Le biomasse

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Le biomasse sono una fonte rinnovabile di energia la cui caratteristica principale è di essere
intrinsecamente legate al territorio, ovvero disponibili ovunque e largamente diffuse, anche se in qualità e quantità diverse. Le biomasse sono composte da materia organica generata dalle piante e dagli animali, appositamente trattata per essere utilizzata come biocombustibile. I cascami dell’industria del legno, gli scarti di quella agroalimentare, la componente biologica dei rifiuti urbani, i residui di attività forestali e boschive sono materiali dai quali si può ottenere energia
Le emissioni di CO2 prodotte dalla biomassa sono compensate dalla quantità di CO2 assorbita, attraverso la fotosintesi, durante la crescita della biomassa stessa.

Al bilancio bisogna però aggiungere le emissioni di CO2 equivalenti derivate dal trasporto e dalle altre attività correlate alla produzione, raccolta e trattamento delle biomasse.

Le emissioni per queste attività non sono poche ; inoltre bisogna aggiungere che l’efficienza di conversione dell’energia solare in biomasse è molto bassa lo 0 2%, ed il fatto che si mette in competizione terreno per produrre cibo con quello per ottenere energia.

Diverso è il discorso se si parla di scarti vegetali,a cui mi riferisco più avanti.
Per il recupero di energia dalle biomasse le tecnologie sono in funzione dell’obiettivo. La digestione anaerobica e la combustione sono le tecnologie dirette o indirette più impiegate per produrre biogas per energia elettrica e termica, la trasformazione chimico-fisica per ottenere biocarburanti.

Rispetto alle biomasse disponibili, il mercato è bilanciato fra domanda ed offerta. L’offerta è condizionata dalla disponibilità e nel caso di un paese a vocazione agricola, come il nostro, le occasioni sono molteplici: potature, raccolte di scarti, selezioni di qualità.

La domanda è invece influenzata da clienti, prezzi, condizioni di approvvigionamento.
Spesso però questa raccolta non avviene e i materiali vengono lasciati.marcire o vengono bruciati selvaggiamente. Questi comportamenti derivano come sempre da considerazioni economiche: le macchine per recuperarli ed imballarli sono costose e costrette a lavorare in condizioni di pendenza ed accessibilità di suolo molto poco percorribili. Quanto si riesce a recuperare viene trasformato in cippato, poi utilizzato come combustibile o trasformato in pellet per uso industriale.

Il recupero energetico delle biomasse avviene mediante impianti ad hoc per combustione diretta o pirogassificazione, ottenuta bruciando in difetto di aria. Nel primo caso si producono anche ceneri mentre nei pirogassificatori si produce un residuo carbonioso, noto come biochar, simile al carbone di legna. Se privo di sostanze tossiche il biochar viene utilizzato in agricoltura come ammendante e fertilizzante. Questo comporta un ulteriore vantaggio nel bilancio del carbonio: infatti le piante coltivate nel terreno trattato con biochar riemettono solo una parte del carbonio assorbito dal terreno. A fronte di questo vantaggio c’è lo svantaggio economico: questo processo è economicamente conveniente solo se la biomassa è gratuita ed inoltre il biochar deve essere garantito per certi indici di qualità. Ciò non toglie che condizioni favorevoli si possano creare come in occasione della pulizia dei boschi per fini turistici o ricreativi e per evitare incendi e della raccolta differenziata dei rifiuti

da leggere:

https://www.qualenergia.it/articoli/la-sostenibilita-dellenergia-da-biomassa-un-tema-complesso/embed/#?secret=jyexd4dMQe

https://www.eia.gov/energyexplained/biomass/

https://cnr.ncsu.edu/news/2021/01/biomass-a-sustainable-energy-source-for-the-future/

5 pensieri su “Le biomasse

  1. C’è da considerare che con gli ultimi settant’anni la superficie forestale italiana è aumentata del 30% a causa dell’abbandono delle campagne, soprattutto in montagna.
    Nelle valli dove la distribuzione del gas naturale non arriva, grandi impianti di cogenerazione e teleriscaldamento a biomasse forestali sono il sistema più ecologico ed economico per la produzione di energia, soprattutto in alta quota dove gli impianti di riscaldamento restano accesi da settembre a maggio. In un paese prevalentemente montuoso come il nostro, questo tipo di impianti potrebbe generare nuovi posti di lavoro in aree che sono andate incontro a un forte spopolamento.
    Esistono impianti di produzione di elettricità da biomasse forestali anche in pianura ma, spesso, il calore residuo viene dissipato nei fiumi.
    La decisione politica di smantellare il sistema bieticolo italiano ha lasciato abbandonati gli zuccherifici che, in alcuni casi, sono stati convertiti in impianti di produzione di energia che sfruttano gli scarti agricoli come ad esempio lo stocco del sorgo recuperando, anche se in modesta misura, il livello occupazionale.
    In linea di massima realizzare un mix energetico diversificato rende meno dipendenti da una singola fonte, sarebbe comunque sempre opportuno un serio studio di Lifecycle assessment in cui parametrizzare però anche i posti di lavoro generati E i vantaggi socio-economici delle comunità locali.

    • Frequento da decenni per mesi la montagna e concordo sul fatto che la superficie forestale sia aumentata e abbia invaso terreni in precedenza vocati a pascolo più che all’agricoltura.
      Il fenomeno riguarda anche terre difficili da coltivare o di scarso rendimento anche a livelli più bassi, ma non certo territori di pianura fertile che, se non sono coltivati, godono di contributi comunitari per essere lasciati a riposo.
      Niente in contrario che a livello locale, soprattutto nelle valli, si sfrutti la corretta coltivazione del bosco o i residui di lavorazione del legno da costruzione per produrre calore e in qualche caso elettricità. Si opera “in loco” e il costo energetico aggiuntivo di estrazione e trasporto della materia prima è particolarmente contenuto. Tenendo ben presente che la combustione del legno, oltre che liberare comunque quantità di carbonio che, per unità di energia prodotta sono equiparabili, se non superiori, a quella dei combustibili fossili, rilascia polveri di varia dimensione e molte altre sostanze nocive nella bassa atmosfera. Quella che si respira a livello di abitazione nelle valli. I filtri sui camini o non esistono o richiedono costi di impianto, manutenzione e sostituzione che non vengono affrontati. Invito tutti a provare di persona a respirare nei paesi di certe valli quando non tira vento e l’aria ristagna.
      Quindi, d’accordo per gli sfridi, i residui, l’estrazione selezionata ai fini di migliorare la vita del bosco, ma il processo di disboscamento, operato per “liberare” terreni, non può essere praticato in quanto le culture foraggere montane e il pascolo libero vengono progressivamente abbandonati per mancanza di manodopera e di profitto economico. Sono in continua riduzione.
      D’accordo anche per l’uso a fini energetici di residui vegetali (di vario tipo) in pianura, ma non certo sulle crescenti coltivazioni dedicate, sostenute da incentivi che tendono più a garantire i guadagni degli agricoltori che l’equilibrio ambientale e creano una inaccettabile competizione tra la produzione del cibo e quella di energia. Quest’ultima a basso o bassissimo ERoEI. Tenendo presente che dovremo affrontare difficoltà crescenti in agricoltura a causa della scarsità delle precipitazioni e dell’auspicabile e necessaria sostituzione, nell’alimentazione umana, delle proteine animali con quelle vegetali.
      Tutti questi aspetti risultano però quasi marginali se confrontati con la crescente pratica di riscaldarsi con il pellet. Abitudine ormai generalizzata e largamente diffusa nelle pianure e nelle città, per questioni di costo e falsa pubblicità. Si tratta di una combustione che non è per nulla “verde”, soprattutto quando in Europa gran parte del prodotto dipende dall’arrivo di navi piene di tronchi dal Canada e treni da paesi dell’est europeo, destinati a diventare cippato e pellet. Quei boschi, quelle alberature mature, non vengono quasi mai sostituite da nuovi impianti.
      Infine, non possiamo immaginare di mantenere i livelli occupazionali garantiti da attività che liberano carbonio. Soprattutto in un tempo brevissimo, come in questi casi. Il riscaldamento globale non tiene conto delle differenze di provenienza delle emissioni ma “sente” esclusivamente la velocita con cui cresce la concentrazione di carbonio in atmosfera.
      L’organizzazione sociale e produttiva di un paese deve riequilibrare le ingiustizie e le differenze economiche legate allo sfruttamento del lavoro a partire da una diversa ripartizione dei profitti e una forte riduzione dell’orario di lavoro. Se il lavoro resta esclusivamente concepito in funzione del tornaconto economico e del profitto, non esistono soluzioni a certi problemi. Dovremmo porci l’obiettivo di ridurre il monte ore complessivo necessario a sostenere un sistema, parallelamente alla riduzione della produzione e della crescita economica. Consumismo e continua crescita dell’economia non permettono il dispiegarsi di alcuna transizione energetica. E presto non saranno più compatibili con l’inevitabile esaurimento delle risorse fossili.

  2. Mi pare trascurato un aspetto che ritengo importante: la differenza di tempo inevitabile tra le emissioni di carbonio con la combustione (effetto immediato) e l’eventuale compensazione negli anni di crescita di una pianta. O nel caso si tratti di scarti vegetali e residui di lavorazione, del loro lento degrado in condizioni naturali.
    Le differenze sono di vario ordine, ma per la stragrande maggioranza della biomassa usata per produrre energia termica, si deve misurare in almeno qualche decennio. Dando per scontato – e non è quasi mai così! – che gli alberi abbattuti vengano tutti sostituiti tempestivamente e possano crescere in situazioni e condizioni simili a quelli abbattuti.
    Per gli scarti e i resti di lavorazioni, il loro riassorbimento in ambiente, a causa di completo degrado e conseguente liberazione del carbonio (non tutto, parte rimane nei residui incamerati nel suolo), può variare da qualche settimana ad alcuni, a volte molti, anni.
    Non mi pare che questo sia un aspetto trascurabile, considerato che la nostra battaglia con il riscaldamento globale deve necessariamente tenere in primo piano il fattore tempo. Decisivo per il progredire della fase di accumulo in atmosfera di carbonio.

    • Grazie commento molto utile il tuo riferito al tempo.
      Comunque la pianta crescendo ha giá consumato CO2,quindi la voce positiva del bilancio carbonico è anticipata rispetto alla negativa.C’è poi,come giustamente fai notare,il contributo positivo futuro degli alberi che saranno piantati,se lo saranno,in sostituzione di quelli rimossi per ricavarne energia.
      Cari saluti
      Luigi Campanella

      • Bene, se qualcosa di positivo si è già verificato.
        Ma allora, se proprio non è indispensabile – e quasi sempre non lo è affatto, e solo questione di profitto e tornaconto economico – lasciamo la pianta dov’è, al suo destino. Che trattenga il carbonio quanto più a lungo possibile.

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