Diego Tesauro
Nell’era dell’antropocene siamo in una fase nella quale l’umanità non si può più permettere di produrre manufatti costituiti da materiali per i quali non si abbia un processo sostenibile che ci permetta di riciclarli al termine della loro vita utile, oppure di smaltirli senza alterare le matrici ambientali in modo significativo. Oggi questa sensibilità viene giustamente diretta verso i materiali polimerici che provengono dalle fonti fossili e costituiscono la larga parte della plastica utilizzata. Il vetro, sarà perché totalmente riciclabile, non costituisce apparentemente un problema. Invece, innanzitutto è necessaria una raccolta differenziata accurata, in alcuni casi separandolo anche per colore per evitare di mandarlo in discarica, dove servirebbero migliaia di anni per decomporlo; poi è necessario fonderlo ad elevata temperatura con notevole consumo di energia. Inoltre la sua densità, abbastanza elevata rispetto alla plastica, comporta anche un consumo di energia nel trasporto. E’ chiaro che la sua notevole inerzia chimica, dovuta alla relativa scarsa reattività del costituente base, la silice, tranne che verso le basi forti, lo rende un materiale di eccellenza. Queste considerazioni spingono la ricerca a percorrere strade alternative per un futuro sostenibile verso un materiale che sostituisca la silice, conferendo la classica trasparenza ai manufatti. Un materiale a base peptidica sarebbe una valida alternativa, almeno secondo uno studio pubblicato su Science Advances [1]. Chiaramente la tecnica di formazione del vetro, cioè un riscaldamento seguito da un rapido raffreddamento, applicata ai peptidi, comporterebbe una decomposizione della catena amminoacidica e degli amminoacidi stessi prima che si possa giungere alla fusione.
Per stabilizzare in primo luogo gli amminoacidi, evitarndone la decomposizione, oltre ad impedire la rottura dei legami peptidici e cambiare il modo in cui i peptidi si assemblano; sono state modificate le estremità degli amminoacidi introducendo i gruppi acetile, 9-fluorenilmetilossicarbonile (Fmoc) e benzilossicarbonile (Cbz). In particolare gli amminoacidi che si sono mostrati più stabile sono la glutammina (Q), l’istidina (H), la fenilalanine (F), e la tirosina (Y) ed una volta modificati la loro temperatura di fusione era molto lontana dalla temperatura di decomposizione. La tecnica applicata infatti ha previsto la fusione per formare prima un liquido super raffreddato quindi un riscaldamento alla velocità di 10°C al minuto, in atmosfera inerte, fermandosi prima di raggiungere la temperatura di decomposizione (Figura 1). Attraverso un controllo accurato delle velocità di riscaldamento e raffreddamento, il liquido super raffreddato è stato raffreddato in acqua per formare infine il vetro ed evitare la cristallizzazione. Sono stati così ottenuti biovetri ed invistigati nelle loro proprietà sopratutto quelli ottenuti con l’amminoacido Ac-F e con il tripeptide (Cbz-FFG). Il prodotto così ottenuto è rimasto solido quando è tornato a temperatura ambiente.

Figura 1 Diagramma schematico del vetro biomolecolare.
Le unità strutturali sono derivati di amminoacidi o peptidi molecolari utilizzati per preparare un liquido sottoraffreddato attraverso un processo di fusione ad alta temperatura e quindi trasformati in un vetro mediante una procedura di tempra. Questi vetri avevano eccellenti caratteristiche ottiche, lavorabilità flessibile, nonché biodegradabilità e bioriciclabilità. Copyright Science Advances
Questo metodo impedisce agli amminoacidi e ai peptidi di formare una struttura cristallina quando si solidificano, il che renderebbe il vetro opaco, anche se gli autori dello studio notano che in alcuni casi il vetro non era completamente incolore. Il vetro biomolecolare non solo è trasparente, ma può essere stampato in 3D e colato in stampi. Effettivamente i vetri ottenuti hanno una combinazione unica di proprietà funzionali, eccellenti caratteristiche ottiche, buone proprietà meccaniche e buona propensione verso processi di flessione.
Per determinare se il vetro biomolecolare sviluppato, fosse stato ecologico, sono stati, quindi, condotti esperimenti di biodegradazione in vitro e esperimenti in vivo e di compostaggio. Il vetro biomolecolare sottoposto ai fluidi digestivi e al compost, ha impiegato da poche settimane a diversi mesi per rompersi, a seconda della modifica chimica e dell’amminoacido o del peptide utilizzato dimostrando la desiderata biodegradabilità e bioriciclabilità (Figura 2). Pertanto invece di rimanere per anni in una discarica, i nutrienti generati dal vetro biomolecolare potrebbero, in linea di principio, ricongiungersi all’ecosistema.

Figura 2 Frammenti generati dal processo di decomposizione enzimatica del peptide CbzFFG
Bisogna rilevare che questi vetri biomolecolari sono completamente diversi dai vetri bioattivi (BAG)/biovetri, scoperti nel 1969 da Hench.[2] Infatti BAGisa è un tipo di materiale ceramico bioattivo che presenta proprietà di rigenerazione ossea con una composizione contenente più calcio e fosfato rispetto ai vetri di silice e apparteneva al sistema di vetro di silicato inorganico SiO2-Na2O-CaO-P2O5.
Al momento il vetro biomolecolare rappresenta una curiosità scientifica e non sarebbe adatto per applicazioni come bottiglie di bevande perché il liquido ne causerebbe la decomposizione. Ma le curiosità scientifiche in futuro potrebbero risultare foriere di nuove scoperte in grado di far progredire la conoscenza.
Riferimenti
1) R. Xing, C. Yuan, W. Fan, X. Ren, X. YanBiomolecular glass with amino acid and peptide Nanoarchitectonics Sci. Adv. 9, eadd8105 (2023)
2) L. L. Hench, H. A. Paschall, Direct chemical bond of bioactive glass-ceramic materials to bone and muscle. J. Biomed. Mater. Res. 7, 25–42 (1973).