Arte e Scienza

Luigi Campanella, già Presidente SCI

La Scienza ha sempre considerato lo studio della vita in età preistorica come un contributo fondamentale per capire la dinamica della società civile, delle trasmigrazioni, dello sfruttamento delle risorse naturali, del passaggio dall’individualismo alla società civile ed altri affascinanti temi. Sono molte le discipline che hanno contribuito a questi studi e fra queste, non solo storiche, anche la chimica che ha indagato su residui alimentari, sulle articolazioni degli insediamenti civili, sul rapporto fra patologie e qualità ambientale, sullo sfruttamento dei materiali naturali. In un recente volume di Carole Fritz “L’ Arte nella Preistoria” il testo conduce la stessa indagine attraverso lo studio archeologico di pitture ed opere in rilievo diffuse in tutto il globo.

La creatività dei primi gruppi tribali si è dimostrata una rivelazione attraverso immagini di grande valore non solo storico, tanto che per alcuni di essi si parla della loro capacità di ispirare geni del nostro tempo come Picasso. Le immagini ritrovate in Paesi americani, asiatici africani, ma anche, in misura minore, europei si riferiscono al mondo animale e vegetale, ma anche al mondo sociale perfino ai primi concetti di economia, di politica del lavoro, di ricerca della conoscenza.

Oggi in alcuni paesi questi siti vengono esaltati per un valore quasi spirituale, un ponte verso la metafisica celeste. Bisonti, cervi, leoni, giraffe, orsi, cavalli, ma anche sciamani, dee, ninfe che nella loro bellezza estetica confermano che l’arte è l’attività simbolica più preziosa dell’Homo Sapiens.

A volte queste immagini sono collocate in rocce sotterranee che inducono a chiedersi: ma perchè in un luogo così poco accessibile e visitato? La risposta più probabile è data dalla chimica che correla questa abitudine alla migliore qualità ambientale di anfratti protetti dagli eventi atmosferici e dalla incuria dell’uomo.

Quasi contemporaneamente al testo di Fritz ne è stato pubblicato un altro del genetista Guido Barbujani che integra quello di Fritz: questo, abbiamo visto di carattere socioambientale, quello di Barbujani più dedicato all’evoluzione dell’Homo Sapiens ed alle diverse scoperte di scheletri avvenute nel mondo.

L’ autore in 25 racconti descrive l’evoluzione dell’uomo. Ogni racconto si riferisce alla scoperta di uno scheletro da Oase 2, cranio preistorico di 37 mila anni fa, allo scheletro di Cap Blanc, dall’Africa al Brasile, dall’uomo di Cheddar, prime pelli bianche, occhi chiari, a Ötzi,il Sapiens italiano.

In molte di queste scoperte il livello di conoscenza è stato di certo accresciuto attraverso la chimica della datazione che riesce a superare i limiti del tempo che passa individuando segnali e marker che consentono di decifrare la nascita o l’età di un reperto. È vero che i metodi più affidabili, basati sugli isotopi radioattivi del carbonio, possono essere classificati come fisici, ma quelli sulla racemizzazione, sulla degradazione chimica indotta, sul valore dell’indice di depolimerizzazione, per certi aspetti la stessa dendrocronologia, di certo sono chimici.