Elementi della Tavola Periodica: Francio, Fr e Astato, At. Parte 2a.

Rinaldo Cervellati

(la prima parte di questo post è stata pubblicata qui)

Astato

Anche la casella 85 della tavola di Mendeleev era rimasta vuota nei primi decenni del secolo scorso. In base alla teoria di Bohr sulla struttura atomica questa casella avrebbe dovuto ospitare un quinto alogeno, dopo fluoro, cloro, bromo e iodio, per questo la casella fu etichettata con l’indicazione eka-iodio. Molti scienziati hanno cercato di trovarlo in natura; data la sua estrema rarità, questi tentativi portarono a diverse false scoperte [2].

Nel 1940, Dale R. Corson (1914-2012), Kenneth R. MacKenzie (1912-2002) ed Emilio Segrè[1] isolarono l’elemento all’Università della California, a Berkeley. Invece di cercare l’elemento in natura, questi scienziati lo hanno ottenuto bombardando il bismuto-209 con particelle alfa in un acceleratore di particelle (ciclotrone) producendo, dopo l’emissione di due neutroni, l’astato-211.

Nobel Prize winner Emilio Segre back at Rome University to teach nuclear fusion after his sojourn in the USA where he fled to escape Fascism. He worked on the atomic bomb while in the USA. (Photo by Keystone/Getty Images)

Emilio Segrè mentre fa lezione

Gli scopritori, tuttavia, non suggerirono immediatamente un nome per l’elemento. La ragione di ciò era che, all’epoca, un elemento ottenuto sinteticamente in “quantità invisibili”, non ancora trovato in natura era considerata scoperta non completamente valida; inoltre, i chimici erano riluttanti a riconoscere gli isotopi radioattivi allo stesso modo di quelli stabili. Nel 1943, Berta Karlik (1904-1990) e Traude Bernert (1915-1998), trovarono l’astato come prodotto di due catene di decadimento naturali, prima nella cosiddetta serie dell’uranio, e poi nella serie dell’attinio[2]. Nel 1946, Friedrich Paneth (1887-1958), chimico austriaco naturalizzato britannico, convinse la comunità chimica a riconoscere finalmente gli elementi sintetici, citando, tra le altre ragioni, la conferma della presenza in natura di alcuni di essi, e propose che gli scopritori di questi elementi gli dessero il nome. All’inizio del 1947, Nature pubblicò i suggerimenti degli scopritori; una lettera di Corson, MacKenzie e Segrè suggeriva il nome “astato” derivante dal greco astatos (αστατος) che significa “instabile”, a causa della sua propensione al decadimento radioattivo, con la desinenza “-ine” (astatine), che si trova nel nomi inglesi dei quattro alogeni scoperti in precedenza (fluor-ine, iod-ine, etc). Corson e i suoi colleghi hanno classificato l’astato come un metallo sulla base della sua chimica analitica. Altri ricercatori hanno successivamente riportato un comportamento simile allo iodio, cationico o anfotero.  In una retrospettiva del 2003, Corson ha scritto che “alcune delle proprietà [dell’astato] sono simili allo iodio … mostra anche proprietà metalliche, più simili ai suoi vicini metallici polonio e bismuto“.

Caratteristiche fisico-chimiche

L’astato è un elemento estremamente radioattivo;  i suoi isotopi hanno emivite da 8,1 ore a meno di un secondo: fra gli elementi finora noti della tavola periodica, solo il francio è meno stabile, e tutti gli isotopi meno instabili del francio sono comunque sintetici e non si trovano in natura.  Sono 39 gli isotopi noti, con masse atomiche da 191 a 229, tuttavia modelli teorici suggeriscono che ne potrebbero esistere quasi altrettanti. Non è stato osservato alcun isotopo stabile, né si prevede che esista. L’isotopo 211At, ottenuto a Berkeley nel 1940, ha un’emivita di circa 7 ore e 20 minuti.

Le proprietà fisiche dell’astato non sono quindi note con certezza in quanto la ricerca è limitata dalla sua breve emivita, che impedisce la formazione di quantità ponderabili significative, inoltre un frammento visibile di astato vaporizzerebbe immediatamente a causa del calore generato dalla sua intensa radioattività.  L’astato è solitamente classificato come non metallo ma è stata anche prevista una sua struttura metallica.

La maggior parte delle proprietà fisiche sono state stimate utilizzando metodi teorici o empirici. Ad esempio, gli alogeni diventano più scuri con l’aumentare del peso atomico: il fluoro è quasi incolore, il cloro è giallo-verde, il bromo è rosso-marrone e lo iodio è scuro/violaceo, supponendo che segua questa tendenza l’astato è empiricamente ipotizzato come un solido nero o avente aspetto metallico. Si prevede che anche i punti di fusione e di ebollizione seguano l’andamento osservato nella serie degli alogeni, aumentando con il numero atomico: su questa base è stato stimato che siano rispettivamente 302 e 337 °C (575 e 610 K). L’astato sublima meno prontamente dello iodio, avendo una pressione di vapore inferiore, anche così, metà di una data quantità vaporizzerebbe in circa un’ora se posto su una superficie di vetro pulita a temperatura ambiente a causa della radioattività. Lo spettro di assorbimento nella regione media dell’ultravioletto ha righe a 224,401 e 216,225 nm, indicative di transizioni dai livelli elettronici 6p a 7s. La struttura dell’astato solido è sconosciuta. Come analogo dello iodio, potrebbe avere una struttura cristallina ortorombica composta da molecole biatomiche, ed essere un semiconduttore. In alternativa, se l’astato condensato formasse una fase metallica, come pure è stato predetto, può avere una struttura cubica monoatomica a facce centrate; in questa struttura potrebbe essere un superconduttore, come la fase simile dello iodio ad alta pressione. Le prove a favore dell’una o dell’altra ipotesi sono scarse e inconcludenti. Nonostante questa controversia, sono state previste molte proprietà dell’astato biatomico: per esempio, la sua lunghezza di legame sarebbe di 300 ± 10 pm, l’energia di dissociazione 83,7 ± 12,5 kJ/mol, e il calore di vaporizzazione 54,39 kJ/mol. Quest’ultimo dato starebbe a significare che potrebbe essere metallico allo stato liquido, in base al fatto che gli elementi con un calore di vaporizzazione maggiore di ~ 42 kJ / mol sono metallici quando sono liquidi.

La chimica dell’astato è limitata dalle concentrazioni estremamente basse con cui sono stati condotti gli esperimenti e dalla possibilità di reazioni con impurità, pareti e filtri o sottoprodotti della radioattività e altre interazioni indesiderate a livello nanoscala indesiderate. Molte delle sue apparenti proprietà chimiche sono state osservate utilizzando traccianti su soluzioni estremamente diluite, tipicamente inferiori a 10-10 mol·L-1.  Alcune proprietà, come la formazione di anioni, sono analoghe a quelle degli altri alogeni. L’astato presenta anche alcune caratteristiche metalliche, come la coprecipitazione con solfuri metallici in acido cloridrico, e la formazione di un catione monoatomico stabile in soluzione acquosa.  Forma complessi con EDTA, un agente chelante dei metalli, ed è in grado di agire come un metallo nella radiomarcatura degli anticorpi; per alcuni aspetti nello stato +1 è simile all’argento nello stesso stato. La maggior parte della chimica organica dell’astato è, tuttavia, analoga a quella dello iodio.

L’astato ha un’elettronegatività di 2,2 (scala di Pauling), inferiore a quella dello iodio (2,66) e uguale all’idrogeno. È stato previsto che la carica negativa nel composto HAt si trovi sull’atomo di idrogeno, il che implica che questo composto potrebbe essere indicato come idruro di astato   coerente con la sua elettronegatività nella scala Allred-Rochow, essendo inferiore a quella dell’idrogeno (2.2)[3].Tuttavia, la nomenclatura ufficiale IUPAC si basa su una convenzione dell’elettronegatività relativa degli elementi in virtù della loro posizione all’interno della tavola periodica. Secondo questa convenzione, l’astato viene gestito come se fosse più elettronegativo dell’idrogeno, indipendentemente dalla sua vera elettronegatività.

Struttura ipotizzata per il composto HAt (H in grigio, At in marrone scuro)

Meno reattivo dello iodio, l’astato è il meno reattivo degli alogeni, anche se i suoi composti sono stati sintetizzati in quantità microscopiche e studiati il ​​più dettagliatamente possibile prima della loro disintegrazione radioattiva. Come lo iodio, è stato dimostrato che l’astato adotta stati di ossidazione dispari che vanno da −1 a +7.

Sono stati riportati solo pochi composti con metalli, sotto forma di astaturi di sodio, tallio, argento, e piombo, le cui proprietà sono state stimate mediante estrapolazione da altri alogenuri metallici.

La formazione di un composto con idrogeno fu notata dai pionieri della chimica dell’astato. Come accennato sopra, ci sono motivi per riferirsi a questo composto come idruro di astato. È facilmente ossidabile; l’acidificazione mediante acido nitrico diluito dà le forme At0 o At+, e la successiva aggiunta di argento (I) può solo parzialmente, far precipitare l’astaturo di argento (I) (AgAt).

È noto che l’astato si lega al boro, al carbonio e all’azoto. Sono stati ottenuti vari composti con legami At – B, essendo questi più stabili dei legami At – C. L’astato può sostituire un atomo di idrogeno nel benzene per formare astatobenzene C6H5At; questo può essere ossidato dal cloro a C6H5AtCl2. Trattando questo composto con una soluzione alcalina di ipoclorito, si può produrre C6H5AtO2. Il catione dipiridina-astato (I), [At (C5H5N)2]+, forma composti ionici con perclorato e con nitrato. Questo catione esiste come complesso di coordinazione in cui due legami covalenti dativi collegano separatamente il centro dell’astato (I) con ciascuno degli anelli piridinici tramite i loro atomi di azoto.

Con l’ossigeno si hanno prove delle specie AtO e AtO+ in soluzione acquosa, formate dalla reazione dell’astato con un ossidante come il bromo elementare o, nel secondo caso, dal persolfato di sodio in soluzione di acido perclorico.

Si suppone che l’astato sia in grado di formare cationi con ossianioni come iodato o bicromato; ciò si basa sull’osservazione che, in soluzioni acide, stati di ossidazione positivi monovalenti o intermedi coprecipitano con i sali insolubili di cationi metallici come lo iodato di argento (I) o il bicromato di tallio (I).

L’astato è noto per reagire con i suoi omologhi più leggeri iodio, bromo e cloro allo stato di vapore; queste reazioni producono composti interalogeni biatomici con formule AtI, AtBr e AtCl.  I primi due composti possono anche essere prodotti in soluzione acquosa.

Struttura della molecola AtI (At in marrone scuro, I in viola)

Gli ioni [AtI]+, [AtBr]+ e [AtCl]+ sono stati formati in uno spettrometro di massa con sorgente ionica al plasma, introducendo vapori di alogeni più leggeri in una cella piena di elio contenente astato, evidenziando l’esistenza di molecole neutre stabili nello stato ionico del plasma.  Non è stato invece rilevato alcun composto o ione di astato con fluoro. La loro assenza è stata speculativamente attribuita all’estrema reattività di un simile aggregato, inclusa la reazione di un fluoruro inizialmente formatosi con le pareti del contenitore di vetro per formare un prodotto non volatile.  Pertanto, sebbene la sintesi di un fluoruro di astato sia ritenuta possibile, potrebbe richiedere un solvente alogeno fluorurato liquido, come è già stato utilizzato per la caratterizzazione del fluoruro di radon.

Disponibilità naturale

L’astato è l’elemento naturale più raro. Alcuni stimano che la quantità totale di astato nella crosta terrestre sia inferiore a un grammo in un dato momento. Altre fonti stimano che la quantità di astato effimero, presente sulla terra in un dato momento, sia fino a circa 28 grammi (circa la stessa quantità stimata per il francio).

Molti isotopi presenti alla formazione della Terra sono scomparsi da tempo; i quattro isotopi presenti in natura (astato-215, -217, -218 e -219) sono invece continuamente prodotti come risultato del decadimento dei minerali radioattivi di torio e uranio e, in tracce, nel nettunio-237. La massa continentale combinata del Nord e del Sud America, fino a una profondità di 16 chilometri, conterrebbero solo circa un trilione di atomi di astato-215 (circa 3,5 × 10-10 g) in un dato momento. L’astato-217 è prodotto tramite il decadimento radioattivo dell’isotopo nettunio-237. I resti primordiali di quest’ultimo isotopo, a causa della sua emivita relativamente breve di 2,14 milioni di anni, non sono più presenti sulla Terra. Tuttavia, tracce si trovano naturalmente come prodotto delle reazioni di trasmutazione nei minerali di uranio.  L’astato-218 è stato il primo isotopo dell’elemento scoperto in natura.  L’astato-219, con un’emivita di 56 secondi, è il più longevo degli isotopi presenti in natura.

Usi e precauzioni

L’isotopo astato-211 è oggetto di ricerche in corso in medicina nucleare. Deve essere utilizzato abbastanza rapidamente poiché la sua emivita è di 7,2 ore; comunque un tempo abbastanza lungo da consentire strategie di marcatura a più fasi. 211At ha il potenziale per una terapia mirata di particelle alfa, poiché decade per emissione particella alfa (in bismuto-207), o tramite cattura elettronica (in un nuclide di vita estremamente breve, il polonio-211, che subisce un ulteriore decadimento alfa), raggiungendo molto rapidamente l’isotopo stabile piombo-207. I raggi X del polonio emessi come risultato della cattura elettronica  consentono il tracciamento dell’astato negli animali e in  pazienti umani. 

La principale differenza tra l’astato-211 e lo iodio-131 (un isotopo di iodio radioattivo abbastanza usato in medicina nucleare) è che quest’ultimo emette particelle beta ad alta energia, mentre il primo non lo fa.  Le particelle beta hanno un potere penetrante molto maggiore attraverso i tessuti rispetto alle particelle alfa molto più pesanti. Una particella alfa media rilasciata dall’astato-211 può viaggiare fino a 70 µm attraverso i tessuti circostanti; una particella beta a media energia emessa dallo iodio-131 può viaggiare quasi 30 volte più lontano, fino a circa 2 mm. La breve emivita e il limitato potere di penetrazione della radiazione alfa attraverso i tessuti offrono vantaggi in situazioni in cui il carico tumorale è basso e/o le popolazioni di cellule maligne si trovano in prossimità di tessuti normali essenziali.

Diversi ostacoli sono stati incontrati nello sviluppo di radiofarmaci a base di astato per il trattamento del cancro. I risultati dei primi esperimenti indicavano che sarebbe stato necessario sviluppare un trasportatore cancro-selettivo e solo negli anni ’70 gli anticorpi monoclonali divennero disponibili per questo scopo. A differenza di 211I, 211At mostra una tendenza a disalogenare questi vettori molecolari, in particolare nei loro siti contenenti atomi di carbonio ibridizzati sp3. Data la tossicità dell’astato accumulato e trattenuto nel corpo, ciò ha sottolineato la necessità di garantire che rimanesse attaccato solo alla sua molecola ospite. Mentre i trasportatori che vengono metabolizzati lentamente possono essere valutati per la loro efficacia, i portatori metabolizzati più rapidamente rimangono un ostacolo significativo alla valutazione dell’astato in medicina nucleare.

Studi sugli animali hanno dimostrato che l’astato, analogamente allo iodio, anche se in misura minore, forse a causa della sua natura leggermente più metallica, è preferenzialmente (e pericolosamente), concentrato nella ghiandola tiroidea. A differenza dello iodio mostra anche una tendenza a essere assorbito dai polmoni e dalla milza, probabilmente a causa dell’ossidazione nel corpo di At ad At +.  Se somministrato sotto forma di un radiocolloide tende a concentrarsi nel fegato. Esperimenti su ratti e scimmie suggeriscono che l’astato-211 causa un danno molto maggiore alla ghiandola tiroidea rispetto allo iodio-131, con conseguente necrosi e displasia cellulare all’interno della ghiandola. Le prime ricerche suggerivano che l’iniezione di astato nelle femmine di roditori causava cambiamenti morfologici nel tessuto mammario, ma questa conclusione rimase controversa per molti anni. Successivamente diverse ricerche hanno mostrato che questi cambiamenti sono probabilmente dovuti agli effetti combinati dell’irradiazione del tessuto mammario e delle ovaie.

Resta comunque che campioni di astato-211 devono essere maneggiate in cappe chimiche protette poiché l’assorbimento biologico dell’isotopo è pericoloso per i tessuti sani (e non) quindi deve essere assolutamente evitato.

Opere consultate

Handbook of Chemistry and Physics, 85th Ed., pp. 4-12-13 e  p. 4-4-5

https://en.wikipedia.org/wiki/Francium; https://en.wikipedia.org/wiki/Astatine

Bibliografia

[1] R. Cervellati, Marguerite Perey, in: Chimica al femminile, Aracne: Roma 2019, pp. 253-258.

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Astatine#CITEREFLavrukhinaPozdnyakov1970


[1] Emilio Gino Segrè (Tivoli, 1905 – Lafayette, 1989) è stato un fisico e accademico italiano naturalizzato statunitense, vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 1959 per la scoperta dell’antiprotone (insieme a Owen Chamberlain).

[2] In seguito, l’astato è stato trovato anche in una terza catena di decadimento, la serie del nettunio.

[3] L’algoritmo utilizzato per ottenere la scala Allred-Rochow fallisce nel caso dell’idrogeno, fornendo un valore vicino a quello dell’ossigeno (3.5). All’idrogeno viene invece assegnato un valore di 2,2. Nonostante questa lacuna, la scala Allred-Rochow ha un grado di accettazione relativamente alto.