di HCl osservato durante la cottura provenga dal cibo stesso.

Le stufe a gas sono una delle principali fonti di ossidanti per interni. La combustione produce ossidi di azoto, che reagisce con l’ozono. Tale interazione rimuove l’ozono dall’ambiente interno, eliminandolo come potenziale ossidante, ma le stufe sembrano anche produrre molto HONO (acido nitroso), che può subire fotolisi anche in condizioni di scarsa luminosità e formare radicali idrossilici.

(continua)

Bibliografia

[1] N.E. Klepeis et al., The National Human Activity Pattern Survey (NHAPS): a resource for assessing exposure to environmental pollutants., Journal of Exposure Analysis and Environmental Epidemiology, 2001, 11, 231-252.

[2] C.P. Weisel et al., Relationship of Indoor, Outdoor and Personal Air (RIOPA) study: study design, methods and quality assurance/control results., Journal of Exposure Analysis and Environmental Epidemiology, 2005, 15, 123-137.

[3] W. Liu et al., Estimating contributions of indoor and outdoor sources to indoor carbonyl concentrations in three urban areas of the United States., Athmosferic Environment, 2006, 40, 2202-2214.

[4] K. Kristensen et al., Sources and dynamics of semivolatile organic compounds in a single‐family residence in northern California., Indoor Air, 2019, 29, 645-655.

[5] Yinjun Lin et al., Characterizing sources and emissions of volatile organic compounds in a northern California residence using space and time resolved measurements., Indoor Air, 2019, 29, 630-644.

[6] Kathryn E. R. Dawe et al., Formation and emission of hydrogen chloride in indoor air., Indoor Air, 2019, 29, 70-78.

Parole crociate.

Piero Bartezzaghi era un perito chimico e fu anche un grande innovatore dell’enigmistica italiana; il suo “bartezzaghi” a pag. 41 della Settimana Enigmistica era il clou della rivista, un testo a schema libero o senza schema veramente difficile; Bartezzaghi innovò nell’alfabeto, che usava di 26 lettere, nella tipologia delle parole che introdusse ampiamente a partire dal linguaggio parlato, ma soprattutto nell’originalità e nella complessità stimolante dei giochi , non solo parole crociate. Non è che possiamo sperare di proporvi d’ambleau un gioco altrettanto eccelso, ma l’idea qua è diversa; far penetrare il pensiero che la Chimica è anche gioco, bellezza, entusiasmo, curiosità; e dunque il nostro cruciverba sia goduto per quello che è un gioco stimolante. In bocca al lupo. Grazie al “vecchio” socio Ted Toloz e alla sua disponibilità e bravura.

Ted Toloz

stampate e risolvete il cruciverba la cui soluzione sarà pubblicata lunedì prossimo.

soluzione del cruciverba

COP25, un breve commento.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Si è chiuso a Madrid il vertice ONU sui cambiamenti climatici.

Un piccolo Paese, il Costa Rica, ha cercato di convincere i grandi intransigenti a scendere a patti per salvare il Pianeta. Purtroppo non ci è riuscito. Al momento quindi, come fu per Katowice per la COP 24 tutto è rinviato alla COP26. Nonostante promesse ed aspettative COP 25 si è rivelata un fallimento, arenata su un art. il n.6 riguardante la regolazione globale del mercato del carbonio. Di fronte all’emergenza , a parte i Paesi già esposti agli effetti della crisi, fra questi l’Italia, nessuno ha mostrato la volontà di un impegno alla riduzione delle emissioni, negando ciò che invece è sotto gli occhi di tutti, l’emergenza ambientale. Esistono,ormai è chiaro, due blocchi contrapposti: da una parte le grandi potenze (USA,Brasile,Cina,Australia,Arabia Saudita) che non intendono, a parte minimi correttivi,rivedere le loro politiche energetiche e quindi penalizzano le politiche di aiuto ai Paesi più poveri del Pianeta, vittime dei cambiamenti climatici causati proprio dai Paesi industrializzati , dall’altra l’Europa che si è invece impegnata per la riduzione delle emissioni e per il raggiungimento della carbon neutality entro il 2050: un piano ambizioso con un fondo da 100 miliardi da destinare a regioni e settori più vulnerabili per favorire la riconversione energetica di tutta l’industria Europea ed oltre 50 iniziative da assumere e completare entro il 2050. Una scritta alla COP25 di Madrid.

Va dato riconoscimento al ns Paese ed a chi lo rappresentava nella sede COP25 (il min.ro Costa) di essersi adoperato per sostenere i Paesi più poveri del mondo che dovranno, più degli altri, adattarsi ai cambiamenti climatici e per trovare formule di collaborazione ed assistenza verso i poli del Sud del mondo. Tornando al citato art.6, senza decisioni su di esso se ne va una parte importante del testo di un possibile accordo. I negoziatori avrebbero dovuto menzionare il rispetto dei diritti umani all’interno del meccanismo previsto nell’articolo relativo alla compravendita dei crediti di carbonio e questa citazione non era condivisa. Dal 2020 l’attuale sistema il Cdm (clean development mechanism) istituito nel 1997 nel protocollo di Kyoto sarà sostituito dal Sdm (sustainable development mechanism) di cui si parla per l’appunto all’art.6 dell’accordo di Parigi. Entrambi permettono a paesi ed imprese di ridurre le proprie emissioni acquistando compensazioni da progetti realizzati altrove. Il problema però è che in tutto questo vengono dimenticati i diritti umani delle comunità locali e che le compensazioni avvengono senza consultazione degli autoctoni, che spesso vengono danneggiati dalle compensazioni. Intanto un nuovo sondaggio realizzato da Amnesty International mostra che i cambiamenti climatici sono in cima alla lista delle sfide del ns tempo per i giovani fino a 25 anni, di fatto denunciando che colpevolmente si allarga la distanza fra generazioni

Per maggiori informazioni sui risultati della conferenza COP25

 

La biochimica del vino.

Mauro Icardi

Questo articolo prende spunto da ricordi personali. In primo luogo degli anni d’infanzia, che sono quelli che a distanza di molti anni sfumano nei particolari, ma non nelle sensazioni. Gli anni che trascorrevo tra le colline del Monferrato. Terra di vigne, di vini. E la fermentazione alcolica è alla base della trasformazione dell’uva in vino, il nettare di bacco. Seguivo con molta curiosità la fila di trattori che trainavano le bigonce (ma ho ricordi anche di qualche traino ancora effettuato con i buoi aggiogati, cosa non frequente, ma nemmeno troppo rara almeno fino a metà degli anni 70). Molti agricoltori conferivano l’uva alla cantina sociale di Mombaruzzo. Il paese del Monferrato, dove i miei genitori hanno vissuto la loro gioventù. La cantina sociale di Mombaruzzo è stata la prima di tutto il Piemonte, essendo stata fondata nel 1887. Quando il piccolo borgo (che non ho mai dimenticato) apparteneva ancora alla provincia di Alessandria.

Parte del fascino che provo per la chimica trae origine anche dagli odori di mosto e di fermentazione, che percepivo non solo nelle vicinanze della cantina sociale, ma anche nelle cantine più piccole e nascoste di parenti e conoscenti. Alcune buie e quasi sepolcrali. Ma l’allenamento a percepire gli odori nasce proprio allora, anche se da sempre ho avuto la curiosità di annusare e percepire odori. E in quegli anni sentivo non solo odore di mosto, ma anche di zolfo che si usa per curare le malattie causate da funghi che attaccano le piante di vite.

Ora iniziamo a parlare di biochimica enologica. Ricordando che, la prima operazione importante per ottenere un buon vino, è scegliere il momento più adatto per la raccolta dell’uva. Anticipare o ritardare la vendemmia può significare ottenere mosti di composizione differente. I mosti prodotti da uve poco mature contengono maggiori quantità di acidi (in particolare acido tartarico, acido malico, acido citrico). Questi acidi sono responsabili della percezione di alcuni sapori: l’acido tartarico, presente in quantità superiore agli altri, influisce molto sul sapore di acido, l’acido malico è responsabile di un sapore aspro generalmente sgradevole, l’acido citrico causa un gradevole ma poco marcato sapore acidulo che da senso di freschezza.

Dopo la raccolta, l’operazione di pigiatura schiaccia l’acino lacerando la buccia, e permette ai componenti della polpa di venire in contatto con l’aria. In questo modo i saccaromiceti responsabili della fermentazione alcolica possono iniziare ad agire. Una buona pigiatura permette la solubilizzazione delle sostanze coloranti, e di una parte dei tannini presenti nel graspo e nei vinaccioli.

I saccaromiceti sono in grado di secernere un complesso di enzimi denominato zimasi alcolica, che produrrà la trasformazione degli zuccheri in alcol etilico.

Questi organismi sono in grado di attuare sia un metabolismo aerobico che anaerobico: per tale motivo vengono anche definiti anaerobi facoltativi.

La fermentazione avviene in diversi stadi, che possono essere riassunti schematicamente in queste fasi.

Fase aerobica: I lieviti si trovano in un ambiente aerobio e si riproducono in gran numero grazie all’elevata efficienza metabolica.

Fase fermentativa iniziale: I lieviti, cominciano a fermentare l’uva pigiata e si arriva ad un certo grado alcolico (7-9 gradi svolti).

Fase di fermentazione tumultuosa: I lieviti fermentano tutto lo zucchero del mosto in maniera veloce (il mosto “bolle”, quante volte ho sentito dire questa frase…). Quando lo zucchero del mosto comincia a scarseggiare e la concentrazione alcolica diventa elevata, questi lieviti cominciano ad essere inibiti e la fermentazione evolve lentamente fino all’esaurimento dello zucchero disponibile.

Fase finale di quiete: Quando lo zucchero raggiunge concentrazioni minime e il grado alcolico valori intorno a 12-14%, i lieviti muoiono ad un ritmo più elevato di quanto si riproducono. La fermentazione si ferma e i residui dei lieviti si sedimentano nel fondo dei tini di fermentazione.

Normalmente i lieviti lavorano in ambiente aerobico. Passano alla fase anaerobica in due distinti casi: mancanza di ossigeno, elevate concentrazioni di zucchero o scarsità.

La fermentazione alcolica è un fenomeno complesso, nonostante sia stata praticata empiricamente dall’umanità da millenni.

Questi sono i passaggi in sequenza, suddivisi in una prima fase di glicolisi, e in una seconda di fermentazione propriamente detta.

Le trasformazioni biochimiche che caratterizzano la glicolisi partendo dal glucosio possono essere così schematizzate:

1) FOSFORILAZIONE (enzima: fosforilasi; ): Il Glucosio è trasformato in glucosio 6-P

2) ISOMERIZZAZIONE (enzima: isomerasi): Il glucosio 6-P è trasformato in fruttosio 6-P

3) FOSFORILAZIONE (enzima: fosforilasi): Il fruttosio 6-P è trasformato in fruttosio 1-6 di fosfato. Questa reazione è irreversibile. I primi quattro passaggi possono essere considerati come una fase di attivazione dello zucchero. Da ora in avanti comincia la sua demolizione.

SCISSIONE (enzima: aldolasi): Il fruttosio 1-6 difosfato è scisso in diidrossiacetone fosfato e 3-fosfo- gliceraldeide. L’equilibrio tra i due isomeri è fortemente spostato verso il diidrossiacetone (95%) che è più stabile. La 3-P gliceraldeide è invece più reattiva e prosegue il ciclo fino alla formazione di una molecola di acido piruvico.

La fermentazione alcolica vera e propria prosegue con altri due passaggi:

1) DECARBOSSILAZIONE (enzima: piruvato decarbossilasi): L’acido piruvico è trasformato in aldeide acetica.

2) RIDUZIONE (enzima: alcol deidrogenasi; coenzima NADH + H+ che è quello prodotto durante la glicolisi): L’aldeide acetica è trasformata in alcol etilico.

Uno schema riassuntivo semplificato del processo può essere mostrato in questa immagine.

Ci sono voluti molti studi per comprendere i meccanismi della fermentazione. E l’uomo imparò a fare uso della fermentazione, per far lievitare il pane, e per produrre bevande alcoliche, molto prima di rendersi conto della natura dei processi fermentativi. E molti nomi noti della scienza si impegnarono a studiarla. Lavoisier, Berzelius, Liebig e Pasteur. Quest’ultimo nato professionalmente come chimico, creò la moderna microbiologia. Anche in questo risiede la bellezza e la meraviglia della narrazione di eventi che partono dalle esigenze materiali, per creare narrazioni affascinanti e mai noiose.

Vino e fermentazione hanno moltissime cose da dirci. Sul vino poi, il sapere tecnico e scientifico deve necessariamente dialogare con l’esperienza atavica del contadino.

Per chiudere questo articolo, che ha solo sfiorato un tema così affascinante e immenso, voglio ricordare uno strumento storico, uno strumento della chimica antica. Quella che emana un fascino che non tramonta. Sto parlando dell’ebulliometro di Malligand.

Ho potuto usarlo in laboratorio, ne ho visti usare nelle cantine sociali.

L’ebulliometro di Malligand fornisce una misura del grado alcolometrico approssimativo di un vino. Si basa sull’esecuzione della misura della temperatura di ebollizione, che varia a seconda della pressione e del quantitativo di alcool presente nel campione.

La temperatura di ebollizione dell’alcool è di 78,4 gradi centigradi. L’ebulliometro è costituito da varie componenti, è presente un apparato riscaldante, ossia una fonte di calore che viene utilizzata per portare a temperatura il campione analizzato. Poi sono presenti questi altri componenti: un termometro di precisione, una caldaia ed un contenitore con un liquido refrigerante (generalmente si tratta di acqua). Solitamente il termometro è già impostato per avere un’immediata lettura del grado alcoolico, in quanto possiede una scala tarata che fornisce la corrispondenza tra la temperatura di ebollizione ed il grado alcoolico. Questo tipo di sistema viene normalmente utilizzato per la sua estrema comodità a titolo informativo, ma vista l’imprecisione dello strumento, ai fini legali viene preferito il metodo Densimetrico.

Ma questo apparecchio possiede il fascino che ci rimanda alla storia dei saggi di laboratorio. E possiamo apprezzarlo ugualmente. Si avvicinano le festività. Auguri e prosit a tutti!

Riempimento a chiave

Ted Toloz

Come sapete fra la chimica e il linguaggio c’è un legame profondo, analizzato variamente per esempio nella conferenza su questo sito dedicata a Molecole e parole. Atomi come lettere di parole molecole, a crescere fino alle superstrutture biologiche come romanzi o biblioteche.

Da oggi inizia (speriamo) una nuova rubrica il cui autore, come è prammatica nell’enigmistica, ha un nome d’arte; che nel nostro caso è Ted Toloz e che ci proporrà dei giochi enigmistici a carattere chimico.

Uno dei più famosi enigmisti italiani Piero Bartezzaghi era un chimico, insomma Chimica ed Enigmistica non sono estranee.

Buona fortuna con questo “riempimento a chiave”, sperando sia il primo di una serie.

Per eseguirlo scaricate l’immagine qui sotto e seguite le semplici regole; potrete confrontare poi il vostro risultato con quello che pubblicheremo lunedì prossimo; buon lavoro e buon we con questa chimica enigmistica.gioco elementi con soluzione

 

Elementi della tavola periodica: Zirconio, Zr.

Rinaldo Cervellati

Lo zirconio è l’elemento n. 40 della tavola periodica, è un metallo di transizione che si colloca al 4° gruppo, 5° periodo della Tavola, sotto il titanio e sopra l’afnio. Non si trova libero in natura allo stato metallico, è largamente contenuto nelle diverse forme del minerale zircone (silicato di zirconio, ZrSiO4)[1], da cui deriva il nome. La sua abbondanza nella crosta terrestre è abbastanza alta, 165 ppm, il contenuto medio nell’acqua marina è 0,026 μg/L.

Fig. 1 Zircone minerale

Il minerale zircone e le sue varie forme (Jargoon, Giacinto) sono menzionati negli scritti biblici. Il minerale non fu riconosciuto contenere un nuovo elemento fino al 1789, quando Martin Klaproth[2] analizzò un vaso di vetro dell’isola di Ceylon (oggi Sri Lanka). Chiamò il nuovo elemento Zirkonerde (zirconia). Humphry Davy[3] tentò di isolare questo nuovo elemento nel 1808 per via elettrolitica, ma fallì. Lo zirconio metallico fu ottenuto per la prima volta in forma impura nel 1824 dal famoso chimico J.J. Berzelius, riscaldando una miscela di potassio e fluoruro di zirconio e potassio in un tubo di ferro.

Lo zirconio metallico puro è bianco grigiastro, morbido, duttile, malleabile, solido a temperatura ambiente, a purezza inferiore diviene più duro e fragile. Sotto forma di polvere lo zirconio è altamente infiammabile, tuttavia la forma solida è molto meno soggetta all’accensione. Lo zirconio è resistente alla corrosione di acidi, alcali, acqua salata e altri agenti. Si scioglie in acido cloridrico e solforico, specialmente in presenza di fluoro.

Fig. 2 Zirconio metallico grezzo

Il punto di fusione dello zirconio è 1855 °C e il punto di ebollizione è 4371 °C. Lo zirconio ha un’elettronegatività di 1,33 (scala di Pauling). Fra gli elementi del blocco d con elettronegatività nota, lo zirconio ha la più bassa dopo afnio, ittrio, lantanio e attinio.

A temperatura ambiente lo zirconio presenta una struttura cristallina esagonale compatta, α-Zr, che si trasforma nella cubica a corpo centrato, β-Zr, a 863 °C e vi rimane fino al punto di fusione.

Lo zirconio naturale è composto da cinque isotopi naturali. 90Zr, 91Zr, 92Zr e 94Zr sono stabili, lo 96Zr ha un’emivita di 2,4 × 1019 anni e praticamente può essere considerato anche esso stabile. Di questi isotopi naturali, 90Zr è il più comune, costituendo il 51,45% di tutto lo zirconio. 96Zr è il meno comune, che è presente solo per il 2,80%.

Sono stati sintetizzati ventotto isotopi artificiali di zirconio, che vanno da massa atomica 78 a 110.

Lo zirconio si ottiene generalmente come sottoprodotto dell’estrazione e della lavorazione dei minerali di titanio ilmenite (titanato di ferro FeTiO3) e rutilo (biossido di titanio TiO2), perché normalmente il minerale zircone viene utilizzato direttamente in applicazioni commerciali, solo una piccola percentuale viene convertita in metallo. Dopo aver convertito lo zircone in cloruro di zirconio ZrCl4, quest’ultimo viene ridotto a Zr con magnesio liquido tramite il processo Kroll[4]. Quindi il metallo risultante viene sinterizzato fino a quando diventa sufficientemente duttile per essere lavorato.

Un’altra fonte di zirconio sono le sabbie costiere che contengono zircone. Raccolta dalle acque costiere, la sabbia di zircone viene purificata in concentratori a spirale per rimuovere materiali più leggeri, che vengono quindi restituiti all’acqua perché sono componenti naturali della sabbia della spiaggia. Usando poi la tecnica della separazione magnetica, i minerali di titanio ilmenite e rutilo sono rimossi, ottenendo lo zircone abbastanza puro.

Lo zirconio metallico commerciale in genere contiene l’1–3% di afnio, che di solito non è un problema perché le proprietà chimiche dell’afnio e dello zirconio sono molto simili. Tuttavia, poiché una delle applicazioni dello zirconio è nel nucleare per la sua bassa sezione di assorbimento dei neutroni, mentre quella dell’afnio è 600 volte più grande, occorre eliminarlo dallo zirconio per tale scopo. Sono in uso diversi metodi che vanno dalla cristallizzazione frazionata all’estrazione liquido-liquido alla distillazione estrattiva.

Fig. 3 Zirconio metallico in barrette e cubetto da 1 cm3.

La principale fonte commerciale di zirconio è lo zircone (ZrSiO4), un minerale di silicato, che si trova abbondante in Australia, Brasile, India, Russia, Sudafrica e Stati Uniti, nonché in piccoli depositi in tutto il mondo. Dal 2013, due terzi di zircone sono estratti in Australia e Sudafrica. Le risorse mondiali di zircone superano i 60 milioni di tonnellate in tutto e la produzione annuale mondiale di zirconio nel 2013 è stata di circa 1,5 milioni di tonnellate.

Fig. 4 Principali depositi di zirconio nel modo (2005)

Lo zirconio si trova anche in molti altri minerali, come la baddeleyite (raro minerale di ossido di zirconio ZrO2) e kosnarite (fosfato misto di potassio e zirconio).

Principali composti

Come gli altri metalli di transizione, lo zirconio forma una vasta gamma di composti inorganici e composti di coordinazione. In generale, questi composti sono solidi diamagnetici incolori in cui lo zirconio ha stato di ossidazione +4(IV). Sono noti meno composti dello Zr con stato di ossidazione +3(III) e lo stato +2(II) è molto raro.

Ossidi, nitruri e carburi

L’ossido più comune è il biossido di zirconio, ZrO2, noto anche col nome zirconia. Questo solido di colore da chiaro a bianco presenta un’eccezionale resistenza alla frattura e resistenza chimica, specialmente nella sua forma cubica. Queste proprietà rendono la zirconia utile come rivestimenti con barriera termica, sebbene in questa forma opportunamente lavorata è comunemente usato come sostituto del diamante (v. nota 1).

Il composto con il tungsteno, tungstato di zirconio, ha l’insolita proprietà di restringersi quando riscaldato, mentre la maggior parte delle altre sostanze si espande con il calore.

I composti con carbonio e azoto, rispettivamente carburo di zirconio e nitruro di zirconio, sono solidi usati come refrattari.

Fig. 5 Carburo di zirconio in polvere

Un composto di titanio, zirconio e piombo, indicato con la sigla PZT, è il materiale piezoelettrico più comunemente usato, con applicazioni quali trasduttori ultrasonici, idrofoni, iniettori, e trasformatori piezoelettrici.

Alogenuri

Sono noti tutti e quattro gli alogenuri comuni, ZrF4, ZrCl4, ZrBr4 e ZrI4. Tutti hanno strutture polimeriche e sono molto meno volatili dei corrispondenti tetra alogenuri monomerici del titanio. Tutti tendono a idrolizzare per dare i cosiddetti ossalidi e diossidi.

Fig. 6 Struttura del cloruro di zirconio

Composti organometallici

Lo studio di composti contenenti un legame carbonio-zirconio è chiamato chimica dell’organozirconio. Tipico rappresentante di questa categoria è il dicloruro di zirconocene (fig. 7).

Fig. 7 Dicloruro di zirconocene

Tuttavia il primo di questi composti a essere sintetizzato fu il dibromuro di zirconocene ((C5H5)2ZrBr2), riportato nel 1952 da Birmingham e Wilkinson[5]. Il reagente di Schwartz, è uno zirconococene utilizzato nella sintesi organica per reazioni di alcheni e alchini.

Lo zirconio è anche un componente di alcuni catalizzatori Ziegler–Natta[6], usati per produrre polipropilene. Questa applicazione sfrutta la capacità dello zirconio di formare in modo reversibile legami con il carbonio. La maggior parte dei complessi di Zr (II) sono derivati dello zirconocene, ad esempio (C5Me5)2Zr(CO)2.

Applicazioni

La maggior parte degli zirconi viene utilizzata direttamente come materiale resistente ad alta temperatura. Infatti lo zircone è refrattario, duro e resistente agli attacchi chimici. Grazie a queste proprietà, trova molte applicazioni, alcune delle quali sono altamente pubblicizzate. Un altro suo uso principale è come opacizzante, poiché fornisce un aspetto bianco e opaco ai materiali ceramici. Poiché possiede un’alta resistenza chimica, lo zircone è utilizzato anche in ambienti aggressivi, come gli stampi per metalli fusi.

Il biossido di zirconio (ZrO2) o zirconia è utilizzato nei crogioli di laboratorio, nei forni metallurgici e come materiale refrattario. Poiché è meccanicamente resistente e flessibile, può essere sinterizzato in coltelli o altre lame in ceramica. La zirconia è un componente di alcuni abrasivi usati nella carta vetrata e nelle mole.

La zirconia cubica (ZrO2) o lo zircone bianco (ZrSiO4) sono tagliati in pietre preziose per l’uso in gioielleria, come già ricordato.

Fig. 8 Zirconi tagliati come i diamanti

Una frazione dello zircone minerale estratto è convertita in metallo, che trova varie applicazioni di nicchia. Per la sua eccellente resistenza alla corrosione è spesso utilizzato come agente legante in materiali esposti ad ambienti aggressivi, come apparecchi chirurgici, filamenti leggeri e casse per orologi.

L’elevata reattività dello zirconio con l’ossigeno ad alte temperature viene impiegata in alcune applicazioni specializzate come innesco di esplosivi e assorbente in tubi a vuoto. La stessa proprietà è sfruttata includendo nanoparticelle di Zr come materiale piroforico in armi esplosive come la BLU-97 / B Combined Effects Bomb[7].

Il “lampo di zirconio” è stato usato come fonte di luce in alcune lampadine fotografiche. La polvere di zirconio è occasionalmente utilizzata nelle composizioni pirotecniche per generare scintille bianche luminose.

Applicazioni nelle centrali nucleari[8]

Il rivestimento dei carburanti per reattori nucleari consuma circa l’1% dell’approvvigionamento di zirconio o sue leghe o sotto forma di zirconi. Le proprietà desiderate di queste leghe sono una bassa sezione di cattura dei neutroni e resistenza alla corrosione in normali condizioni di servizio.

Fig. 9 Tubi in zirconio

Uno svantaggio delle leghe di zirconio è che questo reagisce con l’acqua ad alte temperature, producendo idrogeno gassoso e degradazione accelerata del rivestimento delle barre di combustibile:

Zr + 2H2O → ZrO2 + 2 H2

Questa reazione esotermica è molto lenta al di sotto di 100 °C, ma a temperature superiori a 900 °C avviene rapidamente. La maggior parte dei metalli subisce reazioni simili. La reazione redox è rilevante per l’instabilità dei complessi di carburante ad alte temperature. Questa reazione fu responsabile di una piccola esplosione di idrogeno osservata per la prima volta all’interno dell’edificio del reattore della centrale nucleare di Three Mile Island nel 1979, ma a quel tempo l’edificio di contenimento non fu danneggiato. La stessa reazione si è verificata nei reattori 1, 2 e 3 della centrale nucleare di Fukushima I (Giappone) dopo che il raffreddamento del reattore fu interrotto dal disastro del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo 2011, con conseguente incidente nucleare. Dopo aver scaricato l’idrogeno nella sala di manutenzione di quei tre reattori, la miscela di idrogeno con ossigeno atmosferico esplose, danneggiando gravemente gli impianti e almeno uno degli edifici di contenimento. Per evitare l’esplosione, la ventilazione diretta dell’idrogeno nell’atmosfera aperta sarebbe stata un’opzione di progettazione preferita.

Ora, per prevenire il rischio di esplosione in molti edifici di contenimento del reattore ad acqua pressurizzata (PWR), è installato un ricombinatore a base di catalizzatore che converte idrogeno e ossigeno in acqua a temperatura ambiente prima che si verifichi il pericolo.

I materiali fabbricati in zirconio metallico e ZrO2 sono utilizzati nei veicoli spaziali che richiedono resistenza al calore.

Parti che devono sopportare temperature elevate come combustori, pale e palette nei motori a reazione e nelle turbine a gas fisse vengono sempre più spesso protette da sottili strati di ceramica, generalmente rivestiti da uno strato di zirconia e ittria, ossido di ittrio(III).

Applicazioni biomediche

I composti contenenti zirconio sono utilizzati in molte applicazioni biomediche, tra cui impianti e corone dentali, protesi di ginocchio e anca, ricostruzione della catena ossicolare dell’orecchio medio e altri dispositivi protesici.

Fig. 10 Corone dentali in zirconio

Lo zirconio si lega all’urea, una proprietà che è stata ampiamente utilizzata a beneficio dei pazienti con malattia renale cronica. Ad esempio, lo zirconio è un componente primario della colonna assorbente nel sistema di rigenerazione e ricircolo del dialisato noto come sistema REDY, che è stato introdotto per la prima volta nel 1973. Più di 2.000.000 di trattamenti di dialisi sono stati eseguiti utilizzando la colonna di assorbente nel sistema REDY. Sebbene il sistema REDY sia stato sostituito negli anni ’90 da alternative meno costose, nuovi sistemi di dialisi a base di sorbenti sono in fase di valutazione e approvazione dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti.

Il ciclosilicato di zirconio di sodio è usato per via orale nel trattamento dell’iperkaliemia. È un assorbente selettivo progettato per intrappolare gli ioni di potassio rispetto ad altri ioni in tutto il tratto gastrointestinale.

Una miscela di complessi monomerici e polimerici Zr4+ e Al3+ con idrossido, cloruro e glicina, in sigla AZG, viene utilizzata come preparato antitraspirante in molti prodotti deodoranti. È selezionato per la sua capacità di ostruire i pori della pelle e bloccare la sudorazione.

L’isotopo radioattivo 89Zr è stato sperimentato per il monitoraggio e quantificazione di anticorpi molecolari nella tomografia a emissione di positroni (PET) (un metodo chiamato “immuno-PET”). L’immuno-PET ha attualmente raggiunto un avanzato sviluppo tecnico e sta entrando nella fase di applicazioni cliniche su larga scala.

Ruolo biologico e pericolosità

Sebbene il ruolo biologico dello zirconio non sia noto, il corpo umano contiene, in media, 250 milligrammi di zirconio e l’assunzione giornaliera è di circa 4,15 milligrammi (3,5 milligrammi dal cibo e 0,65 milligrammi dall’acqua), secondo le abitudini alimentari. Lo zirconio è ampiamente distribuito in natura e si trova in tutti i sistemi biologici, ad esempio: 2,86 μg/g nel grano integrale, 3,09 μg/g nel riso integrale, 0,55 μg/g negli spinaci, 1,23 μg/g nelle uova e 0,86 μg/g nella carne macinata di manzo.

Inoltre, lo zirconio è comunemente usato in prodotti commerciali (ad es. Stick deodoranti antitraspiranti, vedi Applicazioni biomediche) e anche nella purificazione dell’acqua (ad es. controllo dell’inquinamento da fosforo, acqua contaminata da batteri).

L’esposizione a breve termine alla polvere di zirconio può causare irritazione, ma solo il contatto con gli occhi richiede cure mediche. L’esposizione persistente al tetracloruro di zirconio provoca un aumento della mortalità nei ratti e nelle cavie e una diminuzione dell’emoglobina nel sangue e dei globuli rossi nei cani. Tuttavia, in uno studio su 20 ratti sottoposti a una dieta standard contenente circa il 4% di ossido di zirconio non vi sono stati effetti avversi sul tasso di crescita, sui parametri del sangue e delle urine o sulla mortalità. Il limite di esposizione consentito negli Stati Uniti per la sicurezza e la salute sul lavoro è di 5 mg/m3 in un giorno lavorativo di 8 ore. A livelli di 25 mg/ m3, lo zirconio è pericoloso per la vita e la salute. Tuttavia, lo zirconio non è considerato un pericolo per la salute nell’industria. Inoltre, le segnalazioni di reazioni avverse correlate allo zirconio sono rare e, in generale, non sono state stabilite relazioni rigorose causa-effetto. Nessuna prova è stata convalidata su cancerogenicità o genotossicità dello zirconio.

Riciclaggio

Gli studi sul recupero dello zirconio riguardano soprattutto il riciclaggio delle leghe impiegate nelle centrali nucleari, chiamate Zircaloy, che è un marchio registrato.

Nel 2012 fu organizzata una conferenza internazionale su Nuclear Chemistry for Sustainable Fuel Cycles. Furono esaminati i risultati degli studi sui possibili sviluppi di processi per recuperare e riutilizzare lo zirconio dalle Zircaloy usate nei rivestimenti del combustibile nucleare esausto. Sono stati presi in esame processi di recupero basati su iodurazione pirochimica secca, clorazione e idroclorurazione. Particolarmente la clorazione, usando cloro o acido cloridrico o entrambi, avrebbe dimostrato di fornire prestazioni migliori e più compatibili con la produzione di rivestimenti di barre in zirconio naturale. Questo metodo sarebbe anche economicamente conveniente ed è importante per la riduzione delle scorie.[1]

Per quanto riguarda il riciclaggio da altre applicazioni, come prodotti dell’industria ceramica e impianti odontotecnici, ci sono diverse ditte internazionali che si occupano del recupero di molti metalli, zirconio compreso. I loro procedimenti sono coperti da brevetto.

Ciclo biogeochimico

Per lo zirconio non si trova quasi nulla sul suo ciclo biogeochimico completo. Uno studio dettagliato dell’area di Norra Karr, nel sud della Svezia, ricca di depositi minerali di terre rare e zirconio, ha mostrato che tre specie di felci sono in grado di inglobare alti livelli di questi elementi nel loro tessuto fogliare, probabilmente nelle pareti cellulari.[2] Queste felci potrebbero quindi essere usate per ulteriori indagini biogeochimiche.

Opere consultate

CRC, Handbook of Chemistry and Physics, 85th, p. 4-36

https://en.wikipedia.org/wiki/Zirconium

  1. Emsley, The A–Z of zirconium., Nature Chemistry, 2014, 6, 254.

 

Bibliografia

[1] E.D. Collins et al., Process Development Studies for Zirconium Recovery/Recycle from Used Nuclear Fuel Cladding., Procedia Chemistry, 2012, 7, 72 – 76.

[2] B. Bluemen et al., Biogeochemical expression of rare earth element and zirconium mineralization at Norra Kärr, Southern Sweden., J. Geochemical Exploration, 2012, 133, 15-24.

[1] Lo zircone è un minerale che appartiene al gruppo dei nesosilicati. Lo zircone si è formato in fusi silicatici con un’alta concentrazione di altri elementi che accetta nel suo reticolo cristallino, per esempio l’afnio che è quasi sempre presente in quantità che vanno dall’1 al 4%. Lo zircone cristallizza nel sistema cristallino tetragonale. I colori naturali vanno generalmente dal trasparente al giallo-dorato, rosso, marrone, blu, e verde. Gli esemplari incolori sono tagliati in gemme che sono usate come pietre semipreziose al poso dei diamanti.

[2] Martin Heinrich Klaproth (1743-1817) è stato un chimico tedesco che scoprì l’uranio (1789), lo zirconio (1789) e il cerio (1803).

[3] (Sir) Humphry Davy, (1778-1829) è stato un chimico e inventore inglese. È ricordato per aver isolato, usando l’elettricità, una serie di elementi: potassio e sodio nel 1807, calcio, stronzio, bario, magnesio e boro l’anno successivo, oltre a scoprire la natura elementare di cloro e iodio. Ha anche studiato le forze coinvolte in questi processi, stabilendo il nuovo campo dell’elettrochimica. Nel 1799 Davy sperimentò il protossido di azoto che soprannominò “gas esilarante”, e scrisse sulle sue potenziali proprietà anestetiche nell’alleviare il dolore durante il parto e alcuni interventi chirurgici.

[4] Il processo Kroll è un processo industriale pirometallurgico utilizzato per produrre titanio metallico. Fu inventato nel 1940 da William J. Kroll in Lussemburgo. Dopo essersi trasferito negli Stati Uniti, Kroll sviluppò ulteriormente il metodo per la produzione di zirconio.

[5] (Sir) Geoffrey Wilkinson (1921-1996), chimico inglese, premio Nobel 1973 (insieme a Ernst Otto Fischer) per il lavoro pionieristico nel campo della chimica metallorganica.

[6] Giulio Natta (1903 – 1979), ingegnere chimico e accademico italiano, insignito del premio Nobel per la chimica insieme a Karl Ziegler nel 1963 per “le loro scoperte nel campo della chimica e della tecnologia dei polimeri”, in particolare per la messa a punto di catalizzatori capaci di operare sulla stereochimica delle reazioni di polimerizzazione del propilene per la produzione di polipropilene isotattico.

[7] La BLU-97/B Combined Effects Bomb (Bomba a Effetti Combinati BLU-97/B) è la submunizione utilizzata in numerosi sistemi d’arma a bombe a grappolo. Quando le bombe cadono, si separano dalla bomba principale e cascano in modo indipendente a terra.

[8] L’Italia è uno dei pochissimi Paesi (insieme a Austria e Cuba) che ha bandito le centrali nucleari, tuttavia importa energia elettrica dalla vicina Svizzera che la ottiene anche trasformandola da quella nucleare.

Nuova tecnica per immagini diagnostiche

Rinaldo Cervellati

I microscopi ottici (light microscopes) oggi sono così potenti che possono ottenere una risoluzione nanometrica in una cellula attiva, usando coloranti fluorescenti. I ricercatori vorrebbero essere in grado di controllare la fluorescenza al fine di illuminare selettivamente e seguire nel tempo molecole specifiche nelle cellule viventi. Ma questa impresa non è facile perché i coloranti fotoattivabili comunemente usati per individuare le molecole hanno alcuni limiti: molti di essi sono voluminosi, quindi non possono identificare molecole più piccole con adeguata risoluzione se non attivati ​​con luce laser ad alta energia. Tuttavia un’intensa illuminazione danneggia il DNA e i mitocondri e provoca legami incrociati nelle proteine. Inoltre offusca la fluorescenza provocata nei coloranti. Pertanto scoprire coloranti che possono essere attivati ​​con luce visibile a bassa potenza sarebbe grande un vantaggio per l’immagine diagnostica nei campioni istologici di tessuti viventi.

Un gruppo di ricercatori del Texas ha recentemente sviluppato una tecnica per indurre fluorescenza anche multicolore in noti coloranti attivandola ​​con luce visibile. Il metodo prevede la commutazione di un atomo di ossigeno in un colorante fluorescente con un atomo di zolfo, che lo rende non fluorescente e viceversa, attraverso l’alternanza di luce e buio in presenza e in assenza di ossigeno. Questo nuovo approccio permette di visualizzare come proteine ​​e altre molecole si comportano nelle cellule viventi senza danneggiare il tessuto (Juan Tang et al., Single-Atom Fluorescence Switch: A General Approach toward Visible-Light-Activated Dyes for Biological Imaging., J. Am. Chem. Soc. 2019, DOI: 10.1021/jacs.9b06237).

La notizia è stata riportata da Alla Katsnelson nel numero del 30 settembre scorso di Chemical & Engineering news (Single-atom switcheroo yields fluorescent dyes activated by visible light).

In precedenza era stato riportato che la sostituzione di un gruppo carbonilico con un gruppo tiocarbonilico in un colorante può estinguerne la fluorescenza. Nel nuovo studio, Han Xiao, chimico e bioingegnere della Rice University, responsabile della ricerca, e il suo team hanno dimostrato che se il gruppo tiocarbonilico viene incorporato nel sistema coniugato di un normale colorante fluorescente sopprimendone la fotoattività, il colorante può essere ri-foto ossidato con luce visibile.

Han Xiao,Xiao e il suo team hanno utilizzato una reazione chimica che ha coinvolto il reagente di Lawesson[1], noto agente tionante per trasformare l’ossigeno del gruppo carbonile di un normale colorante in zolfo, essenzialmente sopprimendo la fluorescenza.

La fluorescenza può essere alternatamente indotta e spenta tramite il lampeggiamento della miscela con luce visibile a bassa intensità di lunghezza d’onda uguale o più corta di quella emessa dal colorante, come mostrato nello schema seguente:

Se il colorante è rosso, come nello schema[2], una luce rossa, verde o blu lo attiverebbe.

“La chimica che stiamo usando è davvero semplice”, dice Xiao. La fotoattivazione richiede solo luce visibile e ossigeno, presenti a livelli sufficienti nella miscela tamponata all’adeguato pH.

Il gruppo di Xiao ha utilizzato l’approccio per creare versioni attivate dalla luce di comuni coloranti rosso, verde, blu e viola che vengono utilizzati per visualizzare diverse biomolecole o parti della cellula. Hanno usato uno dei coloranti per marcare le parti lipidiche e un altro per contrassegnare siti specifici all’interno di una proteina.

Un colorante rosso fotoattivato (in basso a sinistra) visualizza le goccioline lipidiche in una cellula proprio come un colorante verde non fotoattivabile commerciale (in alto a destra). Il colore marrone mostra la colocalizzazione dei coloranti (in basso a destra). I nuclei cellulari sono colorati di blu.I ricercatori del gruppo hanno anche dimostrato che si possono usare due coloranti diversi contemporaneamente per marcare diverse parti di una goccia lipidica.

Luke D. Lavis, biochimico del Janelia Research Campus, afferma che la ricerca è convincente perché l’estinzione della fluorescenza viene effettuata con la sostituzione di un singolo atomo, quindi le dimensioni della molecola non vengono praticamente alterate.

Esiste una grande varietà di coloranti non fotoattivabili e la maggior parte di essi dovrebbe rispondere a questa strategia, afferma Xiao. “La bellezza della nostra chimica è che non ha bisogno di una fonte di luce davvero forte. Puoi usare un LED che ottieni da Amazon e funziona.”.

Il gruppo di Xiao sta continuando a studiare altri coloranti con questo approccio. Stanno anche testando la tecnica con coloranti fluorescenti nel vicino infrarosso, che possono penetrare più profondamente nei tessuti.

Bibliografia

[1] J.M. Goldberg et al., Minimalist Probes for Studying Protein Dynamics: Thioamide Quenching of Selectively Excitable Fluorescent Amino Acids., J. Am. Chem. Soc., 2012, 134, 14, 6088-6091.

[1] Il reagente di Lawesson, o LR (2,4-Bis (4-metossifenil)-1,3,2,4-dithiadiphosphetane-2,4-disolfuro), è un composto chimico molto usato in sintesi organica come agente tionante.

[2] Si tratta di rosso del Nilo (noto anche come ossazone blu del Nilo), 9-diethylamino-5-benzo[a]phenoxazinone, una sostanza lipofila.