Claudio Della Volpe
Non voglio scimmiottare il famosissimo testo di Faraday, del quale posseggo anche una copia originale, regalatami da un caro amico. No, voglio solo parlarvi delle candele e della loro storia tecnica, perché recentemente ho avuto modo di rifletterci più approfonditamente.
Avevo avuto un commento (di Gustavo Avitabile) sulla capacità di degradare i legami C-C e nel rispondere a questo in un recentissimo post sulla degradazione della plastica (che uscirà a breve), mi sono trovato a riflettere su esempi di comuni sostanze digeribili o meno fatte con quel legame. Ne riparleremo più avanti.
La combustione l’ho scritto tante volte, è più antica di Homo Sapiens Sapiens; già conosciuta da Homo Sapiens Erectus, probabilmente ha un milione di anni.
La tecnologia della combustione si è evoluta in modo lento ma costante; oggi sappiamo che la migliore e più efficiente combustione è “senza fiamma” (in inglese flameless) perché la fiamma è solo una superficie di reazione che emette luce e calore e una superficie è una discontinuità, un difetto che introduce irreversibilità e inefficienza; mentre un buon miscelamento è diffuso in 3D, non dà origini a fiamme ma a reazioni omogenee, veloci e controllabili; dunque alla fine, dialetticamente, l’ottimizzazione del fuoco ha portato al senza fiamma, dimostrando che la combustione senza fiamma è la più efficiente. Per questo si è dovuto aspettare il 1991: Flammenlose Oxidation von Brennstoff mit hochvorgewarmter Luft – Joachim Wunning Chem.-1ng.-Tech. 63 (1991) Nr. 12, S. 1243-124s

Detto questo però, dato che per realizzarla occorre un reattore apposito, la cosa più semplice per secoli è stata di far bruciare in modo comodo materiali comuni e la candela è una di queste tecnologie, forse è stata la più sofisticata per secoli.Dopo la semplice combustione del legno si è ragionevolmente passati alle torce, eventualmente imbevute di materiali diversi (olio, grasso, cera di api), solo dopo alle lampade a combustibile liquido (ossia olio di varia origine) dotate di stoppino e infine alle candele.Le prime di cui abbiamo traccia sono egiziane; nella tomba di Tutankhamon (XIV secolo aC) sono stati trovati candelieri (o porta torce). Candele sono menzionate nella Bibbia (siamo nel X sec aC.) Queste primitive candele erano fatte immergendo tessuto intrecciato nel grasso animale. Il grasso era ragionevolmente più economico della cera delle api; a livello dell’olio usato nelle lampade con lo stoppino.D’altronde il simbolo della religione ebraica è un candeliere a 7 rami, chiamato Menorah. Candelabri sono descritti nell’Odissea e ornano la reggia di Alcinoo, re dei Feaci (nella odierna Corfù).Certamente ci sono state candele cinesi e giapponesi almeno dal II sec aC con un documentato uso di grasso di origine marina, grasso di cetaceo. Come anche candele indiane, che vedremo fra un attimo.Candela è parola romana, dal verbo candēre, ossia esser bianco, splendente; i Romani sapevano già fare le candele almeno dal V sec. aC.

https://www.smith.edu/hsc/museum/ancient_inventions/hsclist.htm
C’è una contraddizione apparente con la mitologia Romana che aveva bisogno delle vestali (Rea Silvia, la madre di Romolo e Remo era una vestale, una custode del fuoco) per mantenere acceso il fuoco, il che fa pensare ad una tecnologia molto più antica; ma forse la spiegazione sta nella interazione forte con la cultura etrusca che possedeva invece la tecnologia della candela. A questo riguardo la Treccani recita: Un’ampia e particolareggiata documentazione sui candelabri metallici forniscono invece le suppellettili delle antiche necropoli etrusche. Si sa che gli Etruschi furono egregi foggiatori di candelabri, e che le loro produzioni erano assai stimate anche fuori della regione. I più antichi candelabri etruschi di bronzo sono ritornati alla luce dalla necropoli arcaica orientalizzante di Vetulonia (secoli VII-VI a. C.): essi sono composti di un asse verticale di lamina, retto da quattro piedi in croce, piegati ad angolo e lisci, e sormontato da un motivo figurato o floreale in bronzo; l’asse sostiene, a distanze uguali una dall’altra, tre o quattro coppie di braccia appuntite. Da questo modello primitivo si sviluppano gli artistici candelabri etruschi dei secoli V e IV a. C., quali si ammirano specialmente nel Museo etrusco del Vaticano, in quello di Villa Giulia a Roma e nel Museo civico di Bologna.

Candelabro etrusco con menade danzante stimato 500aC. Che incredibile bellezza!
La cera delle api che bruciava con meno odore e fumo fu usata certamente, ma solo dalle classi più ricche o nelle situazioni di culto. Ed inoltre le candele furono prodotte per immersione nel sego (altra tipologia di grasso poco costoso il sego è un grasso alimentare ricavato per estrazione a caldo dalle parti grasse di equini, ovini, ma soprattutto bovini tanto che si parla comunemente di “sego di bue”. Il sego può essere prodotto a partire da qualunque pezzo di grasso, sottocutaneo o viscerale, ma viene generalmente prodotto dai depositi adiposi interni, come quelli che circondano il cuore e il rene dei bovini). Fonte: https://www.prezzisalute.com/Alimenti-Cucina/Sego.html come si può dedurre dalla forma irregolare e dal lungo stoppino delle candele romane almeno fino alla fine del medioevo quando, grazie ad una invenzione francese, entrò in funzione un metodo che usava stampi per la cera.

Candele di cera d’api del cimitero di Oberflacht, Germania, risalenti al VI o VII secolo d.C. Sono le candele di cera d’api più antiche sopravvissute a nord delle Alpi.
La combustione è abbastanza regolare in una candela ben fatta tanto da essere usata come segnatempo, come orologio e perfino come sveglia; come si vede dalla figura qua sotto, dove un chiodo che cade in un fondo di metallo può fare da campanello.

La candela-sveglia Le candele “grasse”, di sego, non bruciavano così bene come le candele di cera. Una candela grassa era morbida, affumicata, fuligginosa, gocciolava sempre e non dava un odore gradevole (probabilmente a causa della formazione di acroleina). Lo stoppino era fatto di un filo vegetale, la cui estremità carbonizzata doveva essere tagliata (annodata) di volta in volta. Nei paesi non europei l’origine del combustibile era molto varia; sono documentate piante che producono materiali cerosi ma perfino animali, il più strano dei quali è certamente il pesce candela usato per estrarre il suo grasso poi usato per illuminazione dagli indiani americani nel I sec dC ma anche usato come tale; il pesce, che si chiama Osmeride ed è presente anche in Europa, veniva essiccato e messo su un bastone a forcella per poi accenderlo direttamente.Fra le piante ricordiamo il cinnamomo usato come sorgente di cera in India; la bollitura del cinnamomo era usata per le candele dei templi in India; il cinnamomo, una sua varietà, ma non è chiaro se la medesima, corrisponde alla moderna cannella. Il burro di yak si usava invece per le candele in Tibet. Dal 1200 la produzione e la vendita di candele diventò una attività ufficiale che aveva una sua “gilda”, una corporazione, il che ci assicura che ci fosse una robusta tecnologia di supporto; per esempio la costruzione dello stoppino e le sue proprietà erano importanti, in quanto durante la combustione se lo stoppino non brucia bene fa accumulare i suoi residui nella parte concava che si forma alla sommità cambiando la velocità di consumo della candela; e così lo stoppino doveva essere costruito ed intrecciato in modo da consumarsi completamente durante il processo di combustione della cera o del grasso (stoppino autoestinguente sarà inventato solo più tardi); in alternativa esistevano dei dispositivi che venivano usati per spegnere la fiamma o per tagliare l’eccesso di stoppino non bruciato. I candelai, come altri artigiani giravano di casa in casa e costruivano le candele a partire dal grasso o dai materiali che residuavano dall’attività della famiglia richiedente o da prodotti che nei casi più fortunati venivano anche da lunghe distanze.Dice wikipedia: Nei paesi di lingua inglese il mestiere del candelaio è attestato anche dal nome più pittoresco di smeremongere (“venditore di grasso”), perché sovrintendeva alla fabbricazione di salse, aceto, sapone e formaggio. La popolarità delle candele è dimostrata dal loro uso nella Candelora e nelle festività di Santa Lucia.C’era anche un problema ambientale non banale; il sego bruciava con odore molto sgradevole ma anche l‘odore del processo di fabbricazione era così sgradevole che era bandito con ordinanza in parecchie città europee. Probabilmente l’origine dei sottoprodotti puzzolenti era la glicerina che era una componente ineliminabile dei grassi animali comuni.La stampa della candela in una forma predisposta era stata di fatto inventata dai cinesi che usavano la carta, già da molto tempo, quando un francese reinventò l’idea usando metodi di stampaggio diversi nel 1400.Da questo punto in poi la candela entra a pieno titolo nello sviluppo della manifattura e anche del moderno capitalismo.Infatti il successivo combustibile per candele fu l’olio di balena e di capodoglio, lo spermaceti, che era privo di cattivo odore in fase di produzione e di combustione, aveva una superiore durezza e durata; il grasso di balena fu uno dei primo combustibili mondiali, che portò all’ecocidio dei più grandi abitanti del mare ed alle epopee descritte nei romanzi come Moby Dick.
Molti altri concorrenti, come la colza, il cavolo (di cui abbiamo parlato altrove) e il vero e proprio albero della cera, propriamente detto, una pianta americana (in inglese bayberry) Myrica cerifera non diventarono mai seri concorrenti, pur occupando settori del mercato globale.

La cera di quell’albero era un residuo della bollitura dei suoi frutti; mentre invece le fibre di cotone si fecero strada via via come la forma dominante dello stoppino
.
Un’altra sorgente di cera molto specifica è un insetto denominato Ceroplastes destructor (white wax scale) un insetto dannoso per le piante attaccate che vengono ricoperte di materiale bianco come dall’immagine e che infesta varie piante fra cui il caffè, sfruttato per fare la cera in Asia.
Finalmente i chimici francesi Michel Eugène Chevreul (1786–1889) e Joseph-Louis Gay-Lussac (1778–1850) brevettarono la preparazione della stearina e dell’acido stearico nel 1825. L’enorme passo avanti fu l’eliminazione della glicerina libera e il poter disporre di un materiale omogeneo. Sempre di un grasso di origine animale si trattava ma molto puro. La candela a questo punto prese il nome di candela stearica. Chevreul nel 1823 aveva pubblicato un classico, Recherches chimiques sur les corps gras d’origine animale, che descriveva come egli avesse compreso la natura chimica dei grassi. Nel 1825 il brevetto riguardava la preparazione di candele di acido stearico. Le candele di Chevreul, diversamente da quelle di sego, erano dure, inodori e davano una luce brillante. Apparse nell’esposizione mondiale di Parigi del 1830, diventarono immediatamente la candela moderna.


Michel Chevreul giovane e da vecchio fotografato da Nadal(1886). Morì a 102 anni dopo aver contribuito a costruire la chimica organica moderna, comprese la natura dei grassi, fondò la moderna teoria del colore ed aiutò Nadar a sviluppare la fotografia moderna.
La storia della candela culmina alla metà dell’800 insieme all’inizio dell’epopea petrolifera.
Nel 1834, Joseph Morgan, Inghilterra, brevettò una macchina che consentiva la produzione continua di candele in stampi usando un cilindro con un pistone mobile per espellere le candele mentre si solidificavano. Questa produzione meccanizzata più efficiente consentì alle candele di diventare una merce facilmente disponibile per grandi masse di persone.
Gli stoppini erano prodotti da fili di cotone strettamente intrecciati (piuttosto che semplicemente ritorti). Questa tecnica fa arricciare gli stoppini mentre bruciano, mantenendo l’altezza dello stoppino e perciò la fiamma. Poiché gran parte dello stoppino in eccesso è incenerito, questi stoppini sono detti “autosmoccolanti” o “autoconsumanti”.
Fino ad ora la cera era stata comunque di origine naturale ma la rivoluzione petrolifera avanzava a grandi passi. Nella metà degli anni 1850, James Young un chimico scozzese riuscì a distillare la paraffina dal carbone e dagli scisti bituminosi e sviluppò un metodo di produzione commercialmente praticabile.
La paraffina, costituita dalle sole catene idrocarburiche poteva essere usata per fare candele poco costose di alta qualità. È una cera bianco-bluastra, brucia senza odori sgradevoli; l’unico inconveniente era che le prime paraffine derivate dal carbone e dal petrolio avevano un punto di fusione molto basso. Questo problema fu risolto dall’aggiunta della stearina che è dura e resistente, con un intervallo di fusione conveniente di 54–72,5 °C. Verso la fine del XIX secolo, la maggior parte delle candele che erano fabbricate consistevano di paraffina e acido stearico (bastava il 10%).
Ci sarebbero molte altre cose da dire ma credo di essere stato abbastanza lungo e forse noioso dunque mi fermo qua, invitandovi a considerare la umile candela, già onorata formidabilmente da Faraday , come uno dei più avanzati ritrovati della chimica moderna e nel medesimo tempo come una spinta ad approfondire la medesima.
Un’ultima nota sempre a commento della degradabilità del legame C-C (siamo in molecole lineari) mentre potremmo digerire una candela di sego, dubito noi si possa fare lo stesso con la paraffina; mi risulta che la paraffina, priva di “attacchi” sulla catena come gli acidi grassi sia , se pura, priva di tossicità, perfino utile nelle formulazioni farmaceutiche, ma sostanzialmente indigeribile anche dai potenti e volenterosi enzimi dei nostri mitocondri (non i nostri enzimi, i mitocondri hanno il loro DNA, sono vecchissimi ospiti), che metabolizzano gli acidi grassi a catena lunga.
La mia copia del libro di Faraday , donatami dall’amico, filosofo, ferroviere, ricercatore, divulgatore ed editore PhD Luciano Celi (oggi al CNR di Pisa), edizioni Lu.Ce.

Testi consultati:1)The Chinese White Wax Insect B. SillimanThe American NaturalistVol. 5, No. 11 (Nov., 1871), pp. 683-685 (3 pages)
2)The chemical history of a candle M. Faraday, Ed by W. Crookes 1874 Chatto and Windus Londra
3) Flammenlose Oxidation von Brennstoff mit hochvorgewarmter Luft – Joachim Wunning Chem.-1ng.-Tech. 63 (1991) Nr. 12, S. 1243-124s
4) Candles FRANZ WILLHO ̈ FT, RUDOLF HORN, Ullmann encyclopedia of industrial chemistry Vol. 6 p551-552 Wiley VCH 2012
Sitografiahttps://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_fabbricazione_delle_candelehttp://cyberlipid.gerli.com/description/simple-lipids/chevreul/life/https://it.wikipedia.org/wiki/Stearinahttps://en.wikipedia.org/wiki/Candlehttps://italiawiki.com/pages/natale/candela-storia-invenzione-medioevo-innovazione-tecnologica.html
Chevreul fu certamente uno degli scienziati più importanti dell’ottocento, maestro del metodo scientifico, insignito della medaglia Copley nel 1857. Tuttavia non aiutò Nadal a sviluppare la fotografia moderna come si può evincere leggendo la prima fotointervista della storia fatta da Nadar a Chevreul in occasione del suo centenario (Le Journal illustrè, del 5 settembre 1886). Il testo indica che Chevreul non ebbe alcun interesse per la fotografia fino all’età di 97 anni ma considerò molto importante per la scienza la disponibilità delle nuovissime pellicole Eastman usate da Marey, per fotografare il volo degli uccelli al duemillesimo di secondo e da Nadar stesso, per foto aeree,
Ringrazio per la precisazione su Nadar, ho cancellato il riferimento perché pur avendone letto non riesco a ritrovare il riferimento originale sul contributo di Chevreul a Nadar, ma non credo assolutamente che Chevreul non fosse interessato alla fotografia fino a tarda età perché già nel 1849 aveva scritto un lavoro CONSIDÉRATIONS SUR LA REPRODUCTION, PAR LES PROCÉDÉS DE M. NIÉPCE DE SAINT-VICTOR, DES IMAGES GRAVÉES, DESSINÉES OU IMPRIMÉES. – Mémoire de l’Académie des Sciences, tome XX, 1849 -PAR M. E. CHEVREUL. Probabilmente ci sono notizie contraddittorie. C’è perfino una sua storia della fotografia intitolata LA VÉRITÉ SUR L’INVENTION DE LA PHOTOGRAPHIE reperibile qua: https://web.archive.org/web/20090227061239/http://hdelboy.club.fr/niepce_chevreul.html; d’altronde il medesimo sito di documentazione scrive: Il a consacré à ces sujets une extrême abondance d’articles, sans négliger pour cela de mettre le lecteur au courant de certaines découvertes récentes, telles par exemple que celle de la photographie, aux progrès de laquelle il a assisté avec une ferme volonté de rendre justice à chacun de ceux qui y avaient pris art. Concordo con questa valutazione del sito perché Chevreul era un chimico troppo bravo e multiforme per trascurare uno sviluppo così importante e d’altra parte aveva dedicato parecchio anche allo studio del colore scoprendo il principio del “contrasto simultaneo”, ovvero l’aumento di luminosità dovuto all’accostamento di due colori complementari.
Infatti, io mi riferivo soltanto al contributo di Chevreul allo sviluppo della fotografia di Nadar. Chevreul partecipò attivamente a pressoché tutti i dibattiti sviluppatisi nelle diverse sedi scientifiche dell’epoca. Seguì, quindi, anche la storia dei processi fotografici e di riproduzione delle immagini ed, in particolare, intervenne nell’acceso dibattito internazionale su Daguerre, Niepce, Talbot, ecc.. Fondamentale, invece, fu il suo contributo per l’uso del colore nell’arte pittorica.