Dario Zampieri*
Recentemente, è stato pubblicato da parte delle National Academies of Sciences, Engineering and Medecine (Usa) un nuovo rapporto, seguente quello del 2015 del National Research Council, sulla praticabilità della geoingegneria quale possibile risposta al rapido cambiamento climatico che sta creando impatti severi su individui, comunità, economie ed ecosistemi.
Il rapporto dal titolo “Reflecting Sunlight: Recommendations for Solar Geoengineering Research and Research Governance” è dedicato a Paul J. Crutzen, recentemente scomparso, laureato Nobel in Chimica nel 1995 per l’individuazione della causa dell’impoverimento dell’ozono stratosferico, il quale in tempi più recenti si occupò anche della geoingegneria solare (SG) quale tecnica per contrastare gli effetti del cambiamento climatico.
La sfida dell’emergenza climatica richiede una serie di opzioni di mitigazione (che vanno dalla riduzione dell’emissione dei gas climalteranti alla rimozione e sequestro del carbonio dall’atmosfera) e di adattamento. La preoccupazione che l’adozione dell’insieme delle opzioni di mitigazione non avvenga alla dovuta velocità o che comunque non sia sufficiente ad evitare le peggiori conseguenze, ha portato a suggerire di esplorare ulteriori strategie come la geoingegneria solare. Con questo nome si intende l’aumento della riflessione verso lo spazio della radiazione solare o la riduzione della quantità di radiazione termica intrappolata. Naturalmente, per avere efficacia, queste strategie dovrebbero essere perseguite per tempi molto lunghi, come l’uso di un farmaco salvavita che non possa più essere abbandonato. Esse però introducono anche dei nuovi potenziali rischi, alcuni dei quali con effetti molto difficili da prevedere.
La SG è comunque una strategia che non sostituisce la necessaria riduzione dell’emissione dei gas climalteranti, i quali altrimenti continuerebbero a produrre l’acidificazione degli oceani e ad incrementare il cambiamento climatico. Inoltre, non servirebbe a riportare il clima globale o regionale ad uno stato precedente e se dovesse essere interrotto, in assenza di contestuale riduzione delle emissioni, potrebbe portare ad un repentino riscaldamento con effetti catastrofici.
La parola geoingegneria comprende numerose strategie incluse l’alterazione della riflettività della terra, del mare e dei ghiacci, nonché quelle per rimuovere la CO2 dall’atmosfera (emissioni negative). Il rapporto si limita ad esaminare quelle strettamente “solari” che sono:
- Iniezione stratosferica di aerosol (Stratosferic Aerosol Injection, SAI), con aumento del numero delle particelle in grado di aumentare la riflessione della luce incidente.
- Lo schiarimento delle nubi marine (Marine Cloud Brightening, MCB), con aumento della riflettività delle nuvole nella bassa atmosfera al di sopra di certe regioni degli oceani.
- Assottigliamento delle nuvole cirri (Cirrus Cloud Thinning, CCT), con aumento della trasparenza delle nuvole ghiacciate in modo da favorire la radiazione infrarossa in uscita.
La ricerca indica che la SG può ridurre la temperatura, ma al tempo stesso può introdurre nuovi potenziali rischi come la perdita dell’ozono stratosferico, la modificazione regionale del clima interferendo ad esempio sul monsone indiano, e con numerosi effetti ambientali, sociali, politici ed economici (ad esempio, effetti regionali positivi per una certa regione possono implicare effetti negativi per altre regioni, che vanno dal cambio del regime delle piogge con problemi per la produzione di cibo alla induzione di migrazioni interne di popolazione).

SAI: è la tecnica più studiata e meglio compresa. Diversamente dalla troposfera, la stratosfera è relativamente poco turbolenta e gli aerosol possono permanere in sospensione per oltre un anno, prima di passare alla troposfera o precipitare al suolo. L’eruzione vulcanica del M. Pinatubo, nel 1991, ha iniettato nella stratosfera grandi quantità di idrogeno solforato (H2S) e biossido di zolfo (SO2), che si sono ossidati a formare un aerosol con proprietà riflettenti di acido solforico (H2SO4). Si stima che l’eruzione abbia abbassato la temperatura globale di circa mezzo grado centigrado per oltre un anno. Tuttavia, benchè simile agli effetti naturali di grandi eruzioni vulcaniche, lo spargimento di solfati può provocare effetti indesiderati come la riduzione della concentrazione dell’ozono, che protegge dalla dannosa radiazione ultravioletta. La superficie addizionale degli aerosol riduce i livelli di NOx via conversione di N2O5 ad acido nitrico. Nella bassa stratosfera questo aumenta la perdita di ozono per via dell’incremento dei livelli di HO2 e ClO.
Inoltre, l’incremento di riscaldamento infrarosso associato all’aggiunta di solfati cambierebbe la circolazione stratosferica, alterando la distribuzione dell’ozono. Nei prossimi 50-100 anni la concentrazione dell’ozono dovrebbe aumentare per effetto delle restrizioni nella produzione dei clorofluorocarburi. Tuttavia, la messa in opera della SAI potrebbe ritardare questo recupero.
Sostanze alternative ai solfati potrebbero essere particelle solide di calcite, di alluminio o di rutilo, ma la microfisica di questi composti, come la coagulazione sulle superfici degli aerosol non è ancora compresa. Un altro effetto non ben compreso è il possibile aumento del rapporto tra luce diffusa e luce diretta, con implicazioni sulla fotosintesi (produzione agricola, ecosistemi) e sulla produzione di energia fotovoltaica.
Un altro potenziale effetto indesiderato per la salute umana può essere l’esposizione cronica delle popolazioni via ingestione di acqua e cibo contaminati dalle particelle che si depositerebbero al suolo. Infatti, alcuni degli aerosol proposti contengono per esempio alluminio.
MCB: la ricerca mostra che aggiungendo aerosol alle nubi marine (tra 0 e 3 km sulla superficie marina) può in certi casi aumentare la riflettività, come accade per esempio sulla scia lasciata dai gas di scarico dalle navi. È stato proposto che lo stesso effetto possa essere ottenuto spruzzando una nebbia sottile di acqua salata. Non è però chiaro dove e quanto l’albedo delle nuvole possa cambiare e se i feedback amplifichino o mascherino gli effetti. Anche la scala ridotta di questo processo potrebbe essere un problema.
CCT: le nuvole cirri sono composte prevalentemente da cristalli di ghiaccio nella alta troposfera. Queste contribuiscono al riscaldamento del pianeta, in quanto riducono la radiazione infrarossa in uscita più di quanto riflettano la radiazione solare incidente. Disseminando i cirri con nuclei di ghiaccio si possono produrre cristalli più grandi che cadono più in fretta, riducendo il tempo di vita e quindi la copertura di queste nuvole. L’efficacia della CCT non è ben compresa e le simulazioni di pochi modelli climatici hanno fornito risultati contrastanti.
Etica e geoingegneria
Dal punto di vista etico vi sono parecchie considerazioni, di seguito estremamente sintetizzate e solo accennate.
Alcuni ricercatori sociali hanno prospettato che questo “giocare a essere Dio” di una parte dell’umanità è una brama eccessiva. Altri invece pensano che poiché l’uomo sta già alterando il clima, anche se non intenzionalmente, il farlo invece in modo intenzionale non sarebbe più problematico. Se in futuro si dovesse ricorrere alla geoingegneria come misura disperata, sarebbe meglio conoscere a fondo quali approcci sono più efficaci e quali ne sono i limiti e le incertezze. Sempre nell’ambito delle discipline filosofico/sociali, altri ancora pensano che la ricerca sulla SG potrebbe distrarre dalla ricerca sulla mitigazione (azzardo morale), perché la geoingegneria sarebbe ingovernabile o perché non ha il consenso delle popolazioni indigene del Sud Globale. Un altro aspetto riguarda la giustizia intergenerazionale, in quanto la SG è un’impresa multigenerazionale alla scala dei decenni o dei secoli. La percezione del pubblico è un altro aspetto da considerare, perché esistono tanti pubblici con differenti vedute, come ad esempio la questione delle vaccinazioni anti-Covid sta dimostrando. Inoltre, gli studi (pochi) sinora fatti riguardano quasi esclusivamente i paesi sviluppati (Europa, Usa e Canada, con poche eccezioni in Giappone e Cina) e non si sa quale sia l’opinione delle popolazioni del Sud Globale, che sono maggiormente vulnerabili.
Una conclusione è che la ricerca sulla SG è in uno stadio embrionale e non permette di fornire elementi di supporto ad eventuali decisioni.
Aspetti legali
Anche qui la questione è piuttosto complessa. Ad esempio, la Convenzione di Vienna sulla protezione dello strato di ozono (1985), ratificata da quasi tutte le nazioni, chiede alle parti di proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti avversi risultanti dalle attività umane che possono modificare lo strato di ozono. L’iniezione di aerosol solfatici nella stratosfera può appunto esacerbare la perdita di ozono. Il Protocollo di Montrèal (1987) restringe la produzione e l’uso di una serie di sostanze elencate in una lista, che dovrebbe essere aggiornata.
In risposta ai tentativi di usare come arma la modificazione del clima durante la guerra del Vietnam è stata ratificata una specifica convenzione (Environment Modification, ENMOD, 1978), che però non esclude usi diversi da quelli militari. La convenzione è comunque carente nel definire le istituzioni che dovrebbero implementare o espandere l’accordo.
La Convenzione delle nazioni unite sulla legge del mare (UNCLOS), ratificata da più di 160 stati ma non dagli Usa, prevede l’obbligo di proteggere gli oceani dall’inquinamento “da o attraverso l’atmosfera”.
Sta aumentando il riconoscimento che il cambiamento climatico e le risposte possono impattare i diritti umani. Il preambolo dell’Accordo di Parigi (2015) incoraggia le parti a rispettare e promuovere gli obblighi rispetto ai diritti umani quando si implementino azioni sul cambiamento climatico.
Una conclusione è che non esiste attualmente una azione coordinata sulla ricerca SG e che i meccanismi legali esistenti, nati in altri contesti, possono applicarsi solo ad alcuni aspetti su impatti di tipo fisico.
Il rapporto 2021 delle National Academies of Sciences, Engineering and Medecine fornisce una serie di proposte per un governo della ricerca su SG e delle raccomandazioni sulle modalità da rispettare per eventuali esperimenti in atmosfera, laddove non sia possibile ottenere informazioni tramite modelli e studi di laboratorio. Nelle conclusioni, si evidenzia che “dato che il cambiamento climatico è una delle sfide più complesse che l’umanità abbia mai affrontato, e che la SG è uno degli aspetti più controversi di risposta, la comunità scientifica deve raccogliere questa sfida con umiltà e creatività, mettendosi alla prova tra discipline diverse e confini nazionali, con nuove modalità oltre gli approcci business-as-usual della ricerca”.
Appare qua evidente il carattere di predicament dell’Antropocene, di cui il cambiamento climatico è uno dei tanti effetti. Non si può risolvere un predicament (situazione spiacevole, difficile o pericolosa), si può solo cercare di farvi fronte con umiltà, sapendo che le risposte non possono essere solo di tipo scientifico e tecnologico, ma anche sociale, culturale, politico ed ecologico.
National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine 2021. Reflecting Sunlight: Recommendations for Solar Geoengineering Research and Research Governance. Washington, DC: The National Academies Press.
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https://doi.org/10.17226/25762
Rasch, P. J., P. J. Crutzen, and D. B. Coleman. 2008. Exploring the geoengineering of climate using stratospheric sulfate aerosols: The role of particle size. Geophysical Research Letters 35(2). https://doi.org/10.1029/2007GL032179.
*l’autore, già conosciuto dai nostri lettori per altri interessanti contributi è prof. associato di geologia presso UniPd e presidente di Aspo-Italia.
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