Etica e chimica

Data la sua centralità questo topic sarà permanente; dopo il primo intervento “seminale” a cura di Luigi Campanella (responsabile del gruppo Etica della SCI) tutti gli altri interventi interni saranno accodati  a questo nella medesima pagina in una sorta di tavola rotonda virtuale; quelli del pubblico saranno aggiunti come risposte. Buona lettura.

Interventi (nell’ordine) di Luigi Campanella, Vincenzo Balzani, Luigi Campanella, Matteo Guidotti; video del Convegno Etica e scienza per l’ambiente, Valmontone 2008, 1 e 2 parte

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Luigi Campanella:

Introduzione

Vi siete mai chiesti perchè si parli così spesso di rischio chimico, armi chimiche,danno
chimico e non di vigilanza chimica, protezione chimica, chemical tutor?

In questa domanda sta la risposta al perchè della generale negativa predisposizione e ostile semtimento verso tutto ciò che è chimica.
La nostra disciplina ha tre differenti livelli di interazione con il sistema sociale: il primo con i
cittadini, il secondo con il mondo della scieza, il terzo con la comunità chimica, passando dal primo al terzo da un carattere più generale ad uno più specifico. Se si esclude il terzo livello, gli altri due- soprattutto il primo- risentono di un’impostazione che descrive la chimica come scienza a due facce, quella filotecnologica e quella filoecologica. La domanda di avvio di questa nota giustifica in questa visione bipolare la prevalenza nella visione comune del primo carattere sul secondo.
In realtà ciascuna delle tre caratteristiche che distinguono significativamente la chimica rispetto alle altre discipline scientifiche è correlata ad aspetti etici profondi
creatività:i chimici disegnano e sintetizzano molecole nuove e preziose per la qualità della vita,capaci di combattere le malattie,la fame nel mondo,i pericoli della vita corrente. Sono i chimici responsabili per abusi ed usi impropri di queste molecole,magari utilizzate come armi o come veleni? Ed ancora è giusto proteggere con brevetti molecole che potrebbero salvare la vita di bambini ed adulti, essendone limitata la disponibilità specialmente nei Paesi più poveri? Ed infine è brevettabile qualunque prodotto di questa creatività?
flessibilità:la chimica dimostra con la sua storia di essere in grado di promuovere lo sviluppo economico ed il mercato al tempo stesso garantendo qualità dell’ambiente e salute dei cittadini:qual’è il giusto equilibrio fra un supporto acritico allo sviluppo industriale ed un’attenzione responsabile per i possibili effetti negativi su ambiente e salute delle relative produzioni?
conoscenza induttiva:la chimica si basa soprattutto sulle nuove esperienze e su nuovi
esperimenti,prevalendo questi su quanto si può dedurre dalle conoscenze acquisite;è giusto esaltare queste esperienze -non di rado al di là del reale-e queste attività alla ricerca di fama e prestigio,magari inducendo speranze in chi affida alle nuove ricerche le proprie speranze di salute ed, in qualche caso, di vita? Fino a quanto si deve spingere la ricerca del nuovo e quindi la sperimentazione in relazione a sicurezza dei lavoratori ed a barriere etiche? E come queste vengono stabilite?
ll tempo della scienza che sogna e galleggia nell’empireo è finito, il potere della scienza è oggi quello che le deriva dalla sua capacità di accrescere le conoscenze al servizio del genere umano e gli aspetti etici coprono tutto il ciclo produttivo, dalle materie prime allo smaltimento degli scarti finali. Le differenze fra economia di mercato( in parte di certo sostenibile) e società di mercato (inaccettabile) devono essere comprese  e, soprattutto, rispettate.

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Vincenzo Balzani:

 Lo scienziato oggi

La frattura fra cultura umanistica e cultura scientifica è stata discussa una cinquantina d’anni fa dallo studioso inglese C.P. Snow, che in modo provocatorio chiedeva ai suoi amici scienziati se avevano mai letto Shakespeare e ai suoi amici umanisti se sapevano cos’è il secondo principio della termodinamica. Secondo Snow la frattura fra le due culture deriva dal fatto che gli scienziati hanno, per natura, il futuro nel sangue, mentre gli umanisti auspicano che non ci sia futuro perché i loro occhi sono rivolti al passato. Non credo che si possa condividere questo giudizio.

Che ci sia una frattura fra cultura umanistica e cultura scientifica e anche fra le varie aree all’interno delle due culture è tanto evidente quanto inevitabile. Quando a Bologna nel 1088 è stata fondata la prima università e ancora, più o meno, per altri cinque secoli, la scienza era ben poca cosa: a quel tempo gli scienziati sapevano quasi niente, ma potevano parlare quasi di tutto. Poi la situazione col passare degli anni è profondamente mutata. Il campo si è molto allargato e differenziato così che oggi, se si vuole scoprire o inventare qualcosa, bisogna fare ricerca in settori molto specifici, per cui si finisce per sapere quasi tutto, ma di quasi niente. E quando si parla di quel quasi niente che è il proprio campo di ricerca, bisogna spesso usare un linguaggio tecnico che quasi nessuno capisce.

Il discorso, però, non finisce qui. Il vero scienziato, oltre ad avere una conoscenza molto approfondita del suo specifico settore di ricerca, che gli permette di scoprire o inventare cose nuove, deve mantenere contatti con le altre aree della scienza e con la cultura umanistica. Se non lo fa, se si chiude nel suo laboratorio o nella sua biblioteca, finisce per perdere interesse anche nei confronti della società e del mondo in cui vive. Queste persone non dovrebbero essere chiamate scienziati: per essi proporrei il nome di ricercatori settoriali.

Per lo scienziato, futuro, presente e passato sono ugualmente importanti. Lo scienziato ha il futuro nel sangue quando esplora l’ignoto con idee o esperimenti nuovi; ma per farlo, deve conoscere il passato. Galileo, riferendosi ad Aristotele diceva: “Io vedo più lontano perché sono salito sulle spalle di un gigante”. Anche oggi, per scoprire od inventare, bisogna salire sulle spalle di quel gigante che è la conoscenza fin qui accumulata; e non solo nel proprio settore, ma anche in quelli confinanti in quanto è provato che il progresso della scienza avviene particolarmente nelle aree di contatto delle varie discipline. Guardando lontano dalle vette della conoscenza, lo scienziato, per scegliere la direzione in cui procedere per scoprire od inventare, deve avere nel cuore il presente: ad esempio, il grido dei poveri, lo spreco dei ricchi, il respiro affannato di un pianeta ormai troppo sfruttato, la speranza che ci viene dall’energia che il sole continuerà ad inviarci regolarmente per miliardi di anni.

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Luigi Campanella:

Ancora sull’Etica della Chimica

La trasformazione della società obbliga la chimica ad adeguarsi alle nuove richieste: da quelle di prima necessità a optional e specialità. In questi adeguamenti si sono presentate alla chimica sempre nuove sfide in cui, proprio per contrastare l’impronta del peccato originale che la chimica pesante ha imposto purtroppo per lunghi decenni, il chimico ha cercato di innestare un comportamento sul quale i principi etici fossero ben presenti, e così nel tempo ha affrontato difficili situazioni che hanno richiesto l’assunzione di responsabilità, di codici di condotta, in definitiva di etica. Ripercorrendo gli ultimi 30 anni della storia della chimica sono molte le domande che più spesso il chimico si è dovuto imporre per salvaguardare l’etica della sua professione. Il brevetto è una forma di proprietà intellettuale, è un motore dell’economia; è giusto che lo sia anche quando conoscere il prodotto significa salvare vite innocenti?
Quando si costruisce una molecola per un fine programmato giusto fa parte dell’etica scientifica prevedere i possibili altri usi della molecola inventata? È davvero accettabile che la sperimentazione animale sia assunta a metodo di riferimento per la valutazione di tossicità ed ecotossicità? La battaglia contro gli OGM su una base più culturale e politica che scientifica, è accettabile  dinanzi allo spettro della fame nel mondo o non è più giusto battersi per una loro presenza controllata mettendo a comune metodi di valutazione? I risultati delle ricerche vengono sempre espressi in maniera responsabile e corretta o essi vengono influenzati dalla volontà di perseguire successi e di condizionare l’assegnazione di futuri finanziamenti? Siamo capaci come cittadini, ricercatori, chimici di sacrificare, sia pure in parte, le nostre libertà individuali in favore degli interessi più ampi della comunità sociale?
Domande a cui non è facile dare risposte certe, ma noi chimici sappiamo che solo rispondendo con la nostra coscienza di lavoratori e di scienziati riusciremo a rinsaldare quel legame con la società civile dal quale dipende il nostro futuro ed il successo nel nostro impegno sociale
Tante trasformazioni, tanti successi, tante critiche: sostanzialmente però la chimica considerata motore fondamentale dell’economia industriale ha saputo adeguarsi, come forse nessun altra disciplina al mutato quadro sociale. Così le tradizionali due facce della chimica vengono oggi storicamente riviste nell’industria chimica del secolo passato ed in quello attuale: filotecnologica, in parte solo produttiva, la prima rispetto a quella filoecologica, sostenibile dei giorni nostri.
Il fondamento della chimica sostenibile è che chi progetta un prodotto chimico di qualsivoglia natura deve considerare gli effetti che dal suo uso si possono avere per l’ambiente e la salute umana. Questo significa cambiare la vecchia impostazione secondo la quale i 2 termini del binomio economia/ambiente sono fra loro incompatibili: o si procede pensando agli interessi dell’uno o dell’altro, non è possibile farlo negli interessi di entrambi.
Oggigiorno le industrie si accollano costi anche pesanti per rimuovere diossine, metalli pesanti, amianto ed altri inquinanti. L’unica soluzione per ridurre drasticamente questi costi sta nella prevenzione: questo è il reale motivo che ha fatto divenire in questi ultimi 10-15 anni la chimica cosiddetta verde un affare. Ufficialmente la nascita della chimica verde – meglio oggi sostenibile – si fa risalire al 1991. Da quella data la crescita progressiva che ne è seguita è stata sostenuta dalle nuove conoscenze relative ai materiali pericolosi ed a quelli innocui, dalla crescente abilità dei chimici a manipolare le molecole per creare i composti desiderati, dai costi crescenti derivanti dalle esigenze di smaltire materiali pericolosi. Con orgoglio possiamo dire che l’industria chimica italiana, anche stimolata dalle richieste della società civile sta percorrendo questa strada; mentre non si parla di una “industria fisica” o una “industria biologica”, l’industria chimica è una realtà, purtroppo, spesso in passato invisa all’opinione pubblica per ignoranza ed a causa degli eccessivi inquinamenti ambientali, fin troppo sbandierati, ma oggi la più modificata nell’atteggiamento rispettoso dell’ambiente adottato.
Quando alcuni anni fa da parte di alcuni studiosi si ipotizzò che il clima del nostro pianeta  avrebbe potuto essere influenzato dalle interferenze ad esso portate dalle attività umane in particolare da alcuni processi tecnologici e dalla produzione energetica, l’osservazione suscitò scetticismo in molti, incredulità in altri.
Oggi si sta verificando come la crescente produzione di anidride carbonica, un inevitabile prodotto delle reazioni di combustione, stia portando alla formazione nell’atmosfera di una sorta di pellicola che, rallentando la reirradiazione nello spazio del calore della terra, porta ad un aumento della temperatura media del nostro pianeta.
La concentrazione nell’atmosfera è già aumentata di circa il 40% dall’inizio della Rivoluzione Industriale, e tale ritmo dovrebbe essere mantenuto per i prossimi 50 anni. Quali saranno gli impatti sulla vita della variazione media di temperatura prevedibile, sulla base di dati termometrici? Come sarà modificata la produzione agricola? Come la stabilità delle cappe polari?
L’esempio dal quale sono voluto partire è esemplificativo della esigenza di prevedere e programmare in anticipo gli interventi in difesa della salvaguardia ambientale.
Come sarà difficile intervenire quando l’effetto serra si sarà concretizzato, mentre assai più semplice sarebbe sviluppare politiche produttive ed energetiche che tengano conto dei rischi insiti in tale problematica, così è per esempio inaccettabile non tenere conto, con la proposizione di alternative, della distruzione che lo strato di ozono protettivo (per animali e piante) del nostro pianeta nei confronti dei raggi del sole sta subendo da parte dei propellenti gassosi a base di composti organici fluorurati o dei danni che derivano dal crescente impiego dei pesticidi il cui uso in agricoltura, salutato come un miracoloso toccasana, è stato obbligatoriamente riconsiderato alla luce della progressiva resistenza acquisita dei parassiti e dei danni ambientali ed alimentari che da esso derivano.
In futuro il controllo di questi problemi dovrà volgersi a tecnologie ecologicamente più accettabili, innanzitutto impiegando insetticidi minerali e poi basandosi su controlli biologici, da un lato con l’introduzione di nemici delle pesti delle colture e con il rilascio di insetti maschio sterili per ridurre la riproduzione, dall’altro con rotazione delle colture che riducono le perdite dovute all’azione delle pesti che sopravvivono nel suolo durante la stagione invernale.
Ed analogicamente i progetti di irrigazione quando terranno conto del rischio di fenomeni di sedimentazione e di problemi di salinità dovuti all’effetto solvente dell’acqua sui sali del terreno?
Eppure trascurare questi effetti è come autoridursi le risorse idriche.
Parecchie sostanze chimiche della moderna generazione, come il cloruro di vinile ed il dietilstilbestrolo (DES) sono certamente responsabili del propagarsi di alcune forme tumorali; tuttavia ogni anno nei soli Stati Uniti vengono prodotti 1000 nuovi composti chimici senza che alcuna normativa obblighi a test tossicologici a lungo termine. Eppure in questo senso parecchi passi in avanti sono stati compiuti; la chimica ha messo a punto metodologie di controllo e di verifica delle proprietà dei composti che potrebbero essere applicate in sostituzione dei test su animali:ancora oggi però questi sono riconosciuti prioritari,anche dalla normativa REACH,che pure rappresenta un motivo di speranza ed un’opportunità.
E d’altra parte con il potenziamento delle tecnologie “soft” (biotecnologie, processi “puliti”, enzimatici, elettrochimici, funzionalizzati) molti tradizionali processi di sintesi ed industriali potrebbero essere sostituiti evitando questo pericoloso moltiplicarsi di prodotti, secondari di molte reazioni.
Molte volte esigenze politiche, sociali e di mercato vengono invocate contro il rinnovo delle tecnologie, ma se si pensa che i paesi in via di sviluppo pagano da 30 a 40 bilioni di dollari l’anno per importare le tecnologie “dure” è proprio certo che l’integrale nel caso di un nuovo “trend” sia negativo?

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Matteo Guidotti:

“Dual Chemistry”: l’impiego duplice della Chimica

“Non ci sono molecole cattive: ci sono solo uomini malvagi.”

 Sir Roald Hoffmann (premio Nobel per la Chimica nel 1981)

Il dilemma dell’impiego “buono” o “cattivo” di ogni nuovo prodotto dell’ingegno ha accompagnato l’Umanità fin dai suoi albori. Gli esempi riportati da Luigi Campanella e da Vincenzo Balzani riguardano le importanti sfide che la Chimica del XXI secolo si trova ad affrontare, ma una nuova questione etica può sorgere ad ogni singolo nuovo passo del progresso scientifico, poiché l’applicazione tecnologica che se ne può trarre può imprescindibilmente avere una ricaduta favorevole o avversa sulle sorti del genere umano.

Un’icona di questo eterno dilemma è la scena conclusiva del film di Stanley Kubrick “2001 Odissea nello spazio” in cui compare il primate che, presa consapevolezza della possibilità di creare dagli oggetti che lo circondano gli strumenti che gli consentiranno di elevarsi dallo stato animalesco, pensa di rivolgere per la prima volta un osso contro i suoi avversari, come nuovo e letale strumento di offesa. Allo stesso modo, la Chimica checitando Berthelot – “crea i suoi oggetti” non ha potuto, né potrà esimersi dal rischio di vedere le proprie conquiste più importanti impiegate per fini malvagi, stravolgendo completamente le più nobili e fulgide aspettative iniziali.

Grandi scienziati e grandi chimici hanno vissuto in passato con travaglio interiore questa visione manicheista delle loro scoperte, tanto da imporre talvolta a se stessi un blocco “etico” alla loro creatività o addirittura da portare alla distruzione dei loro risultati più brillanti. Si pensi alla crisi interiore in cui sono piombati molti ricercatori che hanno partecipato al progetto Manhattan, tra cui anche Albert Einstein, per lo sviluppo della prima bomba atomica; a Guglielmo Marconi, che ha distrutto buona parte dei suoi ultimi risultati sulle radiazioni elettromagnetiche ad elevata potenza, tra cui, pare, anche un prototipo di radar, per evitare preoccupanti asservimenti al regime fascista; ma anche, per parlar di chimici, ad Alfred Nobel e alle sue contrastanti scoperte nel campo degli esplosivi o, ancora, a Fritz Haber, personalità combattuta tra i grandi successi della Chimica industriale e le terribili responsabilità nella progettazione delle camere a gas dei lager nazisti.

E’ cruciale dunque che l’innegabile presenza di queste zone d’ombra nel cammino del progresso scientifico non ne impedisca lo sviluppo in modo aprioristico e che non si verifichino dei freni preventivi per puro timore di un futuribile impiego deviato della nuova scoperta. Così come nel campo della tutela dell’ecosistema si è gradualmente passati da una Chimica irrispettosa dell’ambiente, ad una Chimica del disinquinamento e, in seguito, ad una Chimica sostenibile, per “prevenire, anziché curare”, allo stesso modo, nell’ambito del rapporto tra Chimica ed Etica, è auspicabile che si passi da uno studio delle contromisure per minimizzare i danni causati da un uso deliberato di sostanze chimiche nocive, ad uno studio della cosiddetta “dual Chemistry”, ad un’analisi dell’impiego duplice della Chimica, per valutare, per quanto possibile, anticipatamente i potenziali sviluppi positivi e negativi e per poter esercitare un controllo preventivo sugli aspetti più pericolosi che ne potrebbero derivare.

Su questo nuovo modo di agire, si era a lungo dibattuto nel 2007, proprio nel nostro Paese, a Torino, in occasione del 41° Congresso Mondiale della IUPAC e da queste considerazioni su dual Chemistry e dual use, è scaturito un nuovo protocollo di azione ancora oggi impiegato dall’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, (l’organismo sopranazionale con sede all’Aia per l’attuazione della Convenzione internazionale sul bando delle armi chimiche). Si ha infatti una periodica revisione delle liste di tutte le sostanze chimiche proibite o fortemente regolamentate, a causa del loro potenziale uso come aggressivo chimico bellico, per far sì che gli elenchi non siano fissi e chiusi, ma aperti ed aggiornabili, in funzione dei nuovi composti chimici sintetizzati o delle nuove linee-guida dettate dai vari enti di controllo nazionali o dal diritto internazionale. In tal modo, questa Convenzione non invecchia, ma rimane al passo con i tempi e può beneficiare di un continuo benefico apporto della comunità scientifica di tutto il mondo. Una visione altrettanto dinamica sarebbe desiderabile per molti settori in cui il dialogo (o il conflitto) tra Chimica ed Etica è molto serrato, non solo per ciò che riguarda il caso esemplare delle armi chimiche.

Si tratta di una sorta di valutazione del ciclo di vita “etico” di una scoperta scientifica, di una molecola o di un nuovo ritrovato, una prospettiva che dev’essere man mano aggiornata in funzione dell’avanzamento delle altre discipline e delle eventuali applicazioni tecniche e tecnologiche disponibili a livello di ricerca pura o di sviluppo industriale.

In tutto questo, la Chimica e i chimici giocano un ruolo essenziale, che non può essere rimpiazzato né dai filosofi della Scienza, né dai politici, né da altre figure che, pur avendo adeguate competenze e conoscenze etiche o sociali, non hanno una visione scientifica e tecnica sufficientemente omnicomprensiva per poter trattare con obbiettività e approfondimento tali problematiche.

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I seguenti due video riguardano il convegno su Etica e Scienza per l’ambiente tenuto a Palazzo Doria Pamphili, Valmontone nel 2008 ed organizzato dalla SCI

Valmontone, Etica e Scienza per l’ambiente, 2008 Parte prima

Valmontone, Etica e Scienza per l’ambiente, 2008 Parte seconda

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Sulla questione posta da Garattini.

Entro con sentimenti opposti all’interno del dibattito che si è acceso all’interno della comunità scientifica e civile intorno alla recente legge del nostro Paese che limita molto strettamente la sperimentazione animale. Da un lato c’è la convinzione che i dibattiti siano sempre utili in quanto espressione di libertà di opinione e di espressione che devono sempre e comunque essere difese, dall’altro c’è la preoccupazione per un contrasto su un argomento nel quale aspetti etici e scientifici confluiscono,finendo per tirare la corda da una parte o dall’altra,ma perdendo di vista il necessario punto di equilibrio. La lettera del prof. Garattini al Min.ro Carrozza ha invocato un intervento ministeriale per evitare che i ricercatori , a seguito della nuova legge ,siano privati di un prezioso strumento di ricerca in favore della salute e dell’ambiente,della medicina in generale. Secondo l’estensore della lettera la legge pone di fatto alla sperimentazione animale limiti talmente stretti da renderla inapplicabile.Non si è fatta attendere la risposta che ha evidenziato i risvolti politici delle scelte assunte riferite all’esigenza di guidare verso un abbandono progressivo della sperimentazione animale i 27 Paesi dell’UE, tra i quali un certo numero adotta criteri troppo permissivi ed irrispettosi della dignità degli animali. La risposta non si è limitata a tali aspetti:sono state anche mosse critiche alle effettive ricadute che l’approccio sperimentale animale possa garantire, tenuto conto di alcune motivazioni di inaffidabilità che possono essere mosse: trasferimento all’uomo a dir poco incerto dei risultati conseguiti, carenze sul piano della trattazione statistica ,metodi sperimentali non adeguatamente normati. Se questo può essere vero c’è però anche da dire che il sistema organismo animale completo non può essere riprodotto in laboratorio né può essere simulato con ciò rendendo insostituibile la sperimentazione animale ,soprattutto se riferita  a test sul funzionamento del meccanismo cerebrale e sulle ricadute sul relativo organo da parte di sostanze  testate ,ad esempio farmaci.

Da chimico mi permetto, insieme alla mia comunità,di battermi per un riequilibrio del confronto al fine di sostenere la comunità scientifica verso il traguardo che l’UE con la norma delle 3 R (reduction, replacement, refinement)  ci ha indicato,e cioè progressivo abbandono della sperimentazione animale e sua applicazione ai casi di documentata insostituibilità. Rispetto a questo cammino la chimica può fare molto, avendo già indicato sperimentazioni alternative ed innovative che si basano su test in vitro, sulla biosensoristica, sulla modellistica molecolare, sulla proteomica. Durante il mio periodo di presidenza della Società Chimica Italiana è stato redatto un testo su  questi metodi,non solo discussi teoricamente,ma anche illustrati da esperienze dirette già in atto presso laboratori di ricerca nazionali.Non pretendo sia una guida,ma certo la dimostrazione che molto si deve e si può fare verso il comune traguardo. Ovviamente non si tratta di prerogative specifiche ed uniche: altre comunità scientifiche possono fare come noi e più di noi. Auspichiamo che dal dibattito di questi giorni scaturisca una comune volontà di collaborazione,ciascuno a partire dal proprio punto di vista, ma con la disponibilità a recepire proposte diverse e comunque al confronto civile e rispettoso, finalizzato al raggiungimento di un traguardo comune

Luigi Campanella

4 pensieri su “Etica e chimica

  1. Cari Colleghi ed Amici
    ritengo che gli argomenti proposti nel blog della SCI siano importanti in particolare per gli studenti del corso di laurea in chimica. Per questo motivo li trasmetto con regolarità agli studenti del mio corso di chimica organica I all’Università di firenze, Gli studenti li apprezzano molto e vi ringraziano.
    Antonio Guarna

  2. Poichè Vincenzo Balzani ricordava la Rede Lecture del 1959 sulle “due culture” vorrei ricordare che quel dibattito (già molto vivo in epoche precedenti) è più che mai attuale e ne è testimonianza la Rede Lecture 2010 il cui titolo è stato “The Two Cultures Fifty Years on”. Sul portale della Royal Society of New Zeeland si può trovare sia il video che la trascrizione della conferenza replicata per la Aronui Lecture in Nuova Zelanda.

    http://www.royalsociety.org.nz/events/annual/aronui-lecture/2010-series/

    Citando un altro passaggio dell’intervento, vorrei chiosare un aspetto della definizione di scienziato che Balzani suggerisce. Io parlerei anche di “ricercatori seriali”, un profilo che ben si adatta a quello richiesto per i futuri professori scienziati dell’accademia italiana.

  3. Una nota pedante: certamente l’ebreo tedesco Fritz Haber, già forte della reputazione scientifica conseguita con la sintesi catalitica dell’ammoniaca, fu l’insistente sostenitore presso lo Stato Maggiore Imperiale, inizialmente contrario e sempre critico, dell’uso del cloro dapprima, e successivamente del fosgene e di altri composti organici come espediente tattico per condurre la guerra di logoramento in trincea. Per questa ragione, vi fu un acre dibattito al termine delle ostilità se deferirlo a un tribunale per crimini di guerra e anche l’assegnazione, nel 1919, del Premio Nobel per la Chimica per la sintesi dell’ammoniaca fu contestata sotto il profilo ‘etico’ piuttosto che su basi professionali. Farne il consigliere tecnico (“Fritz Haber, personalità combattuta tra i grandi successi della Chimica industriale e le terribili responsabilità nella progettazione delle camere a gas dei lager nazisti”) degli uomini di Wannsee è un errore se non altro cronologico: Haber morì, non vecchio ma logorato, nel 1934, dopo aver trascorso in peregrinante esilio l’anno seguente l’avvento al potere del regime nazionalsocialista, che lo privò di incarichi e ruolo nella Patria tedesca, alla quale era stato dichiarato estraneo (v. ad es. Dietrich Stoltzenberg. Fritz Haber: Chemist, Nobel Laureate, German, Jew; Chemical Heritage Foundation, 2004 – pp.326).
    Questo tanto per accuratezza, interessanti le altre considerazioni. Ignoravo che Marconi avesse distrutto i risultati delle sue ultime ricerche, come suggerito per disincanto nei confronti del Regime fascista. Quello dei rapporti ambigui tra i tecnici e gli scienziati italiani e il complesso fenomeno politico, mezzo modernista e mezzo reazionario, è del pari un problema complesso, nel quale si inscrivono forse anche le radici del conflitto, innegabile, tra industria chimica e salute collettiva. Questo, ben più che la questione delle sostanze ‘a doppio uso’, rappresenta uno snodo ancora irrisolto, sul quale tardo, reticente, e per questo anche ottusamente partigiano è e resta il dibattito.
    Grazie dell’opportuna occasione,
    FMRubino
    Università degli Studi di Milano

    • Ringrazio il collega Rubino per le precisazioni (correzioni sacrosante, non pedanteria!) e mi scuso con lui e con tutti i lettori per la confusione ingenerata dalle mie parole nei due brevi esempi.

      Convengo che la mia frase “responsabilità nella progettazione delle camere a gas” sia fuorviante ed errata per ragioni cronologiche. Un’espressione più corretta è “responsabilità nella progettazione dello Zyklon B impiegato nelle camere a gas”.
      Oltre alle vicende della prima guerra mondiale, in cui Fritz Haber è stato fermo assertore dell’impiego di gas tossici (tanto che la “legge di Haber”, che descrive la dipendenza tra la concentrazione di un gas venefico e il tempo di esposizione per avere un effetto letale, proprio da lui prende nome), è documentato il ruolo del chimico tedesco, assieme a Walter Heerdt, Bruno Tesch e Gerhard Peters, all’opera presso l’Istituto “Kaiser Wilhelm” di Chimica Fisica ed Elettrochimica di Berlino, nella messa a punto dello Zyklon B, l’agente fumigante a base di HCN, originariamente impiegato come antiparassitario e pesticida (brevetto DE 438818 del 20 giugno 1922), ma tristemente noto a tutti più tardi per il suo impiego nei campi di sterminio nazisti di Auschwitz-Birkenau, Majdanek e Sachsenhausen. Proprio in quei lager alcuni parenti della sua famiglia avrebbero poi perso la vita negli anni successivi.
      Nella mia espressione avevo ricapitolato (in modo troppo sbrigativo) la frase “from Ieper to gas chambers” impiegata, riguardo allo scienziato tedesco, nella mostra tenutasi a L’Aia in occasione della “The Hague Week on Disarmament and Non-Proliferation” per il 15° anniversario dell’OPCW (Organization for Prohibition of Chemical Weapons) nel settembre 2012.
      Riguardo al rapporto dibattuto negli ultimi anni tra Guglielmo Marconi e il regime fascista, lo scienziato era stato nominato contrammiraglio della riserva della Marina Militare per gli indiscussi meriti scientifici e già nel 1933 aveva dimostrato nell’ambito di alcuni studi per l’Istituto Superiore delle Trasmissioni del Genio di Roma la possibilità del radiorilevamento di oggetti in lontananza sfruttando le onde corte ad alta energia. In seguito questi studi però vennero interrotti sia per mancanza di fondi (lo Stato Maggiore della Marina era più interessato ad acquisire sistemi d’arma già messi a punto, che a finanziare ricerche sul lungo periodo), sia per un graduale avvicinamento alle posizioni del Papa Pio XI, con cui lo scienziato intratteneva profondi legami fin dal 1929, perché, come riferito dalla figlia Elettra Marconi, “non voleva che le sue invenzioni fossero sviluppate per le guerre e le distruzioni ma solo per il beneficio dell’umanità” (intervista a Radio Vaticana del 20 luglio 2007).

      Sono d’accordo infine che tanto più ci si avvicina al mondo contemporaneo, tanto più una lettura filologica e storica dei fatti può risultare falsata, talvolta per superficialità in buona fede, talvolta per faziosa partigianeria. Per questo, lascio agli storici della scienza e ai ricercatori di storia contemporanea il compito di esaminare le fonti documentali che permettano di far luce sulle complesse personalità degli scienziati del passato vicino e lontano e, ritornando al tema originario del mio commento sull’ “uso duplice” della Scienza e dei ritrovati della Tecnologia, concludo, citando un’elegia di Tibullo, del I secolo a.C., in cui si vede come i rapporti tra Scienza-Tecnologia ed Etica siano un tema senza tempo e sempre attuale.

      Tibullo, Elegiae, I,10, 1-6

      Quis fuit horrendos primus qui protŭlit enses?
      Quam ferus et vere ferreus ille fuit!
      Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,
      tum brevior dirae mortis aperta via est.
      An nihil ille miser meruit, nos ad mala nostra
      vertimus, in saevas quod dedit ille feras?
      Divitis hoc vitium est auri….

      Chi fu che per primo inventò le orribili spade
      Quanto crudele e ferale quello fu!
      Allora nacquero stragi per il genere umano, allora guerre,
      allora una via più breve per la crudele morte.
      O non è forse vero che di nulla è colpevole quell’infelice?
      Noi abbiamo volto a nostro danno quello
      che lui ci ha dato per la difesa contro le belve feroci.
      Questo è colpa dell’oro che dà ricchezza.

      Matteo Guidotti
      CNR-ISTM

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