Vongole di Chioggia e sostanze perfluorurate

Rinaldo Cervellati

Cheryl Hogue e Craig Bettenhausen hanno scritto su C&EN una lunga storia sulla rivendicazione dei brevetti per gli standard analitici dei composti per- e polifluorurati che riguarda anche l’Italia [1]. Per questo motivo mi sembra opportuno parlarne sul blog.

Gli standard analitici di riferimento, composti di purezza e concentrazione note, sono fondamentali per lo studio dell’inquinamento perché consentono ai ricercatori di determinare i livelli di contaminanti in campioni di acqua, suolo o tessuti e normalmente non provocano cause e processi. Di recente, tuttavia, il timore di cause per violazione dei brevetti ha impedito ai ricercatori di quantificare la contaminazione ambientale da parte di una sostanza perfluorurata persistente.

Questa situazione complicata coinvolge un produttore chimico con sede a Bruxelles, una società canadese di standard analitici, l’inquinamento da sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) in Italia e le complessità del diritto sui brevetti.

All’inizio di quest’anno, la società Solvay ha imposto alla ditta canadese di standard analitici Wellington Laboratories di cessare di produrre e vendere uno standard per C6O4, una sostanza chimica utilizzata per la produzione di composti PFAS commerciali. Solvay, che produce e utilizza C6O4 in Italia ma non lo vende, è titolare di brevetti sul composto e la sua sintesi in diversi altri Paesi. L’utilizzo di un reclamo per violazione di brevetto al fine di ritirare dal mercato uno standard analitico di riferimento è un fatto nuovo per gli esperti di diritto brevettuale consultati da C&EN. I chimici analitici temono però che questa manovra possa avere un effetto tremendo sugli sforzi per rintracciare le fonti di inquinamento.

C6O4 è il nome commerciale del perfluoro ([5-methoxy-1,3-dioxolan-4-yl]oxy) acetic acid, formula grezza C6HF9O6, la cui struttura è riportata in figura 1.

Figura 1.

Solvay ha registrato C6O4 nel 2011, ai sensi della normativa REACH (Registration, Evaluation, Authorisation, and Restriction of Chemicals) dell’Unione Europea. Nei documenti di registrazione, Solvay identifica la sostanza chimica come una sostanza intermedia di produzione che non è destinata al rilascio nell’ambiente.

L’azienda utilizza il sale di ammonio di C6O4 per produrre fluoropolimeri come il politetrafluoroetilene, che vengono utilizzati come rivestimenti antiaderenti su utensili da cucina e altri articoli a contatto con gli alimenti. Secondo il parere scientifico del 2014 dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA): “Non vi è alcun problema di sicurezza per il consumatore se la sostanza deve essere utilizzata solo come aiuto alla produzione di polimeri durante la fabbricazione di fluoropolimeri prodotti in condizioni di alta temperatura di almeno 370 °C” [2].

Ma anche se il C6O4 avrebbe dovuto rimanere all’interno delle apparecchiature di lavorazione industriale, i funzionari della regione Veneto nel 2019 hanno trovato il composto nel Po, il fiume più lungo d’Italia. A monte del Veneto, l’area che defluisce nel fiume comprende parte della regione  Piemonte dove è in funzione un impianto di fluoropolimeri Solvay nel comune di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria. Il fiume sfocia nel mare Adriatico nel nord-est dell’Italia.

Solvay non è l’unica azienda che ha registrato C6O4 nell’UE. Anche un’altra impresa in Italia lo ha fatto, la Miteni, il cui stabilimento di Trissino (Vicenza), recuperava i fluoroeteri dai rifiuti industriali. Per anni, lo stabilimento ha lavorato materiali dallo stabilimento Chemours di Dordrecht, (Paesi Bassi). Nel 2017, i funzionari della regione Veneto hanno annunciato di aver trovato il dimero dell’ossido di esafluoropropilene (HFPO-DA), un composto perfluorurato, nei pozzi vicino all’impianto di Miteni. Questa sostanza è il prodotto dell’idrolisi del sostituto del PFOA prodotto da Chemours, un fluoroetere chiamato GenX. Nella carta di Figura 2 sono riportati i siti degli impianti Solvay e Miteni.

Figura 2. Cartina del Nord Italia

Solvay produce e utilizza C6O4 in uno stabilimento di Spinetta Marengo, vicino a un affluente del fiume Po, in Piemonte. Funzionari della regione Veneto, nel nord-est del Paese, hanno trovato la sostanza chimica vicino alla foce del Po. Hanno anche trovato C6O4 e un altro composto fluorurato nelle acque sotterranee vicino a una struttura Miteni a Trissino.

Miteni ha chiuso e un tribunale italiano l’ha dichiarata fallita alla fine del 2018. In quel momento, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione Ambientale del Veneto ha appreso che l’impianto accettava rifiuti da Solvay, recuperava C6O4 e rispediva la sostanza a Solvay, afferma Sara Valsecchi, una ricercatrice dell’Istituto per la Ricerca sulle Acque dell’IRSA-CNR . L’agenzia ha anche scoperto C6O4 nelle acque sotterranee vicino alla struttura di Miteni, un’area idrologicamente separata dal fiume Po.

Un gruppo di 17 ricercatori italiani dell’Università di Padova insieme all’IRSA-CNR e all’Associazione Vongole Veraci di Chioggia, ha recentemente riportato uno studio sugli effetti del C604 nella vongola Ruditapes philippinarum esposta a concentrazioni realistiche ambientali della sostanza (0,1 μg/L e 1 μg/L) per 7 e 21 giorni. Inoltre, per capire meglio se il C6O4 è un’alternativa valida e meno pericolosa del PFOA, sono state studiate anche alterazioni microbiche e trascrizionali in vongole esposte a 1 μg/L di PFOA. I risultati indicano che C6O4 può causare perturbazioni significative al microbiota della ghiandola digestiva, determinando probabilmente la compromissione dell’omeostasi fisiologica dell’ospite. Nonostante le analisi chimiche suggeriscano un accumulo potenziale 5 volte inferiore del C604 rispetto al PFOA nei tessuti molli delle vongole, le analisi trascrizionali rivelano diverse alterazioni di profilo di espressione genica. Gran parte delle vie alterate, compresa la risposta immunitaria, la regolazione dell’apoptosi, lo sviluppo del sistema nervoso, il metabolismo dei lipidi e la membrana cellulare sono gli stessi nelle vongole esposte a C6O4 e PFOA [3].

In aggiunta, le vongole esposte al C6O4 hanno mostrato risposte dose-dipendenti, nonché possibili effetti narcotici o neurotossici e ridotta attivazione dei geni coinvolti nel metabolismo xenobiotico. L’articolo conclude infine che i potenziali rischi per l’organismo marino a seguito della contaminazione ambientale non vengono ridotti sostituendo il PFOA con il C6O4. Inoltre, la rilevazione sia di C6O4 che di PFOA nei tessuti delle vongole che abitano la Laguna di Venezia,  dove non ci sono fonti industriali di nessuno dei due composti, mostra una capacità della loro diffusione in tutto l’ambiente acquatico. I risultati suggeriscono l’urgente necessità di rivalutare l’uso di C6O4 in quanto può rappresentare non solo un pericolo ambientale ma anche un potenziale rischio per la salute umana poiché le vongole vengono coltivate commercialmente nel delta del Po (figura 3) e finiscono sulle tavole da pranzo, oltre che nelle uova di uccelli selvatici.

Figura 3. Visione del delta del Po.

Sara Valsecchi, che fa parte del gruppo di ricerca, intervistata da C&EN, a proposito del contenzioso sullo standard analitico del C604, ha affermato: “sicuramente rallenterà o fermerà le nostre indagini,  è un esempio di come i brevetti vengono utilizzati in modo improprio per impedire alle autorità e ai ricercatori di rilevare l’inquinamento e dimostrare il rischio di nuovi PFAS che stanno entrando nell’ambiente”.

Bibliografia

[1] C. Hogue , C. Bettenhausen, A tale of PFAS, pollution, and patent claims., C&EN news, 21 March 27, 2021 Vol. 99, no 11.

[2] AA.VV. Scientific Opinion on the safety assessment of the substance, Perfluoro{acetic acid, 2-[(5-methoxy-1,3-dioxolan-4-yl)oxy]}, ammonium salt, CAS No 1190931-27-1, for use in food contact materials  EFSA Journal 2014, 12, 3718.

[3] I. Bernardini et al., The new PFAS C6O4 and its effects on marine invertebrates: First evidence of transcriptional and microbiota changes in the Manila clam Ruditapes philippinarum.,

Environment International, 2021, DOI: 10.1016/j.envint.2021.106484

Riflessioni amare, in un’Italia immobile e immodificabile.

Mauro Icardi

Ho voluto aspettare qualche giorno, prima di scrivere questa mia riflessione. Una che parte da una grande sensazione di sbigottimento, e termina in una grande amarezza. Personale e civile. Nell’Italia della terra dei fuochi, dei rifiuti smaltiti sotto le autostrade, dei capannoni di rifiuti incendiati, si apre un’altra triste pagina.

https://www.ansa.it/toscana/notizie/2021/04/15/ndrangheta-in-toscana23-arresti-drogastradeconcerie_db09b762-f795-4f55-8607-3538436f8dd3.html

La vicenda è l’ennesima cui assistiamo. E probabilmente seguirà la solita trama: sarà detto di non emettere giudizi prima di una pronuncia definitiva delle autorità giudiziarie. Seguiranno diversi commenti  (tra cui anche questo mio), stupore, indignazione e poi, come ciliegina sulla torta, la convinzione in fondo nemmeno troppo priva di fondamento, che in Italia tutto quello che riguarda la gestione ambientale, sia destinato a svolgersi con queste modalità.  Negli anni 70 ho iniziato ad approfondire i temi di cui sentivo spesso parlare. Dalle sofisticazioni alimentari, all’inquinamento. Sono stati gli anni in cui si sono svolte le vicende dell’incidente di Seveso, dell’epidemia di colera a Napoli. Le mie prime riflessioni, istintive e mosse da una curiosità che faticavo a placare. Ho scelto di fare della chimica lo strumento per la mia crescita personale, e con la convinzione che fosse uno strumento utile per l’accesso al mondo del lavoro, e la sua conoscenza utile per la risoluzione dei problemi ambientali, anche se a molti poteva sembrare paradossale.

Ho seguito e cercato di capire le tantissime vicende legate alla questione ambientale in Italia. Molti forse le hanno dimenticate, ma io ancora le ricordo. Vicende storiche, dall’ACNA di Cengio narrata anche da Beppe Fenoglio in “Un giorno di fuoco”. Fenoglio scrive un brano che forse conoscono in pochi, ma che merita una rilettura: “Hai mai visto il Bormida. Ha l’acqua colore del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle sue rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più porca e avvelenata, che ti mette freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna.” E l’elenco non finisce qui: Caffaro a Brescia, e tante altre realtà locali che sfuggono. Trissino e PFAS una delle più recenti.

Questa vicenda Toscana poi mi lascia perplesso anche per un’altra ragione, molto personale. Vede coinvolta anche l’associazione dei conciatori di Santa Croce sull’Arno. L’associazione che ha costruito e gestisce il depuratore che si occupa della depurazione dei reflui conciari. Ho scritto un resoconto della visita effettuata nel Settembre 2019.

Ho voluto rileggerlo. Mi è sembrato un articolo corretto ed equilibrato. Che però si ferma al trattamento delle acque, perché quello fu l’oggetto della visita. Dei fanghi ci fu detto che venivano trattati in un altro sito. Che venivano anche recuperati i bagni di cromo esausti.

In questo momento mi domando quale sarà l’effetto immediato di quest’ultima vicenda. Perché la sensazione che provo fatico quasi a descriverla. Questo impianto è (o era) un fiore all’occhiello. Ha avuto un risonanza tale che è assurto agli onori non solo di questo blog, ma anche della televisione nazionale.

In questo servizio televisivo si parla del sito, come di un modello moderno e funzionale di economia circolare.

Nel frattempo anche le organizzazioni sindacali della zona, si dichiarano preoccupate delle ricadute che la vicenda potrà avere sul comparto conciario, sui lavoratori e sulla salute delle persone.

I residui della depurazione delle acque provenienti dal trattamento conciario, circa 8000 tonnellate sono state smaltite non nei siti autorizzati ma utilizzati come fondo di base di strade in costruzione. Pratica non nuova, perché è stata già utilizzata altrove.

https://tg24.sky.it/cronaca/2014/02/11/a4_autostrada_dei_veleni_rifiuti_tossici__cromo_esavalente

In questo momento vorrei cercare di essere razionale. Non ci riesco. Vicende come queste hanno il potere di farmi davvero arrabbiare.

Perché in Italia, e lo dico con molta amarezza la gestione dei beni comuni non interessa di fatto quasi a nessuno, oppure è mal compresa. E così si dalla sindrome Nimby (Not In My Back Yard, ossia non nel mio giardino) si passa alla sindrome Nimto (‘not in my terms of office’ cioè ‘non durante il mio mandato elettorale’).

Se le soluzioni non si trovano, o non si vogliono trovare, non c’è da stupirsi che poi sia la criminalità organizzata a gestire lo smaltimento dei rifiuti.

Questo blog ha come suo scopo, quello di fare informazione, di comunicare che possono esistere soluzioni tecniche praticabili.  Ogni vicenda di questo genere azzera, o diminuisce di molto la fiducia della pubblica opinione, di suo già troppo spesso disorientata.

Ora non rimane che aspettare la conclusione dell’inchiesta. L’ennesima di questo genere. L’ennesima vicenda in cui un albero che cade fragorosamente, fa più rumore di una foresta che cresce. E dove l’assuefazione rende quasi inutili gli sforzi di chi si applica con correttezza a cercare di gestire le questioni ambientali. Io personalmente penso che serva una rivoluzione morale ed etica. Che serva il ritrovare la nostra funzione di cittadini consapevoli. Perché a mio parere un paese disattento e superficiale, non può che esprimere una classe dirigente affine. I tempi per la soluzione dei problemi ambientali non sono maturi. Sono in fase di marcescenza. C’è molto da mettere in discussione.  Credo che in questo caso non siano le questioni tecniche quelle da mettere sotto la lente d’ingrandimento. Ma quelle etiche, morali, educative. Diversamente non ci saranno soluzioni. Né per noi, con le nostre specificità italiche, né per il resto di questo pianeta malato.

Una nuova CnS!

Margherita Venturi

La Chimica nelle Scuola, CnS, è, assieme alla Chimica &Industria, una rivista della Società Chimica Italiana, ma soprattutto è l’unica rivista nazionale di Didattica della chimica ; il suo obiettivo deve essere quello di diffondere le “buone pratiche” alla base di un insegnamento efficace della Chimica, una disciplina tanto importante quanto poco amata dagli studenti. Merita, quindi, di essere adeguatamente valorizzata e apprezzata.

È allora con malcelato orgoglio che annunciamo la “nascita” di una nuova CnS.

È cambiata la grafica, che speriamo piaccia e per la quale dobbiamo ringraziare la CLUEB, la casa editrice che d’ora in poi se ne farà carico, ma sono cambiate anche altre cose.

Prima di tutto la rivista sarà totalmente a libero accesso: chiunque, iscritto o no alla SCI e/o alla Divisione di Didattica, potrà accedere e scaricare gli articoli e le rubriche di interesse. Questo, a nostro avviso, è molto importante dal momento che le scuole, docenti e studenti, potranno usufruire appieno dei contributi formativi e culturali che da sempre la rivista pubblica. Ricordiamo inoltre che presto sarà realizzata un’applicazione per smartphone disponibile sulle principali piattaforme distributive (IOS e Android).

Altra novità riguarda il fatto che la rivista prevede numerose rubriche, ovviamente non tutte per ogni numero, che coprono i vari aspetti della didattica e della chimica, non dimenticando gli insegnanti di scuola primaria e gli studenti dei quali vogliamo sentire idee e opinioni. Come potete vedere c’è solo l’imbarazzo della scelta:

  • Percorsi didattici con approccio storico epistemologico per la scuola superiore –a cura di Eleonora Aquilini e Antonio Testoni
  • Percorsi laboratoriali –a cura di Maria Funicello e Anna Maria Madaio
  • Percorsi didattici per la scuola primaria –a cura di Valentina Domenici e Francesca Turco
  • La Chimica nei musei scientifici –a cura di Valentina Domenici e Luigi Campanella
  • Metodologie didattiche per l’università –a cura di Elena Ghibaudi e Antonio Floriano
  • Diffusione della cultura chimica/eventi importanti –a cura di Silvano Fuso, Elena Lenci e Antonella Rossi
  • Storia della chimica –a cura di Marco Ciardi e Roberto Zingales
  • Dare voce agli studenti per conoscere le loro opinioni sulla chimica e sull’insegnamento della chimica –a cura di Giorgio Cevasco e Raffaele Riccio
  • Le “keyword” della Chimica –a cura di Giovanni Villani
  • Pillole di saggezza –a cura di Margherita Venturi

Sono anche benvenute comunicazioni brevi e lettere alla redazione che potranno sicuramente arricchire il dibattito e la riflessione sui temi proposti dalla rivista.

Per le informazioni relative alla preparazione dei contributi, a chi inviarli e per altri dettagli consultare le Istruzioni per gli Autori al seguente link: https://www.soc.chim.it/it/riviste/cns/catalogo.

È doveroso a questo punto fare i ringraziamenti di rito.

Un grazie ai componenti del nuovo Comitato Scientifico, formato da Luigi Campanella (Presidente), Vincenzo Balzani, Agostino Casapullo e Carlo Fiorentini, che hanno accettato con entusiasmo l’incarico; un grazie particolare al Comitato di Redazione, formato dai curatori delle rubriche, a cui spetta forse il lavoro più gravoso perché, oltre a raccogliere i contributi, avranno anche il compito di farli valutare da opportuni referee; un grazie speciale, infine, al Presidente della Società Chimica Italiana, Gaetano Guerra, che non solo ci ha appoggiato nell’opera di rinnovamento della rivista, ma che ne farà anche parte come Direttore Onorario.

Il passaggio al nuovo non deve, però, dimenticare chi ha duramente lavorato per mantenere in vita la CnS prima di noi e, quindi, è doveroso ringraziare il passato Comitato Scientifico, quello di Redazione e, in particolare, Luigi Campanella e Pasquale Fetto, perché senza la loro dedizione non saremmo arrivati a questo punto.

Ora non resta che concludere e lo vogliamo fare con un impegno e una speranza: noi cercheremo di non deludervi, impegnandoci al massimo, ma la vostra collaborazione, non solo per quanto riguarda l’invio di contributi, ma anche nel divulgare queste informazioni, è fondamentale per far sì che la CnS diventi sempre più attraente per i giovani e importante dal punto di vista didattico e culturale. Speriamo di essere sommersi di contributi da pubblicare!

Il Comitato Editoriale

Direttore: Margherita Venturi

Vice-Direttori: Eleonora Aquilini e Giovanni Villani

Dove si trova la vecchia CnS?

http://www.soc.chim.it/divisioni/didattica/cns

Dove si trova la nuova CnS?

https://www.soc.chim.it/it/riviste/cns/catalogo

Oggi Giornata della Terra, parliamo di carta.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Il 18 marzo è stata la Giornata mondiale del riciclo. A istituirla nel 2018 è stata la Global recycling foundation per celebrare l’importanza del riciclaggio e sensibilizzare cittadini e istituzioni.

Entro il 2035 i volumi di rifiuti urbani conferiti in discarica non dovranno superare la soglia del 10%. Si tratta di uno dei principali obiettivi fissati dall’Ue e rappresenta un impegno che da metà agosto, con il recepimento del pacchetto di normative europee sull’economia circolare, l’Italia non potrà più tradire.

In questa linea si colloca il Decreto 188/2020 “Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto da carta e cartone“, illustrato di recente con interventi del Ministero della Transizione Ecologica e dell’Ispra: secondo tale decreto i rifiuti di carta e cartone vengono invece qualificati come carta e cartone recuperati. Il tema assume particolare attualità rispetto ad alcuni dati recenti: negli ultimi 12 mesi è aumentato del 22 % il volume degli imballaggi presenti nelle raccolte di carta e cartone. Se questo da un lato vuol dire che la rivoluzione informatica che ha tra i suoi fini anche quello di ridurre il consumo di carta, quindi di cellulosa, quindi di alberi sacrificati non è riuscita nel suo intento in corrispondenza dell’emergenza pandemica, dall’altro è una chiara dimostrazione che alcune modificate abitudini, in particolare la crescita di e-commerce (65 % degli italiani lo  ‘hanno adottato) e food delivery non hanno intaccato il senso di responsabilità dei cittadini verso la raccolta differenziata di carta e cartone. Da una statistica (fonte AstraRicerche) risulta che il 63% degli italiani ha differenziato in maniera ancora più attenta carta e cartone proprio durante il periodo della pandemia. PaperWeek:"PNNR e Filiera della carta, stampa e ...

Sullo stesso tema dal 12 al 18 aprile si svolge la Paper Week, una settimana di appuntamenti digitali pensati per approfondire i diversi aspetti legati al mondo del riciclo di carta e cartone. Alcune delle iniziative saranno rivolte alla scuole ed in chiave educazione questa scelta è fondamentale. Il tema rientra all’interno di una più ampia visione relativa al nuovo modello circolare di economia al quale la filiera  della carta e cartone può adattarsi particolarmente bene tanto che ad essa viene assegnato un tasso di circolarità di quasi il 60% e di riciclo di oltre l’80%. Questi dati sono compatibili e coerenti con un significativo contributo alla transizione ecologica ed allo sviluppo di modelli industriali più efficienti, sostenibili e tecnologici, che mirino al risparmio energetico ed alla decarbonizzazione della nostra società. L’Italia a volte bistrattata per una certa approssimazione nel contrasto a derive economiche e sociali in questo caso ha dimostrato di essere fra i primi Paesi sia nel riciclo che nella raccolta differenziata di carta e cartone. Dalla pasta di cellulosa ottenuta grazie al processo di riduzione in poltiglia della carta smaltita è possibile ottenere una nuova carta, anche di buona qualità. Una potenziale alternativa ai processi convenzionali di riciclo è quella di far uso di composti enzimatici. Questa promettente tecnologia del trattamento delle carte da macero per via enzimatica, trova la sua ottimale applicazione nella rimozione dei toner delle carte da ufficio e per stampanti laser, dove con i processi convenzionali si hanno difficoltà di disinchiostrazione.

Restano ancora problemi quali il divario fra Nord e Sud nella raccolta differenziata che, se superato, consentirebbe di intercettare, secondo dati  forniti da Comieco, il Consorzio per il riciclo di carta e cartone, almeno 800.000 tonnellate di carta e cartone.

Le risorse del Recovery Fund in questa prospettiva potrebbero risultare preziose. È poi necessario mantenere viva l’attenzione e la sensibilizzazione dei cittadini ed in questo senso è in questo giorni in corso una sfida in diretta streaming fra i comuni italiani per mettersi alla prova sul tema del riciclo  di carta e cartone e competere tra loro per dimostrare chi sia il riciclatore più preparato sulle regole che garantiscono la qualità della raccolta differenziata di carta e cartone e che al contempo riflette la necessità di trovare sempre soluzioni diverse ed al passo con i tempi per sensibilizzare su  un tema fondamentale, quello dell’educazione ambientale. La sfida si svolge quasi come un video gioco, uno strumento che il grande pubblico ha dimostrato di apprezzare molto con una crescita del suo utilizzo di oltre il 20%in un anno.

Energia per l’Italia sul PNRR (parte seconda)

ENERGIAPERLITALIA,coordinatore Vincenzo Balzani

Ospitiamo volentieri i commenti del gruppo Energia per l’Italia coordinato da Vincenzo Balzani

sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR); il testo è pubblicato in due parti.

Esso è comunque recuperabile integralmente da energiaperlitalia,

la prima parte di questo post è stata pubblicata qui

4. Economia Circolare

Molto contenuto appare la quota di finanziamento destinata all’Economia Circolare (4,5 miliardi di euro)

Occorre realizzare una rete impiantistica tale da rendere autosufficiente ogni regione e provincia italiana per il riciclo dei rifiuti e il riuso dei prodotti dismessi in Centri di preparazione per il riutilizzo.

Occorre promuovere iniziative di ricerca e sviluppo per nuove tecnologie e processi industriali per il riciclo dei rifiuti Elettrici ed Elettronici, in un’ottica di Urban Mining per il recupero e riciclo di materie prime seconde preziose e critiche.

Occorre promuovere iniziative di ricerca e sviluppo per nuove tecnologie e processi per la riduzione della produzione di plastiche e di rifiuti di plastica e massimizzarne il riciclo attraverso un’implementazione dell’efficienza soprattutto a livello industriale.

Occorre finanziare impianti di smaltimento rifiuti adeguati in Campania per uscire dalle procedure di infrazione che costano alla comunità centinaia di migliaia di euro al mese.

E’ anche necessario velocizzare le pratiche amministrative nei vari ministeri per le Valutazioni di Impatto ambientale e per le VAS

Istruzione e Ricerca (Missione 4)

Una conoscenza diffusa del metodo scientifico e dei suoi sviluppi contemporanei è necessaria: aiuta a comprendere che i problemi cui ci troviamo di fronte in tanti campi diversi non sono semplici. Occorre colmare questa lacuna, perché oggi viviamo “immersi” in sistemi complessi, con cui dobbiamo interagire in maniera corretta per trovare delle soluzioni efficaci ed eque (come economia globalizzata, diffusione delle pandemie, sistema climatico, web, ecc.)

E’ oggi indispensabile e urgente porre in atto un grande piano di formazione e informazione, principalmente nella scuola, ma anche con interventi extrascolastici di formazione permanente, che permetta di raggiungere un’alfabetizzazione estesa e un avvicinamento ai metodi e ai risultati della scienza da parte dei giovani e di strati i più ampi possibili della cittadinanza.

Questo consentirà un più diffuso apprezzamento della scienza, dei risultati raggiunti e delle incertezze che permangono, e si potranno riconoscere e isolare con più facilità le fake news che sempre più spesso compaiono nei mezzi di informazione.

Insegnamento e corretta comunicazione della scienza sono una priorità del Paese, così come la ricerca e la ricerca scientifica in particolare. In questo senso, come indicato da studi di autorevoli economisti, gli investimenti in ricerca risultano un efficace moltiplicatore di sviluppo. Ma qui, purtroppo, scontiamo gravi carenze: basti pensare che l’Italia investe in ricerca solo 150 Euro annui per ogni cittadino, contro i 250 e i 400 di Francia e Germania, rispettivamente, e che i nostri ricercatori sono solo 75.000 contro i 110.000 della Francia e 160.000 della Germania.

In questa situazione, riteniamo fondamentale investire in istruzione e ricerca, sfruttando anche il PNRR, per raggiungere i futuri obiettivi europei di spesa in questi settori, o almeno per allinearci con la percentuale di PIL dedicata attualmente a questo scopo dai Paesi che maggiormente puntano su un’economia della conoscenza.

Salute (Missione 6)

Assolutamente prioritario è il diritto alla salute pubblica, inteso come pieno benessere e non soltanto come assenza di malattia. E’ necessario il rafforzamento della medicina territoriale e della copertura sanitaria di qualità per tutti.

E’ anche necessaria un’azione capillare di diffusione, con ogni mezzo d’informazione, della cultura e della pratica della evitabilità di molte malattie mediante la conservazione e la difesa dell’ambiente e delle sicurezze logistiche quotidiane, la modalità e la qualità del produrre e consumare, l’adozione di opportuni stili di vita, la scolarizzazione e il contrasto alle diseguaglianze sociali.

Inoltre è importante promuovere la prevenzione primaria (evitabilità delle malattie connesse all’organizzazione sociale, ai sistemi produttivi e di consumo) e quella secondaria (diagnosi precoce) presso la pubblica opinione, le Istituzioni, le sedi della Politica, delle autorità scientifiche, accademiche e scolastiche.

Commento su tre importanti problemi fra loro collegati

1.  CCS (Carbon Capture and Storage)

Come è noto, la CO2, gas generato dalla combustione dei combustibili fossili, immessa nell’atmosfera contribuisce ad aumentare l’effetto serra e il conseguente cambiamento climatico. Secondo gli scienziati dell’IPCC, per frenare il cambiamento climatico, definito dalla conferenza di Parigi del 2015 “il pericolo più grave per l’umanità”, è necessario azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050. Questo è quanto prevede l’Accordo di Parigi, al quale hanno aderito praticamente tutte le nazioni del mondo, compresi gli Stati Uniti che poi, con Trump presidente, sono usciti dall’accordo e con Biden vi sono rientrati. Poiché in questi ultimi sei anni le emissioni di CO2 sono aumentate, secondo gli scienziati bisogna agire più rapidamente di quanto fosse stato previsto e azzerare le emissioni entro il 2035.

La strada maestra per raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni di CO2 è una graduale transizione dall’uso dei combustibili fossili a quello delle energie rinnovabili (Sole, vento e acqua), che non producono né CO2 né sostanze inquinanti.

Le compagnie petrolifere invece, prima fra tutte ENI, stanno intensificando le estrazioni di combustibili fossili in tutto il mondo e, con il loro grande potere, agiscono a tutti i livelli e con ogni mezzo per evitare che i combustibili fossili vengano messi al bando. Secondo le compagnie petrolifere, infatti, si può continuare ad usare i combustibili fossili, anche ben oltre il 2050, evitando che la CO2 prodotta sia immessa in atmosfera. Questa operazione, indicata con la sigla CCS (Carbon Capture and Sequestration), implica la cattura dell’anidride carbonica dai fumi emessi da impianti industriali, la sua separazione da altri gas, il suo trasporto con gasdotti in un impianto di raccolta e infine il suo deposito in giacimenti di idrocarburi ormai esauriti, dove dovrà rimanere “per sempre”. Nelle intenzioni di Eni, quello di Ravenna sarà il più grande impianto del genere in Europa e un “hub” per il sud Europa e il Mediterraneo.

La strategia basata sul CCS per controllare il cambiamento climatico a nostro parere è irrazionale e impraticabile, come si evince dalle numerose, grandi criticità che si possono riassumere nei seguenti 12 punti:

1)- Produrre CO2 per poi catturarla e immagazzinarla è un procedimento contrario ad ogni logica scientifica ed economica; è molto più semplice ed economico usare, al posto dei combustibili fossili, le energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico) che non producono né CO2, né inquinamento.  

2)- Il CCS è una tecnologia sperimentale ancora in fase di ricerca; studi sugli impianti CCS sono stati finanziati con fondi europei dal 2009 al 2017, ma non hanno portato ad alcun risultato utile (1).

3)- E’ possibile applicare il CCS solo ai grandi impianti emettitori di CO2, come le centrali termo-elettriche. Non è possibile usarlo per catturare le emissioni di mezzi di trasporto, abitazioni e piccole industrie.

4)- La tecnologia CCS è molto dispendiosa perché per catturare CO2 c’è bisogno di energia. Ad esempio, per applicare questa tecnologia a una centrale termoelettrica a carbone è necessario affiancare alla centrale un’unità dedicata, alimentata a gas. Cioè, si brucia gas fossile (senza compensare le relative emissioni) per alimentare l’impianto CCS che poi cattura solo una piccola parte della CO2 emessa dalla centrale. Oltre al costo dell’impianto dedicato, si deve anche considerare che la cattura di CO2 all’interno della centrale riduce le sue prestazioni del 10%-20%.

5)- Un impianto CCS in Norvegia viene utilizzato dalla compagnia petrolifera Equinor per rivitalizzare parzialmente, con l’immissione di CO2, giacimenti petroliferi quasi esauriti (Enhanced Oil Recovery, EOR). Questo, che attualmente è l’unico uso che si può fare della CO2 catturata, potrebbe essere lo scopo nascosto della costruzione di un impianto CCS di Eni a Ravenna. L’Enhanced Oil Recovery, che taluni considerano come un esempio di economia circolare, è semplicemente un artificio per continuate ad estrarre e quindi usare  i combustibili fossili.

 6)- L’unico impianto CCS americano, utilizzato per sequestrare una parte della CO2 emessa dalla centrale a carbone di Petra Nova in Texas, è stato chiuso da pochi mesi a tempo indeterminato perché ritenuto non più sostenibile dal punto di vista economico dal gestore dell’impianto, NRG Energy (2,3). Anche in questo caso la CO2 catturata era trasportata via tubo in giacimenti petroliferi per potenziare l’estrazione (EOR). La performance dell’impianto di Petra Nova era considerato un test per capire se la tecnologia CCS può veramente essere utile nella battaglia contro il cambiamento climatico.  La risposta è chiare: il CCS è economicamente insostenibile.

7)- La cattura della CO2 non elimina l’inquinamento causato da combustibili fossili, che ogni anno causa in Italia 80.000 morti premature; il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili risolverebbe anche questo problema.

8)- La letteratura scientifica è scettica sulla possibilità che si possa immagazzinare permanentemente CO2. La sua fuoriuscita vanificherebbe l’opera intrapresa per combattere il cambiamento climatico; una fuoriuscita improvvisa potrebbe creare danni gravi alla popolazione (soffocamento: CO2, gas pesante, non si allontana dalla superficie della Terra)

9)- Lo stoccaggio di CO2, come hanno dimostrato analoghe attività in altre aree, potrebbe provocare un progressivo incremento della sismicità; cosa molto pericolosa nel territorio ravennate, che già presenta un rischio sismico medio-alto ed è soggetto a significativi fenomeni di subsidenza.

10)– Sviluppare il CCS significa investire miliardi di euro pubblici che sarebbe invece necessario e urgente utilizzare per sviluppare l’uso di energie rinnovabili pienamente collaudate come fotovoltaico ed eolico. A questo proposito è bene notare che Il costo di un kW di fotovoltaico è diminuito di oltre 20 volte negli ultimi 20 anni e che attualmente, con l’eolico, il fotovoltaico è la tecnologia meno costosa per produrre energia elettrica. L’efficienza di conversione della luce in elettricità di un pannello fotovoltaico supera ormai il 20%. Se la paragoniamo alla efficienza della fotosintesi naturale, che è mediamente inferiore all’1%, possiamo capire come il fotovoltaico sia tra le invenzioni più dirompenti del XX secolo.

11)- Il CCS non è stato ancora sviluppato su una scala macroscopica corrispondente alla necessità di evitare l’immissione di significative quantità di CO2 in atmosfera (4).

12)- Una analisi comparativa dimostra inequivocabilmente che l’elettricità prodotta dalle energie rinnovabili ha un ritorno energetico superiore a quello della elettricità da centrali termoelettriche dotate di CCS (5).

Si conclude quindi che il CCS è un disperato tentativo delle compagnie petrolifere per tenere in vita processi produttivi e di approvvigionamento energetico basato sui combustibili fossili. In ogni caso, non è opportuno investire ingenti risorse pubbliche nella realizzazione di un sistema di cattura e stoccaggio di CO2 perché i risultati promessi non sono affatto garantiti, né dal punto di vista della sicurezza, né dal punto di vista climatico.

Le risorse disponibili debbono essere usate per lo sviluppo delle energie rinnovabili, particolarmente fotovoltaico ed eolico, nonché per gli impianti di accumulo di energia elettrica, per l’efficienza energetica degli edifici e delle attività produttive e commerciali; tutti questi settori garantiscono anche una più un’alta intensità di posti di lavoro rispetto al settore dei combustibili fossili.

(1) Corte dei conti Europea, N. 24, 2018, Relazione speciale: … I progressi attesi non sono stati realizzati …

(2) QualEnergia, 5 febbraio 2021: La cattura della CO2 fa un buco nell’acqua negli Usa: il caso di Petra Nova

(3)  Reuters, August 7, 2020: Problems plagued U.S. CO2 capture project before shutdown: document

(4) Energy Environ. Sci, 1062, 11, 2018: Carbon capture and storage (CCS)

(5) Nature Energy, 456, 4, 2019: Comparative net energy analysis of renewable electricity and carbon capture and storage

2. CCS e idrogeno

Quando la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sarà molto abbondante, diventerà conveniente utilizzarla, in parte, per produrre idrogeno (H2) mediante elettrolisi dell’acqua. L’idrogeno è un gas che può essere usato come combustibile (contenuto energetico molto superiore a quello del metano), oppure può essere riconvertito in energia elettrica mediante pile a combustibile (fuel cells). In entrambi i casi produce solo acqua: niente CO2, nessuna sostanza inquinante. L’idrogeno è un gas incolore. Quello prodotto mediante energia elettrica rinnovabile mediante l’elettrolisi dell’acqua è idrogeno purissimo e viene chiamato significativamente idrogeno verde. La produzione e l’utilizzo di idrogeno verde richiedono vari processi di conversione, che implicano un’efficienza sostanzialmente inferiore rispetto all’utilizzo diretto dell’elettricità. L’idrogeno è quindi una risorsa costosa e preziosa che deve essere utilizzata solo in alcuni settori specifici come il trasporto pesante (es., navi e aerei) e l’industria pesante (es., acciaierie). Il primo passo verso la produzione e l’uso di l’idrogeno verde è l’aumento della potenza elettrica rinnovabile per possederne surplus da immagazzinare sotto forma di idrogeno.

Attualmente l’idrogeno viene usato principalmente per la sintesi dell’ammoniaca (fertilizzanti) o per la raffinazione del petrolio e viene quasi tutto prodotto a partire da metano, petrolio o carbone mediante processi che comportano l’emissione di ingenti quantità di CO2 in atmosfera. Questo idrogeno viene chiamato idrogeno grigio; non è puro, ma oggi costa circa tre volte meno dell’idrogeno verde. Utilizzando impianti basati sull’uso di combustibili fossili abbinati a CCS, la CO2 generata potrebbe venire catturata e intrappolata: questo idrogeno, che non è ancora stato prodotto, viene chiamato idrogeno blu.

Le aziende del petrolio e del gas, in Italia ENI e SNAM, puntano sull’idrogeno blu per poter continuare a estrarre e usare metano. Il principale obiettivo del progetto CCS ENI a Ravenna è proprio diffondere l’idea che si possa produrre idrogeno blu. Ma abbiamo visto che la tecnologia CCS non è economicamente sostenibile e neppure tecnicamente provata, dopo 20 anni di prove. In ogni caso, ENI e le altre compagnie petrolifere cercano di rientrare in gioco per ottenere finanziamenti dal Next Generation EU spacciando per verde la tecnologia CCS perché, in teoria, cattura e sequestra CO2. Accade così che nell’Unione Europea la lobby delle aziende dei fossili, registrata col nome di Hydrogen Europe, preme perché l’idrogeno blu sia incluso nei piani di finanziamento per la transizione energetica. La Re:Common, un’associazione che fa inchieste e campagne contro la corruzione, ha notato con preoccupazione che in effetti “la strategia europea sull’idrogeno varata dalla Commissione Europea nel luglio 2020 è molto vicina alle richieste della lobby”. RE:Common definisce il CCS un inganno che serve all’ENI per dare un parvenza di transizione; è cioè una operazione di green washing, quando in realtà l’azienda continua a puntare su giacimenti di metano e petrolio.

3. Idrogeno e fusione nucleare

Il 16 marzo scorso, nell’illustrare il programma del Ministero della Transizione Ecologica, il ministro Cingolani ha fatto alcune dichiarazioni molto discutibili. Ha citato il nucleare da fusione, che dagli anni Settanta del secolo scorso ci viene ripetutamente promesso come fattibile “entro 30 anni” per risolvere la crisi energetico climatica. In effetti, anche oggi gli esperti ci dicono che la fusione nucleare, nella migliore delle ipotesi, non potrà dare alcun contributo concreto alla produzione di energia elettrica per usi civili prima del 2060, mentre sappiamo che dobbiamo mettere sotto controllo il cambiamento climatico entro i prossimi 15-20 anni.

Il ministro Cingolani è, inspiegabilmente, molto più ottimista: “Io spero che se avremo lavorato bene, fra dieci anni i nostri successori parleranno di come abbassare il prezzo dell’idrogeno verde e di come investire sulla fusione nucleare. Questa è la transizione che ho in testa … L’universo funziona con la fusione nucleare. Quella è la rinnovabile delle rinnovabili. Noi oggi abbiamo il dovere nel PNRR di potenziare il ruolo dell’Italia nei progetti internazionali ITER e MIT sulla fusione. Quello è un treno che non possiamo perdere”. L’idrogeno prodotto per elettrolisi dell’acqua utilizzando energia elettrica proveniente dal nucleare viene chiamato idrogeno viola ed è puro come l’idrogeno verde.

Cingolani ha anche affermato che “Fra dieci anni avremo l’idrogeno verde e le automobili che andranno a celle a combustibile”. Forse ignora che il consumo totale di energia di un’auto a idrogeno è oltre il triplo di quella di un’auto elettrica a causa delle perdite associate alla produzione di idrogeno da rinnovabili, al suo trasporto e stoccaggio e alla ri-conversione dell’idrogeno in elettricità con le celle a combustibile. Quindi, la competizione delle auto a idrogeno con le auto elettriche è persa in partenza per un fattore tre a vantaggio dell’elettrico.

Cingolani ha anche detto “Abbiamo un decennio per rendere la nostra società competitiva sull’idrogeno verde. Al momento non abbiamo gli impianti, non sappiamo come stoccare e come utilizzare l’idrogeno. Ma questa è solo la realtà odierna. Dobbiamo cominciare a lanciare i nostri programmi, dobbiamo creare quel sistema che intorno a quel vettore energetico ci consenta di operare al meglio”. E in più occasioni ha anche parlato di idrogeno blu, il progetto proposto da ENI con impianti CCS. Questo progetto in un primo tempo era stato inserito nel Recovery Plan; scartato nella seconda versione, potrebbe riapparire in quella finale. Insomma, non vorremmo che l’uso dell’idrogeno blu fosse considerato un ponte necessario per passare poi all’idrogeno verde, così come ENI sostiene da anni che l’uso del metano è un ponte necessario per poi passare alle rinnovabili, giudicate non ancora mature.

Infatti, parlando della transizione energetica, Cingolani ha parlato anche, implicitamente, del ruolo del metano: «Sappiamo quale strada dobbiamo fare, dobbiamo partire da A e arrivare a B, più difficile è dire con quale pendenza raggiungere la meta». Il Piano integrato energia e clima del governo Conte prevedeva molto metano e una curva di crescita delle rinnovabili «schiacciata»: 4,5-5 GW di potenza di rinnovabili installata per il 2025. Come abbiamo visto, questo aumento è assolutamente insufficiente. La potenza installata deve essere di almeno 20 GW al 2026 e 40-50 GW al 2030. Con un capacity factor medio del 20% (fotovoltaico e eolico), 50 GW corrispondono a circa 90 TWh, cioè circa un quarto della domanda attuale, che è il minimo per raggiungere l’obiettivo EU di 2/3 di elettricità rinnovabile al 2030. Si tratta di un obiettivo ciclopico che va affrontato con urgenza, incominciando con l’attuare procedure autorizzative serie, ma molto più snelle per sviluppare eolico e fotovoltaico, tecnologie sulle quali si sa già tutto. L’ultimo impianto eolico entrato in funzione ci ha messo otto anni per essere autorizzato.

Invenzioni anticovid.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Dinnanzi al covid19 che rallenta ma non si ferma si moltiplicano le iniziative di “difesa personale”, non tutte scientificamente supportate, ma tutte legate alla speranza di proteggerci dal virus pandemico.

Cominciamo da uno studio dell’Università di Città del Messico secondo cui la pandemia si sconfigge a tavola con una dieta ricca di omega 3 e 6 presenti in molti alimenti a base di pesce: ne deriverebbe un effetto antiinfiammatorio ed un’accresciuta resistenza alla penetrazione del virus nelle nostre cellule.

Un’altra proposta riguarda una mascherina innovativa dotata di un sensore che trasmette i dati della respirazione al cellulare e di un filtro che rileva l’inquinamento: dai due dati si ricavano informazioni preziose sul nostro stato di salute.

Un cerotto da applicare sotto l’ascella funge da termometro e consente di controllare da remoto la temperatura del corpo: questo sistema è stato messo a punto nell’Università di Tor Vergata.

2 mascherine, una Ffp2 sovrapposta ad una chirurgica, vengono consigliate dal consigliere di Joe Biden, Antony Fauci: la protezione totale risulta aumentata, soprattutto rispetto alle miniparticelle di saliva diffuse dai vicini.

L’Universitá della Corea propone un armadio disinfettante per tenere i nostri vestiti sempre privi di carica virale.

Un italiano, Cosimo Scotucci, ha scoperto una fibra funzionale che ti guida, legata al pavimento, verso percorsi più sanificati.

Infine secondo i risultati dello studio clinico Remap-Cap resi pubblici dal Governo Inglese due farmaci impiegati contro l’artrite reumatoide risulterebbero attivi anche contro il covid19.

Tenuto conto della raccomandazione del Ministero della Salute circa le condizioni di idratazione e adeguata nutrizione dei malati covid19 assume importanza, come osservato in più sedi, l’assunzione di vitamina C, principio attivo di molti agrumi. Da qui il moltiplicarsi di studi sugli agrumi. In particolare l’attenzione dei ricercatori è concentrata sulla composizione in flavonoidi considerati preziosi componenti alimentari con possibile attività antivirale, modulatori del sistema immunitario e sentinelle dell’organismo rispetto allo stress ossidativo associato all’infezione.

Particolarmente presente negli agrumi l’esperidina è stata studiata per i suoi effetti benefici nel regolare il metabolismo e la pressione del sangue,nell’accrescere le capacità antiox dell’organismo. Con riferimento specifico al covid 19 sono emerse dagli studi due proprietà, la capacità dell’esperidina a legarsi alla proteina Spike del coronavirus impedendo il legame al recettore e quindi la penetrazione del virus nella cellula e la sua capacitá di inibire l’enzima proteolitico necessario alla replicazione del virus.

Esperidina

Oltre all’esperidina un altro flavonoide che può risultare utile nella lotta al covid 19 è la quercetina, antiossidante ed antiinfiammatorio, contenuto nei capperi, cicoria, piselli e cipolle.Questi composti giovano all’organismo in quanto favoriscono il metabolismo dei carboidrati e dei lipidi migliorando le condizioni di salute ed evitando copatologie che possono aggravare quella dovuta al virus.

Quercetina

Ricerche sono ancora in atto in tutto il mondo e la speranza è quella di acquisire nuove e più profonde conoscenze in materia.

Energia per l’Italia sul PNRR (parte prima)

ENERGIAPERLITALIA, coordinatore Vincenzo Balzani

Ospitiamo volentieri i commenti del gruppo Energia per l’Italia coordinato da Vincenzo Balzani

sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR); il testo sarà pubblicato in due parti.

Esso è comunque recuperabile integralmente da energiaperlitalia,

Bologna, 4 aprile 2021

Hanno contribuito alla stesura di questo documento: Nicola Armaroli, Vincenzo Balzani, Alessandra Bonoli, Sergio Castellari, Marco Cervino, Vittorio Marletto, Leonardo Setti

Riassunto

Il gruppo Energia per l’Italia (http://www.energiaperlitalia.it/) ha esaminato e commentato alcuni aspetti del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), con particolare attenzione ai provvedimenti centrali per una reale transizione energetica e alle azioni efficaci di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

 A nostro parere il Piano non affronta adeguatamente gli obiettivi europei in materia di clima ed energia. Infatti, considerando le proposte di investimenti in nuove azioni in campo climatico (inclusa l’energia), non raggiunge la quota prescritta del 37% del totale dei fondi.

Notiamo che nel Piano manca una exit strategy dai combustibili fossili al 2050, cioè manca uno schema con cui agire concretamente per il passaggio all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili quale sole vento e acqua per applicazioni nell’industria, nell’agricoltura, nella climatizzazione degli edifici e ancor più nella mobilità pubblica e privata di persone e merci.

L’aumento di energia rinnovabile proposto nel PNRR (4,5-5 GW) è assolutamente insufficiente. La nuova potenza installata deve essere aumentata di un fattore 5x al 2026 (20-25 GW) e 10x al 2030 (40-50 GW). Con un capacity factor medio del 20% (FV + eolico) 50 GW corrispondono infatti a circa 90 TWh, cioè un quarto della domanda elettrica attuale.

Anche per raggiungere l’obiettivo europeo di -55% emissioni di CO2 al 2030 rispetto al 1990 è necessario nei prossimi 10 anni uno sforzo molte volte superiore rispetto a quello degli ultimi 30 anni, dato che dovremo ridurre le emissioni di almeno 160 milioni di tonnellate di CO2 eq rispetto alle attuali 390 nette.

Per questo è necessario da una parte semplificare ed accelerare molto le procedure di autorizzazione di impianti eolici in mare e in terra e di impianti fv a terra, su aree dismesse o da bonificare, dall’altra sostenere l’autoproduzione di fotovoltaico sui tetti con bonus di almeno il 65% in fattura.

Inutili o dannose invece le proposte PNRR di riportare in Italia la produzione di moduli FV, saldamente in mano alla Cina, o peggio di sostenere il carico di base della rete elettrica con il gas, quando invece la tendenza nel resto dell’occidente è di sfruttare al massimo i pompaggi idrici (oggi largamente inutilizzati) e puntare con decisione all’accumulo in grandi batterie, potenziando la filiera elettrochimica (meccatronica di precisione) in cui l’Italia vanta punte di eccellenza. Vanno abbattuti i costi di realizzazione dei punti di ricarica diffusa dei mezzi elettrici nonché le relative tariffe, mentre l’idrogeno va riservato in via esclusiva a settori specifici come il volo la navigazione e la siderurgia, dato che ogni altra applicazione delineata nel PNRR rasenta la follia energetica (usare 100 W per produrne 10).

Anche il tema cruciale dell’adattamento ai cambiamenti climatici è trattato in modo insufficiente nel Piano, mancando fondi adeguati per le aree urbane, una governance multilivello del tema resilienza che sia partecipata e integrata nell’esistente (es. settore risorse idriche), nonché uno schema di monitoraggio e valutazione delle misure attuate.

Sul tema dell’economia circolare sono scarsi i fondi previsti per gli impianti necessari a rendere autosufficiente ogni regione e provincia italiana per il recupero e riciclo di materie prime seconde. Anche qui le procedure di autorizzazione risultano troppo complesse e lente.

Essenziale puntare su istruzione e ricerca sia per infondere un’adeguata cultura della transizione energetica nella popolazione a partire dai giovani sia per colmare il grande divario che ci separa dagli altri paesi europei (l’Italia investe in ricerca solo 150 Euro annui per ogni cittadino, contro i 250 e i 400 di Francia e Germania, e ha solo 75.000 ricercatori contro i 110.000 della Francia e 160.000 della Germania).

Il gruppo disapprova fermamente l’approccio CCS (Cattura del Carbonio e Stoccaggio) sostenuto nel PNRR, elencando ben 12 ragioni di critica dello stesso tra le quali spicca l’indimostrata applicabilità del metodo alla scala necessaria e la sua efficacia reale, con il rischio di gravi ripercussioni sul territorio. Per gli stessi motivi disapprova sia l’idea di sfruttare il CCS per produrre dal metano il cosiddetto idrogeno blu, sia l’idea ministeriale di considerare imminente l’arrivo di energia illimitata da fusione nucleare, che contrasta con la storia ormai cinquantennale del settore. I fondi attualmente erogati alle fonti fossili vanno invece dirottati su tecnologie perfettamente consolidate come le rinnovabili (sole, vento e acqua) che in pochi mesi dal progetto, se autorizzate, possono produrre l’energia elettrica pulita indispensabile per raggiungere gli obiettivi europei al 2030 e la neutralità climatica al 2050.

Osservazioni su punti specifici del documento

Rivoluzione verde e transizione ecologica (Missione 2)

La transizione ecologica deve basarsi sul concetto di ecologia integrale, ben espresso nel capitolo 4 dell’enciclica “Laudato si’” di papa Francesco: ecologia ambientale, economica, sociale e culturale, per il bene comune e la giustizia tra le generazioni.

Siamo di fronte a un impegno senza precedenti, che appare quasi insormontabile, soprattutto in termini di urgenza. Ma occorre accogliere la sfida e avviare da subito la transizione necessaria.

A nostro parere l’ultima versione del PNRR non affronta in maniera adeguata gli obiettivi in materia di clima e energia delineati nel Quadro 2030 per il clima e l’energia e nel Green Deal Europeo e non considera pienamente i capisaldi delineati nella Guidance Europea (Commission Staff Working Document – Guidance to MS Recovery and Resilience Plans, 17.9.2020). Infatti, considerando le proposte di investimenti in nuove azioni in campo climatico (includendo l’energia), non si raggiunge la quota (come prescritta nelle Guidance Europee) del 37% del totale dei fondi.

Nel PNRR questi fondi sono pianificati principalmente per i seguenti obiettivi: contrasto del dissesto idrogeologico; gestione sostenibile della risorsa idrica; attuazione di un programma di riforestazione; miglioramento della qualità delle acque interne e marine. Sono invece scarsi i fondi assegnati per l’adattamento climatico.

1. Transizione energetica e sviluppo delle rinnovabili

Premessa

La transizione energetica dai fossili alle energie rinnovabili implica il passaggio dai combustibili alla elettricità come energia di uso comune. Produrremo quantità sempre maggiori di energia elettrica con fonti rinnovabili (Sole, vento, acqua). Dovremo estendere l’uso dell’energia elettrica nell’industria, nell’agricoltura, nella climatizzazione degli edifici e ancor più nella mobilità, perché i motori elettrici sono da 3 a 4 volte più efficienti dei motori termici. Dovremo sviluppare prevalentemente trasporti pubblici alimentati dall’elettricità, e quindi usare meno aerei, più treni, tram e autobus elettrici e costruire meno autostrade e più ferrovie. Dovremo smettere di fornire sussidi alle fabbriche di auto, soprattutto se di lusso, con motori a combustione e trasferire alle energie rinnovabili i sussidi di cui ancora oggi godono i combustibili fossili.

Purtroppo, notiamo che nel Piano manca una exit strategy dai combustibili fossili al 2050, cioè manca uno schema con cui agire concretamente.

Fotovoltaico ed eolico oggi sono le due tecnologie che forniscono energia elettrica ai costi più bassi, anche tenendo conto dell’integrazione con sistemi di accumulo. Nel mercato mondiale della nuova potenza elettrica installata hanno raggiunto una quota di circa il 70%, superando nettamente le tecnologie tradizionali basate su carbone, gas e nucleare. Il fotovoltaico converte la luce del Sole in energia elettrica con un’efficienza di circa il 20%, quasi cento volte maggiore dell’efficienza con cui la fotosintesi naturale converte la luce solare in energia chimica.

Sviluppo delle energie rinnovabili

Secondo il PNRR “Gli obiettivi fissati al 2026 sono rappresentati da un aumento di 4,5-5 GW della capacità di rinnovabili installata, al fine di supportare l’obiettivo del PNIEC per il 2025. In combinazione con gli impianti eolici, saranno progettati e installati impianti fotovoltaici galleggianti da 100 MW in un’area ad alto irraggiamento, aumentando così la produzione totale di energia.”

Questo aumento è assolutamente insufficiente. La potenza installata deve essere almeno 5x al 2026 (20-20 GW) e 10x al 2030 (40-50 GW). Con un capacity factor medio del 20% (FV + eolico) 50 GW corrispondono a circa 90 TWh, cioè un quarto della domanda attuale. Questo è il minimo necessario per raggiungere nel 2030 l’obiettivo UE di 2/3 di elettricità rinnovabile sul totale. Bisogna fare, dunque, uno sforzo ciclopico per non rimanere indietro. Il potenziale di eolico in Italia è di 16 GW, 9 dei quali già realizzati per cui ora dobbiamo andare a coprire aree complesse e a bassa accettabilità sociale. Quindi, bisogna sviluppare soprattutto il fotovoltaico. Gli impianti galleggianti per 100 MW previsti dal Piano sono ben poca cosa.

Anche considerando l’obiettivo fissato dall’Unione Europea di abbattere le emissioni del 55% al 2030 si capisce che è necessario un grande sforzo. E’ necessario nei prossimi 10 anni correre 9 volte più veloci di quanto fatto negli ultimi 30 anni nell’abbattimento dei gas climalteranti.

Pertanto bisogna semplificare le procedure per l’approvazione dei progetti di risorse rinnovabili e promuovere e finanziare adeguatamente impianti eolici e fotovoltaici offshore e a terra in aree dismesse o da bonificare (come le ex discariche chiuse e altre aree da riqualificare).

E’ anche necessario promuovere l’autoproduzione domestica e industriale per realizzare una rete capillare di piccoli impianti con benefici per i territori e per le famiglie attraverso la diffusione delle comunità energetiche

Se si considerasse un bonus del 65% sul fotovoltaico domestico, scontato in fattura, non sarebbe difficile rilanciare le installazioni su milioni di tetti, con grande risparmio in bolletta per le famiglie.

Altre osservazioni

–  Il Piano prevede di rilanciare la produzione di moduli fotovoltaici in Italia, una iniziativa inutile poiché il mercato di moduli fotovoltaici è saldamente in mano alla Cina. Questo non significa che tutta la complessa filiera produttiva del FV sia in mano alla Cina, come spesso viene affermato: è una filiera globale e interconnessa, come tutte le grandi filiere industriali (abbiamo visto in questi mesi quanto sia complessa e globale la catena produttiva dei vaccini).

– Nel Piano si parla anche di realizzare sistemi di accumulo termico abbinati a impianti CCGT, cioè turbogas a metano. Questi impianti vengono definiti strategici poiché permettono di avviare le centrali termoelettriche in modo più flessibile, cosa necessaria per sopperire a eventuali buchi di potenza in rete generati dalle rinnovabili. I sistemi di accumulo termico non sono altro, in realtà, che un’altra “invenzione” per mantenere attive le centrali turbogas e chiedere sussidi per garantire la stabilità della rete. A nostro parere il modo più flessibile per gestire questi buchi è quello di usare blocchi di batterie di grande potenza (400 MW), come stanno facendo in California; oppure, tramite pompaggi nelle dighe.

– In tutto il PNRR non c’è neppure un cenno sulla filiera dei sistemi di accumulo in batteria. Tutto il settore elettrochimico è stato trascurato, quando invece potrebbe essere un asse strategico considerato anche che in Italia abbiamo gruppi di ricerca di eccellenza in questo settore. La produzione delle batterie è “meccatronica di precisione” e in questo campo nel nord Italia ci sono eccellenti industrie.

– Sostenere la mobilità elettrica incentivando stazioni di ricarica non è strategico in quanto queste stazioni saranno certamente realizzate anche senza sussidi con l’aumento delle automobili circolanti. Occorre invece incentivare l’allacciamento delle colonnine in modo diffuso. Il 20% del costo di installazione (2500 euro su 14 mila euro, per una colonnina da 22 kW) è dovuto alla richiesta del contatore.

– La strategia sull’idrogeno, di cui si parlerà diffusamente in seguito, deve essere focalizzata soltanto su tre settori: aeronautica, nautica e grandi produzioni industriali. Treni e autoarticolati devono essere alimentati con elettricità implementando la rete di distribuzione per i primi e la rete di ricarica   veloce per i secondi.

– Non è strategico produrre idrogeno verde (con rendimenti non superiori al 30% e l’annesso consumo di acqua) per poi bruciarlo in centrali turbogas in sostituzione del gas metano. Questa è pura “follia” energetica, si avrebbero rendimenti complessivi del solo 10%.

– La produzione di idrogeno è nettamente in contrasto con la “Tutela del territorio e della risorsa idrica” tanto che nel Piano mancano scenari su quello che dovrebbe essere il consumo di suolo legato alla produzione di energia rinnovabile necessaria per produrre l’idrogeno.

2. Mitigazione degli impatti climatici

Il PNRR afferma (pag.13): “La transizione ecologica sarà la base del nuovo modello economico e sociale di sviluppo su scala globale, in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Per avviarla sarà necessario, in primo luogo, ridurre drasticamente le emissioni di gas clima-alteranti in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e del Green Deal europeo”. Per raggiungere questo obiettivo sarà necessaria una revisione del PNIEC

A pag.76 del PNRR si riportano le cifre della questione: emissioni nazionali di riferimento (1990) 516 MtCO2eq.; riduzione necessaria al 2030: -55%. Quindi al 2030 le emissioni non dovranno superare 516×0.45=232 MtCO2eq. Questo significa che in questi 10 anni occorre tagliare le emissioni di circa 160 MtCO2eq.

Sempre a pag.76 si evidenzia la grande occasione di finanziare un cambiamento di passo significativo: “Gli investimenti in cui si concretizzano le quattro componenti della missione Rivoluzione verde e transizione ecologica sono distribuiti su diverse linee progettuali per un ammontare complessivo di risorse pari a 68,9 miliardi di euro.” A tale proposito il PNRR rimanda a “ulteriori analisi pertinenti alla capacità di raggiungere con efficacia ed efficienza gli obiettivi PNIEC”. Tuttavia, non si parla del metodo con cui misurare la capacità di realizzazione dei “cantieri” che saranno finanziati.

Va dunque individuato e applicato un metodo capace di:

a) fare lo screening dei progetti (Rilevante/Non Rilevante ai fini dell’obiettivo di riduzione delle emissioni).

b) quantificare per i progetti Rilevanti il bilancio delle emissioni climalteranti dalla data di inizio di cantiere (i cantieri aumentano le emissioni rispetto a far nulla) fino al 2030.

Come apparato tecnico per l’individuazione del metodo di analisi e l’applicazione del metodo agli interventi indicati nel Piano possiamo suggerire SNPA

A margine, notiamo che il dimensionamento dei parchi agrisolari appare incongruente: “si punterà ad ottenere entro il 2026 una superficie coperta con pannelli fotovoltaici pari a 13.250 mq, tale da produrre 1.300-1.400 GWh a regime.”

3. Adattamento alla crisi climatica

A nostro parere i fondi pianificati per l’adattamento ai cambiamenti climatici (finalizzato ad accrescere la resilienza climatica del territorio, includendo i vari settori socio-economici, le infrastrutture e gli ecosistemi) sono veramente pochi

In particolare, è stata data poca attenzione al grande e trasversale tema del “climate proofing” con riguardo alla resilienza climatica e al tema della “perdita di biodiversità e degrado degli ecosistemi”.

Questo è evidenziato anche dagli scarsi fondi pianificati per la sostenibilità delle aree urbane – un tema molto complesso per il territorio Italiano che deve tener conto di sfide non solo ambientali, climatiche, energetiche, urbanistiche, ma anche di preservazione di importanti e unici beni culturali.

A nostro parere c’è il rischio di una non continuità nelle azioni proposte e finanziate dai Recovery fund dopo il 2026, in particolare proprio in merito alle tematiche di lotta ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità.

Questo rischio potrà essere amplificato dalla mancanza di una definizione nel PNRR di una governance unica finalizzata alla pianificazione e coordinazione dei progetti.

Questa governance dovrebbe:

a) integrarsi nelle strutture settoriali già esistenti (e.g., gestione risorse idriche);

b) applicare le varie modalità più efficienti di processi partecipativi;

c) fare buon uso di uno schema di monitoraggio/valutazione dell’efficacia nella attuazione delle nuove misure mediante consistenti ed efficaci indicatori.

Occorre infine finanziare tecnologie verdi per la resilienza urbana come strumenti indispensabili all’adattamento delle nostre città ai cambiamenti climatici, come viene fatto per tante città europee.

(continua)

Repliche di primavera.

Mauro Icardi

E’ una triste tradizione quella  cui stiamo assistendo. Vale a dire che ogni inizio anno, con una impressionante regolarità, che è scandita quasi cronometricamente, e purtroppo nell’indifferenza quasi totale si leggono titoli di giornali o agenzie di stampa di questo tenore.

https://www.ansa.it/lombardia/notizie/2021/03/29/ambiente-grande-siccita-po-e-sceso-fino-a-45-portata_e673bfec-e115-4a57-9df3-c757e56abb33.html

Leggendo questa nota di agenzia, quello che maggiormente mi lascia dubbioso è la speranza nell’arrivo di precipitazioni, e l’ennesimo richiamo a interventi concreti che troppo spesso rimangono lettera morta.

 Dato che si parla di pioggia, e che tra le dotazioni dell’impianto dove opero figura un pluviometro dal quale posso acquisire dati, condivido il grafico delle precipitazioni da inizio anno.

L’ultima precipitazione piovosa di una certa importanza risale alla data del sette Febbraio, quando abbiamo rilevato 43 mm di pioggia caduta. Il giorno dieci dello stesso sono stati rilevati 12 mm.  Nel mese di Marzo in totale 7 mm  dovuti  principalmente a nevischio e che nel bilancio totale e nella valutazione degli effetti sono praticamente insignificanti.

Per amore di precisione ho confrontato i dati del pluviometro aziendale, con quelli del bollettino del Centro Geofisico Prealpino di Varese, e con mia grande soddisfazione li ho trovati congruenti.

 Sono quasi due mesi che non piove in maniera importante: basti pensare che in questo intervallo di tempo si sono misurate precipitazioni che sono pari al 15% di quelle che cadono in media in questo periodo dell’anno nella zona compresa tra Varese, Como e il Canton Ticino. Con qualche mese di anticipo, si rischia di dover ricorrere all’irrigazione per salvare le colture, soprattutto quelle orticole. Le maggiori preoccupazioni riguardano gli ortaggi seminati nelle ultime settimane. Molti agricoltori aspettano prima di montare l’impianto di irrigazione, dunque ci si ritrova a ‘rincorrere’ la siccità.

 A questa situazione si aggiunge il problema dello scioglimento dei ghiacciai. Questo fenomeno provoca l’accresciuto rischio di disastri naturali quali inondazioni, colate detritiche e frane. I laghi che si formano all’interno di un ghiacciaio rischiano di riversarsi improvvisamente a valle, spazzando via villaggi e infrastrutture. E con l’assottigliarsi del ghiaccio e dello strato di permafrost, le montagne diventano più instabili. Regolarmente, le immagini del cedimento dei versanti alpini fanno il giro del mondo.

Tutto questo ci pone di fronte alla necessità di una gestione diversa della risorsa idrica, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle precipitazioni nevose in quota. Che molto spesso non sono più a carattere nevoso, ma di pioggia, spesse volte concentrata in tempi ristretti (qualche ora) con precipitazioni molto abbondanti.

A valle di tutte queste situazioni, gli impianti di trattamento acque, particolarmente quelli di depurazione sono sottoposti a fenomeni di repentine variazioni di portata, con la possibilità di evidenti fenomeni di wash out (trascinamento veloce e violento di solidi nelle zone terminali di trattamento).

Ormai la maggior parte delle aziende di gestione del ciclo idrico sta predisponendo i “Water safety plan”, e quindi analizza i fattori di rischio in ogni singola fase del trattamento del ciclo idrico. E questa è una garanzia di controllo ed attenzione. Ma occorre un altro passo avanti. Cioè quello di inserire questo tipo di attività, all’interno di una visione più ampia. Cioè la consapevolezza dell’importanza dei beni comuni, e conseguentemente la loro protezione e valorizzazione. Partendo proprio dall’acqua che è forse quello più conosciuto.

Io sono un tecnico di laboratorio del ciclo idrico. E inseguo ancora un progetto personale di sensibilizzazione e educazione idrica. Che non è completo se non si allarga anche alla comprensione di problemi tra loro collegati, per esempio di come il riscaldamento globale stia incidendo in maniera decisamente significativa sulla gestione della risorsa idrica. Ritengo che cittadini e utenti correttamente informati,  possano essere  meno influenzati a rifugiarsi in atteggiamenti irrazionali di negazione e superficialità.

Un complesso del calcio si lega all’azoto

Rinaldo Cervellati

Questa sorprendente notizia è stata riportata da Bethany Halford sul volume 99, numero 9 dell’11 marzo scorso di C&EN news.

Il calcio è uno di quegli elementi che i chimici pensano di conoscere bene. Nella sua forma più comune, lo ione calcio (II), costruisce le ossa. È anche uno degli elementi più abbondanti nella crosta terrestre come calcare (carbonato di calcio CaCO3). Il calcio metallico è molto reattivo cedendo i due elettroni del guscio di valenza 4s. Ma il calcio, a quanto pare, può ancora sorprendere. Infatti, un gruppo di chimici in Germania ha scoperto che un complesso del raro calcio(I) può reagire con il diazoto, una molecola che è tipicamente considerata inerte e richiede catalizzatori di metalli di transizione insieme ad alte temperature o pressioni per reagire. Sjoerd Harder, un chimico inorganico dell’Università Friedrich Alexander (Erlangen-Norimberga), insieme al suo gruppo comprendente due dottorandi (Bastian Rösch e Thomas Gentner), ha sintetizzato un complesso di calcio (I) utilizzando un ingombrante ligando β-dichetiminato per stabilizzare lo ione (LCa-CaL, L = ligando bidentato).

Friedrich-Alexander-Universität Erlangen Nürnberg Department Chemie Professoren Habilitanten

Sjoerd Harder

 Essi hanno incontrato molti problemi: il calcio reagiva con i solventi aromatici che usavano (benzene, toluene e para-xilene). Quindi hanno provato con solventi  meno reattivi, e quando hanno aggiunto tetraidrofurano o tetraidropirano alla reazione, si sono formati immediatamente cristalli bruno-rossastri. L’analisi cristallografica ha rivelato che due degli atomi di calcio complessati avevano legato l’azoto (N2) utilizzato come atmosfera inerte per la reazione, (figura 1).

Figura 1. Struttura cristallina del complesso calcio-diazoto (atomi di H omessi per chiarezza). Credit: adattato da Nature

Il gruppo di Harder è rimasto molto sorpreso da questo risultato. Infatti, che un metallo di blocco s come il calcio, che in genere cede i suoi elettroni esterni, possa attivare N2 a temperature fino a –60 °C era qualcosa che non si era mai previsto sarebbe stato possibile. Harder ha contattato Gernot Frenking, un chimico teorico presso la Philipps University di Marburg, per avere un’interpretazione del fenomeno.

Gernot Frenking

I calcoli di Frenking e suoi colleghi hanno mostrato che gli orbitali d del calcio si legano con N2, suggerendo che il calcio può usare i suoi orbitali d proprio come fanno i metalli di transizione. Frenking e collaboratori sono stati inseriti fra gli autori della pubblicazione [1].

Frenking sostiene di essere sbalordito: “Si è aperta una porta per guardare questo tipo di composti in un modo diverso, e i risultati suggeriscono che il calcio, insieme ai suoi cugini più pesanti stronzio e bario, dovrebbe essere incluso fra i metalli di transizione della tavola periodica”.

Marc-André Légaré della McGill University (Canada), che lavora alla sintesi di catalizzatori da elementi del blocco s afferma: “La scoperta cambierà il modo in cui i chimici vedono gli elementi abbondanti sulla terra sul lato sinistro della tavola periodica, nota come blocco s. Questa è una chiara dimostrazione che il calcio, e probabilmente gli altri alcalino terrosi come il magnesio, hanno da offrire alla chimica molto più di quanto siamo abituati a vedere. Mostra che il calcio può usare i suoi orbitali, e non solo la sua carica, per realizzare una chimica che è difficile anche per i metalli del blocco d che vengono solitamente utilizzati per la catalisi”.

Robert J. Gilliard Jr., che studia chimica dei gruppi principali presso l’Università della Virginia (USA), definisce il risultato rivoluzionario: “Fornisce informazioni su ciò che deve ancora venire per la chimica molecolare degli elementi a bassa valenza del blocco s. Con l’innovazione nella progettazione dei ligandi e nelle strategie di stabilizzazione, potrebbe essere possibile sviluppare una nuova chimica aggiuntiva per gli elementi del blocco s”.

Per quanto riguarda le possibili applicazioni pratiche, Harder afferma che poiché questa chimica del calcio richiede potassio metallico per ridurre il calcio (II) a calcio (I), è troppo poco pratico e costoso sostituire il processo Haber-Bosch[1], che utilizza ferro o altri catalizzatori di metalli di transizione per catturare N2 dall’aria per produrre ammoniaca per fertilizzanti e altri prodotti contenenti azoto. Ma, dice, forse si potrebbe escogitare un percorso elettrochimico per produrre il complesso di calcio(I).

Bibliografia

[1] B. Rösch et al., Dinitrogen complexation and reduction at low-valent calcium. Science  2021, 371,1125-1128; DOI: 10.1126/science.abf2374


[1] Il processo Haber–Bosch, è una reazione di fissazione artificiale dell’azoto ed è oggi il principale procedimento industriale per la produzione di ammoniaca. Prende il nome dai suoi inventori, i chimici tedeschi Fritz Haber (1878-1934) e Carl Bosch (1784-1940), che lo svilupparono nel primo decennio del XX secolo. Il processo converte l’azoto atmosferico (N2) in ammoniaca (NH3) mediante una reazione con l’idrogeno (H2) utilizzando un catalizzatore metallico ad alte temperature e pressioni

Elementi della Tavola Periodica. Calcio, Ca (2 parte)

Rinaldo Cervellati

il primo post di questa serie è qui

Ruolo biologico e patologie da carenza

Il calcio è un elemento essenziale. Lo ione Ca2+ agisce come elettrolita ed è vitale per la salute dei sistemi muscolare, circolatorio e digestivo; è indispensabile per la costruzione delle ossa; supporta la sintesi e la funzione delle cellule del sangue. Ad esempio, regola la contrazione dei muscoli, la conduzione nervosa e la coagulazione del sangue. Di conseguenza, i livelli di calcio intra ed extracellulare sono strettamente regolati dal corpo. Il calcio può svolgere questo ruolo perché lo ione Ca2+ forma complessi di coordinazione stabili con molti composti organici, in particolare le proteine; forma anche composti con un’ampia gamma di solubilità, consentendo la formazione dello scheletro.

Gli ioni calcio possono essere complessati dalle proteine ​​legando i gruppi carbossilici dell’acido glutammico o dei residui dell’acido aspartico; attraverso l’interazione con residui fosforilati di serina, tirosina o treonina; o essendo chelato da residui amminoacidici γ-carbossilati. La tripsina, un enzima digestivo, utilizza il primo metodo; l’osteocalcina, una proteina della matrice ossea, utilizza il terzo. Alcune altre proteine ​​della matrice ossea come l’osteopontina e la sialoproteina ossea utilizzano sia il primo sia il secondo. L’attivazione diretta degli enzimi leganti il calcio è comune; alcuni altri enzimi sono attivati ​​dall’associazione non covalente con enzimi leganti direttamente il ​​calcio. Si lega anche allo strato fosfolipidico della membrana cellulare, ancorando le proteine ​​associate alla superficie cellulare.

Come esempio dell’ampia gamma di solubilità dei composti di calcio, il fosfato monocalcico è molto solubile in acqua, l’85% del calcio extracellulare è come fosfato bicalcico con una solubilità di 2,0 mM e l’idrossiapatite delle ossa in una matrice organica è il fosfato tricalcico a 100 μM.

Nutrizione

Il calcio è un costituente comune degli integratori alimentari multivitaminici, ma la composizione dei complessi di calcio negli integratori può influire sulla sua biodisponibilità che varia secondo la solubilità del sale coinvolto: citrato di calcio, malato e lattato sono altamente biodisponibili, mentre l’ossalato lo è meno. Altre preparazioni includono carbonato di calcio, citrato malato di calcio e gluconato di calcio. L’intestino assorbe circa un terzo del calcio ingerito come ione libero e il suo livello nel plasma viene regolato dai reni.

Regolazione ormonale della formazione ossea e dei livelli sierici

L’ormone paratiroideo e la vitamina D promuovono la formazione delle ossa consentendo e migliorando la deposizione di ioni calcio, consentendo un rapido turnover osseo senza influenzare la massa ossea o il contenuto di minerali. Quando i livelli di calcio plasmatico diminuiscono, i recettori della superficie cellulare vengono attivati ​​e si verifica la secrezione dell’ormone paratiroideo; procede quindi a stimolare l’ingresso di calcio nel pool plasmatico prelevandolo da cellule renali, intestinali e ossee mirate, con l’azione di formazione ossea dell’ormone paratiroideo antagonizzata dalla calcitonina, la cui secrezione aumenta con l’aumentare dei livelli di calcio plasmatico.

Figura 6. Assunzione di calcio nella dieta globale tra gli adulti (mg/giorno).

<400, 400–500, 500–600, 600–700, 700–800, 800–900, 900−1000, >1000

rosso, rosso chiaro, più chiaro — giallo — verde, più chiaro, —–grigio

Livelli sierici anormali

Un consumo eccessivo di calcio può causare ipercalcemia. Tuttavia, poiché viene assorbito in modo piuttosto inefficiente dall’intestino, un alto livello di calcio sierico è più probabilmente causato da un’eccessiva secrezione di ormone paratiroideo (PTH) o forse da un’eccessiva assunzione di vitamina D, che facilitano l’assorbimento del calcio. Tutte queste condizioni provocano il deposito di sali di calcio in eccesso nel cuore, nei vasi sanguigni o nei reni. I sintomi includono anoressia, nausea, vomito, perdita di memoria, confusione, debolezza muscolare, aumento della minzione, disidratazione e malattia metabolica delle ossa. L’ipercalcemia cronica porta tipicamente alla calcificazione dei tessuti molli e alle sue gravi conseguenze: ad esempio, la calcificazione può causare la perdita di elasticità delle pareti vascolari e l’interruzione del flusso sanguigno laminare, e quindi la rottura della placca e la trombosi. Al contrario, un’assunzione inadeguata di calcio o vitamina D può provocare ipocalcemia, spesso causata anche da una secrezione inadeguata dell’ormone paratiroideo o da recettori PTH difettosi nelle cellule. I sintomi includono l’eccitabilità neuromuscolare, che potenzialmente causa tetania e interruzione della conduttività nel tessuto cardiaco.

Calcoli renali

Poiché il calcio è necessario per lo sviluppo osseo, molte malattie ossee possono essere ricondotte alla matrice organica o all’idrossiapatite nella struttura molecolare o nell’organizzazione dell’osso. L’osteoporosi è una riduzione del contenuto di minerali dell’osso per unità di volume e può essere trattata con l’integrazione di calcio, vitamina D e bisfosfonati. Quantità inadeguate di queste sostanze possono provocare un ammorbidimento delle ossa, chiamato osteomalacia.

Cibi ricchi di calcio

Gli alimenti ricchi di calcio includono latticini (come yogurt e formaggi), sardine, salmone, prodotti a base di soia, cavoli e cereali  da colazione fortificati.

Sia l’Istituto di medicina degli Stati Uniti (IOM) che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) hanno stabilito i livelli di assunzione superiore tollerabile (UL) per la dieta combinata e gli integratori di calcio. Lo IOM ha stabilito che persone di età compresa tra 9 e 18 anni non devono superare l’assunzione combinata di 3 g/giorno; per età 19–50 2,5 g/giorno; dai 51 anni in su 2 g/giorno. L’EFSA ha fissato l’UL per tutti gli adulti a 2,5 g/giorno, ma ha deciso che le informazioni per bambini e adolescenti non erano sufficienti per determinare l’UL.

Ciclo biogeochimico

Il ciclo del calcio fornisce un collegamento tra tettonica, clima e ciclo del carbonio (figura 7).

Figura 7. Ciclo del calcio e relazione con quello del carbonio

In termini semplici, il sollevamento delle montagne espone le rocce contenenti calcio agli agenti atmosferici chimici (CO2 gas e H2O) e rilascia Ca2+ nelle acque superficiali. Questi ioni vengono trasportati nell’oceano dove reagiscono con la CO2 disciolta per formare calcare (CaCO3), che a sua volta si deposita sul fondo del mare dove viene inglobato in nuove rocce. La CO2 disciolta, insieme agli ioni carbonato e bicarbonato, è definita “carbonio inorganico disciolto” (DIC).

La reazione effettiva è più complicata e coinvolge lo ione bicarbonato (HCO3) che si forma quando la CO2 reagisce con l’acqua al pH dell’acqua marina:

Ca2+ + 2HCO3− ⇌ CaCO3(s) + CO2 + H2O

Al pH dell’acqua di mare, la maggior parte della CO2 viene immediatamente riconvertita in HCO3e la reazione si traduce in un trasporto netto di una molecola di CO2 dall’oceano/atmosfera alla litosfera. Il risultato è che ogni ione Ca2+ rilasciato dagli agenti atmosferici chimici alla fine rimuove una molecola di CO2 dal sistema superficiale (atmosfera, oceano, suolo e organismi viventi), immagazzinandola nelle rocce carbonatiche dove è probabile che rimanga per centinaia di milioni di anni. L’erosione del calcio dalle rocce elimina quindi la CO2 dall’oceano e dall’atmosfera, esercitando un forte effetto a lungo termine sul clima.

Con l’acidificazione degli oceani, l’apporto di anidride carbonica promuove la dissoluzione del carbonato di calcio e danneggia gli organismi marini che dipendono dai loro gusci protettivi di calcite o aragonite. La solubilità del carbonato di calcio aumenta con la pressione e l’anidride carbonica e diminuisce con la temperatura. Pertanto, il carbonato di calcio è più solubile nelle acque profonde rispetto alle acque superficiali a causa della pressione più elevata e della temperatura inferiore. Di conseguenza, la precipitazione del carbonato di calcio è più comune negli oceani meno profondi. La profondità alla quale la velocità di dissoluzione della calcite è uguale alla velocità di precipitazione della calcite è nota come profondità di compensazione della calcite.

L’acidità degli oceani dovuta all’anidride carbonica è già aumentata del 25% dalla rivoluzione industriale. Poiché le emissioni di anidride carbonica aumentano e si accumulano continuamente, ciò influirà negativamente sulla vita di molti ecosistemi marini. Il carbonato di calcio utilizzato per formare gli esoscheletri di molti organismi marini inizierà a degradarsi, lasciando questi animali vulnerabili e incapaci di vivere nei loro habitat. Questo alla fine ha un effetto sui predatori, influenzando ulteriormente la funzione di molte catene alimentari a livello globale.

Data la sua stretta relazione con il ciclo del carbonio e gli effetti dei gas serra, si prevede che i cicli del calcio e del carbonio cambieranno nei prossimi anni. Il monitoraggio degli isotopi del calcio consente la previsione dei cambiamenti ambientali, con molte fonti che suggeriscono un aumento delle temperature sia nell’atmosfera sia nell’ambiente marino. Di conseguenza, questo altererà drasticamente la degradazione della roccia, il pH degli oceani e dei corsi d’acqua e quindi la sedimentazione del calcio, con una serie di implicazioni sul ciclo del calcio. A causa delle complesse interazioni del calcio con molti aspetti della vita, è improbabile che gli effetti delle condizioni ambientali alterate siano noti fino a quando non si verificano. Le previsioni possono tuttavia essere fatte provvisoriamente, sulla base di ricerche basate sull’evidenza [1,2].

Riciclaggio

Dato l’ampio uso dei composti del calcio in diversi settori industriali e agrari, molti articoli hanno proposto metodi per il riciclo di silicati, carbonati e cloruro di calcio. Qui riportiamo un brevetto statunitense per il recupero da prodotti di scarto o materiale calcico naturale contaminato [3]. In sintesi il calcio viene recuperato preparando una sospensione acquosa del materiale contenente calcio da recuperare e abbassando il pH della sospensione a pH <6, o preferibilmente <4, per fornire una sospensione che include una fase liquida acida contenente i composti di calcio in forma solubile. Successivamente il pH del liquido viene portato a pH> 6 o 7, mescolando in esso una base, per precipitare la porzione principale di alluminio; alla fase liquida neutra o basica viene aggiunto carbonato o bicarbonato di sodio (Na2CO3 o NaHCO3), per precipitare i composti di calcio come CaCO3.

Opere consultate

Handbook of Chemistry and Physics, 85th Ed. p. 4-7

https://en.wikipedia.org/wiki/Calcium

https://en.wikipedia.org/wiki/Carbonate-silicate_cycle

Bibliografia

[1] https://www.pmel.noaa.gov/co2

[2] Ocean acidification, Smithsonian,

https://ocean.si.edu/ocean-life/invertebrates/ocean-acidification

[3] Method of recovering calcium from waste material or contaminated natural calcic material.

https://patents.google.com/patent/US6193945