Recensione. Per comprendere la complessità biologica

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Editore:Licosia
Collana:Politica storia e società
Data di Pubblicazione:2021
EAN:9791280116284
ISBN:1280116285
Pagine:290

Euro 24

Il testo “Per comprendere la complessità biologica” della collega ed amica Lilia Alberghina è una vera e propria lezione di vita che meriterebbe una lingua universale. Come anche la nostra recente esperienza pandemica ha dimostrato, nelle difficoltà, ma solo nelle difficoltà, la nostra società riesce a superare l’atteggiamento egoistico e sostanzialmente elitario per una visione più partecipata e condivisa dei problemi. Al contrario della Società la Natura si sviluppa proprio attraverso una visione comunitaria e correlata.

La tradizionale articolazione in 3 comparti ambientali (acqua, aria, suolo) è una semplificazione didattica: fra essi c’è condivisione estrema, sicché la qualità di uno di essi dipende da quella degli altri due.

In più la natura, come dovrebbe fare l’uomo, cerca con interventi in un comparto di proteggere gli altri due. Si pensi all’assorbimento degli inquinanti da parte degli alberi, alla sedimentazione nei corsi fluviali, alla formazione dei delta alla foce a mare, alla protezione della falda da parte del suolo.

Tutti questi messaggi sono ben presenti nel testo di Alberghina,accanto ad altri, forse più filosofici e speculativi come l’organizzazione della complessità biologica che discute di modelli organizzativi e di riferimenti della Natura ad essi in funzione della self-protection. Si lega a questo il capitolo sulla Diversità biologica e sulle occasioni perdute rispetto ad essa: un prepotente stimolo alla protezione ambientale sia dal punto di vista degli interventi che delle risorse da destinare di cui non si è saputo cogliere il vero significato.

Diversità genera continuità e continuità genera rinnovamento. Un capitolo interessante è quello dedicato ai Big Data ormai realtà del nostro tempo in tutti i settori. Si tratta di strumenti di conoscenza fondamentale: se applicati al Genoma divengono un patrimonio incommensurabile rispetto ad aspetti fondamentali della nostra vita, quali la salute, le nuove malattie, le battaglie antivirali, la sicurezza.

Il nodo per essi è la loro condivisione ben oltre i confini dove vengono prodotti. Tornando invece alla complessità l’autrice affronta il problema del rapporto fra reti molecolari, espressione della complessità, e le proprietà emergenti: un salto dal micro al macro con in sottofondo proprietà di riciclo, caratteristiche funzionali, smaltimento, in pratica economia circolare. Due altri argomenti trattati sono il DNA e la metabolomica, il primo espressione della vita in.una forma personale quasi unico baluardo alla visione universale della natura, la seconda sorta di indicatore del funzionamento degli organismi viventi. Anche qui la natura supera l’uomo: per monitorare un processo industriale dobbiamo scegliere dove, come e quando monitorarlo, nel caso degli organismi viventi, animali e/o vegetali, il monitoraggio può utilizzare indicatori sempre disponibili, con una parola di moda sensori indossabili.
Si tratta complessivamente di 12 capitoli con un’appendice importantissima intitolata “Per approfondire“:capitolo per capitolo vengono fornite bibliografie per entrare più in profondità negli argomenti trattati

Lilia Alberghina è professore emerito di Biochimica presso l’Università di Milano-Bicocca; direttore scientifico di ISBE.IT, infrastruttura di ricerca per la Systems biology; Scholar della Johns Hopkins University, Baltimora, MD, USA; socio nazionale Accademia dei XL. È stata una dei leader nello sviluppo delle Biotecnologie nelle università italiane. Successivamente ha fortemente promosso la crescita della Systems biology e della Systems metabolomics. Le sono stati conferiti: Premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei (1986); Laurea honoris causa in Biotecnologie Molecolari e Industriali dalla Università di Napoli Federico II (2012) e l’“Ambrogino d’oro” dal Comune di Milano (2010).

Tre esempi negativi.

Claudio Della Volpe

Tre esempi negativi.

In questi giorni si inseguono notizie non positive per coloro che hanno a cuore il futuro della specie in un ambiente sano. Mi riferisco a tre notizie giornalistiche

  1. Sospesa la tassa sulle bevande zuccherate
  2. Sospesa la tassa sui prodotti di plastica usa e getta
  3. L’UE considera il  nucleare un modo sostenibile di produrre energia elettrica

Le prime due riguardano il nostro paese ma la terza riguarda tutto il continente europeo.

Sotto vedete un grafico che mostra la crescita dei consumi a cavallo della seconda guerra mondiale nel nostro paese; una serie di cibi prima da ricchi che diventano comuni e acquistabili da tutti e in genere questa è una buona notizia; tuttavia pensiamo che nell’Italia pre-bellica si usavano 7-9 kg d zucchero pro capite all’anno mentre oggi siamo arrivati a trenta, oltre tre volte in più; lo zucchero raffinato si usa in tutti i cibi: pane, salse oltre ovviamente le bevande zuccherine; contestualmente nel nostro paese il diabete mellito di tipo 2 è diventato una malattia molto comune e come in altri paesi occidentali una delle misure raccomandate dall’OMS prevede la disincentivazione al consumo di bevande zuccherate come le bibite gasate o i succhi di frutta con zuccheri aggiunti; ma ricordiamo che lo zucchero è aggiunto: nel pane, nelle salse, negli yogurt e che il problema è complesso poiché una delle ipotesi è che anche le bevande senza zucchero ma con dolcificanti artificiali inducano comportamenti negativi sul consumo del cibo restante anche se la cosa non è ancora chiara.

https://www.treccani.it/enciclopedia/i-consumi-alimentari-in-italia-uno-specchio-del-cambiamento_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/

Come previsto dalla Legge di Bilancio 2020, si sarebbe trattato di un’imposta da 10 centesimi al litro per un contenuto di zucchero superiore ai 25 grammi (in una lattina di 330 ml di coca cola tradizionale ci sono 35 grammi di zucchero, equivalenti a circa 7 cucchiaini).

Sarebbero state quindi coinvolte quasi tutte le bevande dolci, visto che questa soglia viene superata dalla stragrande maggioranza delle bibite vendute nel nostro paese, ma c’è un “ma”: la tassazione che era prevista in Italia è considerata troppo bassa per indurre a un cambiamento degno di nota in grado di incidere sulle abitudini dei consumatori, così come sulle scelte del produttore di abbassare le dosi di zucchero.

Di fatto il governo ha ritenuto di sospendere questa tassa per mere considerazioni economiche , cioè per salvaguardare i profitti (e i posti di lavoro, ma su questo qualche dubbio ce l’ho viste le scelte complessive e i numerosi casi contrari ) senza dire nulla sugli aspetti di salute pubblica. Occorre aggiungere che una modifica delle abitudini alimentari non si può raggiungere solo con misure di questo tipo e che serve una politica di educazione alimentare a partire dalle giovani generazioni.

Il secondo caso è forse più complicato poiché  come chimici sappiamo che è in corso uno sforzo per la sintesi di nuovi materiali plastici degradabili e anche nella direzione di riciclare  materiali esistenti con nuove tecnologie di cui abbiamo anche parlato nel nostro blog; inoltre la pandemia ha di fatto stimolato un uso spaventosamente grande di materiali usa e getta esattamente in direzione opposta a tutto quanto sviluppato negli anni precedenti in cui la presenza dell’inquinamento sia oceanico che terrestre da microplastiche aveva stimolato moltissimo la popolazione a ridurre questo tipo di consumi e ad accettare una strategia in tal senso.

Ma anche in questo caso la difesa dei profitti (e ovviamente la cantilena sui posti di lavoro, che poi viene sistematicamente dimenticata ad ogni sia pur minima prospettiva di maggiori profitti in altri paesi) non basta a giustificare che la plastic tax, come era stata denominata, venga rimandata od abolita.

Secondo i calcoli che sono comparsi sulla stampa si tratterebbe di 1 euro per ogni chilo di imballaggi che dovrebbero essere accompagnati da sgravi e incentivi per il ricorso ad alternative a basso impatto ambientale. Anche qui dunque una misura modesta ma che comporterebbe una riduzione, a dire delle aziende interessate, di 180 milioni di euro di fatturato.

Teniamo presente che misure analoghe sono in corso già in altri paesi europei e che c’è anche una direttiva in merito che rischiamo di violare incorrendo in una procedura di infrazione oltre che perdendo la gara con chi su questa strada si è incamminato da tempo come Germania, Spagna e Francia.

Queste due scelte del governo Draghi rinforzano l’idea che ce ne siamo fatta in questi mesi: un governo certamente più autorevole di altri, che sta conducendo con successo la campagna vaccinale, ma che di fatto sta dalla parte delle classi sociali forti, di Confindustria e che non ha a cuore effettivamente la transizione cosiddetta ecologica; si ammanta di queste parole: verde, ecologico, ma poi non fa nulla di concreto.

E la terza cosa è ancora più preoccupante; anche qui un governo europeo che non esita ad usare verde o ecologico in ogni frase quello della Von der Leyen oggi torna alla carica con l’idea che il nucleare di fissione (di IV generazione pare) sia uno strumento di conversione energetica sostenibile e rinnovabile come il FV o l’eolico.

E’ dall’inizio del 2020 che complice la pandemia che ha distratto molti da questi temi ambientali si è scatenata una controffensiva che ha come scopo introdurre nei piani di rinnovo ecologico il nucleare; nel luglio 2018 iniziò la sua attività un gruppo di esperti denominato TEG delegato a costruire un piano di finanza ed iniziative economiche sostenibili che concludeva nel luglio 2020 escludendo il  nucleare dal futuro tecnologico europeo e dalle attività economiche sostenibili; la classificazione di tali attività era denominata : Taxonomy technical report (TTR). Ma nonostante questa decisione il Consiglio Europeo nel settembre 2020  decideva di rimanere “neutrale” sul tema; da questo momento in poi c’è stata una volata di iniziative che chiedevano a gran voce di rimettere nella “tassonomia” il nucleare a partire dalla richiesta dei sindacati dei lavoratori del nucleare nel gennaio 2021.

Nel marzo 2021 il JRC (il Joint Research Center, il servizio comune di ricerca della Commissione Europea) ha sostenuto con un report tecnico questa inclusione che è stata poi difesa a spada tratta da alcuni paesi; per fortuna il fronte generale non è coeso e ci sono stati 5 paesi: Austria, Danimarca, Germania, Lussemburgo e Spagna che hanno trovato invece carente la relazione JRC dichiarando di essere contrari a questa introduzione.

A luglio un gruppo di 86 parlamentari ha sostenuto al contrario che occorre includere il nucleare nella tassonomia. La decisione non è stata presa ancora ma è chiaro che paesi come la Francia con la sua forte industria nucleare sono fortemente favorevoli a questa scelta un po’ assurda. Ricordiamo che al momento non esistono centrali di IV generazione pronte, che ci vogliono anni per costruirne una di terza sicura, un esempio è Olkiluoto, la centrale sicura finlandese che ancora non è finita dal 2005 (forse lo sarà nel 2022); adesso va per la maggiore l’idea delle centrali piccole  che sarebbero meglio non si capisce perché; non è stato ancora risolto il problema dei rifiuti nucleari, non esiste un solo deposito nucleare sicuro per i prossimi 800 anni che è considerato il tempo minimo di gestione per i rifiuti nucleari da centrale (che poi dovreste dirmi come fa una società che non riesce a guardare oltre qualche anno a gestire qualcosa per 800!!).

Nonostante questo ci sono paesi che vogliono continuare questa assurda avventura mentre i costi delle rinnovabili scendono continuamente e sono oggi i più favorevoli. Ci sarebbero da dire tante altre cose come per esempio la quota di nucleare elettrico che già acquistiamo dal mercato europeo (Francia e Svizzera) a causa del fatto che il nucleare è rigido e chi lo possiede non può alterarne il regime di funzionamento, ma deve vendere sotto costo quando non può consumarlo. Ovviamente si può discutere sui rischi in termini quantitativi rischio-beneficio, ma occorre anche ricordare che per eventi come Fukushima o Chernobil e per le loro conseguenze (sono i cosiddetti “cigni neri”, eventi poco probabili ma dalle enormi conseguenze) una tradizionale valutazione rischio beneficio potrebbe non essere la strada più opportuna.

Levelized cost of energy (LCOE) è una misura del costo medio netto attuale di generazione dell’energia considerando un impianto di generazione lungo tutta la sua vita.

Pipetta da guerra

Mauro Icardi

Nel volume di Primo Levi “ L’ultimo Natale di guerra” spicca, tra i racconti dedicati all’esperienza del lager, quello intitolato “Pipetta da guerra”.

E’ ormai noto che il chimico e scrittore torinese attribuisse la sua sopravvivenza alla deportazione in primo luogo al caso, e alla fortuna di avere superato l’esame di chimica, cosa che gli permise negli ultimi mesi di prigionia di lavorare nel laboratorio chimico di Buna, in un ambiente sicuramente  più confortevole, e senza dover essere sottoposto ai lavori più pesanti.

Nel tempo che trascorre in laboratorio, Levi cerca di trovare qualcosa di piccolo e d’insolito, quindi con un alto valore commerciale nell’economia parallela del lager.

Trova in un cassetto delle pipette; e ne ruba alcune. La sera stessa si reca in infermeria in cerca di un infermiere polacco al quale propone l’insolita refurtiva. Ma il baratto pipette in cambio di pane; non riesce. Ormai è tardi, l’unica cosa che l’infermiere può offrire è un po’ di zuppa.

Levi accetta ma non può fare a meno di pensare:

«Chi poteva aver avanzato mezza scodella di zuppa in quel regno della fame? Quasi certamente un ammalato grave, e, dato il luogo, anche contagioso».

 Nonostante queste considerazioni, nell’ambiente del  Lager era ritenuto inaccettabile avanzare qualcosa di commestibile; e, viste le terribili condizioni, anche fisicamente impossibile.

Levi la sera stessa divide la zuppa con il suo inseparabile amico Alberto. E qui il caso già interviene in maniera evidente nel destino dei due. Si saprà poi che la zuppa era quella che un ammalto di scarlattina aveva avanzato. Alberto aveva già contratto la malattia, Levi no. Il primo era immune, Levi no.

Pochi giorni dopo i sintomi della scarlattina si manifestano. Febbre alta e mal di gola, ma era permesso andare in infermeria solo la sera, al termine del lavoro.

Proprio quel giorno Levi viene incaricato di insegnare un metodo analitico a Frau Drechscel, un’adolescente tedesca , che Levi descrive così.

“La Drechschel era una tedescotta adolescente sgraziate e torva. Per lo più evitava di rivolgere lo sguardo su noi tre chimici-schiavi: quando lo faceva, i suoi occhi smorti esprimevano un’ostilità  vaga, fatta di diffidenza, imbarazzo, repulsione e paura.

Lo scrittore diffida di lei perché sa che è amica del giovanissimo SS incaricato di sorvegliare quel reparto; e prova istintiva antipatia.  L’unica delle persone che lavorano in quel laboratorio che porta appuntato sul camice il distintivo con la croce uncinata.

Per la prima volta nella sua vita, come lui stesso ammette e scrive, commette deliberatamente un’ingiustizia. Mostra alla ragazza come utilizzare la pipetta in una fase dell’analisi; e poi la passa a lei, perché aspiri il liquido, cercando di contagiarla. Quasi una guerra batteriologica personale. Non è fuori luogo essere grati oggi ai nuovi sistemi per l’uso delle pipette, decisamente più igienici.

Primo Levi, per aver contratto la scarlattina, fu ricoverato in Ka-Be; e come tutti gli altri ammalati che non potevano camminare o muoversi fu risparmiato dalla marcia della morte. Così iniziò una convivenza con altri uomini, come lui infermi e con un destino comune. Riuscirono a migliorare le loro condizioni di vita, per quanto possibile, mettendo in uso una stufa, riparando una finestra rotta e mangiando patate bollite. Nonostante vivesse a stretto contatto con dei malati, Levi non avrebbe mai pensato di cambiare camera per ridurre il pericolo di ammalarsi. Forse perché il pensiero di morire a causa di malattie non gli faceva più paura, o forse perché la morte per malattia nel lager non era la peggiore che si potesse immaginare.

Alberto Salmoni che non si era ammalto di scarlattina, non sopravvisse alla medesima marcia. Il caso fortuito scelse: Alberto sommerso, Primo salvato.

Elementi della Tavola periodica. Stronzio, Sr (2a parte)

la prima parte di questo è stata pubblicata qui

Ruolo biologico

L’acantharea, un gruppo relativamente grande di protozoi radiolari marini, produce scheletri minerali complessi composti da solfato di stronzio. Nei sistemi biologici, il calcio è sostituito in piccola misura dallo stronzio. Nel corpo umano, la maggior parte dello stronzio assorbito si deposita nelle ossa. Il rapporto tra stronzio e calcio nelle ossa umane è compreso tra 1:1000 e 1:2000, più o meno nello stesso intervallo del siero del sangue.

Il corpo umano assorbe lo stronzio come se fosse il più leggero congenere calcio. Poiché gli elementi sono chimicamente molto simili, gli isotopi stabili non rappresentano una minaccia significativa per la salute. L’essere umano medio ha un’assunzione di circa due milligrammi di stronzio al giorno. Negli adulti, lo stronzio consumato tende ad attaccarsi solo alla superficie delle ossa, ma nei bambini può sostituire il calcio nelle ossa in crescita e quindi portare a problemi di crescita ossea.

L’emivita biologica nell’uomo è stata variamente riportata da 14 a 600 giorni, 1.000 giorni, 18 anni, 30 anni e, a un limite superiore, 49 anni.  Le cifre dell’emivita biologica pubblicate ad ampio raggio sono spiegate dal complesso metabolismo dello stronzio all’interno del corpo. Tuttavia, calcolando la media di tutti i percorsi di escrezione, si stima che l’emivita biologica complessiva sia di circa 18 anni.  La velocità di eliminazione è fortemente influenzata dall’età e dal sesso, a causa delle differenze nel metabolismo osseo.

Il farmaco ranelato di stronzio aiuta la crescita ossea, aumenta la densità ossea e riduce l’incidenza di fratture vertebrali, periferiche e dell’anca.

Figura 5. Ranelato di stronzio

Tuttavia, il ranelato di stronzio aumenta anche il rischio di tromboembolia venosa, embolia polmonare e gravi disturbi cardiovascolari, compreso l’infarto del miocardio. Anche i suoi effetti benefici sono discutibili, poiché la maggiore densità ossea è in parte causata dall’aumentata densità dello stronzio sul calcio che sostituisce. Lo stronzio si bioaccumula anche nel corpo. Nel 2014 la Commissione Europea di Farmacovigilanza (PRAC) ha imposto restrizioni sull’uso del ranelato di stronzio, ciononostante lo stronzio è ancora contenuto in alcuni integratori.

Non ci sono molte prove scientifiche sui rischi del cloruro di stronzio se assunto per via orale. Alle persone con una storia personale o familiare di disturbi della coagulazione del sangue si consiglia di evitarne l’assunzione.

È stato dimostrato che lo stronzio inibisce l’irritazione sensoriale quando applicato localmente sulla pelle. Applicato topicamente, lo stronzio ha dimostrato di accelerare il tasso di recupero della barriera di permeabilità epidermica (barriera cutanea).

Riciclaggio

Nel 2017 un gruppo di ricercatori spagnoli, coordinati dal prof. Alberto Bolero, ha studiato la possibilità di riciclare, anziché gettare in discarica, i residui di ferriti contenenti stronzio per materiali usati nella fabbricazione di magneti permanenti. Il loro approccio si è dimostrato efficiente, risultando in polveri riciclate con proprietà magnetiche che non solo corrispondono a quelle del materiale di partenza acquisito dall’azienda per la produzione di magneti ma le superano.

È stato dimostrato che questo miglioramento è dovuto alla messa a punto della morfologia e della microstruttura attraverso la lavorazione e il successivo trattamento termico. L’utilizzo di condizioni di lavorazione nella stessa gamma di quelle tipicamente utilizzate nella preparazione di polveri di ferrite e magneti, in combinazione con la qualità magnetica superiore delle polveri risultanti, fanno di questo metodo un percorso idoneo a garantire la sostenibilità e un uso efficiente delle risorse in aziende per magneti permanenti [1].

Figura 6.  Schema del processo di riciclaggio delle ferriti allo stronzio

Recentemente un gruppo di ricercatori cinesi, coordinati dai prof. Suiyi Zhu e Yang Huo, ha proposto un metodo per riciclare stronzianite ed ematite da fanghi contenenti stronzio [2]. Lo schema del processo è mostrato in figura 7.

Figura 7.  Schema del metodo ideato dai ricercatori cinesi [2]

I fanghi da trasporto contenenti Sr sono rifiuti pericolosi comunemente generati dalle operazioni di raffinazione dei minerali e dalle centrali nucleari. Nel lavoro, il fango contenente Sr è stato simulato e quindi riciclato in modo pulito in stronzianite di elevata purezza con nanoparticelle di ematite come sottoprodotto tramite un nuovo percorso di precipitazione dell’ematite.

Ciclo biogeochimico

Il ciclo biogeochimico dello stronzio è stato studiato fin dagli ultimi anni ’40 del secolo scorso da Howard T. Odum all’Università di Yale (USA). Karin E. Limburg ha pubblicato, nel 2004, una review dei suoi lavori [3], includendo uno schema dei flussi, del 1951, che viene riproposto in figura 8.

Figura Ciclo biogeochimico dello stronzio nel 1951 [3]

Più recentemente, Antoine Boyer ha pubblicato il seguente schema del ciclo biogeochimico dello stronzio [4]:

Figura Schema del ciclo biogeochimico di A. Boyer

Per leggere i riquadri fare click sul link nel rif. [4].

Opere consultate

Handbook of Chemistry and Physics 85o Ed. p. 4, 29-30

https://en.wikipedia.org/wiki/Strontium

Bibliografia

[1] A. Bollero et al., Recycling of Strontium Ferrite Waste in a Permanent Magnet Manufacturing Plant., ACS Sustainable Chem. Eng. 2017, 5, 3243–3249.

[2] R. Bian et al., Recycling of High-Purity Strontianite and Hematite from Strontium-Bearing Sludge., ACS Omega, 2020, 5, 14078–14085.

[3] K.E. Limburg, The Biogeochemistry of Strontium: a review of H.T. Odum’s contributions., Ecological Modelling, 2004, 178, 31–33.

[4] A. Boyer, Strontium Cycle, 29 ottobre 2015, https://prezi.com/f5u0jzfjhkqc/strontium-cycle/

Impegno scientifico e sociale. Uscire dalla “torre d’avorio”. Aprire la finestra sul mondo

Vincenzo Balzani

Quando si riceve un riconoscimento, si è sempre contenti. In questo caso, lo sono in modo particolare perché è un premio che viene dall’Unesco e la motivazione stabilisce che viene assegnato in riconoscimento dei risultati raggiunti nelle scienze chimiche e dell’impegno per promuovere la collaborazione internazionale, la cultura scientifica e la necessità di uno sviluppo sostenibile.

È un premio che, anzitutto, riconosce il lavoro scientifico compiuto dal nostro gruppo di ricerca nei settori della fotochimica, chimica supramolecolare, nanotecnologia e conversione della energia solare in energia chimica. Si tratta di studi che abbiamo svolto collaborando con scienziati di molti paesi: Stati Uniti, Cina, Francia, Germania Svizzera e altre nazioni europee compresa la Russia, che è particolarmente coinvolta perché questo premio porta il nome di Dimitri Mendeleev, il chimico che ha inventato la Tavola Periodica, documento basilare della chimica moderna, come sanno tutti coloro che hanno frequentato un corso di chimica.

Fra i risultati scientifici che abbiamo ottenuto ricordo quelli che ci hanno portato a formulare un primo approccio integrato alla scissione dell’acqua in idrogeno ed ossigeno mediante l’azione della luce solare, processo che oggi viene condotto facendo l’elettrolisi dell’acqua mediante l’energia elettrica fornita dai pannelli fotovoltaici. Sviluppando e combinando assieme i concetti della fotochimica e quelli della chimica supramolecolare abbiamo creato congegni a livello molecolare capaci di trasmettere e elaborare informazioni (fili, interruttori, antenne, memorie, porte logiche, encoder, decoder) e sistemi supramolecolari che sotto l’azione della luce possono svolgere funzioni di tipo meccanico (pistone/cilindro, anelli rotanti, navetta, ascensore, scatole apribili). Sono le cosiddette “macchine molecolari” descritte in diversi nostri libri tradotti anche in cinese e giapponese e premiate nel 2016 con il conferimento del premio Nobel in Chimica a tre scienziati, con due dei quali abbiamo avuto una forte ed intensa collaborazione.

Mi sono interessato alla relazione fra scienza e pace, inserendo specificamente questo argomento nei programmi degli insegnamenti universitari di cui sono stato titolare e in un corso intitolato Scienza e Società, aperto anche alla cittadinanza. Da una ventina d’anni tengo sistematicamente seminari nelle scuole primarie e secondarie e, assieme a una ventina di colleghi dell’università di Bologna, ho costituito il gruppo energiaperlitalia con lo scopo di stabilire un dialogo aperto e costruttivo fra scienza e politica, sia a livello locale che nazionale, affinché venga riconosciuta l’urgenza della transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili e l’assurdità di una crescita economica che ignori i limiti fisici del pianeta Terra.

Elementi della Tavola periodica. Stronzio, Sr (1a parte)

Rinaldo Cervellati

Lo stronzio (simbolo Sr) è l’elemento n. 38 della Tavola Periodica, posto al 2° gruppo, 5° periodo sotto il calcio, sopra al bario, a sinistra del rubidio. È un metallo alcalino terroso, morbido, di colore bianco-argento giallastro, altamente chimicamente reattivo. Fra gli elementi è al 15° posto come abbondanza, stimata in 360 ppm nella crosta terrestre.

Lo stronzio prende il nome dal villaggio scozzese di Strontian (gaelico Sròn an t-Sìthein), dove fu scoperto nei minerali delle miniere di piombo. Nel 1790, Adair Crawford (1748-1795), un medico e chimico impegnato nella preparazione del bario, e il suo collega William Cruickshank (?-1810/11), chirurgo militare e chimico, riconobbero che i minerali strontiani mostravano proprietà che differivano da quelle di altre fonti “pesanti”.  Ciò permise a Crawford di concludere: “… è probabile infatti che il minerale scozzese sia una nuova specie di terra che non è stata finora sufficientemente esaminata”. Il medico e collezionista di minerali tedesco Friedrich Gabriel Sulzer (1749-1830) analizzò insieme a Johann Friedrich Blumenbach (1742-1840) il minerale di Strontian e lo chiamò stronzianite. Giunse anche alla conclusione che era distinto dalla witherite e conteneva una nuova terra (neue Grunderde).  Nel 1793 Thomas Charles Hope (1766-1844), professore di chimica presso l’Università di Glasgow, studiò il minerale e propose il nome stronzite. Confermò il precedente lavoro di Crawford e raccontò: “…Considerandolo una terra particolare, ho ritenuto necessario dargli un nome. L’ho chiamato Stronzite, dal luogo in cui è stato trovato; un modo di derivazione secondo me, pienamente appropriato come qualsiasi qualità che possa possedere, che è la moda attuale”. L’elemento fu infine isolato da Sir Humphry Davy nel 1808 mediante l’elettrolisi di una miscela contenente cloruro di stronzio e ossido di mercurio, e da lui annunciato in una conferenza alla Royal Society il 30 giugno 1808. In linea con la denominazione delle altre terre alcaline, ha cambiato il nome in strontium (stronzio).

Sir Humphry Davy

Caratteristiche fisiche

Lo stronzio è un metallo bivalente argenteo con colore giallo pallido le cui proprietà sono per lo più intermedie e simili a quelle del suo gruppo, essendo vicino al calcio e al bario. È più morbido del calcio e più duro del bario (figura 1).

Figura 1. Campione di stronzio metallico

I suoi punti di fusione (777 ° C) e di ebollizione (1377 °C) sono inferiori a quelli del calcio (842 °C e 1484 °C rispettivamente); il bario continua questa tendenza al ribasso nel punto di fusione (727 °C), ma non nel punto di ebollizione (1900 °C). La densità dello stronzio (2,64 g/cm3) è analogamente intermedia tra quelle del calcio (1,54 g/cm3) e del bario (3,594 g/cm3). Esistono tre allotropi di stronzio metallico, con punti di transizione a 235 e 540 ° C.

Lo stronzio naturale è una miscela di quattro isotopi stabili: 84Sr, 86Sr, 87Sr e 88Sr. La loro abbondanza aumenta con l’aumentare del numero di massa e il più pesante, 88Sr, costituisce circa l’82,6% di tutto lo stronzio naturale, sebbene vari a causa della produzione di 87Sr radiogenico come figlio del 87Rb a decadimento beta longevo.  Sono noti diversi isotopi artificiali. Di particolare rilievo sono 89Sr e 90Sr. Il primo ha un’emivita di 50,6 giorni ed è usato per trattare il cancro alle ossa a causa della somiglianza chimica dello stronzio al calcio e quindi della sua capacità di sostituirlo. Mentre 90Sr (emivita 28,90 anni), che è stato utilizzato in modo simile, è anche un isotopo preoccupante per la ricaduta in armi nucleari e incidenti nucleari a causa della sua produzione come prodotto di fissione.

Proprietà chimiche e composti

Il potenziale dell’elettrodo standard per la coppia Sr2+/Sr è −2,89 V, circa a metà strada tra quelli delle coppie Ca2+/Ca (−2,84 V) e Ba2+/Ba (−2,92 V), e vicino a quelli dei metalli alcalini. Lo stronzio è intermedio tra il calcio e il bario nella sua reattività verso l’acqua, con la quale reagisce al contatto per produrre idrossido di stronzio e idrogeno gassoso. Il metallo di stronzio brucia nell’aria per produrre sia ossido di stronzio sia nitruro di stronzio, ma poiché non reagisce con l’azoto sotto i 380 °C, a temperatura ambiente forma spontaneamente solo l’ossido. Oltre al semplice ossido SrO, il perossido SrO2 può essere prodotto per ossidazione diretta dello stronzio metallico sotto un’alta pressione di ossigeno. L’idrossido di stronzio, Sr(OH)2, è una base forte, sebbene non come gli idrossidi del bario o i metalli alcalini. Si conoscono tutti e quattro i dialogenuri dello stronzio.

A causa delle grandi dimensioni degli elementi pesanti del blocco s, compreso lo stronzio, è nota una vasta gamma di numeri di coordinazione, da 2, 3 o 4 fino a 22 o 24 in SrCd11 e SrZn13. Lo ione Sr2+ è abbastanza grande, quindi i numeri di coordinazione elevati sono la regola. Le grandi dimensioni di stronzio e bario svolgono un ruolo significativo nello stabilizzare i complessi di stronzio con ligandi macrociclici polidentati come gli eteri corona: ad esempio, mentre 18-corona-6 forma complessi relativamente deboli con calcio e metalli alcalini, i suoi complessi di stronzio e bario sono molto più forti.

I composti organostronzio contengono uno o più legami stronzio-carbonio. Sono stati segnalati come intermedi nelle reazioni di tipo Barbier[1]. Sebbene lo stronzio appartenga allo stesso gruppo del magnesio e i composti di organomagnesio siano comunemente usati in tutta la chimica, i composti di organostronzio non sono altrettanto diffusi perché sono più difficili da produrre e più reattivi. Ad esempio, lo stronzio diciclopentadienile, Sr(C5H5)2, deve essere prodotto facendo reagire direttamente lo stronzio metallico con il ciclopentadiene in presenza di  mercurocene; la sostituzione del ligando C5H5 con il più voluminoso ligando C5(CH3)5 d’altra parte aumenta la solubilità, la volatilità e la stabilità cinetica del composto.

A causa della sua estrema reattività con l’ossigeno e l’acqua, lo stronzio si trova naturalmente solo nei composti con altri elementi, come nei minerali stronzianite e celestino.

È tenuto sotto un idrocarburo liquido come olio minerale o cherosene per prevenire l’ossidazione. Lo stronzio metallico appena esposto all’aria assume rapidamente un colore giallastro per la formazione dell’ossido; finemente polverizzato è piroforico, il che significa che si accenderà spontaneamente nell’aria a temperatura ambiente. I sali volatili di stronzio conferiscono un colore rosso vivo alle fiamme, quindi questi sali sono usati nella pirotecnica e nei combustibili per razzi.

Disponibilità e produzione

Lo stronzio in combinazione è molto comune in natura, essendo il quindicesimo elemento più abbondante sulla Terra (il suo più pesante congenere, il bario, è 14°) e si trova principalmente nei minerali celestina (solfato di stronzio, SrSO4) e stronzianite (carbonato di stronzio, SrCO3), (figura 2). Dei due, il celestino si trova molto più frequentemente in depositi di dimensioni sufficienti per l’estrazione mineraria.

Figura 2. Celestina (sopra), stronzianite (sotto)

Poiché lo stronzio è usato più spesso sotto forma di carbonato, la stronzianite sarebbe il più utile dei due minerali comuni, ma sono stati scoperti pochi depositi adatti allo sviluppo.  A causa del modo in cui reagisce con l’aria e l’acqua, lo stronzio esiste in natura solo se combinato per formare minerali.

Nelle acque sotterranee si comporta chimicamente in modo molto simile al calcio. A pH da intermedio ad acido, Sr2+ è la specie di stronzio dominante. In presenza di ioni calcio forma comunemente coprecipitati con minerali di calcio come calcite e anidrite ad un elevato pH. A pH da intermedio ad acido, lo stronzio disciolto si lega alle particelle del suolo mediante scambio cationico.

Il contenuto medio di stronzio nell’acqua dell’oceano è di 8 mg/L. A una concentrazione compresa tra 82 e 90 µmol/ L è notevolmente inferiore a quella del calcio, che normalmente è compresa tra 9,6 e 11,6 mmol/L. Tuttavia è molto più alta di quella del bario, 13 μg/L.

I tre maggiori produttori di celestina nel 2015 sono stati Cina (150.000 t), Spagna (90.000 t) e Messico (70.000 t); Argentina (10.000 t) e Marocco (2.500 t) sono produttori minori (figura 3). Sebbene i depositi di stronzio siano ampiamente presenti negli Stati Uniti, non sono stati estratti dal 1959.

Figura 3. Produttori mondiali di celestina (2014)

Una grande percentuale della celestina estratta (SrSO4) è convertita in carbonato mediante due processi. O la celestina viene lisciviata direttamente con una soluzione di carbonato di sodio oppure viene arrostita con carbone per formare il solfuro. Il secondo processo forma un materiale di colore scuro contenente principalmente solfuro di stronzio. Questa cosiddetta “cenere nera” è sciolta in acqua e filtrata. Il carbonato di stronzio viene precipitato dalla soluzione di solfuro di stronzio mediante l’introduzione di anidride carbonica. Il solfato viene ridotto a solfuro dalla riduzione carbotermica:

SrSO4 + 2C → SrS + 2CO2

Ogni anno circa 300.000 tonnellate vengono trattate in questo modo.

Il metallo viene prodotto commercialmente riducendo l’ossido di stronzio con alluminio. Lo stronzio viene distillato dalla miscela. Lo stronzio metallico può anche essere preparato su piccola scala mediante elettrolisi di una soluzione di cloruro di stronzio in cloruro di potassio fuso:

Sr2+ + 2e → Sr; 2Cl → Cl2 + 2e

Applicazioni

L’uso principale dello stronzio è stato nel vetro dei tubi catodici della televisione a colori (CRT), per impedire l’emissione di raggi X. Questa applicazione non è più in uso perché oggi i CRT sono sostituiti da altri tipi di display. Questo declino ha un’influenza significativa sull’estrazione e la raffinazione dello stronzio. 

Lo stronzio è oggi usato, in combinazione con la ferrite, per la fabbricazione di magneti permanenti.

Poiché è così simile al calcio, è assorbito nelle ossa. Tutti e quattro gli isotopi stabili sono incorporati, più o meno nelle stesse proporzioni in cui si trovano in natura. Tuttavia, la distribuzione effettiva degli isotopi tende a variare notevolmente da una posizione geografica all’altra. Pertanto, l’analisi delle ossa di un individuo può aiutare a determinare la regione da cui proviene. Questo approccio aiuta a identificare gli antichi modelli di migrazione e l’origine dei resti umani mescolati nei luoghi di sepoltura dei campi di battaglia.

I rapporti isotopici 87Sr/86Sr sono comunemente usati per determinare le probabili aree di provenienza dei sedimenti nei sistemi naturali, specialmente negli ambienti marini e fluviali. È stato mostrato che i sedimenti superficiali dell’Atlantico mostravano rapporti 87Sr/86Sr che potevano essere considerati come medie in massa dei rapporti 87Sr/86Sr dei terreni geologici da masse continentali adiacenti. Un buon esempio di un sistema fluviale-marino cui sono stati impiegati con successo studi sulla provenienza degli isotopi Sr è il sistema fiume Nilo-Mediterraneo.  A causa delle diverse età delle rocce che costituiscono la maggior parte del Nilo Blu e Bianco, i bacini idrografici della mutevole provenienza dei sedimenti che raggiungono il delta del fiume Nilo e il Mar Mediterraneo orientale possono essere individuati attraverso studi isotopici dello stronzio.

Più recentemente, i rapporti 87Sr/86Sr sono stati utilizzati anche per determinare la fonte di antichi materiali archeologici come legname e mais nel Chaco Canyon, New Mexico. I rapporti 87Sr/86Sr nei denti possono essere usati per monitorare le migrazioni degli animali.

L’alluminato di stronzio è spesso usato nei giocattoli che si illuminano al buio, poiché è chimicamente e biologicamente inerte.

Il carbonato di stronzio e altri suoi sali sono aggiunti ai fuochi d’artificio per conferire loro un colore rosso intenso. Questo stesso effetto identifica i cationi di stronzio nel test alla fiamma (figura 4). I fuochi d’artificio consumano circa il 5% della produzione mondiale.

Figura 4. Saggio alla fiamma per Sr.

Il cloruro di stronzio è talvolta utilizzato nei dentifrici per denti sensibili. Un popolare marchio include il 10% in peso di cloruro di stronzio esaidrato totale.

Piccole quantità sono utilizzate nella raffinazione dello zinco per rimuovere le impurità di piombo. Il metallo stesso ha un uso limitato come assorbente per rimuovere i gas indesiderati nel vuoto reagendo con essi, sebbene anche il bario possa essere utilizzato per questo scopo.

La transizione ottica ultra-stretta tra lo stato fondamentale elettronico [Kr]5s2 1S0 e lo stato eccitato metastabile [Kr]5s5p 3P0 di 87Sr è uno dei principali candidati per la futura ridefinizione dell’unità di tempo (secondo) in termini di transizione ottica, in contrasto con l’attuale definizione derivata da una transizione a microonde tra diversi stati fondamentali iperfini del 133Cs. Gli attuali orologi atomici ottici che operano su questa transizione superano già la precisione e l’accuratezza dell’attuale definizione del secondo.

L’isotopo radioattivo 89Sr è il principio attivo del Metastron, un radiofarmaco utilizzato per il dolore secondario del cancro osseo metastatico. Lo stronzio viene elaborato come il calcio dall’organismo, incorporandolo preferenzialmente nell’osso nei siti di maggiore osteogenesi. Questa localizzazione concentra l’esposizione alle radiazioni sulla lesione cancerosa.

L’isotopo 90Sr è stato utilizzato come fonte di alimentazione per generatori termoelettrici a radioisotopi (RTG). 90Sr produce circa 0,93 watt di calore per grammo, ha un terzo della durata e una densità inferiore a 238Pu, un altro carburante RTG. Il vantaggio principale di 90Sr è che è più economico di 238Pu e si trova nei rifiuti nucleari.

(continua)

Opere consultate

Handbook of Chemistry and Physics 85o Ed. p. 4, 29-30

https://en.wikipedia.org/wiki/Strontium


[1] La reazione di Barbier (chimico francese, 1848-1922) è una reazione organometallica tra un alogenuro alchilico, un gruppo carbonilico e un metallo. La reazione può essere eseguita utilizzando diversi metalli o loro sali. Il prodotto di reazione è un alcol primario, secondario o terziario. La reazione è simile alla reazione di Grignard ma la differenza cruciale è che la specie organometallica nella reazione di Barbier viene generata in situ, mentre un reagente di Grignard viene preparato separatamente.

Facciamo Rete per la Cultura Chimica

Giovanni VIllani

Il Progetto SCI “La Chimica: dalla scuola alla vita quotidiana”.

giovanni.villani@cnr.it

L’immagine della rete è ormai ampiamente utilizzata per la sua intrinseca forza visiva. Dall’iniziale rete materiale per pescare, si è passati ormai ad associare al termine “rete” delle cose molto più astratte, fino a Internet, la “rete delle reti”.

La rete è l’immagine metaforica di un approccio che, lasciando autonomia ai nodi, poi li metta in relazione, li connetta. La rete è intrinsecamente “democratica”, non c’è gerarchia, tutti i nodi sono sullo stesso piano, non ci sono capi. La rete connette superando i confini fisici, non riconosce differenze se non internamente ad essa. La reta dà valore alle relazioni: essa è tanto più robusta quanto più numerose sono le interconnessioni. Da supporter del calcio, mi piace ricordare che “fare rete” può anche significare “raggiungere un fine, una meta”, fare goal.

Qui noi, tuttavia, non vogliamo parlare né di Internet né di calcio, ma della cultura chimica e della necessità di costruire per essa una rete, uno stabile insieme di nodi, distribuiti spazialmente, autonomi ma connessi. Vediamo la necessità di una vera e propria Rete per la Cultura Chimica (RCC) e vorremmo provare a costruirla partendo da una bella occasione offertaci dal Bando 2020 per la Diffusione della Cultura Scientifica del MIUR.

Come ben saprete, con periodicità non facilmente decifrabile, il MIUR emana tali tipi di bandi. Alla fine dell’anno scorso, venuto a conoscenza di un Bando, mi sono attivato perché la Società Chimica Italiana ci provasse. Era un bando annuale per progetti fino a 100000 euro, finanziati all’80%.

Dopo aver trovato ampia disponibilità da parte del nostro Presidente, ho scritto da Referente per la SCI un progetto dal titolo “La Chimica: dalla scuola alla vita quotidiana”, articolato nelle tre seguenti azioni.

(a) Costruire una rete di divulgazione chimica, individuando in ogni regione italiana un nodo e collegandoli tra di loro; ogni nodo dovrebbe essere parte attiva in iniziative culturali sulla chimica e utile nel riproiettare sul territorio tali iniziative. In ogni nodo deve essere presente una scuola che faccia da capofila per l’essenziale componente scolastica.

(b) Dotare tale rete di una sua specifica piattaforma informatica che consenta di diffondere e pubblicizzare le iniziative dei singoli nodi e creare ulteriori rapporti con simili reti di altre discipline. Tale piattaforma, inoltre, consentirebbe la propagazione nel tempo di tale progetto.

(c) Creare un’iniziativa nazionale che riassuma e valorizzi le iniziative locali e che sia sufficientemente grande da dare visibilità alla cultura chimica sui media.

Sorprendentemente, il progetto è stato finanziato con il massimo possibile: 80000 euro.

Nei prossimi giorni il Progetto dovrà essere dettagliato. Proprio nella logica della rete, si accettano candidature e autocandidature.

Lasciatemi finire questo articoletto di informazione in una prospettiva più vasta e allo stesso tempo personale (della qualcosa mi scuso in anticipo). Entro dicembre ci sarà l’elezione del Presidente della Società Chimica Italiana per il triennio 2023-2025 e io sono uno dei due candidati. Io voglio incentrare il mio Programma proprio sulla Cultura Chimica e sulla necessità di creare per essa una stabile e diffusa Rete.

La SCI è la più antica società scientifica disciplinare. Nonostante la nostra storia e il nostro costante impegno, tuttavia, non possiamo dire che la Chimica goda di una bella immagine “pubblica”. Certamente la disciplina Chimica è insegnata a quasi tutti gli studenti delle Scuole Secondarie; certamente sono tanti gli indirizzi universitari che prevedono uno o più esami di Chimica. Nonostante ciò, tuttavia, non è difficile trovare ogni giorno sui media chi parla male della Chimica. Sarebbe bello pensare che sono “chiacchiere al vento” che non ci porteranno problemi, ma temo che questo non sia vero. Anche l’esempio dell’attuale pandemia, ci dovrebbe far riflettere su tutto il lavoro che deve essere fatto, a monte non nell’emergenza, per una corretta diffusione della cultura chimica, in particolare, e scientifica in generale.

Non facciamoci illusioni. Il lavoro giornaliero di diffondere una corretta idea della Chimica, dei sui concetti e delle sue applicazioni, delle sue interazioni con le altre discipline e delle sue problematiche culturali ed etiche va esplicato principalmente nelle Scuole e nelle Università. È per questo che la Divisione di Didattica lavora da sempre insieme a Scuole ed Università. Se questo lavoro non funzionasse, infatti, non ci potrebbe essere a valle nessuna altra istituzione in grado di intervenire. Rattoppare ad un abito mal confezionato, infatti, non ha mai risolto i problemi.

Nella nostra comunità non è mai mancato l’impegno e la consapevolezza sul problema dell’immagine negativa della Chimica nella società, ma, da persone di scienza, abbiamo troppo a lungo pensato che tale problema si risolvesse da solo perché non aveva nessuna consistenza razionale. Va preso atto che non è così e bisogna intensificare gli sforzi e indirizzare risorse, mentali e materiali, per operare in questa direzione. Io credo che su queste problematiche la Società Chimica Italiana debba impegnarsi in un forte e attivo lavoro.

La SCI ha un’articolazione territoriale in Sezioni regionali, prova del radicamento ubiquitario della nostra comunità. Queste Sezioni vanno coinvolte nella RCC che verrà costruita nell’ambito del progetto. Esistono, poi, all’interno della SCI altre articolazioni non rivolte a specifici settori chimici: la Divisione di Didattica (l’unica Divisione non tematica), il Gruppo per la Diffusione della Cultura Chimica, il Gruppo Giovani e quello Senior. Io credo che tutte queste articolazioni debbano essere parte attiva, oggi, nella formazioni della RCC e, domani, nel tenerla viva.

Assodato questo, noi chimici che lavoriamo con la Chimica nelle differenti professioni (siano esse la ricerca, l’industria o i servizi) non possiamo esimerci da un lavoro attivo, distribuito ma coordinato, sulla diffusione della cultura chimica e tale compito di coordinamento può farlo solamente la Società Chimica Italiana. A tale compito va affiancato per la SCI un forte impegno nell’elaborazione di idee generali, di progetti culturali nazionali come, per esempio, la rete dei musei di Chimica. È solo così che possiamo dire di aver fatto tutto il possibile per una corretta percezione della Chimica nella società.

Zanzare e chimica

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Un dibattito recente fra classi di pensiero ha riguardato gli strumenti a disposizione dell’uomo per contrastare le invasioni da parte di insetti: come stabilire il rapporto fra vantaggi per la salute e danni all’ambiente quando si interviene con prodotti chImici aggressivi?

Tale dibattito in un certo periodo é stato particolarmente vivo nel.nostro Paese con riferimento alla lotta contro le zanzare. Un recente saggio dello storico canadese Winegard

Zanzare. Il più¹ micidiale predatore della storia dell’umanità

si schiera decisamente in.questa dialettica definendo la zanzara il più micidiale predatore dell’umanità.

In effetti però a volte questo predatore si è rivelato un alleato prezioso come per Napoleone per distruggere i sudditi di sua maestà la Regina di Inghilterra o come per gli Inglesi nel contrastare la lotta per l’indipendenza della Scozia o per gli Americani contro gli Inglesi durante la guerra di indipendenza o ancora per i Papi fungendo da bastione per proteggerli da possibili invasori della Stato Pontificio. Generalmente però la zanzara è sempre stata vista come un pericolo per l’uomo. Di recente anche sulla morte di Dante è sorta l’ipotesi che a procurarla sia stata la puntura di una zanzara. I crociati a causa della zanzara non riuscirono a conquistare Gerusalemme durante la terza spedizione ed analogamente fallì la colonializzazione dei Caraibi da parte degli Inglesi. Nel saggio Winegard osserva che la scienza che ha vinto tante battaglie ha perso o sta perdendo quella con la zanzara: non si trovano nuovi ritrovati efficaci tanto che nel 2018 a causa della sua puntura sono morte quasi 1 milione di persone e che un recente monitoraggio ha evidenziato che le popolazioni di zanzare sul nostro territorio godono di ottima salute. La chimica da sempre è stata chiamata in causa contro le zanzare, ma poi le azioni richieste a difesa, si sono spesso trasformate in occasioni di accuse contro la Chimica per i “veleni” diffusi. Il metodo più efficace per tenere le zanzare lontane è applicare un repellente sulla pelle o sui vestiti, se sono coprenti. Il repellente più potente contro le zanzare, anche se non l’unico efficace, è la dietiltoluamide (DEET), una sostanza chimica sviluppata dall’esercito statunitense durante la Seconda guerra mondiale e derivata dall’agricoltura, usata per tenere lontani i parassiti. Non va confusa con il DDT.

La DEET è usata in ambito civile dalla fine degli anni Cinquanta ed è ritenuta da molte ricerche scientifiche la sostanza più adatta contro le zanzare. Inizialmente si pensava che la DEET mascherasse gli odori prodotti dall’organismo impedendo quindi ai recettori delle zanzare di perceperli, ma studi più recenti hanno dimostrato che è proprio l’odore della DEET a infastidire le zanzare e ad allontanarle. Non protegge solo dalle zanzare: può essere usato anche contro mosche, pulci e zecche. La concentrazione di DEET nel repellente varia da 5 per cento (un’ora e mezza di protezione) a 100 per cento (10 ore di protezione). Queste poche notizie ci fanno capire che un fondo di verità sui dubbi circa il rapporto danno/beneficio in fondo c’è. Forse la risposta sta -come spesso avviene – nell’equilibrio gestionale di certi strumenti e di esempi, ben oltre le zanzare, se ne possono fare molti: dalle diete alimentari all’isolamento termico,dalla depurazione dell’acqua all’uso dei fitofarmaci, dalla fertilizzazione alla nutraceutica.

Il Premio Nobel 2021 per la chimica a due chimici organici

Rinaldo Cervellati

Sia Chemistry & Engineering news (ACS, USA) sia Nature hanno dato risalto al Premio Nobel per la Chimica 2021 ottenuto da due chimici organici sintetisti, Bemjamin List[1] e David William Cross MacMillan[2], per la scoperta dell’organocatalisi asimmetrica. L’organocatalisi asimmetrica utilizza piccole molecole organiche come catalizzatori al posto dei catalizzatori tradizionali come enzimi o metalli. Queste molecole sono in grado di catalizzare le reazioni per formare selettivamente un enantiomero di un particolare composto, cioè una versione di due molecole speculari.

Benjamin List (sopra) e David William Cross MacMillan (sotto)

Nel 2000, List e collaboratori hanno utilizzato la L-prolina per catalizzare una reazione aldolica intermolecolare (Figura 1).

Fig. 1.

Sempre nel 2000, MacMillan e collaboratori hanno dimostrato che un imidazolidinone chirale può catalizzare la reazione di Diels-Alder tra aldeidi e dieni α,β-insaturi (Figura 2).

Fig. 2

L’organocatalisi asimmetrica è una tecnica utilizzata e particolarmente importante per il processo di scoperta di farmaci. Le molecole biologicamente attive sono spesso chirali e gli organocatalizzatori forniscono un modo per produrre composti farmacologici candidati in modo rapido ed efficiente.

Il lavoro di MacMillan in questo settore è iniziato con la trasformazione di ammine in ioni di iminio e l’utilizzo degli ioni iminio per catalizzare un gran numero di reazioni organiche, inclusa la reazione iniziale di Diels-Alder. List lavorò presto con il composto chirale L-prolina e lo usò per catalizzare una reazione aldolica intermolecolare.

L’utilizzo di piccole molecole organiche come catalizzatori è simile all’imitazione degli enzimi, afferma David Nicewicz, un chimico organocatalitico dell’Università della Carolina del Nord, che ha lavorato con MacMillan come ricercatore post-dottorato oltre un decennio fa. In questo modo, il lavoro ha davvero attinto ad alcune delle basi chimiche che si possono trovare in natura.

Vy M. Dong, un chimico organico dell’Università della California a Irvine afferma: “Dave e Ben sono stati persone davvero critiche nel portare questo riconoscimento e fare scoperte che mostrano alla gente le cose che potrebbero essere possibili con quest’area di ricerca”.

Il presidente dell’American Chemical Society H. N. Cheng ha detto a C&EN: “Penso che la selezione del comitato Nobel sia una scelta eccellente perché in chimica, come sappiamo, apprezziamo la capacità di trovare nuove soluzioni e nuovi modi di sintesi. L’organocatalisi è un grande progresso e questo è un giusto riconoscimento dei loro contributi”.

Opere consultate

L.K. Boerner, Pioneers of asymmetric organocatalysis win 2021 Nobel Prize in Chemistry, C&EN,  October 6, 2021.

D. Castervecchi, E. Stoye, ‘Elegant’ catalysts that tell left from right scoop chemistry Nobel., Nature, 06 October 2021.


[1] Benjamin List (1968-), noto anche come Ben List, è un chimico organico tedesco, uno dei direttori dell’Istituto Max Planck per la ricerca sul carbonio e professore di chimica organica all’Università di Colonia.

[2] David William Cross MacMillan, (1968-) è un chimico organico scozzese-americano professore di chimica all’Università di Princeton, dove è stato anche presidente del Dipartimento di Chimica dal 2010 al 2015.

Il rapporto corretto dei nutrienti nel fango attivo.

Mauro Icardi

Un rapporto equilibrato dei nutrienti è la condizione necessaria perché i microrganismi che sono presenti nei fiocchi di fango attivo trovino le condizioni adatte per degradare adeguatamente gli inquinanti presenti nelle acque reflue.  In questo caso, i nutrienti più importanti sono il carbonio, l’azoto e il fosforo.

Carbonio

 Il carbonio è l’elemento principale delle sostanze organiche contenute nelle acque reflue. Viene biodegradato dai microrganismi presenti nel fango attivo in condizioni aerobiche nelle vasche areate, (zona di nitrificazione), e nell’ambiente anossico (zona di denitrificazione) . I composti del carbonio vengono utilizzati dai microrganismi per la costruzione delle strutture cellulari specifiche e per la produzione di energia.  I composti del carbonio vengono determinati principalmente attraverso l’analisi dei parametri COD e BOD5.

Il test per la determinazione del BOD5, misura l’ossigeno consumato dai microrganismi mentre ossidano e consumano la materia organica disciolta nelle acque reflue. Il test misura solo la quantità di ossigeno che viene richiesta (assorbita o consumata) dall’acqua di scarico quando viene esposta all’aria o all’ossigeno per un periodo di tempo prolungato. Le sostanze tossiche presenti nelle acque reflue possono inibire o addirittura impedire la crescita batterica, e, quindi la capacità complessiva di ossidazione della materia organica. Quando questo si verifica, il risultato del test del BOD5 è inferiore alla quantità effettiva di materia organica presente. Rimane però uno dei parametri fondamentali per la progettazione e la conduzione degli impianti di depurazione.

Azoto

All’ingresso dell’impianto di depurazione l’azoto è presente come azoto organico (N org) e sotto forma di azoto ammoniacale (NH4-N). Nella fase di ossidazione biologica l’azoto viene convertito in nitrato. La frazione dei composti di azoto che non viene totalmente biodegradata nella fase di ossidazione, viene trasformata in condizioni anossiche, cioè con concentrazione di ossigeno disciolto limitata (circa 0,5 mg/L), in azoto elementare (denitrificazione).  I composti dell’azoto vengono determinati come NH4-N, NO2-N, NO3-N e Azoto totale (N Tot).

Fosforo

Il fosforo nelle acque reflue che vengono convogliate in un impianto di depurazione è presente sotto forma di ortofosfati , polifosfati e composti organici del fosforo. Tutti insieme producono il parametro cumulativo fosforo totale (Ptot). Durante la depurazione biologica delle acque reflue, i polifosfati e il fosforo combinato in modo organico vengono trasformati in ortofosfati. Il fabbisogno di fosforo da parte dei microorganismi è dovuto al particolare ruolo che il fosforo gioca nel loro metabolismo energetico. Il fosforo è necessario per la struttura della membrana cellulare e del DNA. Solo una frazione del fosforo presente nelle acque reflue viene eliminato per via biologica (mediamente circa il 50% della quantità in ingresso). Il rimanente può essere eliminato tramite una precipitazione chimico-fisica che permette di rispettare il valore di parametro previsto prima dello scarico nel corpo idrico ricettore.

Zolfo

Acque di scarico civili, reflue e anche diverse acque di scarico industriali contengono composti ridotti (acido solfidrico, solfuro e tiosolfato). Lo zolfo è un componente indispensabile delle proteine. Negli impianti di depurazione, i composti dello zolfo vengono ossidati a solfati.

(Fiocco di fango attivo caratterizzato da proliferazione di Microtrix parvicella)

Microelementi

Altri microelementi necessari per la struttura cellulare, quali calcio, magnesio, manganese, ferro, rame, zinco, nichel nonché le vitamine sono quasi sempre presenti nelle acque reflue civili. La determinazione di questi parametri avviene tramite spettroscopia di assorbimento atomico, spettrometria di massa a plasma, oppure con l’utilizzo di kit analitici.

Il contenuto dei singoli nutrienti nelle acque reflue deve soddisfare le necessità della biomassa dei fanghi attivi e presentare un rapporto equilibrato di C, N e P. Ciò è determinante per una corretta gestione della fase di ossidazione. Nella depurazione aerobica delle acque reflue, il rapporto C: N: P dovrà essere compreso tra 100:10:1 e 100:5:1. Questo rapporto può variare per diverse ragioni.  La modifica delle attività industriali in un comparto industriale, o all’opposto per la loro riduzione o dismissione.

Le conseguenze dello sbilanciamento dei nutrienti si traducono in un’alterazione nel metabolismo della biomassa che colonizza il fango attivo, provocando il fenomeno conosciuto come bulking (o bulking sludge, cioè rigonfiamento del fango). In sostanza il fiocco di fango attivo osservato al microscopio si presenta poco compatto e rigonfio. Un fango con queste caratteristiche sedimenta con difficolta, può sfuggire facilmente dai sedimentatori secondari, peggiorando in maniera marcata la qualità dell’acqua depurata.

Science of The Total Environment Volume 712, 10 April 2020, 135795

Il ripristino del corretto rapporto di nutrienti può essere effettuato con diversi tipi di interventi tecnici.

Spesso si utilizzano miscele enzimatico batteriche presenti in commercio, ma per esempio nel caso di carenze di carbonio nella fase di denitrificazione si possono utilizzare dosaggi di sostanze economicamente sostenibili come l’acetone, il metanolo o miscele industriali di recupero (verificando con molta attenzione la presenza e la concentrazione di eventuali impurità). Le carenze di azoto e fosforo si possono correggere con sali e soluzioni di uso agronomico (acido fosforico, urea). Poiché i dosaggi non sono facilmente teorizzabili, saranno necessarie prove di laboratorio seguite se possibile da prove su impianto pilota.