Noi, le piante e gli anestetici.

Claudio Della Volpe

Una delle lezioni che ci viene dall’osservazione della storia della scienza (è che è dura da accettare) è che spesso siamo ciechi di fronte a fenomeni evidenti.

Un esperimento chiave può essere fatto e perfino ripetuto più volte ma non sortisce i suoi effetti sulla nostra cultura se non dopo che la nostra costruzione teorica abbia acquisito lo spazio per accettarlo.

L’effetto degli anestetici è uno dei fenomeni che lo mostra.

La scoperta dell’azione degli anestetici risale al 1844; nel dicembre di quell’anno un dentista americano Horace Wells venne a sapere di una manifestazione ad Hartford sul protossido di azoto (meglio noto come gas esilarante, capace di indurre una sorta di ebrezza alcolica in chi lo aspirava). Durante lo spettacolo notò che uno dei volontari, che si era sottoposto alla somministrazione del gas, aveva urtato contro l’orlo di un sedile e, senza accorgersi della profonda ferita procuratesi alla gamba, aveva continuato a far divertire il pubblico, mantenendo i movimenti tipici di un ubriaco. Fu così che intuì la possibilità di estendere l’uso del protossido di azoto anche alla chirurgia odontoiatrica, e dimostrare ai medici dell’epoca che il dolore durante un’operazione chirurgica poteva essere anestetizzato. https://saluteuropa.org/scoprire-la-scienza/storia-dellanestesia/

Da N Engl J Med 2003;348:2110-24.

Appena 5 anni dopo, nel 1849, Scientific American dava notizia dell’esperimento fatto sulle piante “sensibili” da tale Dr. Manet e riportato sul Transactions of Physicial Society of Geneva usando il cloroformio con analoghi risultati. La notizia però si perse e non è stata mai più citata.

Dovettero passare trent’anni e si arrivò al 1878 quando il grande Claude Bernard, fisiologo francese considerato il fondatore della medicina sperimentale, (gli si deve la nozione di mezzo interno e di omeostasi, fondamento della biologia moderna) riscoprì l’effetto e lo riportò nel suo libro Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et aux végétaux. (Librairie J.-B. Baillière et Fils) con un esperimento condotto sulla Mimosa pudica usando l’etere (pg. 259 del libro). Bernard riscoprì il fenomeno e non cita l’esperimento seminale di Manet, fatto quasi 30 anni prima con un diverso anestetico. Egli ne concluse che le piante e gli animali devono condividere un’essenza biologica comune che viene interrotta dagli anestetici.

Da allora la cosa è stata studiata e riportata parecchie volte in letteratura fino ad arrivare alla moderna riscoperta di massa (legata fra gli altri all’attività dell’italiano S. Mancuso) che anche le piante mostrano fenomeni di sensibilità notevolissimi tanto da poter essere considerate non solo sensibili ma perfino “intelligenti”: Planta sapiens (che è poi il titolo di un recente libro di Paco Calvo ed. Il saggiatore).

In realtà la sensibilità all’anestesia è sorprendente poiché accomuna noi, i batteri, le piante e perfino i mitocondri, che come abbiamo ricordato altrove sono batteri che si sono uniti ad altri contribuendo alla formazione della cellula eucariota. Insomma specie che si sono di fatto succedute nell’ambito di almeno un miliardo e mezzo di anni di evoluzione hanno conservato una profonda sensibilità alle medesime molecole.

Questo però nel caso delle piante dovrebbe aiutarci a vederle da un punto di vista diverso. Le piante in sostanza non sono lo “sfondo” della vita animale, ma sono anch’esse vive ed attive con meccanismi che non ci appaiono evidenti solo perché i loro tempi sono diversi dai nostri; ma questo non giustifica una nostra pretesa superiorità.

Da leggere: Planta sapiens, Perché il mondo vegetale ci assomiglia più di quanto crediamo di Paco Calvo con Natalie Lawrence, Ed. Il Saggiatore, 2022, pag. 350

Un pensiero su “Noi, le piante e gli anestetici.

  1. A proposito delle somiglianze fra uomo, animali e piante riporto un pensiero del grande antropologo Claude Levi-Strauss: “…ci renderemo conto che fra vita e pensiero non c’è quel radicale divario che il
    dualismo filosofico del XVII secolo accettava come un dato di fatto. E se ci
    convinceremo che quanto avviene nella nostra mente non è sostanzialmente
    né fondamentalmente diverso dai fenomeni basilari della vita stessa, se
    comprenderemo che non c’è alcuna insuperabile distanza fra l’uomo e tutti gli
    altri esseri viventi – non solo gli animali, ma anche le piante – diventeremo
    forse saggi come non credevamo di poter essere.”

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