La realtà virtuale come strumento.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Una bella definizione della realtà virtuale che viviamo con le nuove tecnologie di comunicazione é stata data dal sociologo Zygmunt Bauman: un muro di vetro al cui interno ci rifugiamo per non affrontare le sfide vere che la vita ci pone davanti, vivendole come se fossero repliche. Ne nasce una sorta di zona di conforto in cui possiamo scegliere la nostra identità, eventualmente modulandola alla ricercata approvazione degli altri,la comunità a cui aderire,le informazioni e conoscenze da condividere. L’altra faccia è però che alle tante interazioni accumulate sui Social non sempre corrispondono relazioni da coltivare nella quotidianità. Le emozioni ed i pensieri condivisi nel cyberspazio, destinati ad un interlocutore generico ed indifferenziato, non implicano necessariamente la ricerca di forme autentiche di condivisione. Che i giovani risultino affascinati da questo sistema è forse comprensibile, meno che questo compiacimento si stia allargando ai non giovani, anche in connessione con il particolare momento che viviamo, responsabile di avere indotto un’accelerazione nel ricorso alla comunicazione virtuale tanto nei rapporti interpersonali quanto nel mondo del lavoro, nella fruizione della cultura e nella organizzazione del proprio tempo libero.
È innegabile che le nuove tecnologie digitali facilitano la vita e fanno superare le distanze ma forse una conversazione in chat non può sostituire una chiacchierata de visu con un amico ed una visita guidata virtuale il godimento che deriva dalla visione in presenza di un’opera d’arte. Allora dal Covid-19 ci viene una lezione: le tecnologie informatiche non siano un metodo ma uno strumento.

Un recente esempio di questo carattere di strumento prezioso ci viene dal sempre attuale dibattito sulla sperimentazione animale
Quando si parla di metodi alternativi in vitro ed in silico è forse opportuno ricordare che le posizioni contrarie alla sperimentazione animale hanno trovato un grande supporto nel prezioso lavoro che uno dei suoi sostenitori più convinti,Thomas Hartung (Johns Hopkins University) ha svolto dettando le chiavi di lettura delle banche dati sui composti chimici, nate a seguito del Regolamento Europeo REACH, per la registrazione ed autorizzazione delle sostanze in commercio. Tali chiavi consentono di mappare le tossicità dei nuovi composti sulla base di confronti, analogie, difformità con i valori di tossicità di composti già studiati.Creando una mappa di 10 milioni di molecole poste una vicina all’altra per le somiglianze di comportamento si possono inserire all’interno di tale mappa nuovi composti da collocare in base alla loro struttura e ad un algoritmo interpretativo. Sono stati eseguiti 50 miliardi di confronti per definire la mappa: sono così nate 74 etichette di dati tossicologici sotto 19 categorie quali tossicità acuta, irritazione della pelle, tossicità riproduttiva ed altro. La mappa è stata applicata ad un certo numero di composti noti; ma immaginati sconosciuti, individuando con il metodo descritto se risultassero tossici o no:su quasi 300 mila composti testati l’accordo con la realtà ha coperto quasi il 90 % dei casi. Ecco che la realtà dati del computer diviene preziosa ed i dubbi che la riguardano sembrano sfiorire.