Fa male respirare radicali liberi? (ovvero le due facce dei radicali).

Claudio Della Volpe

Se c’è una specie chimica che soprattutto negli ultimi anni ha assunto il ruolo del cattivo di turno, i radicali liberi sono in buona posizione per assumere quel ruolo.

Si fa continuamente un gran parlare sui siti, specialistici e non, dei danni da radicali liberi; ora lungi da me dire che non è vero; voglio solo far notare che, come sempre succede in chimica, il diavolo sta nei dettagli e che la bontà o cattiveria o insomma il ruolo di una specie chimica è complesso, perché, attenzione, perché NOI siamo sistemi complessi, sistemi lontani dall’equilibrio, siamo vivi, in parole povere.

Questo ci rende, come tutti i sistemi lontani dall’equilibrio, molto sensibili a piccole fluttuazioni delle nostre condizioni chimiche; ci possiamo avvelenare facilmente o andare in crisi e perfino morire per piccolissime quantità di “veleno”, che corrisponde molto spesso non semplicemente a tanta roba, ma a poca roba che mettiamo nel posto o nel momento sbagliati.

In effetti basta una piccolissima bolla di benefico ossigeno nel flusso sanguigno per renderci paralitici o farci morire. Lo stesso che respiriamo nei polmoni.

Dunque, se volete, la vecchia regola del veleno di Paracelso (è la dose che fa il veleno) dovrebbe essere modificata aggiungendo che una dose di veleno non solo deve avere un valore quantitativo sufficiente, ma anche essere somministrata nel posto o al momento adeguati, altrimenti non funziona.

I radicali liberi non sono sempre nocivi; certo possono essere causa di malattie anche mortali, ma la cosa non è affatto automatica e vi farò due esempi tutto sommato comunissimi.

Uno è il comune ossigeno che per chi non lo sapesse è un radicale libero, anzi un di-radicale, ossia ha ben due elettroni spaiati; il secondo è il monossido di azoto, NO, che è un monoradicale, così efficace da essere usato come catturatore di altri radicali, come scavenger si dice tecnicamente, ma nel medesimo tempo senza di esso noi maschietti non riusciremmo a svolgere il nostro ruolo di maschietti, in quanto la molecola di NO controlla la pressione sanguigna specie nei luoghi deputati al sesso.

Andiamo per ordine.

Noi respiriamo diradicali, perché la specie denominata diossigeno tripletto, che è la più comune forma dell’ossigeno gassoso è un diradicale.

Singoletto (primo stato eccitato)  Singoletto (secondo stato eccitato)Tripletto (fondamentale)
~1270 nm   –   7882,4 cm−113 120,9 cm−1 
94,29 kJ/mol157,0 kJ/mol 
0,9773 eV1,6268 eV 

Nello schema soprastante sono mostrati gli orbitali molecolari superiori (quelli inferiori sono uguali ed omessi per semplicità) dei due stati eccitati di singoletto e dello stato fondamentale di tripletto del diossigeno molecolare (a destra).

Ciascuna freccia indica un elettrone e la sua direzione su o giù indica lo stato di spin, ossia la ipotetica rotazione in un senso o nell’altro che corrisponde alla condizione magnetica dell’elettrone.

I tre stati differiscono solo negli stati di occupazione e spin degli elettroni nei due orbitali antilegame degeneri π*.

Nella tabella sono indicate le differenze di energia fra gli stati; si badi che tali transizioni non possono avvenire in modo radiativo, ma solo attraverso reazioni chimiche con altre specie eventualmente indotte anche da radiazione.

Le transizioni radiative tra questi tre stati elettronici dell’ossigeno (tutti col medesimo numero di ossidazione) sono formalmente proibite come processi di dipolo elettrico, ossia tramite SOLO assorbimento di radiazione.

Le due transizioni singoletto-tripletto sono proibite sia a causa della regola di selezione dello spin ΔS = 0 (conservazione del momento magnetico) sia a causa della regola di parità (segni della funzione d’onda). La transizione singoletto-singoletto tra i due stati eccitati è consentita dallo spin ma proibita dalla parità.

Queste regole di conservazione sono dettate dai principi di conservazione come applicati in MQ.

Per ottenerle servono dunque dei reagenti opportuni, come per esempio dei coloranti che assorbono l’energia e la trasferiscono agli stati e che sono scelti con una struttura opportuna.

Per fare un esempio dei problemi di questi tipi di transizione: un radicale libero non può essere creato in un semplice processo in un’unica fase da reagenti non radicalici se non per dissociazione omolitica del legame. Un principio fondamentale della chimica quantistica è la conservazione dello spin. Nel corso di una semplice reazione, il numero quantico di spin totale S deve rimanere costante (escludendo effetti più complessi che pure ci sono, come il cosiddetto accoppiamento spin-orbita, ma ne parleremo altrove).

I composti non radicalici hanno uno stato di singoletto, cioè il loro numero quantico di spin totale S=0 o 2S+1=1. Tutti gli elettroni sono accoppiati. I tipici radicali organici come il radicale tert-butile hanno uno spin spaiato e sono quindi in uno stato di doppietto S = 1/2, 2S + 1 = 2. I diradicali come O2 sono in uno stato di tripletto con S = 1 e 2S + 1 = 3.

Dunque per arrivare a uno stato del prodotto con S diverso da zero, è necessario generare una coppia di composti di spin opposti (dissociazione di legame semplice) o iniziare con una S diversa da zero.

Nella realtà concreta le specie in questione possono usare SOLO quello che c’è disponibile: il cibo, i tessuti organici e così via e dunque la materia coinvolta diventa essenziale E SPECIFICA per la reazione e ne viene modificata profondamente con effetti irreversibili e duraturi.

Date le quantità di energia coinvolte le cellule si sono adattate a questi processi possibili; ma se tali processi si svolgono fuori del loro ambiente quelle enormi quantità di energia possono alterare irreversibilmente altre molecole, come poniamo per ipotesi, il DNA.

Se invece si svolgono nel contesto che gli è proprio, frutto di milioni di anni di evoluzione, non succede nulla di spiacevole.

La specie diradicalica diossigeno (questo è il nome proprio della molecola di ossigeno O2) nello stato 3Σg costituisce una molecola molto particolare: essa è paramagnetica (ossia si manifesta con una magnetizzazione avente stessa direzione e verso di quella associata al campo esterno applicato al materiale paramagnetico stesso ma scompare con la scomparsa del campo a differenza dei materiali ferromagnetici) , una delle poche molecole paramagnetiche comuni (21% dell’atmosfera); ed inoltre è molto stabile come radicale; normalmente i radicali non sono così stabili; e c’è stato chi si è chiesto come mai questo particolare radicale sia così stabile.

In un bel lavoro di Hoffmann (il premio Nobel) e altri studiosi pubblicato su JACS nel 2017 si cerca di spiegare come mai ciò sia possibile.

La domanda è molto furba e la conclusione sorprendente. Farsi le domande giuste è ciò che fa grande uno scienziato, prima di trovare le risposte.

Direte cosa c’è di furbo nella domanda? Ve lo spiego subito.

Hoffmann e collaboratori si chiedono perché l’ossigeno pur essendo così disponibile a reagire con tutto (eccetto forse l’oro) a partire dai componenti del nostro corpo in effetti poi non brucia così facilmente; l’entalpia della reazione di combustione sarebbe alta ma c’è qualcosa che lo impedisce; lo stesso può dirsi della possibilità che l’ossigeno reagisca con se stesso, formando anelli di molecole di ossigeno; è un fenomeno che è tipico del suo parente stretto, lo zolfo; le molecole di S2 (non dimentichiamo che lo S è nello stesso gruppo dell’O) anch’esse di-radicali tendono a reagire con se stesse formando degli anelli di 8 atomi di zolfo, S8; come mai l’ossigeno non fa una cosa analoga?

Dice Hoffmann:

Ma, naturalmente, non bruciamo. Quel pallone a idrogeno che facciamo esplodere in una classe di chimica generale non si attiva fino a quando una fiamma o scintilla entra in scena, per permettere alla reazione di procedere fino al suo nirvana termodinamico, l’acqua. La carta, la realizzazione della nostra civiltà (beh, almeno fino ad ora), non si infiammerà fino a 451 Fahreneit.

Chiaramente la molecola di ossigeno che reagisce esotermicamente con quasi tutto ha una barriera di energia di attivazione ragionevolmente alta col medesimo tutto.

In effetti la barriera di energia di attivazione dell’ossigeno con il legame C-H in qualunque molecola organica è enormemente elevata. Ma perché?

L’O2 nel suo stato fondamentale di tripletto è un diradicale! Pensate a quanto facilmente un atomo di cloro o un radicale idrossile estraggono un atomo di idrogeno dagli alcani. Come i monoradicali anche i diradicali sono estremamente reattivi.

Mettiamo la sorprendente eccezionalità dell’ossigeno in altri termini: come può una molecola costituire un quinto dell’atmosfera terrestre, essendo in continuo contatto intimo con centinaia di migliaia di molecole con le quali la sua reazione sarebbe in discesa in entalpia? Fenomenologicamente, la risposta a questa domanda è ovviamente che l’O2 deve avere alte barriere alle reazioni con la maggior parte delle molecole. Perché sia così, e in particolare perché l’ossigeno abbia un’alta barriera alle reazioni che coinvolgono l’estrazione di atomi di idrogeno, è una delle domande che questo articolo prenderà in considerazione.

La risposta deve essere generale ed essere relativa alla struttura dell’O tripletto.

E i ricercatori la trovano nel fenomeno della stabilizzazione per risonanza; per meglio comprendere questo fenomeno ricordiamo alcune definizioni:

Gli elettroni possono avere uno dei due spin alfa (ms = +1/2) o beta (ms = -1/2) (dove ms è il numero quantico di spin). Gli elettroni rotanti interagiranno con un campo magnetico. Quando due elettroni sono accoppiati in un orbitale gli effetti magnetici vengono annullati. Gli atomi o le molecole che contengono elettroni spaiati sono debolmente attratti dai campi magnetici e si dice che sono paramagnetici. Gli atomi o le molecole in cui tutti gli elettroni sono accoppiati non sono attratti dai campi magnetici e si dice che sono diamagnetici.

Come si distribuiranno i diversi elettroni negli orbitali? Come in questa figura:

Queste distribuzioni sono le possibili strutture che corrispondono a risonanze possibili; un maggior numero di risonanze o se volete di modi di esistenza ne abbassa l’energia e ne aumenta la probabilità. Ne segue che questa combinazione rende l’ossigeno tripletto particolarmente stabile come radicale (secondo Hoffmann la stabilizzazione contribuisce per circa 100kcal/mol!!!).

L’articolo è molto più ampio e si dilunga a spiegare l’interpretazione dei fenomeni dal punto di vista delle due teorie del calcolo degli orbitali la teoria Valence Bonding e quella degli Orbitali Molecolari. Le conclusioni sono le medesime nei due casi. Gli autori usando la MQ calcolano le grandezze termodinamiche di processi comprendenti vari tipi di radicali e ne giustificano le differenze: il meccanismo chiave è la stabilizzazione per risonanza del di-radicale ossigeno tripletto.

Ovviamente la situazione è del tutto diversa nel caso dell’ossigeno singoletto, che invece è specie molto più reattiva ma anche molto meno comune nella nostra atmosfera.

Nel caso dell’NO, l’ossido nitrico, abbiamo un monoradicale, con S=1/2; esso viene immesso nell’atmosfera a partire dagli elementi ad opera della reazione di sintesi:

N2(g) + O2(g) → 2 NO(g)

La reazione avviene in presenza di fulmini (o nei motori a combustione interna). Ma nelle cellule cosa avviene?

Qui un complesso sistema enzimatico trasforma ancora una volta l’ossigeno (e l’azoto sottratto all’arginina, un amminoacido) in ossido nitrico.

iNOS and eNOS distribution(in rosso e verde rispettivamente la distribuzione di eNOS ed iNOS in una cellula trofoblastica).

Lo schema è altamente specifico e prevede l’intervento di enzimi dedicati, le varie categorie di NOS ossia le Nitric Oxide Sinthetase, enzimi la cui distribuzione cellulare è estremamente specifica. NO è molto reattivo e dunque esso deve essere prodotto con un criterio di just-in-time e just-in site per evitare disturbi alla cellula. Il Viagra serve ad aiutare chi non riesce a coordinare questo complicato meccanismo (e casomai ne parleremo in altro post).

Un enzima che deve interagire con un diradicale S=1 per ottenere un radicale di S=1/2 deve rispettare anch’esso le regole di selezione della Meccanica quantistica, nei vari step singoli della reazione.

E questo è spettacolare.

La vita usa la MQ per fare le sue reazioni chiave: l’eme dell’emoglobina che reagisce con l’ossigeno tripletto per farci respirare o le NOS che producono un monoradicale NO da un diradicale O2 per farci avere un sesso soddisfacente sono esempi incredibili di questa programmazione sofisticata delle unità viventi che coordinano senza problemi apparenti tutti i livelli di conoscenza che per noi costituiscono spesso compartimenti stagni. Cosa c’entra la vita con la Meccanica quantistica? Il problema è che c’entra ma non ne abbiamo ancora capito granché.

E questo rende più facile accettare l’idea di un “grande programmatore” invece della semplice evoluzione darwiniana. Ahimè!

Testi consultati:

https://en.wikipedia.org/wiki/Singlet_oxygen

https://en.wikipedia.org/wiki/Triplet_oxygen#cite_note-2

https://en.wikipedia.org/wiki/Reactive_oxygen_species#Singlet_oxygen

R. Hoffmann et al. Dioxygen: What Makes This Triplet Diradical Kinetically Persistent? JACS Journal of the American Chemical Society, 14 Jun 2017, 139(26):9010-9018
DOI: 10.1021/jacs.7b04232

EUNOK CHOE AND DAVID B. MIN  Chemistry and Reactions of Reactive Oxygen Species in Foods  

https://www.reading.ac.uk/nitricoxide/intro/no/regulation.htm

Cartledge, Jon; Minhas, Suks; Eardley, Ian (2001). The role of nitric oxide in penile erection. Expert Opinion on Pharmacotherapy, 2(1), 95–107. doi:10.1517/14656566.2.1.95 

J. Leszczynski (ed.), Handbook of Computational Chemistry, p.1068-1090  Spin-Orbit Coupling in Enzymatic Reactions and the Role of Spin in Biochemistry B. F. MinaevV. O. MinaevaHans Ågren

Non ho consultato ma vi segnalo un intero libro dedicato al tema dell’interazione spin-biochimica:
Spin States in Biochemistry and Inorganic Chemistry: Influence on ... 

Spin states in Biochemistry and Inorganic Chemistry – Influence on Structure and Reactivity

M. Stuart e M. Costas – Wiley 2016

La Mappa Ecologica di Fabio Olmi – Recensione

Eleonora Aquilini*, Presidente della Divisione Didattica della SCI

La sfida del secolo. La transizione ecologica contro il riscaldamento globale.

Ed. Aracne, 2022, p. 204 euro 20

Certo, come scrive il filosofo e matematico Alfred Korzybski, la mappa non è il territorio, non esiste un’unica realtà, ma molti modi d’interpretarla, tuttavia usufruire di mappe come quelle che Fabio ci fornisce nel suo libro “La sfida del secolo” ci aiuta a costruire la nostra rappresentazione, la nostra visione ecologica dei problemi ambientali. C’è inoltre un altro aspetto importante: la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti si potrebbe avvalere oggi di un notevole contributo con il libro di  Fabio.  Il libro infatti permette di aggiungere alle competenze cognitive, pedagogiche e relazionali per insegnare, un tassello che riguarda la nostra consapevolezza dei problemi ambientali. Si parla molto di argomenti ecologici a volte con superficialità, a volte con competenza scientifica non ben comunicata e quello di cui si sentiva il bisogno è proprio un testo ragionato in cui i vari aspetti critici che riguardano il riscaldamento del pianeta, il clima che cambia, le risorse per lo sviluppo sostenibile, i rifiuti e l’economia circolare, le risorse essenziali per la sopravvivenza, vengano affrontati con equilibrio, utilizzando una documentazione accurata e aggiornata.  

Eleonora Aquilini

In che senso si parla di “equilibrio”? C’è un equilibrio metodologico: è un libro che si rivolge a non esperti scritto da un esperto della materia che si rivolge a loro nella maniera più piana e comprensibile possibile, senza rinunciare al rigore scientifico. C’è poi un equilibrio di sostanza, nel senso che non si vogliono sostenere tesi a priori come spesso si leggono nei giornali, ma si cerca una spiegazione razionale di quello che si può fare conoscendo e analizzando i diversi aspetti dei problemi. È esemplificativo come Fabio partendo dai gas serra arrivi allo smaltimento dei rifiuti. Dopo aver affrontato il problema dei gas serra, con una bellissima disquisizione “da chimico” sulla fotosintesi con la cattura del CO2  e la liberazione di ossigeno, Fabio fa una riflessione sul fatto che, ad esempio, piantare miliardi di piante per aumentare la sottrazione di COo confinare sotto terra, o ricorrere al nucleare “verde” non siano vie percorribili per affrontare in tempi ragionevoli il problema e che l’alternativa è soltanto eliminare più rapidamente possibile le combustioni di combustibili fossili facendo ricorso a fonti energetiche rinnovabili.

Il problema dei rifiuti che con la raccolta differenziata ha fatto notevoli passi in avanti, induce a soffermarsi sugli obiettivi fissati per il 2030 che sono quelli di avviare il recupero di almeno il 65% dei rifiuti, affidare alla termovalorizzazione il 25% dei rifiuti e ridurre il conferimento  in discarica dei rifiuti a non più del 10%. In questa sezione del libro scopriamo che la battaglia spesso ideologica  contro i termovalorizzatori, non tiene conto del fatto che i residui ultimi, al momento, necessitano di questo trattamento. Il recupero del 100%  dei residui naturali, non è  pensabili per i manufatti umani. L’economia circolare viene indicata come la chiave per realizzare la  transizione ecologica che è strettamente legata alle risorse per lo sviluppo sostenibile, nel senso che l’economia circolare si conclude non con il recupero della materia prima, ma  quando la materia recuperata viene trasformata nuovamente in un prodotto simile  utilizzabile e commercializzabile (es. il recupero del ferro-acciaio o del vetro). C’è anche un’economia circolare con produzione di materiali diversi, come il compost dall’umido, o quella a partire da materiale rinnovabile. L’economia circolare ha molte facce ed è utile e interessante conoscerle.  Si affrontano anche i problemi legati agli oggetti tecnologici quali il recupero del litio nelle batterie e delle terre rare dai telefonini. Queste azioni di recupero hanno bisogno di energia e se l’energia viene ricavata dai combustibili fossili  e non dalle fonti rinnovabili, l’economia sarà circolare ma non ecocompatibile. Che dire ancora? E’ un libro che lancia un appello e come dice il titolo, una sfida.

Sta a noi raccoglierla.

*Eleonora Aquilini è Presidente della Divisione didattica della SCI: chimica, si è dedicata da sempre all’insegnamento della Chimica e alla ricerca nel campo della didattica della Chimica e dell’insegnamento scientifico, pubblicando vari lavori sul tema e collaborando con enti accreditati nel campo della formazione.

Antiox.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Con sempre maggiore frequenza la medicina si affida a marker diagnostici da correlare alla individuazione di patologie. Tra questi marker gli antiossidanti sono fra i più impiegati, in quanto capaci di contrastare i radicali liberi, il conseguente stress ossidativo che da essi consegue e le patologie che dallo stress derivano.

I radicali liberi sono specie chimiche caratterizzate dalla presenza di un elettrone dispari nella loro struttura elettronica e pertanto capaci di ridurre come di ossidare, perdendo l’elettrone dispari nel primo caso ed acquistando un elettrone dal co-reagente nel secondo. Un recente studio ha correlato patologie renali ed epatiche a valori anormalmente bassi di malon-aldeide, superossido-dismutasi, catalasi e glutatione ridotto, tutti antiox che proteggono l’organismo umano dallo stress suddetto.

Lo stesso tipo di test risulta capace di rilevare anche danni da esposizione a raggi X e ad altre radiazioni. Il test viene condotto analizzando e confrontando le medie delle concentrazioni degli antiox in soggetti malati ed in soggetti sani.

La determinazione degli antiox può avvenire con metodi diversi.Quelli elettrochimici sono i più applicati: voltammetria ciclica, voltammetria ad onda quadra, voltammetria a gradini, crono-amperometria, crono-coulombometria, polarografia, amperometria, potenziometria.

I biosensori rappresentano un’altra opzione di determinazione, in particolare basati sulle ossido-riduttasi. Gli elettrodi a carbone vetroso modificati con allumina e gli elettrodi a pasta di carbone, sintetizzati a partire dalla grafite, sono anche impiegati soprattutto per il vantaggio di potere in essi immobilizzare modificatori sensibilizzanti di tipo diverso.

Infine trovano applicazione nella determinazione degli antiox gli elettrodi a fullerene, a grafite ed a diamante drogato con boro.

I ciclovoltammogrammi ottenuti con gli elettrodi a pasta di carbone in presenza di un solo antiox, acido ascorbico per esempio, producono segnali di corrente proporzionali alla concentrazione dell’antiox.

In presenza di molti antiox insieme però il metodo, non essendo specifico, produce un segnale di corrente proporzionale alla capacità antiox totale.

Valori delle concentrazioni degli antiox al di sotto della norma sono indici di carenza di difese rispetto ai radicali. La luce solare, in effetti una finestra della sua lunghezza d’onda, in presenza di opportuni catalizzatori, alcuni dei quali naturali, è responsabile della produzione di questi radicali a partire sia dall’acqua che dall’ossigeno, due molecole ben presenti nell’ambiente capaci in queste condizioni di produrre radicali liberi dell’ossigeno, comunemente indicati come ROS (reactive oxygen species).

I radicali liberi prodotti  attaccano organi e tessuti. Il nostro organismo è in effetti dotato di sentinelle che vigilano per intervenire ove si crei questa condizione e che sono costituiti da antiossidanti endogeni come alcuni enzimi e, secondo ricerche recenti, melatonina

Ove queste sentinelle siano scarsamente attive a causa  di patologie o di età molto avanzata bisogna ricorrere ad antiossidanti esogeni. Qui le strade si dividono fra farmaceutica che guida all’impiego di farmaci antiox e nutraceutica in cui gli stessi effetti dei farmaci vengono ricercati con la scelta di alimenti antiossidanti contenenti cioè composti capaci di rimuovere i radicali liberi: si tratta per lo più di vitamine, polifenoli, carotenoidi, alcuni composti metallici ossidabili presenti negli alimenti.

Sono state formulate vere e proprie scale di capacità antiox dei comuni alimenti, a partire da frutta e verdura con la raccomandazione del consumo quanto più possibile a partire dai prodotti freschi e crudi per evitare condizioni di perdita di alcune proprietà.

Mobilità sostenibile.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

È quasi come la sostenibilità, tutti ne parlano e la stampa praticamente le dedica una incredibile serie di articoli sia sui quotidiani che sui settimanali che ovviamente anche sui programmi TV: sto parlando della mobilità sostenibile.

Se si pensa che in Italia circolano 52 milioni di autoveicoli con una percorrenza media di 12000km l’anno e che la CO2 media prodotta per km è pari a 130g si comprende come rispetto alla produzione totale di CO2, in Italia quasi 450 milioni di tonnellate, il contributo dalla mobilità sia rilevante (oltre il 20%).

Ad esso peraltro è stato calcolato che corrisponda un danno economico a persona pari a poco più di 1400 euro l’anno. Questo dato, riportato nelle statistiche ambientali, è ancor più importante del suo valore nominale in quanto rappresenta uno dei primissimi tentativi di modulare a scale diverse -quella economica e quella ecologica – per rendere confrontabili i loro valori.

Rispetto a questo doppio impatto-su ambiente e su salute -le proposte per ridurlo vanno in due direzioni. La prima fa riferimento agli stili di vita con proposte di ridurre la velocità max, di abbattere le potenze medie, di limitare l’uso del mezzo privato rispetto a quello pubblico, di condividere auto e motoveicoli; la seconda alle forme di alimentazione del motore con riferimento ad elettrico e biocarburanti, anche da rifiuti, incluso con problematiche tutte sue specifiche, l’idrogeno.

Con l’ultimo progetto arrivato il Waste fuel, ribattezzato petrolio biologico, si imita nell’arco di poche ore il processo naturale con cui la terra ha generato in centinaia di milioni di anni gli idrocarburi. Il cuore della tecnologia è la termoliquefazione, un processo termochimico in soluzione acquosa che trasforma la biomassa di partenza in una sorta di bio olio, con in più il recupero dell’acqua contenuta nel sistema, che nei processi in competizione con questo viene invece persa a causa della necessaria evaporazione. Gli altri vantaggi sono l’uso di temperature più basse e la resa energetica, 80% contro il 50-60% della tecnologia biogas. Si badi alle indicazioni date non solo come alternative ma anche come integrazione. Il cambio di alimentazione comporta un grande problema relativo alle stazioni di alimentazione. Il concetto di stazione di servizio del passato si è oggi trasformato in quello di mobility point con la possibilità di punti multipli di ricarica prenotabili attraverso una app. Si è così creata una rete di sostegno agli automobilisti e motociclisti che si estenderà anche fino ai Paesi Europei limitrofi a partire dal 2025. Quando si parla di mobilità sostenibile non si deve dimenticare il trasporto aereo. Le materie prime più necessarie per produrre il SAF (sustainable aviation fuel) possono essere materiali di scarto, come oli da cucina usati, grassi animali, rifiuti urbani, residui agroalimentari e agroforestali. I SAF, già disponibili sul mercato, possono essere usati in miscela fra loro per la sostanziale identità delle loro caratteristiche chimiche e fisiche e per la compatibilità con i tradizionali carburanti per l’aviazione; inoltre non richiedono la realizzazione di infrastrutture, essendo per essi idonee quelle attualmente in uso.

Una soluzione pubblica al problema della mobilità.

Claudio Della Volpe

Nella nostra società quasi ogni cosa è diventata una merce; si tratta di una osservazione che ha ormai oltre un secolo e mezzo, ma che si rivela assolutamente realistica, anche se guardiamo al mondo non degli oggetti ma dei servizi; e fra questi servizi la mobilità di persone e cose è diventata l’aspetto predominante.

Anche solo 50 anni fa muoversi facilmente o comprare merci provenienti da molto lontano era una azione tutto sommato limitata a certe merci e beni e ad una parte ristretta della popolazione; oggi chiunque può con pochi euro acquistare un bene che viene da lontano, anche da molto lontano e con i viaggi aerei low cost un numero enorme di persone, stimato nel 2016 in circa 2 passeggeri all’anno  per ogni abitante dell’Unione Europea, ha potuto recarsi in ogni parte del mondo, semplicemente pagando un biglietto; ci sono dei limiti che però sono scelte politiche che bloccano il movimento delle persone e delle merci, come le regole sulle emigrazioni o i dazi o le restrizioni sulle merci, ma in genere, ripeto sono scelte politiche, non tecniche.

Numeri ancora più elevati si registrano nelle altre modalità di trasporto; per esempio in Italia ci sono 663 auto ogni mille abitanti (2021) e ciascuna di esse percorre oltre 10mila chilometri all’anno.

Nell’Unione Europea, secondo Eurostat l’auto è stata di gran lunga il mezzo di trasporto più importante per il trasporto passeggeri in tutti gli Stati membri negli ultimi anni.

In definitiva la mobilità delle persone è una merce anche molto comune e ancor più la mobilità è un bene gestito privatamente, in quanto le auto sono principalmente mezzi privati.

Nell’Unione Europea ci sono 531 auto ogni mille abitanti, ossia oltre 260 milioni di automobili private e in Italia quasi 39 milioni di auto private.

L’Italia occupa il secondo posto come numero di auto procapite, nell’UE, seconda solo al Lussemburgo; certo questo dipende anche dal fatto che la popolazione non è così concentrata come in altri paesi, il 30% vive in piccole città o paesi, e dunque l’esigenza di mobilità è particolare rispetto a paesi dove la popolazione è più concentrata nelle grandi città; ma certo non è il solo fattore.

Quando si parla di transizione energetica la mobilità viene vista prima di tutto come il luogo della transizione verso il motore elettrico, ossia verso l’auto elettrica privata; ma consideriamo che le due cose, la transizione tecnologica e l’aspetto economico privato, non si identificano affatto!

Una cosa è dire che una auto elettrica è, a certe condizioni abbastanza ampie (di durata, di percorrenza etc.) meno energeticamente e climaticamente impegnativa, in tutto il corso della sua esistenza come dispositivo, di un’auto fossile, una cosa è dire che questo significa che dobbiamo muoverci verso un’Italia con 40 milioni di auto elettriche; è un ragionamento che si può facilmente spostare a livello mondiale, anche perché lì è ancora più chiaro che il numero attuale di automobili  private è destinato a crescere con il progresso materiale di ampi strati di popolazione dei paesi meno ricchi.

Dunque non si tratta di immaginare un futuro con un miliardo e mezzo di auto elettriche, ossia quante ce ne sono (più o meno) adesso fossili, ma con 5-6 o più miliardi di auto elettriche, numeri che certamente impongono una riflessione sulla montagna di materiale necessario a costruirle, qualunque esso sia e di energia elettrica necessaria a farle muovere; stiamo parlando, dato che un’auto elettrica pesa almeno come una fossile (in realtà di solito ben di più) di BEN OLTRE 5-6 miliardi di tonnellate di materiale complessivo e di una percentuale enorme del totale dell’energia usata dall’umanità, anche tenendo conto della maggiore efficienza del motore elettrico.

Dunque non una bazzecola, dato che stiamo parlando di materiali contenenti elementi che finora sono stati relativamente lontani dal tumultuoso processo di sviluppo tecnologico; parliamo di intaccare le risorse di litio, di cobalto, di rame, di nickel, terre rare ancor più o molto di più che adesso, sostituendo ai problemi di inquinamento attuali altri problemi.

D’altra parte la transizione energetica è necessaria, ma anche la richiesta di qualità della vita da parte degli uomini di qualunque paese è anche alta.

A me personalmente sembra ovvio che la soluzione non sta nel trasferire il modo privato attuale di usare l’auto semplicemente cambiando il motore, ma di mutare la sostanza SOCIALE del modo di considerare la mobilità.

Non più una merce ma un servizio pubblico, fortemente regolamentato.

La mobilità aerea probabilmente vedrà una netta riduzione poiché al momento voli transatlantici elettrici sono fuori questione, ancor più per grandi masse di persone, e allora perché non possiamo pensare a strade diverse per la mobilità terrestre?

In effetti questa estate abbiamo avuto un potente esempio di come fare questa transizione in un modo che probabilmente molti non si aspettavano; la Germania, il paese leader dell’UE, il paese che ha una dominante potenza economica ha scelto improvvisamente (anche se momentaneamente) una via diversa da quella dell’auto individuale, ossia una cosa ovvia, l’uovo di Colombo: il mezzo pubblico.

Cosa è successo esattamente?

9-Euro-Ticket-Weiterfahren

Stiamo parlando del Klimaticket.

Un biglietto a 9 euro al mese ha consentito di usare ogni tipo di mezzo pubblico regionale (dei diversi Lander, le regioni tedesche). Per tre mesi giugno, luglio e agosto, in pratica, i tedeschi hanno pagato 9 euro al mese un abbonamento per utilizzare tutti i treni regionali e il trasporto pubblico in città. In questo modo, dall’inizio del mese di giugno, in Germania sono stati venduti ben 21 milioni di abbonamenti in più.

A confermare gli effetti positivi di questa scelta è lo studio presentato da Tom-Tom International per conto dell’agenzia Deutsche Presse Agentur, secondo cui in 23 delle 26 principali città della Repubblica federale le lunghe code di auto nelle ore di punta sono praticamente scomparse.

I dati elaborati indicano che il sostanziale calo di traffico rilevato dai tecnici Tom-Tom è strettamente legato all’introduzione del nuovo biglietto speciale, ha detto Ralf-Peter Schäfer, esperto di trasporti dell’azienda leader dei sistemi di navigazione satellitare.

Ai 21 milioni di nuovi utenti si aggiungono i 10 milioni di passeggeri già in possesso dell’abbonamento ordinario. L’aumento di passeggeri sulle tratte a breve raggio (stimato da Deutsche Bahn nell’ordine del 10-15% rispetto a prima della pandemia) ha spinto le ferrovie statali a moltiplicare l’offerta di treni.

Un successo, insomma, tanto che la Germania ha pensato di puntare a un trasporto pubblico più conveniente ben oltre il 31 di agosto.

I dati di TomTom mostrano che a pochi giorni dall’avvio dell’iniziativa si è verificato un graduale decongestionamento delle aree urbane con l’effetto di ridurre traffico e smog. L’impatto è stato particolarmente evidente ad Amburgo e Wiesbaden, dove gli specialisti della navigazione satellitare hanno misurato un risparmio medio di tempo di 4,2 e 3,9 minuti su un tragitto di 30 minuti. Mentre da un sondaggio YouGov condotto per l’agenzia dpa emerge che un tedesco su cinque (il 18%) ha dichiarato di aver completamente sostituito la propria auto con il trasporto pubblico locale.

Inoltre, anche i trasporti ferroviari hanno visto un significativo aumento dei passeggeri. Sulle tratte a breve raggio, in particolare, Deutsche Bahn ha stimato un aumento del 10-15%. Come conseguenza diretta, le ferrovie statali hanno deciso di ampliare l’offerta di treni.

Nonostante i dubbi che hanno preceduto Euroticket, adesso tutti sono convinti della bontà della misura: è bastata provarla per tre mesi per rovesciare le carte e cambiare le opinioni.

Dopo lunghe discussioni si sono riuniti a Bremerhaven pochi giorni fa i ministri dei trasporti dei vari länder ed hanno concordato che la misura di questa estate va proseguita in una forma un po’ diversa e per certi aspetti più ampia; 49 euro al mese su base nazionale; si potranno dunque usare tutti i mezzi pubblici locali, regionali, ma su base nazionale con una spesa di soli 49 euro al mese.

Non si è deciso come finanziare la nuova strategia, e si scontrano qui diverse idee, lo Stato ci metterà 1.5 miliardi di euro e chiede di fare altrettanto ai vari länder; la forma specifica è in discussione, ma la sostanza è che il paese più potente d’Europa ha capito che la soluzione della mobilità innovativa non è l’auto privata, ma prima di tutto il trasporto pubblico. La misura dovrebbe partire dal prossimo 1 gennaio.

Ovviamente occorrerà investire sulla rete dei trasporti pubblici (dico io invece che sugli incentivi all’acquisto di auto private) come hanno subito chiesto le aziende pubbliche di trasporti che prevedono un aumento delle richieste di servizio. Ovviamente si continuerà a spingere anche per l’auto elettrica, ma la mobilità pubblica ha acquisito un ruolo diverso da prima e dunque occorre dedicare al trasporto pubblico regionale e non solo a quello TAV, PIU’ RISORSE!

Si tratta in effetti di un compromesso perché alcuni hanno già in corso abbonamenti a prezzi inferiori, come il lander di Berlino che ne ha uno a 29 euro ed in certe altre zone i poveri e gli studenti pagano di meno di 49 euro, la cosa dovrà essere chiarita.

Il nuovo biglietto si chiamerà: Klimaticket Deutschland.

Una serie di misure analoghe sono in corso anche in altri paesi europei e non, ed indicano una nuova consapevolezza dei problemi della transizione ecologica, un elenco completo dei vari casi lo trovate in questo articolo e una analisi completa “scientifica” del problema in questo articolo di Springer; nella sola Europa ci sono 57 città dove il trasporto è gratuito, è un servizio sociale, non una merce ed in tutto il mondo in oltre 100 località. Può sembrare strano, ma è così, questa è la soluzione, prima dell’auto elettrica privata (o insieme, dato che l’auto elettrica privata per tutto il mondo è un’altra scelta mercantile più che ecologica e comunque copre aspetti diversi della mobilità).

Esiste perfino un acronimo in inglese Ffpt, fare-free public transport)

Il caso più eclatante è quello austriaco: il conservatore Sebastian Kurz, a capo di un governo a cui partecipano anche i Verdi, ha istituito un abbonamento annuale dal prezzo simbolico di 3 euro al giorno, che consente di circolare liberamente 24 ore su 24 sull’intera rete del trasporto pubblico metropolitano, comprendente autobus, tram, metropolitane ed alcuni treni

A quando una misura simile in Italia?

Articoli consultati con quelli citati:

https://link.springer.com/article/10.1007/s11116-019-09986-6

https://www.bahn.com/en/offers/regional/9-euro-ticket-en

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/08/28/caro-energia-come-e-andato-il-biglietto-da-9-euro-in-germania/6776253/

A proposito di disinfezione dell’acqua potabile.

Mauro Icardi

La disinfezione dell’acqua è una misura preventiva che garantisce la nostra salute.

Il Ministero della Salute definisce l’acqua come potabile quando è sicura dal punto di vista chimico e microbiologico e presenta caratteristiche organolettiche (limpidezza, assenza di odori) accettabili per chi la beve. In Italia, come in tutti i paesi industrializzati, l’acqua subisce numerosi controlli e trattamenti affinché rispetti questi standard. Le tipiche conseguenze dell’acqua non potabile includono i sintomi intestinali (diarrea e mal di pancia) dati da infezioni del tratto digerente che si hanno nel 50% dei casi di ingestione di acque non trattate.

L’introduzione del cloro per la potabilizzazione delle acque agli inizi del ‘900 segnò un importante passo avanti nella soluzione del problema dell’approvvigionamento idrico e dellaqualità dell’acqua, aiutando a sconfiggere malattie batteriche e virali come il colera, il tifo e la dissenteria. Il cloro diventò così il disinfettante per l’acqua potabile più comune per prevenire la trasmissione di malattie attraverso la pelle o l’ingestione. Una scoperta che ai tempi rivoluzionò anche la vita delle persone, che finalmente poterono contare su un’acqua sicura e più facilmente disponibile.

Il prodotto presente in commercio che viene normalmente utilizzato per la clorazione delle acque è una soluzione di ipoclorito di sodio al 12-14% in volume, pari a circa il 10% in peso di cloro attivo (la candeggina domestica contiene circa il 5 per cento di ipoclorito di sodio).

L’aggiunta di cloro nell’acqua produce acido cloridrico e ipocloroso: questi composti sono noti come cloro libero. Il pH e la temperatura incidono in modo rilevante sulla efficacia della disinfezione.

Sia che il cloro venga immesso direttamente nella rete idrica, sia in un serbatoio, dovrebbe essere assicurato prima dell’utilizzo un “tempo di contatto” fra acqua e cloro di almeno 30 minuti, in maniera che il cloro possa svolgere la sua azione battericida.
In realtà poiché le soluzioni di ipoclorito di sodio perdono spontaneamente (con il tempo, la luce, la temperatura, l’azione di altre sostanze presenti nell’acqua) il titolo in cloro attivo, per assicurare “al rubinetto” la misura richiesta (es. 0,2 mg/l), negli acquedotti si applicano dosaggi progressivamente superiori (es. 0,4 mg/l).  I valori di cloro sia libero che totale vengono evidenziati con appositi reagenti, e prevalentemente misurati con il colorimetro portatile.
Il Colorimetro Digitale (detto anche fotometro) permette di determinare la concentrazione di cloro libero o totale con un metodo colorimetrico: la reazione tra cloro e reagente conferisce una particolare colorazione all’acqua che opportunamente elaborata dalla fotocellula interna allo strumento permette all’operatore, anche non specializzato, di leggere direttamente nel display il valore in mg/l, con una precisione da laboratorio.

Possono essere utilizzate anche tecniche diverse per la disinfezione, quali l’ozonizzazione e le radiazioni UV. Queste tecniche possono essere usate in combinazione con quella di clorazione.

Una delle più frequenti risposte di chi non beve acqua del rubinetto è proprio la considerazione che l’acqua “sappia di cloro”, oppure che si senta odore di candeggina quando si apre il rubinetto. Premesso che la disinfezione delle acque destinate al consumo umano è regolamentata, per quanto riguarda il cloro residuo totale al punto di messa a disposizione dell’utente il decreto legislativo 31/2001 stabilisce che il valore di 0,2 mg/L è da intendersi come valore minimo. Si tratta di un valore consigliato.  Non è sempre richiesta, ma quando il gestore la ritenga necessaria deve essere condotta correttamente per garantire una concentrazione minima di cloro presente in tutta la rete. Vengono effettuate verifiche sulla rete e sono possibili misure e verifiche in continuo, oltre a quelle puntuali del valore di cloro libero. Lasciando l’acqua in una caraffa il cloro evapora rapidamente. Le tecniche di disinfezione non sono standardizzate, dipendono dalla provenienza dell’acqua da immettere in rete (di falda o superficiale). Le acque di falda molto profonde sono a volte prive di contaminazione batterica all’origine. I laboratori dei gestori delle aziende che erogano l’acqua verificano la qualità delle acque. In caso di interventi di manutenzione sulla rete idrica per la riparazione per esempio di perdite, deve essere sempre possibile disinfettare le tubazioni al ripristino della funzionalità.

Febbre tifoide, colera, epatite A o Esono alcune delle malattie che si possono contrarre attraverso il consumo di acqua non potabile. E questo è tra i motivi principali per cui nei paesi del Sud del mondo sono proprio queste malattie a causare le peggiori epidemie.

In Italia direi che è un rischio improbabile quindi ci si potrebbe anche fare una riflessione più approfondita e meno superficiale quando apriamo il rubinetto di casa. Siamo ancora nella parte fortunata del mondo (almeno per il momento) da questo punto di vista.

Il punto sugli OGM nell’UE.

Luigi Campanella, già Presidente SCI.

Da tempo si discute sulla possibilità di riconsiderare i divieti dell’UE nei confronti degli OGM e dell’editing genetico che limitano la coltivazione e la vendita di alcune varietà di colture create con nuove tecniche. Ora sembra che qualcosa si muova concretamente; infatti all’ultima riunione dei 27 Ministri Europei dell’Agricoltura è stata discussa la possibilità di aprire le frontiere alle coltivazioni OGM di nuova generazione ed è stato preannunciato per il 2023 una iniziativa legislativa in tale direzione, a correzione della vecchia legge del 2001.

Il fronte non è compatto: gli Spagnoli sono i primi sostenitori, gli Italiani convinti del danno per la nostra industria alimentare tradizionalmente i più contrari, anche se di recente meno duri nel difendere la propria posizione. In effetti la posizione del nostro Paese coincide con quella di 60 organizzazioni internazionali della filiera alimentare che invitano a rinunciare a questo progetto in quanto estremamente dannoso per l’industria alimentare e poi anche non visto di buon occhio dall’80% dei cittadini europei, a prescindere quindi dalle convinzioni espresse da chi lo sostiene circa il minore consumo di acqua e la minore esigenza di fitofarmaci e di fertilizzanti da parte delle colture OGM rispetto alle tradizionali.

I dati più recenti dicono che in 29 Paesi del Mondo le coltivazioni OGM raggiungono in totale i 190 milioni di ettari, principalmente mais, soia, cotone e colza. I maggiori produttori sono USA, Brasile, Argentina, Canada, India. 42 Paesi non producono OGM, ma li importano. L’Europa, a detta di chi è favorevole, accettando di produrre OGM migliorerebbe la sua produttività alimentare con picchi fino al 20% per mais e grano, il che consentirebbe di rendersi indipendente da forniture per importazione e addirittura di esportare ai Paesi che ne hanno bisogno, a partire dall’Africa.

Sugli OGM si è però aperto un discorso molto più ampio rispetto a quello della produzione e che limita tutti questi aspetti positivi della tecnologia OGM.

Mi riferisco agli aspetti di sicurezza ed etici.

La sperimentazione circa il possibile impatto negativo di alcuni OGM sull’organismo umano ed il suo codice genetico non ha ancora raggiunto l’ampiezza e ripetibilità necessarie per garantirne l’accuratezza, da qui l’invocata limitazione ai casi sperimentalmente più sostenuti e la richiesta di infrastrutture di ricerca e relative risorse per estendere questo tipo di sperimentazione. C’è poi l’aspetto etico riferito alla modifica genetica di un prodotto naturale che interferisce con altri organismi viventi stressandone il normale ciclo di vita, quindi in una visione antropologica e non ecologica del nostro mondo e mettendo in pericolo la diversità biologica

Da consultare:

https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20151013STO97392/ogm-tutto-quello-che-c-e-da-sapere

L’uomo dell’effetto pompelmo

Claudio Della Volpe

Lo scorso 27 agosto è morto, senza grande rumore, uno scienziato che ha scoperto una cosa davvero importante, che probabilmente avrà effetto sulla vita di ciascuno di noi, se non lo ha già avuto; ma la sua morte è passata sotto silenzio.

Sto parlando di David Bailey e dell’”effetto pompelmo”. 

E’ un argomento di cui abbiamo parlato in un recente post.

E’ stato un caso di serendipità o se volete di grande intelligenza; David era un ragazzone canadese appassionato di corsa; era nato nel 1945, figlio di una aviatore canadese e di una donna da lui conosciuta, non ne sappiamo il nome; fu adottato da una coppia di Toronto e divenne il primo atleta canadese a correre il miglio in meno di quattro minuti a ventuno anni nel 1966; questo record non era il primo ma era significativo per quell’epoca e per l’ambiente anglosassone di cui il Canadà faceva parte.

(in realtà il primo a fare il miglio in meno di quattro minuti era stato Roger Bannister ad Oxford nel 1954, anch’egli morto di recente).

David era un ragazzo che certo non ebbe una vita facile; perse un occhio in un incidente e questo gli precluse parecchi sport; ma dato che gli piaceva correre il mezzofondo ed aveva successo in quello sport, arrivò alla squadra olimpica nel 1968 a Mexico City, dopo aver vinto un bronzo ai giochi panamericani del 1967 (vedi immagine, qui sotto, l’ultimo a destra) e un argento alle Universiadi di Tokio. Purtroppo a Mexico City la fortuna gli fu avversa, arrivò sesto nelle eliminatorie e fu escluso dalla finale.

Nel 1964 aveva iniziato a studiare farmacia alla Università di Toronto, dove fece anche un dottorato; continuò poi con un postdoc alla Saskatchewan; andò infine a lavorare per l’attuale Astra Zeneca. Ma finì per tornare all’Università ad insegnare, alla Western University.

Alcuni anni dopo, Bailey stava studiando le interazioni tra alcol e felodipina, un farmaco per la pressione sanguigna (la felodipinaè un calcio-antagonista selettivo a livello vascolare usato come anti-ipertensivo, decrementa la conduttanza del calcio nelle cellule miocardiche e della muscolatura liscia vasale)

In uno studio clinico, Bailey provò a usare il succo di frutta per coprire il gusto acuto dell’alcol prima di darlo ai partecipanti e notò che coloro che avevano preso il succo avevano concentrazioni molto più elevate del farmaco nel sangue; non era chiaro se fosse l’alcol o il succo a creare l’effetto.

Così ho deciso di fare uno studio pilota, su di me, per scoprirlo“, ha detto in una intervista del 2013. “Una volta ho preso il farmaco con acqua, poi l’ho preso con succo di pompelmo. I miei livelli di farmaco erano cinque volte più alti con il succo di pompelmo. Quello è stato un grande momento eureka“.

La scoperta di Bailey ha avuto enormi conseguenze; prima di tutto ha rivelato che ci sono sostanze naturali come i flavonoidi contenuti nel pompelmo, ma anche in altri agrumi, capaci di interagire con il metabolismo di alcuni farmaci, sia in un senso che nell’altro.

I risultati di Bailey dipendevano dall’enzima intestinale, CYP3A4, che è stato inibito dai flavonoidi nel succo, che hanno soppresso il metabolismo del farmaco e fatto sì che la sua concentrazione raggiungesse livelli pericolosi.

Nel corso degli anni, si è scoperto che più di 85 farmaci, che trattano una serie di condizioni dal cancro alle malattie cardiache, sono noti per essere influenzati dal succo. L’elenco continua a crescere ogni anno; potete trovarlo a questo indirizzo, un elenco aggiornato dalla FDA.

Mentre alcuni farmaci perdono efficacia a causa del succo, più di 40 diventano potenzialmente letali se consumati con il succo perché il corpo non li metabolizza così rapidamente ed essi indugiano nel sistema.

L ‘”effetto pompelmo”, come è stato conosciuto, ha portato a etichette su questi farmaci che avvertono i pazienti di evitare il frutto in ogni momento durante l’assunzione del farmaco.

E’ una scoperta che ha salvato molte vite. Come si vede dalla figura qui sotto gli effetti possono essere opposti; in certi casi la concentrazione del farmaco aumenta perché le molecole contenute nel succo di pompelmo (e di altri frutti) bloccano gli enzimi che metabolizzano il farmaco e ne aumentano la concentrazione o lo rendono efficace più a lungo.

In altri casi invece i componenti del succo impediscono ai “trasportatori di farmaci” di agire correttamente e dunque ne abbassano la disponibilità effettiva.

Ma c’è di più; questa scoperta ha aperto la strada alla farmacogenomica, ossia allo studio dell’interazione fra metabolismo dei farmaci e geni che comandano gli enzimi che li metabolizzano; la farmacogenomica analizza come il corredo genetico di un individuo influisce sulla sua risposta ai farmaci. Si occupa dell’influenza della variazione genetica acquisita ed ereditaria sulla risposta al farmaco nei pazienti correlando l’espressione genica o i polimorfismi a singolo nucleotide (ossia le modifiche dell’enzima conseguenti a singoli errori del DNA) con la farmacocinetica (assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione del farmaco) e la farmacodinamica (effetti mediati attraverso i bersagli biologici di un farmaco).

L’effetto “pompelmo” non funziona in egual modo in tutti a causa di questa intrinseca variabilità genetica (od epigenetica!).

Gli anziani sono più sensibili a questi effetti perché prendono in media più farmaci, ma anche per altri motivi più sottili di cui parleremo in prossimi post.

Da leggere:

https://www.the-scientist.com/news-opinion/pharmacologist-and-olympian-david-bailey-dies-at-77-70605

https://www.theglobeandmail.com/canada/article-david-bailey-olympian-and-pharmacologist-who-discovered-the-grapefruit/

https://en.wikipedia.org/wiki/Grapefruit%E2%80%93drug_interactions

La chimica delle formiche guerriere.

Claudio Della Volpe

Circa 100 anni fa uno studioso francese di entomologia, L. Burgeon pubblicò un articolo sull’organizzazione sanitaria presente in uno speciale tipo di formiche africane denominate formiche guerriere o cadaveriche, la specie Megaponera. Da ragazzo avevo sentito parlare di queste terribili formiche da mio padre che trascorse buona parte della sua giovinezza nell’Africa subsahariana dove questa specie abita. Sono formiche che si cibano di termiti e che vanno a caccia in gruppo, note per la loro aggressività e per una serie di caratteristiche come l’odore che emanano. Originariamente le formiche erano state segnalate da David Livingstone durante il suo primo viaggio; egli scrive:

“Nota una grande formica nera, che diffonde un odore sgradevole e penetrante da un fluido volatile come l’etere” ….”Una mattina vidi uscire una colonna di formiche nere che mi sembrava stessero andando in battaglia, e cominciai a seguirle. Uno dei capitani del reggimento nero, dopo averli finalmente visti (le termiti), si precipitò contro di loro, li rese insensibili, grazie a un particolare liquido che il suo pungiglione secerne, e li consegnò ai soldati che li portarono via immediatamente. Avendo salvato alcuni dei prigionieri, non sono riuscito a farli uscire dallo stato di insensibilità in cui il pungiglione del loro nemico li aveva fatti precipitare”.

Burgeon a sua volta segnala che queste formiche hanno una peculiare organizzazione sociale basata sul soccorso sanitario ai feriti che vengono soccorsi

L. Burgeon, Une organisation sanitaire chez les fourmis Megaponera. Rev. Zool. Bot. Afr. 16, 94–95 (1929).

Il lavoro di Burgeon non ebbe molto successo ed è difficile da ritrovare; lo cito perché a sua volta citato dai più recenti lavori; dei quali uno solo ha avuto un grande successo; pubblicato su Science nel 2017, quasi un secolo dopo e preceduto comunque da più precise osservazioni sul campo.

In questo lavoro, in effetti molto completo, l’osservazione viene approfondita parecchio e se ne svela il meccanismo esatto che è di tipo chimico.

Noi sappiamo che le formiche, come altri insetti sociali, hanno una comunicazione chimica molto sviluppata (emettorno feromoni che vengono assorbiti mediante le antenne) ed usano armi chimiche efficaci, l’acido formico di cui abbiamo parlato altrove è un buon esempio. Nel medesimo post testè citato si parla delle conoscenze (istintive) di automedicazione di parecchi animali; ma qui parliamo di qualcosa di più complesso ancora: una organizzazione sociale che prevede l’aiuto a soggetti feriti e tecniche di cura dei medesimi.

Gli autori del lavoro pubblicato su Science interpretano questo comportamento come un adattamento specifico che riduce il costo legato al particolare tipo di alimentazione; le termiti sono anch’esse molto aggressive e alcune termiti sono specializzate nella difesa del termitaio; e dunque un certo numero di Megaponera, nonostante le loro dimensioni (che possono raggiungere i due centimetri) soffrono gravi ferite, per esempio numerose di esse perdono uno o più arti o loro porzioni. Le formiche hanno 6 arti dei quali quattro dedicati alla locomozione e due usati come “braccia”, oltre alle lunghe mandibole e alle antenne “genicolate” ossia piegate e al pungiglione.

da Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Formicidae

Queste perdite si infettano con facilità e dunque l’individuo colpito ha una elevata probabilità di morire e il formicaio perderebbe in questo modo una risorsa. La cura degli individui feriti avviene con un meccanismo molto preciso.

Gli autori scrivono:

Mostriamo che un comportamento di salvataggio unico in M. analis, costituito da compagni di nido feriti che vengono riportati al nido, riduce la mortalità da combattimento. Dopo un combattimento, le formiche ferite vengono riportate indietro dai loro compagni di nido; queste formiche di solito hanno perso un’estremità o hanno termiti aggrappate a loro e sono in grado di recuperare all’interno del nido. Le formiche ferite che sono costrette sperimentalmente a tornare senza aiuto, muoiono nel 32% dei casi. Esperimenti comportamentali mostrano che due composti, dimetilsolfuro e dimetil trisolfuro, presenti nei serbatoi della ghiandola mandibolare, innescano il comportamento di salvataggio. Un modello che tiene conto di questo comportamento di salvataggio identifica i driver favorevoli alla sua evoluzione e stima che il salvataggio consenta il mantenimento di una colonia di dimensioni maggiori del 28,7%.

DMS

DMTS

Nell’articolo si analizzano i tipi di ferite che si riscontrano sul campo e si conclude che non tutti i feriti vengono soccorsi, ma solo quelli le cui capacità di recupero sono più elevate. Riassume Wikipedia:

I soldati termiti sono in grado di mordere le estremità o aggrapparsi al corpo della formica dopo la loro morte. Queste formiche hanno sviluppato un meccanismo unico per affrontare questo aumento dei costi di foraggiamento. Le formiche ferite da battaglia “chiedono” aiuto con un feromone nella loro ghiandola mandibolare (costituito da due composti chimici: dimetil disolfuro e dimetil trisolfuro), attirando i compagni di nido, che poi iniziano a indagare sul compagno di nido ferito, a prenderla e a riportare la formica ferita al nido. In questo modo, riducono il loro tasso di mortalità del 32% a quasi zero. All’interno del nido le termiti aggrappate vengono rimosse. Nel caso in cui perdessero una o due zampe le formiche si adattano a una locomozione a quattro o cinque zampe per compensarla, consentendo loro di raggiungere velocità di corsa simili a quelle di una formica sana. Queste formiche ferite sono quindi di nuovo in grado di svolgere compiti di colonia e sono persino osservate in future incursioni contro le termiti. Un modello (il lavoro citato) ha calcolato il valore di questo comportamento di salvataggio per consentire a una colonia di essere più grande del 28,7% di una colonia che non mostrerebbe questo comportamento (a causa del risparmio energetico di non dover sostituire i lavoratori infortunati con nuove sostituzioni sane). Questa è l’unica specie di invertebrati nota per mostrare un tale comportamento nei confronti di individui feriti.

La cura sembra consistere nell’uso della saliva che contiene composti antibatterici e che è documentato da varie osservazioni sperimentali.

Qui sotto vediamo una formica che “tratta” l’arto malato di una cospecifica mettendoselo in bocca. Nella saliva sono state rivelate parecchie sostanze con proprietà antibatteriche che potrebbero entrare anche nella nostra medicina. L’autore del lavoro ha dichiarato:
Abbiamo scoperto che le formiche ferite comunicano quando una ferita è infetta. “Nelle sostanze applicate, abbiamo trovato oltre un centinaio di componenti chimici e 41 proteine. Di circa la metà di loro, possiamo già dimostrare che hanno qualità antimicrobiche “

Queste sostanze sembrano essere altamente efficienti perché circa il 90% degli animali trattati è sopravvissuto alle ferite.

Sintetico o naturale, lovastatina o riso rosso fermentato?

Claudio Della Volpe

Naturale o sintetico è un argomento su cui ho scritto ripetutamente; stavolta vorrei rimanere sul classico argomento; sia naturale che sintetico (o casomai purificato) possono essere buoni o pericolosi; dipende (principalmente ma non solo) dalla natura precisa della molecola considerata e dalla sua quantità. Tuttavia non si possono escludere (in linea di principio almeno) effetti legati alla composizione isotopica, alla presenza di “impurezze” diverse nei vari casi, alla condizione concreta del prodotto considerato.

Un caso recentissimo sono le cosiddette statine naturali.

Di che si tratta?

Lovastatina o Monacolina K (lattone)

                                      Monacolina J

La Lovastatina o monacolina K lattone                  La lovastatina o monacolina K acida

Le statine sono molecole usate da alcuni anni nel mondo occidentale nel controllo dell’ipercolesterolemia, ce ne sono di naturali e di sintetiche. Il loro meccanismo di azione corrisponde all’inibizione di uno specifico enzima.

Questo ha senso perché sappiamo che circa l’80% del colesterolo nel sangue è prodotto dall’organismo, mentre solo il 20% dipende dall’alimentazione. Le statine bloccano un enzima (idrossi-metilglutaril-coenzima A reduttasi), qui rappresentato.

Le statine  sono costituite in sostanza da inibitori che competono col mevalonato , precursore del colesterolo e possono avere nella loro molecola sequenze identiche al mevalonato oppure possono essere stericamente simili al mevalonato, che vedete qui sotto.

L’inibizione dell’enzima, indispensabile per il processo di produzione del colesterolo da parte dell’organismo e che si trova nella membrana del reticolo endoplasmatico liscio, riduce così i livelli del colesterolo cosiddetto LDL (dall’inglese Low Density Lipoprotein, lipoproteine a bassa densità). L’assunzione di statine può ridurre del 30-40% il valore di colesterolo totale, rappresentato dalla somma di LDL e HDL (dall’inglese High Density Lipoproteins, lipoproteine ad alta densità) agendo sulla quantità del colesterolo LDL con una diminuzione anche del 50-60%, mentre i livelli del colesterolo HDL rimangono invariati o possono, addirittura, aumentare.

Le sigle LDL e HDL vengono dal nome delle proteine che trasportano il colesterolo; le LDL lo trasportano dal fegato, dove viene prodotto, verso le zone periferiche, dove se è in eccesso si accumula; mentre le HDL lo trasportano in direzione opposta dalla periferia verso il centro.

Si possono usare altre molecole attive quali, ad esempio, gli steroli vegetali, che però agiscono limitando l’assorbimento di colesterolo dal cibo e, quindi, possono agire solo sulla quota di colesterolo che dipende dall’alimentazione e che è una parte ridotta del totale.

Infine le statine agiscono anche sui livelli dei trigliceridi nel sangue, ma con un effetto più modesto rispetto al colesterolo, riducendoli di circa il 10%.

Tuttavia anche le statine esistono in forma “naturale” ossia sono presenti nel riso rosso fermentato, un alimento, non un farmaco e il loro effetto farmacologico è conosciuto da millenni, dato che fanno parte della farmacopea cinese.

Leggiamo in letteratura (Molecules 2019, 24, 1944; doi:10.3390/molecules24101944 ):

Il (Red Yeast Rice) RYR, che è fermentato a solido mediante inoculazione artificiale di Monascus purpureus sul riso al vapore, è stato ampiamente utilizzato per migliaia di anni dalla Cina e da altri paesi vicini. Ha vari nomi in diverse culture. Ad esempio, si chiama Chiqu, Hongqu, riso rosso, Fuqu, ecc., In Cina; Koji, AngKhak, Beni-Koji e Red-Koji in Giappone; Rotschimmelreis in Europa; e Red Mold o Red mold rice negli Stati Uniti. Nei tempi antichi, Fujian, Zhejiang e Taiwan erano considerati i luoghi di origine di RYR, in particolare Gutian (una città nella provincia del Fujian) che è stata confermata come la vera origine di RYR a causa dell’alta qualità della sua produzione. Il primo uso del RYR è come aromatizzante alimentare, colorante e agente di fermentazione, come nella cagliata di fagioli fermentati, nello stufato di maiale, nei prodotti a base di carne arrosto e nel vino di riso. Successivamente, gli antichi hanno scoperto che RYR ha effetti terapeutici. Gli effetti terapeutici sono stati registrati nel Compendio di Materia Medica, un’antica farmacopea cinese scritta da Li Shizhen durante la dinastia Ming (XIV-XVII secolo), che narrava in dettaglio come la RYR abbia “l’effetto di promuovere la circolazione del sangue e rilasciare la stasi, rinvigorire la milza e facilitare la digestione”.

Dal 1979, la monacolina K, che può abbassare i lipidi nel sangue, è stata estratta dalle specie Monascus. Al giorno d’oggi, RYR si presenta in due forme sul mercato: RYR comune, che viene utilizzato come fonte di pigmenti naturali per la colorazione nell’industria alimentare e tessile. Le condizioni di fermentazione del RYR comune sono relativamente rapide e semplici.

Secondo il “Riso fermentato additivo alimentare GB1886.19-2015”, la qualità del RYR comune viene valutata in base al colore.

L’altro tipo è chiamato RYR funzionale e ha un effetto ipolipemizzante definito. Le condizioni di fermentazione della RYR funzionale devono essere ottimizzate scientificamente, anche attraverso lo screening dei ceppi di Monascus RYR e la determinazione delle condizioni ottimali di fermentazione (temperatura, contenuto di umidità, tempo, ecc.). La qualità del RYR funzionale è valutata dal contenuto di monacolina K, che è uno dei i metaboliti secondari di Monascus [10,11]. A causa della ben nota efficienza ipolipemizzante di RYR funzionale, ci sono molti farmaci brevettati cinesi contenenti RYR funzionale per ridurre lipidi in vendita sul mercato, come Zhibituo, Xuezhikang e Lezhiping [12-14].

Dunque le statine di fatto esistevano e venivano usate da secoli nella cultura cinese; da qualche anno sono usate e vendute anche da noi come prodotto “farmaceutico” puro, purificato da quello naturale.

Per alcuni anni sono state vendute in Europa in entrambe le forme, come farmaco e come integratore.

Di recente tuttavia la EFSA è intervenuta su questo settore imponendo una sostanziale modifica delle condizioni di vendita del riso rosso fermentato.

La storia è raccontata sulla rivista Farmacista33 fin dal 2013, ed occorre riconoscere che fin da subito veniva chiesta una indagine europea per chiarire i modi di uso corretti dell’integratore; in particolare è intervenuta ripetutamente la dott. Marinella Trovato una biologa che presiede la SISTE (Società Italiana di scienze applicate alle piante officinali ed i prodotti per la salute).

Il riso rosso fermentato, ma in particolare il suo componente caratterizzante, la Monacolina K, sono stati oggetto di due pareri espressi dall’Agenzia per la sicurezza degli alimenti (EFSA): il primo relativo alla sua efficacia nel mantenimento dei livelli normali di colesterolo nel sangue (2011) ed il secondo sulla sua sicurezza, non considerata in precedenza (2018).

Nel primo il panel NDA dell’EFSA confermava esserci correlazione tra l’assunzione di Monacolina K da RYR a 10 mg/die ed il mantenimento di una normale concentrazione di colesterolo LDL nel sangue ai sensi del Reg. (CE) 1924/2006. Nel secondo parere, pubblicato il 3 agosto u.s, relativo in questo caso alla sicurezza della Monacolina K nel riso rosso fermentato negli alimenti, il panel ANS dell’EFSA, conclude di non essere in grado di definire un apporto di monacoline da RYR negli alimenti che non dia luogo a preoccupazioni circa i possibili effetti nocivi per la salute. (http://www.farmacista33.it/riso-rosso-fermentato-milioni-di-confezioni-segnalazioni-di-effetti-avversi-in-anni-non-puo-essere-allarme/politica-e-sanita/news–45533.html?word=monacolina  trovate gli altri articoli cercando sulla pagina di Farmacista33.)

In particolare la dott. Trovato ha fatto notare (articolo del 2018) che i dati usati dall’EFSA e pubblicati da colleghi italiani (BJCP, Volume83, Issue4 April 2017 Pages 894-908) in un lavoro che riportava il numero di effetti collaterali seri raccolti con meccanismi non ufficiali nel corso di parecchi anni non facevano riferimento al numero totale di utilizzatori dell’integratore che assommava a vari milioni nel medesimo periodo (40 milioni di confezioni contro 55 casi avversi di una certa importanza, 1 ogni circa milione di utilizzatori, contro i valori molto più alti della statina farmacologica, anche se c’è da dire che le dosi erano diverse nei due casi:  da 3 a 10mg/die in un caso e 20mg/die o superiori nel caso del farmaco dove gli effetti sono molto più marcati comunque). Poche settimane dopo Federsalus, la associazione di categoria degli imprenditori del settore integratori interveniva ancora rincarando la dose e sostenendo che l’EFSA nel suo parere del 2018 con cui aveva portato da 3 a 10mg/die la dose da usare per avere effetto non aveva considerato tutta una serie di pubblicazioni che provavano che l’efficacia dell’integratore era diversa a causa di alcune differenze di composizione (in particolare la copresenza di altre statine oltre la lovastatina, e la forma acida e non lattonica del prodotto), chiedendo infine la archiviazione sulla monacolina K. In definitiva si capisce che la monacolina non purificata sarebbe efficace anche a livelli inferiori.

Nel giugno di quest’anno 2022, a seguito di un esplicito parere dell’EFSA, il ministero della Salute ha emesso una circolare recante “Monacoline da riso rosso fermentato – Circolare prime indicazioni applicative reg. (UE) 2022/860 che modifica l’allegato III del regolamento (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio”. Il documento riporta l’inclusione delle «monacoline da riso rosso fermentato» nelle parti B e C dell’allegato III del reg.1925/2006, come stabilito dal reg. (UE) 2022/860 pubblicato nella Gazzetta ufficiale UE il 2 giugno 2022 e in vigore dal 22 giugno. A tale proposito, la Fofi ha precisato in una nota che «l’inserimento nella parte B dell’allegato III del reg. 1925/2006 comporta il divieto all’impiego negli integratori alimentari di monacoline in quantità maggiori o uguali a 3 mg per dose, nonché l’obbligo di alcune avvertenze da riportare in etichetta». È quindi vietata la commercializzazione di prodotti che contengono le sostanze citate in quantità maggiori di 3 mg e non sono previste dal regolamento misure transitorie.

La circolare del Ministero, vieta inoltre l’uso di monacoline negli alimenti ordinari, che «rimane non ammesso a qualunque dosaggio poiché tali sostanze si configurano, negli stessi alimenti, come nuovo alimento ex reg. (UE) 2015/2283». L’entrata in vigore delle nuove disposizioni comporta un rafforzamento delle attività di controllo. «La circolare – precisa la Federazione – si rivolge alle autorità coinvolte nel controllo ufficiale, che dovranno attivarsi per la definizione di metodi validati e accreditati per lo svolgimento dei controlli risultanti dall’entrata in vigore del regolamento. Lo stesso regolamento pone poi le monacoline da riso rosso fermentato, nei dosaggi consentiti definiti nella parte B, in parte C dell’allegato III del reg. 1925/2006, sottoponendole alla sorveglianza dell’Unione». Il parere EFSA è rintracciabile qui di seguito:

https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.2903/j.efsa.2018.5368

La conclusione di EFSA (che recepisce alcune delle note di Federsalus) è che l’assunzione di monacolina con un dosaggio uguale o superiore ai 3 mg, è stato dimostrato, può causare eventi avversi tra cui dolori muscolari, crampi, miositi, blanda tossicità epatica, reazioni gastrointestinali e cutanee. Infine casi di rabdomiolisi, sebbene siano eventi rari (la frequenza è di due casi ogni 300mila pazienti secondo la Mayo Clinic), sono comunque tipici di chi assume farmaci come le statine (da RYR funzionale). Qui tuttavia la EFSA non considera a fondo la differenza di frequenza che è, per gli utilizzatori di RYR comune fino a 10mg/die, dell’ordine di qualche caso in 40 milioni di confezioni usate, una frequenza ben diversa.

Aggiungiamo due considerazioni finali.

Nella RYR comune si può trovare casualmente anche una micotossina che è la citrinina, in dosi significative perché prodotta da alcune specie di Monascus; vediamo qualche dato sulla sua presenza nella tabella qui sotto.

Da Arch Intern Med. 2010;170(19):1722-1727

Ultima nota le statine si ritrovano anche in alcuni funghi autunnali che riportiamo qui sotto

Cardoncello, pleurotus ostreatus e p. eringji

Quale può essere la conclusione di questo racconto?

La differenza fra sostanze pure e non, è significativa e appare difficile sostenere che gli effetti del RYR dipendano solo dalla singola statina che l’industria farmaceutica ha scelto come prodotto raffinato; questa polemica maschera in realtà un enorme conflitto di interesse fra due settori (farmaci e integratori) che producono entrambi la medesima sostanza la lovastatina K con modalità diverse ma usata dal medesimo mercato (e a prezzi diversi e profitti diversi) ;  inoltre è chiaro che certi prodotti presenti nel cibo ed usati casomai da millenni possono avere effetti farmacologici significativi, la cosa non è ben compresa e tanto meno ben normata.

Ci vorrebbero meno conflitti di interesse e maggiore considerazione della salute pubblica, ed a questo fine più ricerca su questo delicato settore della nutraceutica che mano a mano che le nostre conoscenze aumentano diventa sempre più cruciale.

Ad EFSA si può chiedere una maggiore attenzione alle ricerche riguardanti l’uso di soluzioni a più componenti farmacologici, alle loro interazioni e al loro potenziamento ed anche alla casistica presente nei paesi che usano questi prodotti da prima di quelli europei, come la Cina che usa il RYR comune da millenni e ne ha compreso l’utilità per la salute da secoli! L’attenzione alla tradizione della medicina popolare cinese ha prodotto vari esempi virtuosi di farmaco e anche un premio Nobel.

Ed ai produttori di integratori, ai quali dopo tutto è stato riconosciuto che il RYR comune funziona anche a basse dosi, è da richiedere una maggiore attenzione per escludere la presenza almeno delle micotossine scegliendo adeguati ceppi di Monascus e caratterizzando in generale meglio e più adeguatamente, i loro prodotti, (diciamo in breve che il colore non basta più).

A tutti la richiesta di mettere al centro non i profitti ma la salute pubblica, non le merci ma il valore d’uso dei farmaci, la loro utilità sociale.

Articoli consultati oltre a quelli citati:

https://www.my-personaltrainer.it/integratori/riso-rosso.html

http://www.farmacista33.it/integratori-siste-posizione-efsa-su-monacolina-molto-criticata/politica-e-sanita/news–61288.html

Nota. Mi risulta che la monacolina K o lovastatina sia sintetizzabile (dal 1980) ma che sia maggiormente usata come farmaco quella purificata da sorgenti naturali, più economica. E’ stata la prima statina ad essere usata massicciamente ma oggi esistono molte altre molecole simili.