Le riflessioni di un emarginato.

Mauro Icardi

“Le basi più elementari dei presupposti su cui si fonda il nostro futuro benessere economico sono marce. La nostra società vive una fase di rifiuto collettivo della realtà che, quanto a proporzioni e implicazioni, non ha precedenti nella storia”

Il brano riportato è tratto dal libro “Fine corsa” di Jeremy Legget, geologo inglese che ha lavorato nell’industria petrolifera prima di collaborare con Greenpeace, e poi diventare consulente del governo britannico per lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Pubblicato in Inghilterra nel 2005, è uscito in Italia pubblicato da Einaudi nel 2006. Il tema del libro è ovviamente legato al petrolio, alla sua prossima scarsità o per meglio dire alla difficolta di estrazione a costi sostenibili. Preciso che ho estrapolato la frase per occuparmi non di una disamina tecnica, ma di un tema che continua a riempire i miei pensieri. Ovvero il comportamento collettivo di fronte ai problemi ambientali ed energetici. Forse sono avventato e presuntuoso. Avrei bisogno del supporto di uno psicologo o di un antropologo. Ma tento ugualmente una riflessione. Dalla pubblicazione di questo libro in Italia sono passati diciassette anni. Nel 2008 la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti diede l’avvio ad una delle tante crisi economiche di cui si è scritto e si scrive sui giornali. In quei giorni pensai che quella potesse essere la chiave che permettesse un minimo cambiamento di percezioni e abitudini. Leggevo sui quotidiani che non solo si rubava il rame, ma le cronache giornalistiche riportavano anche notizie di furti di chiusini stradali. Non vidi molti cambiamenti nei comportamenti delle persone, e nel 2009 con il calo del prezzo del petrolio che era arrivato a toccare nel periodo 2005/2006 il massimo storico di 140 dollari al barile, tutti tirarono un sospiro di sollievo e continuarono con le abitudini di sempre.

Il tema del petrolio nella percezione comune delle persone con cui parlo, si lega inevitabilmente alla necessità, per molti assolutamente imprescindibile, dell’utilizzo dell’auto privata. Non trovo una spiegazione razionale in questo tipo di attaccamento quasi morboso. L’auto è stata vista come uno strumento di progresso, e gli Italiani la adorano.  Un film in particolare lo mostra in maniera interessante, ed è “Il sorpasso” di Dino Risi. In quella pellicola il protagonista Bruno Cortona, magistralmente interpretato da Vittorio Gassman, è una cosa sola con la sua automobile.

Per gli appassionati una Aurelia B 24 spider, coprotagonista forse più di Jean Louis Trintignant che interpreta Roberto Mariani, lo studente timido che Cortona coinvolge in un viaggio da Roma fino alla Liguria che finirà tragicamente.

Il film esce nel 1962 l’anno ricordato dagli storici e dagli economisti come il migliore in assoluto per l’economia italiana. Quinto anno dell’era del miracolo economico, fa registrare un incremento del pil pari all’8,6% rispetto al 1961. Da quell’anno in poi il Pil continuerà faticosamente a crescere nonostante il miracolo italiano lentamente si sfilacci, si consumi. Dapprima impercettibilmente. Nel 1964 si comincerà a parlare di congiuntura. Arriverà il 1968 anno di cambiamenti e di insofferenze.

Poi gli anni 70 anni complicati e violenti. Gli anni delle stragi, della lotta politica cruenta. Gli anni del terrorismo. Gli anni che vedranno la nascita del Club di Roma. Il decennio nel quale in Italia viene pubblicato “I limiti dello sviluppo” traduzione approssimativa di “Limits to Growth”. Si inizia a riflettere sul concetto di crescita I problemi in quel periodo sono ormai evidenti. Sono gli anni in cui i fiumi sono coperti da nuvole di schiuma, gli anni dell’incidente di Seveso, della prima impattante crisi del petrolio. Ma proprio nel 1962, curiosamente l’anno in cui sono nato, qualcuno già prova a criticare questo modello di vita. In particolare Pier Paolo Pasolini che proprio in quell’anno sulla rivista “Vie nuove” scrive questo: “L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli.”

Un altro scrittore dimenticato e sottovalutato scrive un libro che è uno dei miei preferiti. Lo scrittore è Luciano Bianciardi, il libro “La vita agra” anche questo pubblicato nel 1962 come il film di Risi. 1962 che è curiosamente anche il mio anno di nascita.  Romanzo a carattere autobiografico: storia di un provinciale che sale a Milano per vendicare la morte di alcuni minatori, ma che finisce completamente assorbito e metabolizzato dalla società che voleva distruggere. La vita agra,1964.

Se parlo con i colleghi, se leggo commenti sui social, se analizzo le politiche governative dell’ultimo decennio, ho la sensazione che molte persone siano convinte di vivere ancora in quel periodo. Che lo rimpiangano e lo sognino ancora. Incapaci di immaginare un tipo di vita diverso. Potrei raccontare decine di aneddoti. Ma ne cito due, a mio parere molto significativi. Una studentessa universitaria che negli anni in cui ero il referente tecnico degli stages, e mi spendevo molto nel parlare di temi energetici e ambientali, mi disse candidamente che nella sua famiglia, ogni componente, madre, padre, fratello oltre a lei, possedeva un’auto. La giustificazione erano gli orari, le diverse necessità di ognuno di loro. Mentre lei mi diceva questo, io pensavo a quando ho iniziato a lavorare. Utilizzavo mezzi pubblici, una vecchia bicicletta di mio padre, e l’auto di famiglia se avevo turni notturni o serali.

Il secondo episodio è più recente.  Riguarda un collega che dovendo recarsi a Milano per una visita medica chiede informazioni su come arrivarci in auto. Alla mia proposta di utilizzare i mezzi pubblici, stronca le mie velleità sul nascere. L’utilizzo di treno e metropolitana è percepito come fastidioso e faticoso. Molto meglio alzarsi molto presto per poter accedere nella zona a traffico limitato prima del blocco, che poi lo costringerà ad aspettare la sera per poter essere libero di tornare a casa. Ci sono treni frequenti tra Varese e Milano, non regge nemmeno l’alibi di essere mal collegati al capoluogo di regione.

Mi chiedo quanto sia condizionante il potere delle abitudini, spesso non siamo nemmeno consapevoli di agire in un determinato modo a causa di una buona o cattiva abitudine. Per sostituire una cattiva abitudine con una buona ci vuole sforzo. Occorre fare fatica. La fatica è qualcosa ormai fuori moda. La riflessione vale non solo per l’uso dell’auto, ma per quello dell’acqua, per i consumi di carne, per il modo con il quale reagiamo ai tanti allarmi ambientali. Alla subalternità di troppe persone ai richiami della pubblicità.

Federic Beigdeber pubblicitario ribelle si esprime così: ““Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo.  Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai… Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma.”

Mi domando sempre più spesso come potremo uscire da questo impasse. Ci riusciremo? Francamente non lo so. Se misuro questa possibilità utilizzando come termine di paragone il numero di follower di un divulgatore scientifico o ambientale, rispetto a quelli di una qualunque bella ragazza che lavora nello spettacolo non ho buone sensazioni. E riguardo a me che oggi rientro nella categoria dei cosiddetti boomer, anzi più precisamente dei baby boomer, percepisco sempre di più una sensazione di disagio, quasi di emarginazione. Bevo acqua di rubinetto, uso bici e mezzi pubblici. Le persone mi guardano in maniera strana, qualcuno accenna a parole di circostanza, del tipo “Verrei anche io in bici al lavoro ma…”

E le giustificazioni sono sempre quelle: abito distante, non uso il treno perché la stazione è lontana. Non bevo acqua di rubinetto perché sa di cloro. Intanto le leggi naturali continuano imperterrite a fare la loro strada da tredici miliardi di anni. Tanti sognano un nuovo eldorado, qualcuno sui social commenta che continuerà a sgasare con il suo fuoristrada, motivando la cosa con il fatto che, visto   che si pensa di inviare armi ad uranio impoverito in Ucraina, questa sia la giustificazione per non impegnarsi più ad essere rispettosi dell’unico pianeta, della casa comune. Giustificazione banale e fraudolenta, ma credo anche piuttosto diffusa con diverse varianti.  A cosa serve impegnarsi se poi i cinesi continuano ad inquinare per esempio è una delle più frequenti.

“I cani abbaiano alla luna e intanto la carovana passa.”

(Proverbio arabo).

9 pensieri su “Le riflessioni di un emarginato.

  1. Grazie. Si ha forte la tentazione di smettere di parlare contro l’uso, o meglio, l’abuso, per es. dell’acqua minerale, contro l’uso, o meglio, l’abuso, delle buste di plastica…. Ma, solo i commercianti che frequento, ormai sanno che non devono più propormi la busta di plastica, ho senpre la mia sacchetta di tela. Buste che hanno una sola utilizzazione: mezzo di trasporto della merce acquistata. Che ci vuole a proibire questo uso? Basterebbe dire “è un doppio imballaggio”. Proibito!. Se ci si pensa, la stragrande maggioranza delle cose che acquistiamo hanno già un loro imballaggio. una bottiglia di latte? Un pacco di biscotti? Una bottiglia di vino? Un dentifricio? Un detersivo? ecc.ecc. Quindi a cosa serve la busta di plastica? Solo a trasportarle. E’ tanto difficile? Si! Il commerciante se non la offre, glie la chiedono! Teme di perdere il cliente? Si. Ma non dobbiamo mollare!!! Per tutti gli ultimi anni andavo alla scuola in bici, a 13 km da casa. E avevo anche la scuola serale. Mai andato in macchina. Né con la metro, che pure era sotto casa e arrivava davanti scuola. Chi vive a Roma, sa cosa significa, le salite, il traffico….alla prima ora di lezione. Ci trattano, per rompiscatole, se va bene. Non molliamo!

    • La mia fortuna è che andare in bici mi piace, e non mi pesa. Quanto al non mollare, ormai è tardi. MI sembrerebbe di tradire me stesso.

    • Mi capita tutti i giorni di pensare quello che Lei esprime. L’impegno individuale è certamente faticoso. Non a caso è nato questo post. Ma spero sempre che l’esempio porti qualche frutto.

  2. Grazie dell’articolo e delle tante bellissime citazioni!
    Emarginato n. 2

  3. Son d’accordo anch’io. Mi stanno facendo il cappotto a casa, malgrado il taglio dei contributi cambierò infissi e caldaia.
    Certo, è difficile non pensare che l’Europa ha solo il 5% degli abitanti mondiali, e anche se azzerasse le emissioni d’un botto diminuirebbero di quanto ? L’ 8% ?
    Gli è che il grosso delle emissioni oramai la fanno in due o tre paesi: Cina, USA, India etc.
    Se non li obbligheremo, sarà tutto inutile, lo dicono i numeri…

    • Credo che le emissioni dirette dell’EU siano il 7% del totale; poi ci sono quelle indirette legate alle importazioni di beni prodotti PER NOI in quei paesi che dici tu: Cina, India; comunque nei decenni passati abbiamo emesso in abbondanza e quelle emissioni lì sono quelle che si sono accumulate ed hanno modificato tutto; conta l’integrale insomma, non solo il valore e la derivata.

      • Giusto l’integrale !
        Che ci fosse qualcosa di malato nel sistema mi è apparso evidente anni fa, aiutando mia sorella a traslocare. Che una maestra elementare, ancorché nubile, possedesse cinque cappotti di vari tipo, e una pelliccia, mi sembrò assurdo.
        È il consumismo il vero male, fino a che saremo inondati da merce cinese a basso costo non ci renderemo conto dell’impatto dei nostri consumi.

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