A che serve la cultura?

Luigi Campanella, già Presidente SCI

In una recente statistica circa il ritorno in termini di PIL del patrimonio storico artistico è emerso che l’Italia non riesce a raccogliere i frutti economici attesi: con un parco monumenti e siti culturali quasi doppio dell’Inghilterra, in termini di numero di siti UNESCO, riesce ad ottenere un ritorno economico pari a circa la metà degli inglesi, ed anche Spagna, Germania e Francia fanno meglio di noi. La domanda ovvia che ci si pone è allora: dove sta il problema? Perché questo avviene?


La risposta non è semplice in quanto in essa confluiscono aspetti tecnico-scientifici, aspetti di politica del lavoro, aspetti organizzativi e soprattutto incapacità a sfruttare completamente il potenziale culturale a disposizione. Per gli aspetti tecnico scientifici il rilievo principale che si può fare riguarda una certa inerzia del settore dei Beni Culturali rispetto all’applicazione delle innovazioni tecnologiche che pure consentirebbero monitoraggi continui da remoto, anche in situazioni ambientali difficili, che pure eviterebbero con le corrispondenti capacità preventive di cadere in situazioni di urgenza ed emergenza, che pure consentirebbero un maggiore grado di fruibilità e di fruizione dei capolavori esposti. Ma oggi, anche in relazione alla situazione romana di emergenza vorrei parlare delle altre due carenze, le scarse risorse investite nella promozione e l’organizzazione dei grandi eventi e del mercato del lavoro e delle competenze in esso coinvolte. Per quanto riguarda il primo punto fino all’anno scorso Roma spendeva soltanto 1 milione di euro l’anno per attività promozionali. Oggi finalmente quella cifra è stata raddoppiata e, cosa ancora più importante, sono in arrivo risorse per un’app per rilanciare l’immagine della capitale:13 milioni di euro sono stati  erogati attraverso un bando UNESCO Il servizio applicherà le metodologie più avanzate della digitalizzazione: si pensi che un assistente virtuale indicherà ai turisti cosa visitare ed i percorsi per evitare le file. Cambierà anche la segnaletica: non più grigi cartelloni ma paline tecnologiche per illustrare la storia dei monumenti più belli. Arriviamo all’ultimo punto, quello più dolente. Forse anche a causa di ritardi connessi a burocrazia e covid i nostri Musei, a partire da quelli romani, mancano di tecnici e custodi. Il turn over è fermo da anni con il risultato che da Ostia Antica ai Musei Capitolini si registrano chiusure a rotazione per molti siti e sale, con conseguente ridotto ritorno economico. Aree archeologiche vengono chiuse durante la settimana per essere riaperte solo nel week-end ad orari contingentati e rigorosamente su prenotazione. Mancano anche tecnici che possano garantire una manutenzione ordinaria evitando i periodici ricorsi alla straordinaria, più costosa ed anche improgrammabile ed amministrativi che possano espletare le pratiche richieste, a partire da quelle correlate alla sicurezza dei visitatori ed alla protezione delle opere esposte. Conoscendo le mie passioni non vi stupirete se concludo con un memento circa il Museo della Scienza: sembra che i primi passi necessari, una guida scientifica, una programmazione temporale ed economica, una collocazione definita e ragionevole, siano stati compiuti. Purtroppo già in passato situazioni come questa si erano realizzate senza però mai sfociare in passi avanti più concreti, fatta eccezione per un tentativo piano di fattibilità degli anni 80-90. Roma è forse la città al mondo con la maggiore concentrazione di strutture scientifiche, anche predisposte alla diffusione e comunicazione: un Museo della Scienza, ritornando al punto da cui siamo partiti, avrebbe di certo ricadute economiche significative.

Decalogo energetico, climatico, sociale.

Vincenzo Balzani

DECALOGO per le elezioni del 25 settembre 2022

Il gruppo di ricercatori “Energia per l’Italia” (http://www.energiaperlitalia.it/), coordinato dal prof. Vincenzo Balzani, si rivolge alle elettrici e agli elettori, chiamati al voto in un momento critico per il futuro del Paese.
Siamo in una “tempesta perfetta” nella quale le difficoltà sociali ed economiche della pandemia non ancora risolta si sommano all’emergenza climatica e alla crisi energetica, resa ancor più drammatica dalla guerra scatenata dalla Russia nel cuore dell’Europa. In questo momento nel quale le italiane e gli italiani sono ancora preoccupati per la propria salute fisica, ma ancor più per le bollette di gas e luce e per i rincari del cibo, nel quale gli agricoltori vedono sparire i raccolti e le aziende energivore sono costrette a fermare gli impianti, nel quale i giovani vedono sfumare il loro futuro, siamo chiamati a votare avendo ben chiari i programmi dei partiti che si candidano a governare.

La voce dei ricercatori invita pertanto elettori e politica a ragionare su un Decalogo di azioni e proposte.

Quando andrai a votare, considera questi dieci punti

1 TRANSIZIONE ENERGETICA, DALLE FONTI FOSSILI ALL’EFFICIENZA E ALLE FONTI RINNOVABILI

Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente dal 1980 al 2019, a causa degli eventi estremi dovuti alla crisi climatica, l’Italia ha subito perdite economiche stimate in 72,5 miliardi di euro. L’inquinamento è responsabile in Italia di 60mila morti ogni anno. La dipendenza dalle importazioni di gas e petrolio ci espone ai rischi della speculazione dei mercati e ci rende soggetti ai ricatti di regimi autocratici e antidemocratici. La crisi idrica che sta colpendo il Paese mette a rischio dal 30 al 50% della produzione agricola nazionale, penalizza la filiera agroalimentare, a causa dell’aumento generalizzato dei prezzi ed aumenta quindi le diseguaglianze sociali e di genere. È necessario accelerare la transizione dalle fonti fossili ed inquinanti ad un sistema basato sul risparmio energetico, l’efficienza e le fonti rinnovabili. Con queste scelte, dipenderemo meno dalle importazioni di gas e petrolio, avremo rapidamente bollette più basse, benefici ambientali e climatici, e anche una crescita virtuosa degli investimenti e dell’occupazione.

2 DEMOCRAZIA ENERGETICA, ENERGIA COME BENE COMUNE

Il Sole è il più grande “reattore a fusione nucleare” già disponibile per la produzione di energia rinnovabile e fornisce ogni anno 15mila volte l’energia di cui l’umanità necessita. La ricerca scientifica ha sviluppato le tecnologie necessarie a catturare l’energia solare come il fotovoltaico, il solare termico e l’eolico, così come quelle per conservare l’energia in maniera molto efficiente, ad esempio con le batterie al litio e i pompaggi idroelettrici. È necessario che ognuno di noi sia messo nelle condizioni di produrre energia pulita e soprattutto di condividere e scambiare l’energia prodotta attraverso la rete elettrica e il relativo mercato, che devono essere riorganizzati per gestire il 100% di energia elettrica rinnovabile. L’energia deve diventare un bene comune, staccandosi dalla logica dei sistemi centralizzati in cui pochi producono/distribuiscono e tutti consumano la risorsa, se hanno la possibilità di acquistarla. La democrazia energetica si può realizzare attraverso un’economia di condivisione del vettore energetico che alimenta le nostre società e una rete che supporta l’autoconsumo collettivo, attraverso l’indispensabile evoluzione delle comunità energetiche.

3 BASTA CON I SUSSIDI ALLE FONTI FOSSILI

In Italia ogni anno ben 35,5 miliardi di euro di denaro pubblico vanno a sostenere la produzione e l’impiego di fonti fossili. Secondo l’OCSE, questi sussidi gravano in modo importante sui conti pubblici e sulle tasche dei contribuenti, sono dannosi per l’ambiente, socialmente iniqui e inefficienti; l’onere che ne deriva grava sulla fiscalità generale e sottrae risorse che potrebbero essere destinate ad altri finanziamenti di pubblica utilità. Un tale fardello ambientalmente dannoso e socialmente iniquo va rimosso e le risorse economiche così liberate devono essere utilizzate per sostenere la transizione ecologica.

4 L’ENERGIA NUCLEARE NON È LA RISPOSTA GIUSTA ALLA CRISI

Un ritorno al nucleare per supportare la transizione ecologica e combattere il cambiamento climatico, come alcuni politici stanno affermando, è totalmente sbagliato per vari motivi. Non si tratta di una fonte energetica verde perché, se è vero che nelle centrali nucleari viene prodotta elettricità senza generare CO2, a monte se ne genera moltissima per processare il combustibile, per costruire e infine smantellare la centrale; l’uranio non è una fonte energetica rinnovabile e le scorte di combustibile sono limitate; il problema delle scorie non ha ancora una soluzione e sussiste il pericolo di gravi incidenti alle centrali, come Chernobyl e Fukushima dimostrano; la costruzione di una centrale nucleare richiede grandi investimenti e almeno 15 anni per completare i lavori; la dismissione di una centrale è un’impresa ancora più costosa della sua costruzione e produce altre scorie che non sappiamo dove mettere. Nel caso specifico dell’Italia, poi, c’è da considerare che il nostro paese non è adatto al nucleare, essendo un territorio densamente popolato e sismico, che non ha riserve di uranio e, ormai, non ha neanche più le competenze per costruire e gestire una centrale nucleare, cosa che ci renderebbe dipendenti da altre nazioni che hanno uranio e tecnologia.

5 EDIFICI E TRASPORTI EFFICIENTI, SOSTENIBILI E NON INQUINANTI

Gli edifici italiani costruiti durante il boom economico del dopoguerra mostrano gravissimi limiti dal punto di vista energetico, generando alti costi energetici e forti emissioni di CO2 per il riscaldamento e il raffrescamento. Si deve assolutamente rimettere mano alla coibentazione e al miglioramento energetico di tutti gli edifici pubblici e privati

puntando alla sostituzione delle caldaie a gas con efficienti termopompe elettriche, alimentate da fonti rinnovabili. Occorre inoltre un piano straordinario per l’installazione di pannelli solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria.

I trasporti in Italia generano il 25% di tutte le emissioni di gas serra, un fortissimo inquinamento dell’aria e sono quasi del tutto dipendenti dalle importazioni di petrolio. È necessario potenziare i trasporti pubblici locali a trazione elettrica, trasferire quote rilevanti delle merci su treno e vietare la vendita di nuovi motori termici entro una data ravvicinata. È necessario istituire prezzi politici per gli abbonamenti mensili o annuali sull’intera rete del trasporto pubblico, utilizzare solo motori elettrici, estendere i treni veloci sull’intera rete, costruire una rete ciclabile nazionale molto capillare.

6 ATTIVARE SUBITO IL PIANO NAZIONALE DI ADATTAMENTO AL NUOVO CLIMA

Il cambiamento climatico è già in atto e sta creando impatti notevoli su popolazione ed ecosistemi. Bisogna assolutamente ridurre le emissioni di gas serra e quindi l’uso dei combustibili fossili (mitigazione) e allo stesso tempo bisogna agire sugli effetti del nuovo clima con azioni di adattamento, per ridurre i rischi già presenti e quelli futuri, anche maggiori e più frequenti. In Italia esiste una Strategia di Adattamento Nazionale da dieci anni, ma non c’è ancora un Piano Nazionale di Adattamento che selezioni le azioni prioritarie e le metta in atto, al contrario di quanto avviene in tutti i Paesi Europei. È tempo che l’Italia si allinei; siamo già in clamoroso ritardo!

7 FORMAZIONE PER UNA CITTADINANZA CONSAPEVOLE E RICERCA FINALIZZATA A RISOLVERE LE CRISI

Il Paese deve investire in formazione e ricerca, a maggior ragione in un momento di crisi. La formazione è necessaria per avere cittadini e politici consapevoli delle grandi sfide che li attendono, mentre la ricerca è fondamentale per lo sviluppo. Formazione significa fornire agli studenti una preparazione inter- e trans-disciplinare creando lo spirito critico, necessario per muoversi nel mare delle informazioni oggi disponibili, e affrontare il problema della sostenibilità nelle sue tre dimensioni, ambientale, economica e sociale, facendo riferimento all’Agenda 2030. Ricerca significa investire il denaro pubblico avendo sempre in mente il bene sociale. Poiché i finanziamenti, per quanto cospicui, sono sempre limitati, occorre definire le linee di ricerca da potenziare; dovranno essere privilegiate quelle tematiche che ci permettono di trovare possibili soluzioni ai gravi problemi sanitari, ambientali, economici e sociali che caratterizzano la nostra epoca.

8 AGRICOLTURA SOSTENIBILE, CONSERVAZIONE DEL SUOLO E PROTEZIONE DELLE FORESTE

Il clima è cambiato e cambierà ancora; è dunque essenziale un adattamento del sistema agricolo italiano al nuovo clima: diminuzione e compatibilità ambientale delle produzioni animali, oggi eccessive e sostanzialmente insostenibili; potenziamento del settore biologico e delle produzioni locali; drastico abbattimento dei danni arrecati dall’agricoltura industriale ai suoli, alle acque e alla biodiversità; massima integrazione con l’ambiente e le risorse naturali disponibili. Le foreste non vanno tagliate ma protette e devono continuare a crescere e assorbire CO2. Serve un serio impegno per fermare il consumo irreversibile di suolo che si riflette sul dissesto idrogeologico, sul ciclo dell’acqua e indirettamente sul clima. I soldi pubblici che vanno alle imprese agroalimentari devono essere condizionati all’effettivo miglioramento sul fronte ambientale.

9 PROTEGGERE LA SALUTE DALL’INQUINAMENTO DELL’ARIA

La protezione dell’atmosfera deve agire sia sulle emissioni di gas serra, per limitarne gli impatti sul clima, sia sulle emissioni di inquinanti primari e secondari, per minimizzare le concentrazioni di composti insalubri nell’aria che respiriamo. Esempi di inquinanti sono il black carbon e l’ozono a bassa quota, che hanno effetti sulla salute e sul riscaldamento a breve termine del pianeta. In generale, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo rapporto 2021, gli sforzi per migliorare la qualità dell’aria possono ridurre i cambiamenti climatici e gli sforzi per la mitigazione dei cambiamenti climatici possono, a loro volta, migliorare la qualità dell’aria. Diminuendo cioè l’uso dei combustibili fossili si crea un circolo virtuoso che impedisce in Italia e nel mondo milioni di morti premature dovute sia alla cattiva qualità dell’aria che alle conseguenze del cambiamento climatico.

10 PIÙ EQUITÀ SOCIALE IN ITALIA E NEGOZIARE PER LA PACE IN EUROPA

I dati Istat informano che nel 2022 la povertà assoluta ha raggiunto il massimo storico in Italia, con circa 5,6 milioni di poveri. La pandemia COVID-19 e il cambiamento climatico hanno aumentato le disuguaglianze, esacerbando le difficoltà sociali e sanitarie. Per ridurre le disuguaglianze occorre, da un alto, redistribuire il reddito mediante tassazione progressiva più spinta, tetti agli stipendi più elevati, alte tasse di successione e tasse sui patrimoni elevati e, dall’altro, sviluppare e potenziare i servizi e i beni pubblici: sanità, scuola, trasporti, strutture sportive, parchi.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa, ha fatto decine di migliaia di vittime ed è già un conflitto di lunga durata con drammatiche conseguenze. Questa guerra va fermata subito e va cercata una soluzione negoziale; con le principali reti pacifiste e organizzazioni della società civile del nostro paese, raccolte nel cartello Europe for Peace, chiediamo che l’Italia si impegni affinché riprendano i negoziati per un immediato cessate il fuoco.

Ti invitiamo a votare, perché solo così sarai l’artefice del tuo futuro e di quello dei tuoi figli

La prima conferenza non si scorda mai.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Come il primo amore anche la prima conferenza davanti ad un folto pubblico di esperti ed illustri ricercatori non si dimentica mai.

La mia prima è stata dedicata a I PROCESSI NATURALI INDICATORI DELLO STATO DELL’AMBIENTE. Non c’era il powerpoint e si operava con i lucidi. Ne ricordo 3 rispettivamente dedicati all’inaridimento del legno dei tronchi misurabile per gli effetti sulla struttura della cellulosa/lignina con la spettroscopia ir, al colore delle foglie misurabile con la tristimolo-colorimetria, al deserto lichenico misurabile con la misura della perdita di specie licheniche nel tempo.

Si trattava di 3 indicatori dello stato dell’ambiente: come un tronco vivo e vegeto, foglie di un colore verde acceso, accumulo lichenico in natura sono di certo segnali di un ambiente sano, altrettanto lo sono di un ambiente inquinato tronchi secchi e fessurati, foglie di un colore verde ingiallito, assenza di deposizioni licheniche.

Parto da questa considerazione per correlare ad essa un altro processo naturale indicatore di uno stato ambientale particolarmente pericoloso e diffuso nel nostro tempo. Con l’accresciuta siccità e la conseguente riduzione della portata dei fiumi avviene spesso che il mare risalga lungo i loro corsi creando condizioni pericolose di salinità in ambienti il cui carattere naturale non prevede concentrazioni saline comparabili con quelle dei corpi idrici marini. Il risultato può essere la perdita di culture e di diversità biologica e la formazione di depositi e sedimenti dovuti all’effetto della salinità sulla solubilità dei diversi componenti e, peggio, la variazione delle proprietà fisico meccaniche dei suoli. In chimica la presenza di concentrazioni saline significative corrisponde a due effetti diversi e che esercitano azione opposta: l’effetto sale e l’effetto salatura.

Senza entrare nei particolari il primo favorisce la solubilità delle specie ioniche, quindi cariche, il secondo la deprime, minore essendo gli effetti sulle specie non cariche. Proprio dalla differenza di salinità fra l’acqua dei fiumi e quella del mare alla foce dei fiumi si producono i cosiddetti delta provocati dal convogliamento in bacini di acqua relativamente stazionaria di depositi e dall’accumulo di sedimenti terrigeni, o corpo sedimentario.

Da quanto detto si comprende come potrebbe essere importante riferirsi ad un processo naturale come indicatore di uno stato ambientale caratterizzato dalla risalita di acqua salina in ambienti dolci. Per rispondere a questa esigenza ancora una volta la natura ci viene incontro con una pianta la Salicornia (nome che deriva dai termini sale e corno) che vive nelle condizioni di salamoia, quindi spesso presente nelle saline crescendo con efflorescenze a punta di corno e la cui presenza rappresenta quell’indicatore di salinità risalita a cui accennavo.

Si tratta di una pianta che ha anche la proprietà di accumulare sale tanto da meritarsi il nome di sale dei poveri, visti i suoi costi più bassi di quelli del sale vero e proprio, spesso indicato come l’oro bianco. Vive con altre piante alofite con le quali forma i cosiddetti salicornieti destinati a diffondersi, in relazione all’intrusione crescente del cuneo salino nel delta del Po; ecco un altro indicatore prezioso che la natura ci mette a disposizione: sapremo osservarlo?

Tossicità inattese e dialettica della natura.

Claudio Della Volpe

Può una pianta comune, che serve addirittura da cibo per uomini ed animali, diventare mortale?

Il caso delle 50 mucche morte per aver mangiato il sorgo piantato per loro dall’allevatore in Piemonte è un esempio molto interessante della complessità ed ambivalenza dei fenomeni naturali; proviamo ad approfondirlo.

https://torino.corriere.it/cronaca/22_agosto_08/sommariva-bosco-50-mucche-muoiono-pochi-minuti-avvelenate-sorgo-8c9498da-16ed-11ed-b75e-23db5ddc9f20.shtml?refresh_ce

Il sorgo è un cereale tradizionale che ha molte interessanti proprietà, fra le altre una ottima resistenza alla siccità, che probabilmente le deriva dall’essere una pianta C4 (vedi nota), dunque la sua coltivazione potrebbe aiutarci ad affrontare i problemi di adattamento del riscaldamento globale; in modo abbastanza inatteso però delle 160 mucche dell’allevatore cuneese ben 50 sono morte poco dopo aver iniziato a brucare il cereale.

La sostanza responsabile della loro morte è il cianuro, CN, prodotta nei loro stomaci a partire dalla durrina, una molecola che è presente nel sorgo Sorghum bicolor (ed anche in altri vegetali come le mandorle amare o la cassava), un cereale ampiamente usato nell’alimentazione umane ed animale, il quinto in termini di peso consumato nel mondo.

Molecole analoghe potenzialmente mortali sono usate come strumenti di autodifesa da migliaia di tipi di piante. In questo caso le molecole che contengono la funzione -CN sono presenti in speciali comparti a doppia sede insieme al sistema enzimatico che serve a liberare il cianuro:

Questo complesso armamentario serve perché il cianuro è tossico prima di tutto per la pianta stessa, che d’altronde usa quest’arma a difesa dei propri semi, un po’ come un’orsa che difenda i propri cuccioli, ma anche delle foglie. Comunque tutti i tessuti del sorgo sono cianogenici eccetto il seme alla fine della parabola maturativa; teniamo presente questo fatto importante.

Secondo un interessante ma datato articolo (Michael Wink, Special Nitrogen Metabolism, Plant Biochemistry 1997)

L’HCN è altamente tossico per animali o microrganismi a causa della sua inibizione degli enzimi della catena respiratoria (cioè le citocromo ossidasi) e del suo legame ad altri enzimi contenenti ioni di metalli pesanti. La dose letale di HCN nell’uomo è di 0,5-3,5 mg/kg dopo applicazione orale e la morte dell’uomo o degli animali è stata riportata dopo il consumo di piante con glicosidi cianogenici, le cui concentrazioni possono essere fino a 500 mg di HCN/100 g di semi. Normalmente sono stati registrati 50-100 mg di HCN/100 g di semi e 30-200 mg di HCN/100 g di foglie (Teuscher & Lindequist, 1994). Gli alimenti che contengono cianogeni, come il manihot (Cassava esculenta), hanno ripetutamente causato intossicazioni e persino morti nell’uomo e negli animali. Gli animali hanno sviluppato delle contromosse; infatti alcuni si possono disintossicare rapidamente da piccole quantità di HCN tramite la rodanasi, uno zolfoenzima

Come si vede le stesse piante hanno meccanismi di difesa per il semplice motivo che, essendo l’azoto un elemento non banale da assumere dall’ambiente, i glicosidi in questione sono anche serbatoi di azoto utile, che può essere rimosso un po’ alla volta dal serbatoio “armi” ed usato per altri scopi al momento opportuno. Ma questo tipo di contromisura perde di efficacia negli animali se le quantità sono grandi.

Nel caso del sorgo occorre chiarire che (C. Blomsteldt et al Plant Biotechnology Journal (2012) 10, pp. 54–66 ):

La produzione di durrina nelle popolazioni di controllo del sorgo è elevata durante la germinazione iniziale e la crescita della piantina e poi diminuisce man mano che la pianta matura (Loyd e Gray, 1970; Wheeler et al., 1990; Busk e Møller, 2002; Møller e Conn, 1980) che lo rende adatto come coltura foraggera altamente nutriente. Tuttavia, i fattori ambientali, come la siccità e l’alto contenuto di azoto, sono problematici in quanto possono aumentare il contenuto di durrina nelle piante di sorgo adulto a livelli tossici (Loyd e Gray, 1970; Wheeler et al., 1990).

CN è mortale a 3-5mg/kg di peso corporeo in un mammifero. Facciamo due conti. Uno ione di CN viene prodotto da una molecola di durrina, e dunque per una mole di ioni cianuro ci vuole una mole di durrina: 311 grammi di durrina per 26 di cianuro. Una mucca di 400kg muore con 1-2g di cianuro ed un uomo con 400mg, pari rispettivamente a circa 12-24g e 4-5 grammi di durrina, contenuta in genere in un rapporto che può arrivare fino a 1000ppm nel tessuto della pianta.

Un uomo però mangerebbe solo i semi della pianta mentre una mucca mangia anche le foglie. Un uomo dovrebbe mangiare da mezzo chilo ad alcuni chili di semi di sorgo (non maturi completamente) per morire, mentre una mucca potrebbe suicidarsi con una adeguata quantità, alcuni kg, della pianta intera (a tutti gli stadi della crescita) le cui foglie, specie in condizioni di stress idrico possono essere molto più ricche di durrina.

A Sommariva Bosco, teatro dell’episodio, la quantità di durrina assommava allo 0.1% o alla millesima parte del peso della pianta; dunque bastavano una decina di chilogrammi di sorgo per uccidere una mucca, il che si è puntualmente verificato.

Per i tempi del fatto occorre considerare anche che i sintomi dell’intossicazione da cianuro compaiono subito in caso di inalazione mentre, se il cianuro è stato ingerito, compaiono nel giro di alcune decine di minuti o più (in funzione dello stato di riempimento dello stomaco). L’intervallo è molto più lungo se il composto tossico è di tipo organico. Inoltre i ruminanti possiedono come si sa più stomaci e solo l’ultimo, l’abomaso possiede quella acidità simile al nostro che potrebbe facilitare l’azione del veleno, facilitandone l’assorbimento nel flusso sanguigno, tramite la formazione di HCN.

Gli allevatori conoscono il problema, ma forse non hanno valutato sia che il sorgo era capace di crescere anche in condizioni di fortissimo stress idrico, come quello che si è verificato in questo periodo (che in se è una cosa buona), sia che in quelle condizioni la concentrazione relativa di durrina poteva essere maggiore e che le mucche avrebbero mangiato più sorgo per calmare l’appetito, sia che negli stati iniziali della crescita e in terreni ben concimati la durrina può aumentare notevolmente.

Fatto sta che nei loro tessuti gli organi preposti hanno trovato centinaia di ppm di cianuro, una quantità enorme.

La conclusione che ne ricaviamo è che da una parte il riscaldamento globale, responsabile primario della crisi idrica, ci mette di fronte a situazioni limite in tutti i campi e che per resistere dobbiamo ricorrere alle migliori conoscenze che abbiamo; dall’altra cresce in noi la consapevolezza di ciò che ho spesso citato su questo blog; una massima che ripeteva sempre Guido Barone: Ogni cosa nel mondo ha due corni, o se volete la consapevolezza della natura contraddittoria e complessa della realtà.

Le semplificazioni basate su una concezione lineare e meccanica non bastano certo in un mondo ricco e dialettico come quello in cui viviamo e nel quale i sistemi che abbiamo sviluppato sono proprio basati su meccanismi di controllo retroazionati, ossia contraddittori.

Noi chiamiamo retroazione un meccanismo che la filosofia dell’ottocento aveva chiamato dialettica.

Concludo considerando che oggi, grazie alla genetica conosciamo anche i meccanismi grazie ai quali la pianta sintetizza la durrina, illustrati nella figura qua sotto, tratta da wikipedia:

La sintesi parte da un amminoacido, la tirosina ed è controllata da alcuni sistemi enzimatici che possono essere esclusi geneticamente o per lo meno controllati, per eventualmente ridurre i problemi di intossicazione; però questo indebolisce la pianta, la quale si difende anche dagli insetti con questo meccanismo e quindi ancora una volta ponendoci di fronte a situazioni paradossali: se facciamo un sorgo geneticamente più sicuro lo rendiamo il cibo preferito degli insetti che possono attaccarlo.

https://it.wikipedia.org/wiki/Sorghum_vulgare#Alimentazione_animale

https://en.wikipedia.org/wiki/Sorghum_bicolor

https://en.wikipedia.org/wiki/Dhurrin#Regulation_in_Sorghum_bicolor

Nota.Per approfondire la differenza C3-C4, che ci porterebbe troppo lontano, potete leggere questa pagina:

https://followingcancun.com/it/differenza-tra-c3-c4-e-cam/

che spiegano con alcuni particolari le differenze fra piante C3-C4 (e CAM).

L’ignoranza scientifica.

Danilo Tassi

Sbagliare humanus est” disse l’allenatore a mio figlio che aveva appena fallito un gol a porta vuota durante una partita fra “pulcini” del calcio. Il lodevole intento consolatorio non cancellò il massacro alla nostra bella lingua madre.

Se un qualsivoglia giornalista di infimo ordine fosse incorso in un infortunio del genere, anche se pubblicato dopo i necrologi del più scalcinato giornale, avrebbe dovuto cambiar mestiere perché nessuno gli avrebbe più concesso la fiducia di accettare un suo articolo.

Lo stesso metro non è però usato per le castronerie scientifiche perché evidentemente per cultura si intende solo quella umanistica, mentre la scientifica è considerata opzionale e non indispensabile.

Non è affatto così. Inventare termini latini o non trattare col neutro un verbo all’infinito, come ha fatto il buon allenatore, provoca effetti che si limitano ad un leggero fastidio a chi ha fatto il “classico” o forse nemmeno quello, ma mescolare, per esempio, la varechina con l’acido muriatico può provocare danni ingentissimi alla salute. È successo alla mia amica Grazia, del tutto ignara della chimica, che dopo aver passato lo straccio per terra con un po’ di varechina, allo scopo di migliorare pulizia e igiene del pavimento, pensò bene di aggiungere al secchio anche una certa quantità di acido muriatico. Pur non sapendo che si stava sviluppando Cloro ha immediatamente scaricato il secchio nella tazza del water, ma quel po’ che ha inalato le ha lasciato danni permanenti alla respirazione.

Ciononostante in una rubrica di curiosità scientifiche di una nota rivista di enigmistica si è recentemente raccomandato di non mescolare varechina e ammoniaca perché la cosa è molto pericolosa, senza specificare che è invece l’acido muriatico quello ben più pericoloso se mescolato alla varechina. Secondo me il curatore della rubrica ha confuso ammoniaca e acido muriatico, ma è meglio non fare di questi errori nella realtà.

Passando ad altri episodi è ormai cosa normale trovare scritto il Cobalto sui giornali mentre si intende scrivere ossido di Carbonio: Co invece di CO. Questo genere di errore non provoca soverchi danni poiché la gente in casa non è normalmente in grado di far reagire il Cobalto con qualcos’altro e chi lo può fare generalmente la chimica la conosce. È comunque un errore innocuo come il  neutro mancato dell’allenatore, ma che, a differenza di quello, non ha alcuna ripercussione sulla reputazione del giornalista. Anche una firma quotata nel mondo della divulgazione scientifica come Luca Mercalli in un recente articolo ha scritto varie volte della Co2 intendendo l’anidride carbonica. L’errore è sicuramente della dattilografa o del correttore, ma il fatto che nessuno si curi di correggerlo, mentre si continua a sbagliare, sta a significare che non gli si dà troppa importanza.

Un altro svarione frequentissimo è l’utilizzo di “quantizzare” intendendo dire “quantificare”. Chi ha studiato, anche solo superficialmente, un po’ di fisica sa cosa sono i quanti e cos’è la quantizzazione dell’energia, ma i nostri forbitissimi giornalisti sanno di greco e di latino, e questo è un bene, ma ignorano completamente nozioni elementari anche di fisica.

Ma la materia di gran lunga più bistrattata è senza dubbio la matematica a proposito della quale si leggono cose ben più gravi dell’errore commesso dal nostro allenatore. Per scrivere dell’assedio russo all’acciaieria di Mariupol in Ukraina, al fine di sottolinearne l’enorme estensione, molti giornalisti hanno scritto e anche detto in televisione che l’area interessata copriva un’estensione di dodicimila metri quadrati anziché dei dodici chilometri quadrati della realtà. Dodicimila fa più impressione di dodici e pertanto gli astuti giornalisti hanno trasformato i chilometri in metri ottenendo un numero mille volte più grande (questo lo sanno tutti) e quindi più in grado di impressionare il lettore. Peccato però che i chilometri ed i metri fossero al quadrato e che l’equivalenza non fosse di un millesimo, ma di un milionesimo. Le equivalenze una volta si studiavano in quarta elementare e adesso forse un po’ prima o un po’ dopo, ma certamente non all’Università e neppure nelle medie superiori. Forse varrebbe la pena che la cultura di chi scrive sui giornali venisse valutata un po’ più approfonditamente anche sotto il profilo scientifico, anche se scomodare la scienza per delle equivalenze è come sparare ai passeri con un cannone.

Sedicenti scienziati, digiuni di matematica e di fisica che non compaiono nel piano di studi della loro laurea (per cui non si capisce quale concetto di scienza abbiano), nei giorni in cui crescevano i malati di Covid, hanno parlato di aumento esponenziale dei contagi. I più forbiti hanno parlato di aumento “addirittura” logaritmico, probabilmente senza rendersi conto che è la stessa cosa perché il logaritmo è anch’esso un esponente. Comunque sia, se i contagi passano da cento a duecento in una data zona, non si può parlare di aumento logaritmico o esponenziale: è un forte aumento, un aumento tragico, enorme, ma non esponenziale.  Cento è dieci alla seconda potenza; i cento per arrivare a duecento devono crescere di cento, ma se aumenta solo di uno (non di cento) l’esponente il totale arriva a mille perché è dieci alla terza. Sono concetti banali ai quali si arriva senza equazioni differenziali o integrali tripli, basta la matematica delle medie inferiori.

Molti di questi “scienziati” sono a capo di gruppi di scienziati veri che studiano con modelli matematici il diffondersi delle epidemie o sperimentano nuovi sistemi diagnostici basati su concetti fisici e chimici a loro completamente sconosciuti. Mi è capitato di chiedere, per pura curiosità scientifica, ad un Primario di Radiologia che tipo di raggi usassero nelle radioterapie oncologiche; mi ha guardato come se gli avessi chiesto qualcosa che poi non sarei stato in grado di capire e poi mi ha risposto, con la sicurezza di chi sa di sapere quel che gli altri non sanno:” Onde fotoniche.

L’ignoranza scientifica è alla base del guazzabuglio di pareri contrastanti che abbiamo sentito e letto durante gli anni del Covid e questo mi persuade che sarebbe ora di modernizzare la laurea in Medicina facendone una Facoltà scientifica a tutti gli effetti e non pseudo umanistica come l’attuale.  Si sentirebbero sicuramente meno incompetenti a concionare di malattie ed epidemie. La selezione non la farebbero più i quiz delle prove d’ingresso, ma gli esami del biennio, a tutto vantaggio della preparazione dei medici e della salute degli ammalati.

Anche in politica si percepisce l’ignoranza scientifica dei commentatori quando dicono che “le forze politiche stanno cercando il minimo comun denominatore” intendendo dire che cercano invece il massimo comun denominatore, cioè tutti quegli argomenti sui quali tutti ci si possa trovare d’accordo. Il minimo comun denominatore è il numero 1, cioè il più piccolo dei numeri che dividono i numeratori di ogni frazione. Il minimo comune denominatore fra le idee potrebbe essere voler bene alla mamma. Siamo sicuri che tutti sono concordi in questo, ma non è quel che il commentatore politico voleva dire perché non è una ragione sufficiente a formare un’alleanza politica.

Per tornare alla chimica, è capitato di leggere di persone intossicate dentro una vasca sotterranea dai vapori di acido solforico derivato dalla fermentazione delle sostanze organiche.

Chiunque abbia frequentato anche per poche ore un laboratorio chimico sa bene che l’acido solforico non ha odori a temperatura ambiente; quasi tutti gli altri acidi hanno odore, ma il solforico proprio no e quindi non può esalare alcunché a meno che non sia portato a 290 gradi centigradi perché si decompone e 290 gradi centigradi sono troppi per una vasca interrata.

 Evidentemente l’esistenza dell’acido solfidrico non è stata neppur sospettata dal giornalista, ma se qualcuno lo fa presente passa per un saccentino che va a cercare il pelo nell’uovo.

È capitato a me di scrivere dell’odore che si spande allorquando il maniscalco posa il ferro incandescente sull’unghia di un cavallo al fine di farlo ben aderire. Raccontando di mio padre, che praticava l’arte della mascalcia, ho precisato che lo stesso odore si sviluppa bruciando capelli o penne perché è lo stesso componente a bruciare: la cheratina. Mi è venuto spontaneo scriverlo, anche perché quasi nessuno sospetta che capelli, penne, corna e unghie abbiano questa proteina in comune e mi sembrava interessante sottolinearlo, ma la precisazione è stata cassata d’ufficio con la scusa che non avrebbe interessato nessuno.

Come se invece il detto latino fosse ben più interessante!

Brisighella 8 Agosto 2022.

Danilo Tassi

eunike.tassi@libero.it

Un ricordo personale di Piero Angela.

Luigi Campanella

La scomparsa di Piero Angela è di certo una grande perdita per il mondo della scienza e della diffusione della cultura scientifica. Ho avuto l’onore e la fortuna per un breve periodo di lavorare con lui e con il figlio Alberto che cominciava proprio allora la sua stupenda carriera. L’oggetto del nostro incontro era collegato al mio ruolo di responsabile di un progetto della Provincia di Roma per dotare la città di un Museo della Scienza e di un Planetario. Io ero impegnato per la Sapienza, la mia Università, in una serie di progetti con le Scuole con il fine di ricomporre un’unità culturale e progettuale fra Scuola ed Università. La Mostra 5 miliardi di anni che si aprì a Roma nel 1972 accese in me la lampadina del Museo Diffuso.

Negli anni seguenti con un gruppo di amici collocammo nella città 123 bandierine corrispondenti ad altrettanti luoghi di Scienza, potenziali poli di un Museo della Scienza Diffuso nella Citta. Ne parlai con alcuni amici fra cui Paco Lanciano, Luigi Guariniello, l’assessore Borgna, Marco Visalberghi, Franco Foresta Martin e lo stesso Piero Angela, che avevo avuto la fortuna di conoscere in occasione di un evento accademico, con coinvolgimento anche di Alberto giovanissimo.

Nacque MUSIS alla cui conferenza di presentazione non mancò Piero Angela che però ricordo bene, mi consigliò sin da allora: un programma che precludeva la nascita di un vero e proprio Museo non era forse opportuno, tanto che mi suggerì di tenere vive le 2 ipotesi. Dopo qualche tempo con il primo finanziamento di Stato e Comune di Roma ed assegnazione di uno spazio fisico per la nuova struttura, partì il primo progetto di Museo della Scienza a Roma sulla base di una proposta formulata proprio  da un gruppo coordinato da Piero Angela.

Ammirai alla Conferenza Stampa il grande giornalista che ebbe parole di apprezzamento per il progetto del Museo diffuso, sostenendone il valore culturale al di là della nuova strada intrapresa. In effetti alcuni degli itinerari didattici del Museo Diffuso venivano riproposti nella fattibilità dell’istituendo Museo della Scienza di Roma. Ebbi la fortuna di incontrarlo molte altre volte, a partire dai periodici incontri sul Museo della Scienza di Roma e dalle mie presenze ad alcuni esperimenti presentati in TV nei programmi di Piero Angela, con il coordinamento di Paco Lanciano e Marco Visalberghi.

Ogni incontro con lui era un’occasione di crescita di cultura e conoscenza, mai di semplice informazione

Grandi alberi e foreste secolari.

In ogni parte del mondo, foreste secolari, essenziali per la vita sulla Terra, vengono distrutte per produrre carne bovina, olio di palma, cacao, legname e carta per mercati mai sazi .Una buona notizia viene proprio da uno di questi mercati. I legislatori negli Stati Uniti stanno vagliando nuove leggi di grande impatto per bandire dal Paese i prodotti legati alla deforestazione. Questo potrebbe davvero cambiare le regole del gioco.

Secondo un.lavoro pubblicato dai giapponesi su Environmental Research Letters negli ultimi 70 anni l’azione dell’uomo ha comportato la distruzione  di 437 milioni di ettari di foreste abbattendo il valore pro capite da 1,4 ettari nel 1960 a 0,50 nel 2019.A sostegno della richiesta inversione di politica ambientale rispetto alle deforestazione l’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui cambiamenti climatici) in un recente rapporto ha dimostrato come sia impossibile limitare ad 1,5 gradi il riscaldamento globale senza invertire i ritmi della deforestazione entro il 2030. Fino al 2050, secondo il Rapporto, dovremmo aumentare le aree boschive di 34 milioni di ettari a cominciare dall’ampliamente delle  megaforeste, la Taiga in Russia, la Nuova Guinea, l’Amazzonia, la foresta equatoriale e quella boreale dal Canada fino all’Alaska.

Un concetto a me nuovo che ho visto descritto nel saggio Salvare le Grandi Foreste dall’economista John W.Reid e dal biologo climatico Tommaso E. Lovejoy è quello di  paesaggio forestale intatto.

Questi sistemi occupano un quarto delle terre boschive del nostro pianeta e costituiscono i nuclei meno intaccati delle megaforeste: si tratta di aree prive di strade, reti elettriche, industrie, città per almeno 500 km quadrati.

Negli ultimi 20 anni le attività antropiche hanno ridotto del 10% l’estensione  dei paesaggi forestali intatti. Nel saggio che prima citavo c’è anche una valutazione economica: trattenere il carbonio nelle foreste tropicali costa un quinto rispetto alle spese per la riduzione delle emissioni del settore industriale statunitense o europeo ed è almeno 7 volte più conveniente di fare ricrescere le foreste dopo averle abbattute.

Un ruolo fondamentale nella protezione del verde viene dai due autori del saggio assegnato agli indigeni che agli alberi devono la propria vita e cultura fino a considerarsi con essi un integrale di valori che protegge la stessa esistenza di quelle popolazioni rispetto alla dilagante urbanizzazione.

Oggi parlando di alberi il primo pensiero va ovviamente al loro ruolo per contrastare 

i cambiamenti climatici. Uno studio recente che ha esaminato lo stoccaggio del carbonio nelle foreste dei Paesi del Nord Pacifico ha dimostrato che, sebbene gli alberi con il tronco di diametro superiore ai 50 cm siano solo il 3% del totale, tuttavia sono responsabili del 40% del carbonio stoccato. Lo studio afferma con decisione quanto sia perciò importante la manutenzione delle foreste, soprattutto degli alberi a tronco largo, per consentire loro di continuare a svolgere con efficacia il ruolo attivo nello stoccaggio del carbonio, consentendo di fornire all’ecosistema un sistema di controllo climatico efficace ed economico.

I tronchi larghi sono capaci di stoccare carbonio in modo non proporzionale rispetto a quelli più piccoli. Proprio per questo al fine di proteggere gli alberi con i tronchi più grandi negli Stati Uniti lato Pacifico dal 1994 è addirittura stata promulgata una legge per rallentare la perdita dei vecchi alberi di largo tronco, oggi integrata con alcune proposte finalizzate non solo alla protezione, ma soprattutto alla piantagione di questo tipo di alberi. Esistono anche studi finalizzati a trovare un algoritmo di correlazione fra carbonio stoccato e diametro del tronco e un altro per correlare la diminuzione di carbonio stoccato all’abbattimento/morte di questi alberi, partendo dal dato che metà della biomassa in un albero è costituita da carbonio. Una ulteriore valorizzazione degli alberi quasi a collegarli col mondo della tecnologia avanzata spesso tanto lontano dalla natura, è stata la loro capacità  di ispirare la costruzione di un robot capace di entrare nel terreno grazie a sensori che crescono e si muovono nel terreno come radici. Per studiare il suolo quale migliore strumento della pianta che vi cresce sopra? Le radici infatti per ridurre l’attrito si muovono dalla pianta e arrivano ovunque, riuscendo a rompere anche i terreni più duri, formando reti e ramificazioni alla ricerca dell’acqua.

È così possibile studiare il suolo per migliorare l’agricoltura, riducendo lo spreco di acqua e l’impiego di fertilizzanti, come l’azoto  e il fosforo ,che per quanto utili vanno limitati.

L’ingegnere che ha progettato il robot, Barbara Mazzolai, ha anche ipotizzato che il robot, battezzato Plantoide, possa in un domani divenire uno strumento per indagare il corpo umano, una sorta di endoscopio di nuova generazione, visto che le sue punte non danneggiano i tessuti. Quelle braccia possono anche raggiungere i sopravvissuti ad un disastro o recuperare reperti archeologici in anfratti inaccessibili.

Nota del Postmaster:
ne avevamo parlato anni fa: https://ilblogdellasci.wordpress.com/brevissime/grandi-alberi/

il-progresso-non-coincide-con-la-crescita

Vincenzo Balzani

Pubblicato il 4 agosto u.s. su Il Manifesto

https://ilmanifesto.it/il-progresso-non-coincide-con-la-crescita

“Per il bene del Paese è importante che la politica ascolti la scienza”. A dirlo è Vincenzo Balzani, professore emerito dell’Università di Bologna, socio dell’Accademia nazionale dei Lincei, in lizza per il Nobel per la Chimica nel 2006.

Professore, il manifesto del gruppo “Energia per l’Italia”, che lei coordina, è stato firmato da numerosi scienziati. Ha aderito anche il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi. Avete ricevuto risposte dal governo? Il ministro Cingolani lo ha letto?

Il documento non aveva come finalità ottenere risposte immediate ma spingere le forze politiche al ripensamento delle scelte compiute in merito alla crisi del gas seguita all’aggressione russa all’Ucraina. Questo ripensamento non c’è stato: l’azione di governo è schiacciata su una dimensione emergenziale ma la crisi energetica è strutturale. Manca una vera strategia climatica, ambientale e industriale, la sola che possa mettere in sicurezza il Paese.Non sappiamo se il ministro Cingolani abbia letto il nostro manifesto. Se ci sarà richiesto, ci renderemo disponibili ad illustrarlo. In vista delle elezioni, stiamo lavorando alla stesura di un “Decalogo” che verrà presentato e discusso con le forze politiche che vorranno ascoltarci, senza pregiudiziale alcuna.

L’indipendenza dalla Russia sembrerebbe possibile entro il prossimo inverno. Si passerà dalla dipendenza russa ad altre dipendenze. Ancora combustibili fossili. Cambiano gli scenari, ma la sostanza resta. Siamo affetti da gattopardismo?

Più che di gattopardismo parlerei di incapacità, di mancanza di una memoria storica condivisa e di una chiara visione strategica. Dal ‘73, anno della guerra del Kippur a cui seguì l’embargo petrolifero dei paesi Opec, abbiamo attraversato diverse crisi energetiche dovute all’instabilità delle aree in cui sono concentrate le principali riserve di gas e petrolio. Ciò nonostante abbiamo continuato a dipendere dalle fonti fossili: una scelta dannosa dal punto di vista climatico ed energetico che ha accresciuto la vulnerabilità del nostro Paese esposto al ricatto di regimi autoritari ed autocratici. Il governo dimissionario si è impegnato nel ricercare nuove fonti di approvvigionamento soprattutto in Africa, ottenendo in un colpo solo due risultati nefasti: incoraggiare lo sfruttamento di paesi poveri, anziché aiutarli ad investire nello sviluppo di energie rinnovabili, e mantenere il sistema energetico nazionale ancorato alle fonti fossili.

Con la crisi politica e le imminenti elezioni, c’è la possibilità che il Paese sia governato dai cosiddetti negazionisti climatici. Cosa manca ai nostri politici per compiere le scelte giuste?

Manca spesso la capacità di vedere nel futuro. Alcide De Gasperi diceva: “La differenza tra un politico e uno statista sta nel fatto che il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni”. In Italia abbondano i politici e scarseggiano i veri statisti. Molti non si sono ancora resi conto che il cambiamento climatico potrebbe portare gravi danni: estensione delle zone desertiche, diminuzione della produttività agricola, perdita di biodiversità, probabile diffusione di virus, aumento del livello del mare, inondazioni, siccità e riduzione del manto nevoso con conseguenti problemi per turismo estivo e invernale. Ancora più importante, l’aumento delle temperature e l’estensione di zone desertiche nella vicina Africa causerebbero un forte aumento dei migranti climatici. Altri politici, invece, sono preoccupati che l’attività di certi settori industriali, specie quelli estrattivi, subiranno un drastico ridimensionamento.

Voi escludete il ricorso al nucleare, ma qualche giorno fa il Parlamento europeo ha confermato la volontà di includerlo – insieme al gas – nella tassonomia green. Basterà un nome a cambiarne gli effetti?

Lo sviluppo del nucleare per combattere la crisi climatica non ha senso per molti motivi. Non è una fonte energetica rinnovabile, le scorte di combustibile sono limitate; non emettono CO2 mentre funzionano, ma ne generano moltissima per processare il combustibile e costruire la centrale. Ci sono poi ragioni di tempo, di costi e di sicurezza. Ad esempio la centrale di Olkiluoto 3 costruita dai francesi in Finlandia, progettata nel 2000, i cui lavori sono iniziati nel 2005, è entrata in funzione nel 2022, con un costo finale di circa 9 miliardi di euro contro i 3,2 stimati inizialmente; in Francia in questi mesi è stato necessario chiudere 12 reattori a causa di impreviste corrosioni; il problema delle scorie non ha soluzioni; la siccità rende problematico il raffreddamento dei reattori; gli incidenti di Chernobyl e Fukushima hanno dimostrato la pericolosità intrinseca degli impianti nucleari, che sono anche punti sensibili in caso di guerra. C’è poi una stretta connessione fra nucleare civile e armi nucleari.

In merito all’efficientamento energetico, proponete la coibentazione delle case. Con il decreto Rilancio è già stato approvato un super bonus del 110%. Ma è molto osteggiato. Secondo lei va eliminato o è efficace?

Il settore edile è fra i principali responsabili delle emissioni di gas serra e dei consumi energetici. Molto si può fare nell’efficientamento delle nostre case e di tutti gli edifici, pubblici e privati. Le nuove tecniche edilizie, i nuovi materiali e le tecnologie oggi ci danno l’opportunità di ottenere edifici a consumo energetico zero, migliorando il confort abitativo.  Il super bonus del 110% in linea di principio ha considerato il tema e ha, in parte, contribuito a quanto detto. Tuttavia, è stato gestito in modo inefficace, lasciando spazio a speculazioni e a comportamenti non corretti.

In merito ai trasporti, la Germania di recente ha promosso i mezzi pubblici con un abbonamento mensile di 9 euro. Potrebbe essere questa la scelta vincente anche nel nostro Paese?

Le tecnologie rinnovabili permettono di produrre energia elettrica in grande quantità. Parallelamente bisogna ridurre i consumi, prediligendo i mezzi pubblici alle automobili. Favorire stili di vita più sobri richiede però molto tempo e società ben organizzate. Il risultato dell’abbonamento mensile a 9 euro potrebbe essere vincente per aiutare le famiglie che fanno già uso dei mezzi pubblici. Il rincaro sui carburanti ha già spinto gli italiani ad utilizzare mezzi pubblici. L’Agi stima che già 16,3 milioni di italiani utilizzano ogni giorno un mezzo pubblico. Non abbiamo nulla da invidiare con i nostri 24,94 barili di petrolio, consumati ogni 1000 abitanti al giorno, ad altri Paesi che sono noti per una maggior organizzazione dei trasporti pubblici come la Germania che ne consuma 30,69 o la Norvegia o i Paesi Bassi rispettivamente 47,01 e 60,32.

Si attende che il ministro Cingolani firmi il decreto sulle comunità energetiche rinnovabili (Cer) e poi occorrerà l’ok del dicastero delle Politiche agricole e della Cultura in merito ai vincoli paesaggistici. Cosa pensa del modello di autoconsumo collettivo?

Le comunità energetiche sono lo strumento necessario per la gestione dell’energia rinnovabile prodotta e consumata nella rete di bassa tensione a cui sono collegati il 97% di tutte le utenze nazionali (famiglie, imprese, attività commerciali). Da sempre gli utenti che immettono energia elettrica dai loro impianti fotovoltaici la scambiano con gli utenti più prossimi così come definito dalla legge n. 8/2020 sulle comunità energetiche. Il 70% dell’energia che consumiamo è ubicato nelle nostre famiglie per cui se ogni famiglia producesse e consumasse la propria energia, allora cittadini e imprese elettrificandosi e producendo energia da fonte rinnovabile su scala locale potrebbero affrancarsi dai combustibili fossili. In questo momento è necessario che il 30% di rinnovabili centralizzate, parchi eolici, impianti fotovoltaici, idroelettrico e in piccola parte biomasse, venga realizzato quanto prima. Il restante 70% avrà certamente tempi più lunghi.

Ondate di calore anomale, incendi, siccità, inondazioni. La crisi climatica è sotto gli occhi di tutti. Secondo Greenpeace però se ne parla ancora poco in tv: i media italiani sarebbero condizionati dall’industria estrattiva. Cosa ne pensa?

Di clima si parla e si scrive troppo poco, abusando di termini non appropriati. Per “emergenza”, ad esempio, si intende una circostanza non prevista né prevedibile; ciò che invece sta accadendo è diretta conseguenza delle emissioni di gas climalteranti causate dalle attività antropiche, documentate dall’Ipcc già dall’88. I media si stanno occupando della crisi idrica e della siccità che sta mettendo a rischio fino al 30% della produzione agricola nazionale ma spesso non mettono in evidenza la relazione tra causa (utilizzo gas, petrolio e carbone) ed effetto (emissioni di CO2, surriscaldamento del pianeta, siccità e povertà alimentare). Ovviamente non si può generalizzare ma certi titoli negazionisti sono frutto dell’incultura scientifica e, pertanto, inaccettabili.

Il 28 luglio – secondo Global Footprint Network – ha segnato la fine delle risorse naturali per il 2022. L’overshoot day per l’Italia è arrivato ancora prima, il 15 maggio. Siamo in debito ecologico col Pianeta di 19 anni. I dati scientifici aumentano ma poco attecchiscano sulla politica. Come mai persiste questo scollamento?

Sono trascorsi più di  40 anni dalla pubblicazione del rapporto Charney sugli effetti delle attività umane sul clima. Da tempo gli scienziati hanno lanciato il grido d’allarme sul depauperamento, l’esaurimento e lo spreco delle risorse naturali. Purtroppo, sempre inascoltati. Molti studiosi, scienziati, filosofi hanno proposto modelli di sviluppo disaccoppiati dai consumi, proponendo la necessità e l’urgenza di un’accresciuta sobrietà, si tratta della sufficiency, la sufficienza, indicata come l’unica strada per un futuro sostenibile. Dobbiamo prevedere di utilizzare solo la quantità di risorse realmente sufficiente per garantire una qualità di vita dignitosa a tutti. La politica invece continua a mantenere un modello che noi definiamo vecchio e sorpassato: quello secondo cui lo sviluppo e il progresso devono coincidere con la crescita economica, l’aumento del Pil, la crescita dei consumi. Sappiamo che è sbagliato.

(Vincenzo Balzani, insignito del Premio Unesco-Russia Mendeleev 2021 e vincitore quest’anno del riconoscimento Ssf Molecular Machinery e del premio internazionale Cervia Ambiente).

Deserto lichenico e inquinamento

Dopo l’allarme del CNR sullo stato di pericolo a cui sono esposti i nostri tesori romani, dal Colosseo ai Fori, a causa dell’inquinamento, viene  a consolarci uno studio dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e dell’Università di Siena, supervisionato dall’Accademia dei Lincei che dimostra come lo stato di pericolo denunciato dal CNR sia in parte mitigato dalla protezione, ovviamente laddove c’è, da parte delle piante circostanti capaci di assorbire il particolato atmosferico e gli inquinanti evitandone la deposizione sui monumenti ed i conseguenti danni. Questa protezione è direttamente correlata con la superficie media delle foglie ed inversamente con la distanza fra verde e sito archeologico.

Il rilievo dell’INGV che ha utilizzato come sito di studio Villa Farnesina, sede dei Lincei, con i suoi tesori di pittori famosi a partire da Raffaello, è affidato ai licheni.

Questi organismi, simbiosi fra un fungo e un’alga o un cianobatterio (il fungo fornisce all’alga acqua e sali minerali e riceve da questa risorse energetiche create come biomassa, foto-sinteticamente) sono caratterizzati da un coefficiente di diversità biologica molto elevato, circa 400, che però si riduce bruscamente con l’inquinamento e con la vicinanza alle sue fonti.

Il deserto lichenico è così divenuto un indicatore di inquinamento.

Il dato che l’INGV ha riportato è che lo stato di salute dei licheni che colonizzano il sito culturale studiato è ottimo il che sta ad indicare che, malgrado il traffico intenso di zona, l’azione protettiva del verde, in questo caso soprattutto platani, ha evitato che lo stato dell’inquinamento, di cui il CNR ha denunciato i corrispondenti pericoli per i monumenti, realmente impattasse sul sistema storico-artistico studiato.

I licheni in questa funzione confermano il ruolo biologico che hanno: sono precursori della vita vegetale sulle superfici minerali che vengono attaccate e colonizzate per lunghi anni, fino ad oltre 100 anni. Quello che lo studio dell’INGV ci insegna riguarda il verde di cui non ci si stanca di ricordare l’importanza in genere affidata alla sua capacità rigenerativa dell’ambiente attraverso la fotosintesi, ma di cui questo studio fa comprendere l’importanza anche dal punto di vista fisico: alberi a foglia larga rappresentano vere barriere protettive per la salute nostra e dei nostri preziosi patrimoni monumentali.

Attenzione: acqua in stratosfera!

Claudio Della Volpe

Abbiamo parlato spesso di acqua nei post più recenti a causa della ricorrente siccità che sta causando enormi problemi a noi ed all’ambiente. Eppure ci sono zone del pianeta dove le cose sono molto diverse e in modo insospettabile. Il 15 gennaio di quest’anno il vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai situato poche decine di chilometri a sud dell’isola di Tonga nel Pacifico del sud, ha eruttato con una enorme esplosione che ha scosso tutta l’atmosfera terrestre e la cui foto vedete nella seconda figura.

Hunga Tonga e Hunga Ha’apai erano due isole a sud di Tonga distrutte quasi completamente dalla eruzione del 15 gennaio.

L’eruzione dell’ Hunga Tonga-Hunga Ha’apai non ha precedenti nella storia recente per vari motivi; anzitutto per la potenza dell’eruzione che ha avuto effetti immediati in tutta l’atmosfera terrestre sia sonori che di pressione: l’esplosione è stata equivalente a quella di 30 milioni di tonnellate di tritolo, dunque da centinaia a migliaia di volte maggiore della bomba di Hiroshima; il terremoto corrispondente ha avuto una energia misurata sulla scala Richter di 7.4; infine l’esplosione ha generato onde di maremoto che hanno fatto il giro del globo e onde di pressione atmosferica che hanno fatto per 4 volte il giro del globo.
Già queste sarebbero misure al di là del conosciuto; ma c’è un altro effetto di cui vi parlo oggi e che ha superato qualunque altra cosa conoscessimo.
Essendo un vulcano sottomarino Hunga Tonga – Hunga Ha’apai ha sollevato una enorme colonna di acqua oltre a ceneri e polveri solforose che producono aerosol di solfato. Queste ultime hanno, come sappiamo, un effetto di raffreddamento, nel senso che le particelle di solfato riflettono le radiazioni solari (0.2-0.8W/m2) e riducono il corrispondente effetto serra; ma cosa succede all’acqua immessa in atmosfera?
Di solito nulla o meglio poco, come abbiamo spiegato in un recente post; ma stavolta la potenza eruttiva è stata sottomarina e inoltre è stata enorme e questo ha portato l’acqua in stratosfera dove di solito ce n’è molto poca.
Si stima che in tutta la stratosfera ci siano 1.4 miliardi di tonnellate di vapor d’acqua; facciamo due conti.
Il peso dell’atmosfera è di circa 5milioni di miliardi di tonnellate; di queste l’80% è troposfera e si stima che di queste circa 100.000 miliardi di tonnellate siano di vapor d’acqua. Mentre come si diceva prima nella stratosfera ci sono solo circa 1.4 miliardi di tonnellate di vapore d’acqua. L’eruzione ha portato dentro la stratosfera ad un’altezza di oltre 50km oltre 140 milioni di tonnellate di nuova acqua; quale sarà l’effetto di questa aggiunta?
Un recente lavoro pubblicato il 2 giugno scorso su Geophysical Research Letters,
Millán, L., Santee, M. L., Lambert, A., Livesey, N. J., Werner, F., Schwartz,
M. J., et al. (2022). The Hunga Tonga-Hunga Ha’apai Hydration of the Stratosphere. Geophysical Research Letters, 49, e2022GL099381. https://doi. org/10.1029/2022GL099381 ha usato i dati del satellite AURA della NASA, che è in grado di misurare la composizione della stratosfera per via spettroscopica, per calcolare questo numero e ne ha poi modellato l’effetto per gli anni a venire.
I risultati non sono confortanti per noi.
Anzitutto i ricercatori hanno stimato le quantità, come si diceva prima 140 milioni di tonnellate, sono il 10% dell’acqua già presente ed anche il più massiccio apporto di acqua mai misurato finora, come appare dalla figura seguente tratta dal lavoro citato.

Tale apporto supera di gran lunga quello che gli altri fenomeni studiati finora sono stati in grado di fornire: la super-convezione, le tempeste indotte da forti incendi e altre eruzioni vulcaniche. La seguente immagine in falsi colori ci fa capire la natura assolutamente straordinaria dell’evento, visibile all’estrema destra del grafico a colori.
Il riscaldamento indotto dall’acqua in stratosfera, a differenza di quella in troposfera di cui abbiamo parlato in passato non è un effetto di retroazione del GW, ma deve essere considerata una vera e propria forzante climatica, che in questo caso comporterà effetti per almeno 10 anni.

I ricercatori concludono che:
In sintesi, le misurazioni MLS indicano che una quantità eccezionale di H2O è stata iniettata direttamente nella stratosfera dall’eruzione HT-HH. Stimiamo che l’entità dell’iniezione costituisse almeno il 10% del carico stratosferico totale di H2O. Il giorno dell’eruzione, il pennacchio H2O ha raggiunto ∼53 km di altitudine…………. e potrebbe alterare la chimica e la dinamica stratosferica mentre il pennacchio H2O di lunga durata si propaga attraverso la stratosfera ……..
A differenza delle precedenti forti eruzioni nell’era satellitare, HT-HH potrebbe avere un impatto sul clima non attraverso il raffreddamento superficiale a causa di aerosol di solfato, ma piuttosto attraverso il riscaldamento superficiale dovuto all’eccesso di forzante stratosferico H2O. Date le potenziali conseguenze ad alto impatto dell’iniezione di HT-HH H2O, è fondamentale continuare a monitorare i gas vulcanici di questa eruzione e quelli futuri per quantificare meglio i loro diversi ruoli nel clima.

Decisamente il 2022 è uno dei peggiori anni della nostra vita.