Roberto Zingales*
Recensione
Il concetto di elemento chimico è così familiare a chi si occupa di Scienze, come pure ai profani, e persino a qualche studente, da far ritenere superfluo formularne una definizione, o considerare con attenzione quelle riportate nei libri di testo. In particolare, esso rappresenta lo strumento concettuale fondamentale con il quale i chimici interpretano la composizione e le trasformazioni delle sostanze materiali, usandolo routinariamente e, direi, disinvoltamente, senza soffermarsi sulla necessità di darne una definizione rigorosa.
Questo, invece, diventa tanto più importante quanto più la Chimica si interfaccia con altre aree di ricerca, come la Fisica o la Filosofia, che si muovono in ambiti diversi e su differenti piani di complessità, e, soprattutto, nell’ambito didattico, dove occorre condividere con gli studenti idee e concetti che devono essere quanto più è possibile, semplici, chiari, e definiti in maniera esatta, esauriente, priva di ambiguità.
La questione potrebbe essere risolta rapidamente, definendo gli elementi come gli ingredienti dei quali sono fatte tutte le cose, rimandando, in maniera intuitiva, all’ambito gastronomico, a quei componenti che, come il lievito, pur non essendo sensibilmente identificabili nelle pietanze, tuttavia, conferiscono loro specifiche proprietà. Anche se diretta ed efficace, questa definizione lascia aperte, però, alcune questioni fondamentali, come quella di stabilire dei criteri per identificare, caratterizzare e riconoscere ciascun elemento.
I filosofi greci sono stati i primi a elaborare il concetto di elemento perché, per spiegare la composizione delle sostanze e le loro trasformazioni, hanno scelto di ricorrere all’ipotesi che, al di sotto della sua varietà e complessità, la Natura nasconda un ordine unificante, un substrato comune, eventualmente articolato in uno o più semplici costituenti elementari. Nel corso dei secoli, il concetto ha subito una notevole e continua evoluzione, mentre ai metodi di indagine della Natura puramente speculativi si aggiungevano quelli empirici e poi sperimentali.
Di conseguenza, l’iniziale concezione astratta è stata gradualmente sostituita, da una visione più materiale, che considera gli elementi come costituenti reali delle sostanze composte, isolabili con metodi analitici, e ricombinabili in nuovi composti, senza subire alterazione, soprattutto nella loro identità e nel loro peso. Questa caratteristica ha causato non poche difficoltà, specialmente perché l’ apparenza delle sostanze naturali è molto diversa da quella degli elementi dai quali sono ritenute composte.
Lo stesso Lavoisier, che pure ha formulato la prima definizione rigorosamente operazionale di elemento, e lo ha decisamente privato di ogni attributo metafisico, riportandolo sul piano materiale delle sostanze semplici, termine ultimo dell’analisi chimica, riteneva che le qualità dei composti siano determinate da quali elementi (principi) essi contengano. Il tipico esempio è quello dell’ossigeno, cui attribuiva l’origine delle proprietà acide di tutte le sostanze che lo contengono, tanto da attribuirgli un nome che, nella sua origine greca, esplicita questa convinzione, poi rivelatasi non corretta.
Tuttavia, l’ipotesi dell’invariabilità degli elementi nel corso delle trasformazioni chimiche fu usata da Lavoisier a supporto della legge di conservazione della massa, e, successivamente, da Dalton, come presupposto per associare a ciascuno di essi un differente atomo indivisibile, con un peso atomico definito e costante. Così, la non decomponibilità degli elementi, sancita a livello macroscopico dalla definizione operazionale di Lavoisier, era integrata, a livello microscopico, dalla indivisibilità dei loro atomi.
Occorse più di mezzo secolo perché la teoria atomica giungesse a piena maturazione, con l’accettazione delle differenze tra atomo e molecola e tra peso equivalente e peso atomico, e di un metodo oggettivo per la determinazione di quest’ ultimo. Alla fine, i tempi erano maturi per tentare un nuovo approccio al concetto di elemento e di classificare tutti quelli (vecchi e nuovi) che erano considerati tali.
Sotto questo aspetto, un ruolo determinante l’ha giocato il chimico russo Dimitri Mendeleév, che, solo dopo aver riconsiderato attentamente il concetto di elemento, ha potuto individuare la legge di periodicità (1869), ed assegnare a ciascun elemento un posto, all’interno dello schema di distribuzione, relativo al sistema periodico. Il passaggio fondamentale del suo processo speculativo è stato l’ aver posto una netta distinzione tra il corpo semplice, osservabile, riconoscibile dalle proprietà chimiche e fisiche che lo caratterizzano, e l’elemento, che è responsabile di queste proprietà, ma non ne possiede nessuna, a parte il peso atomico.
Secondo questa doppia prospettiva, l’elemento è sia un componente reale, concreto delle sostanze, la cui realtà materiale è espressa dal peso atomico, sia un ente astratto, immutabile, che si manteneva come tale nel corso delle trasformazioni chimiche (reazioni). Attraverso questo processo di astrazione, Mendeleév è stato in grado di individuare correttamente le relazioni reciproche tra i diversi elementi, sulle quali costruire un efficace schema di distribuzione, che gli ha consentito, inoltre, di prevedere le proprietà delle sostanze semplici corrispondenti a quelli ancora da scoprire.
L’elemento era perciò identificato dalla posizione occupata nello schema di distribuzione (tabella periodica), e nessun nuovo elemento poteva essere accettato se non vi avesse trovato un posto: questo spiega le difficoltà concettuali che, per anni, hanno impedito di riconoscere la scoperta dei gas nobili.
All’inizio del XX secolo, gli enormi progressi della Fisica nucleare hanno portato a scoperte fondamentali, che hanno aggiunto nuove difficoltà alla formulazione del concetto e della definizione di elemento: la scoperta degli isotopi di uno stesso elemento (con pesi atomici leggermente, ma significativamente, differenti) ha tolto al peso atomico lo status di parametro caratterizzante, mentre quella del nucleo atomico e della sua struttura, se ha demolito il principio della indivisibilità dell’atomo, ritenuta strettamente connessa al concetto di elemento, come ultimo componente della materia, nello stesso tempo ha consentito di individuare nel numero di protoni in ciascun nucleo (numero atomico) il parametro individuale caratteristico di ciascun elemento, che lo distingue dagli altri.
La differenza fondamentale tra la sostanza semplice, definita operativamente da Lavoisier, e l’entità immutabile che costituisce sia la sostanza semplice che i suoi composti, fu ribadita nel 1931, dal chimico austriaco Friedrich Paneth, che riprese la concezione duale di Mendeleév: riteneva l’elemento il termine ultimo dell’ analisi chimica, concreto, dotato di qualità (la sostanza semplice di Lavoisier), e, contemporaneamente, anche un’entità trascendentale (sostanza basica), che non manifestava nessuna qualità, ma era presente, immutabile, sia nella sostanza semplice che nei suoi composti.
Numerose altre definizioni sono state proposte, ma l’ambiguità legata alla natura duale dell’elemento permane: la definizione ufficiale della IUPAC fa riferimento, contemporaneamente, al piano microscopico (nucleo con lo stesso numero di protoni) e a quello macroscopico (sostanza semplice, i cui atomi hanno lo stesso numero di protoni), mentre le proposte più recenti continuano ad oscillare tra astrazione, l’elemento è un’entità immateriale, priva di proprietà fisiche e chimiche (Robert Luft, 1997), e materialità, l’elemento è una classe di nuclei aventi lo stesso numero atomico (William Jensen, 1998).
E’ evidente che ancora molta strada deve essere percorsa per arrivare a una definizione che sia priva di ambiguità, non dia adito ad equivoci, e tenga conto dei notevoli progressi nella conoscenza della struttura della materia, e che questo deve essere un cammino condiviso da chimici, fisici, filosofi, epistemologi, e quanti altri possano contribuire a fare chiarezza.
In questo contesto, il volume dal titolo What is a chemical element?, edito da Eric Scerri e Elena Ghibaudi, pubblicato a inizio 2020 da Oxford University Press, si pone come un tentativo di affrontare, se non superare, questi problemi. Il libro si compone di 14 capitoli, ciascuno di un autore diverso (inclusi gli editori), nei quali la questione posta nel titolo è affrontata secondo differenti punti di vista, quello dello sviluppo storico del concetto di elemento, quello filosofico, quello epistemologico, quello didattico.
Questa impostazione è sicuramente efficace, perché consente al lettore di affrontare la questione da diverse prospettive, m presenta lo svantaggio di generare numerose ripetizioni, che, forse, avrebbero richiesto una maggiore coordinazione, per non costringere a una lettura sinottica dei diversi capitoli.
Considerati curricula e pubblicazioni precedenti dei due editori, è evidente che Scerri e Ghibaudi avrebbero potuto scrivere da soli questo libro, arricchendolo con gli approfondimenti tratti dalla letteratura, realizzando così un prodotto altrettanto ricco, ma sicuramente più omogeneo, e quindi di più agevole lettura, comprensione e assimilazione dei suoi contenuti profondi. Tuttavia, la scelta di coinvolgere nella stesura del volume differenti colleghi, lasciandoli liberi di svolgere l’ argomento secondo le proprie competenze e inclinazioni, dimostra grande onestà intellettuale da parte degli autori, e arricchisce il contenuto di sfumature, sottigliezze e particolari, che lo svolgimento unitario non avrebbe potuto garantire.
Come dichiarato da Scerri già nel primo capitolo, il libro non si pone come un punto di arrivo, né intende fornire una risposta conclusiva (che forse non esiste), anche se ne presenta parecchie, formulate dai diversi autori; piuttosto, vuole essere il punto di partenza di una discussione quanto più ampia e approfondita, alla quale fornisce i presupposti essenziali, esponendo in maniera chiara, puntuale e, per quanto possibile, esaustiva, i termini della questione.
A chi è destinato il libro? Probabilmente, non a quei chimici, che hanno scelto di impegnarsi a tempo pieno nell’attività di ricerca, e puntano ad incrementare sempre più la propria produttività industriale o accademica: essi continueranno, senza disagio, a usare il termine e il concetto di elemento, perfettamente consapevoli del suo significato, e di quali informazioni intendono trasmettere utilizzandolo, certi che gli altri chimici lo recepiranno in maniera corretta.
In fondo, come affermato dal chimico francese Georges Urbain (1925), i chimici si contentano di una definizione per uso interno: l’elemento chimico è un’ idea, una categoria astratta, costruita dai chimici per gli scopi inerenti alla loro disciplina, il cui aspetto distintivo è il numero atomico (pagina 267 del libro), e il chimico inglese Fredrick Soddy aggiunge (1918): la nozione di elemento è chimica, per cui non dobbiamo farci distogliere dal fatto che esso è associato a una miscela isotopica, che non è né semplice né elementare: quello che è importante è che l’elemento è unico nel suo carattere chimico, e che tutto questo non influenza affatto o minimizza l’importanza pratica della concezione degli elementi chimici, come concepiti prima della scoperta degli isotopi (pagina 267 del libro).
Invece, questo libro apre al chimico nuove prospettive e pone nuove problematiche, come, per esempio, quella di riconoscere lo status di elemento a quelli superpesanti, il cui tempo di vita estremamente breve e l’esiguità del numero di atomi che se ne ottengono, rende problematica, se non impossibile, la loro caratterizzazione chimica. Se si vuole inserire anche questi elementi nel sistema periodico, occorre prima considerare questi aspetti e riformulare, di conseguenza, il criterio di accettazione di nuovo prodotto come elemento.
Per tutto questo, il libro costituisce un prezioso strumento di approfondimento e di riflessione per gli storici e gli epistemologi della Chimica e della Scienza, per chi si interessa di Filosofia, per tutti coloro che ritengono ormai superato e anacronistico il tentativo di tenere separate le culture umanistica e scientifica, che, invece, devono interfacciarsi e confrontarsi continuamente, e per tutti coloro che intendono arricchire il proprio essere chimici con una riflessione profonda sui concetti fondamentali della propria disciplina, e rileggere sotto nuova luce tutte le proprie attività, passate, presenti e future.
Soprattutto, il libro è strumento fondamentale di crescita per tutti coloro che insegnano la Chimica a tutti i livelli, perché, come essi sanno, è estremamente importante fornire agli studenti concetti chiari, corretti non ambigui, che possano accompagnarli nel futuro professionale, evidenziando attraverso quali faticosi, e non sempre lineari, procedimenti si sia arrivati, o si cerchi di arrivare, alla loro formulazione. Perché, come dice Farzad Mahootian, docente di Filosofia della Scienza alla New York University, a pagina 156 del libro, di una scienza, impariamo molto di più dal processo di formazione dei suoi concetti, che non dai concetti stessi.
Nel libro, l’insegnante non troverà la formula magica che gli consenta di enunciare in maniera conclusiva il concetto di elemento, ma piuttosto tutte le informazioni, le obiezioni, gli spunti di riflessione, necessari a organizzare il proprio lavoro, e aiutare gli studenti a recepirlo in maniera corretta.
E’ ovvio che chi, come me, ha una formazione solo scolastica e basilare di Filosofia, Logica o Epistemologia, troverà qualche capitolo di non facile lettura o non pienamente comprensibile; tuttavia, la lettura dell’intero volume, gli permetterà di ritrovarsi, di ricostruire e arricchire il concetto di elemento consolidato negli anni della professione, eliminando i fraintendimenti, rendendolo consapevole di quanto ricco e profondo esso sia, qualità che spesso sfuggono a tutti coloro che continuano a ritenere separati e non conciliabili il campo delle Scienze e quello della Cultura umanistica.
*Roberto Zingales è nato a Palermo il 13.05.1951. E’ professore associato di Chimica Analitica dal 1992. Ha insegnato: Chimica Analitica Qualitativa, Chimica Analitica, Storia della Chimica, Equilibri Chimici. E’ componente del Seminario di Storia della Scienza della Facoltà di Scienze MM. FF. e NN dell’Università di Palermo, componente del Collegio di Dottorato in Storia e Didattica della Matematica e della Fisica, nonchè Responsabile scientifico del Museo e della Biblioteca storica del Dipartimento di Chimica.