Lavarsi le mani.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

La giornata dell’ acqua del recente 22 marzo, caduta in piena pandemia, mi ha fatto riflettere su un aspetto che non era al centro della giornata, che quest’anno era invece  dedicata ai cambiamenti climatici: mi riferisco al rapporto fra acqua ed epidemie.
Più presenza in casa, più lavaggi per  contrastare il Covid-19 avranno un effetto deleterio sulla bolletta dell’acqu, di qui l’impegno rafforzato ad evitare gli sprechi.
Secondo una stima ENEA infatti i consumi domestici di acqua sono aumentati di oltre il 50% da quando l’emergenza ha riempito le abitazioni e svuotato scuole ed uffici.
Un aumento che si traduce in un consumo aggiuntivo di 48 litri a persona .Questo studio rientra nell’ambito della Giornata Mondiale dell’Acqua del 22 marzo, prendendo in considerazione diverse variabili, come consuetudini personali e tipo di rubinetto e partendo da un consumo medio pro capite di 120 litri al giorno. E’questo un valore probabilmente superato e di molto in molte città: si pensi che in una statistica di 10 anni fa i valori medi di consumo pro capite pro giorno oscillava per le grandi e piccole città fra 300 e 600 litri.
Dinnanzi a questi valori e nella contingenza di questi tempi  deve fare riflettere e molto il fatto che la mancanza di acqua abbia riacceso in alcuni paesi malattie che sembravano estinte; sono il colera, il tifo, l’epatite A  e  le malattie tropicali trascurate come tracoma o parassitosi intestinale e la diarrea, causa ogni anno di morte di quasi 300.000 bambini sotto i 5 anni di età.
Sono i paesi sottosviluppati, soprattutto nel continente africano a pagare questo dazio, rendendo ancora più stringente la lotta che le Nazioni Unite attraverso l”obiettivo 6 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sta conducendo da tempo. Si tratta di un programma rivolto alle persone ed a tutto il nostro pianeta che vuole assicurare entro 10 anni acqua e servizi igienici a chi non li ha.
E’una corsa contro il tempo, che però risulta già in grave ritardo ai tempi previsti.La popolazione mondiale cresce e  con essa ovviamente cresce la domanda di acqua,accelerandol’esaurimento delle risorse naturali ed i danni ambientali. Per rispondere a questo programma la prima azione da fare è un uso responsabile dell’acqua, da cui deriva la riduzione dell’emissione di gas serra e degli eventi meteo estremi, che viceversa rendono l’acqua una risorsa sempre piùscarsa, imprevedibile ed inquinata.
Le Nazioni Unite nelle direttive per questo uso sostenibile pongono al primo posto una sorta di economia circolare dell’acqua basata sul riciclo dell’acqua di scarto e sul riutilizzo di quella piovana e delle acque reflue, il cui primo impiego potrebbe avvenire in agricoltura, tenuto conto che l’irrigazione consuma il 70 % dell’acqua consumata.
A proposito di agricoltura un’ulteriore raccomandazione riguarda la modulazione delle colture rispetto al territorio, tenendo conto della loro maggiore o minore richiesta idrica in relazione alle disponibilità di acqua del territorio.
Un ultimo punto che possiamo ancora collegare al momento drammatico che viviamo: ci viene raccomandato di lavarci ripetutamente le mani per combattere il Covid-19: pensiamo che a più di 3 miliardi di persone (circa il 50 % del totale) sulla nostra terra questo è precluso, per mancanza di acqua e di sapone e pensiamo a quali rischi queste persone, cittadini della Terra,come noi, siano esposte!

22 Marzo 2020: giornata mondiale dell’acqua ai tempi del coronavirus

Mauro Icardi

(con osservazione finale di Lugi Campanella)

La giornata mondiale dell’acqua quest’anno si celebra in un pianeta in apprensione. Spaventato dall’avanzare dell’epidemia di coronavirus. La celebrazione potrebbe passare in secondo piano, e la cosa non credo debba stupire o indignare più di tanto. La situazione di pandemia che l’OMS ha dichiarato è qualcosa che quasi nessuno di noi aveva immaginato, o che pensava di dover realmente affrontare.

Mi viene immediatamente in mente una prima riflessione, legata sia al virus che all’importanza dell’acqua: la raccomandazione che ci viene ripetuta incessantemente, cioè di lavarci spesso le mani. Questo è il primo collegamento sui cui rifletto. Lavarci le mani e aprire il rubinetto dell’acqua. Gesto abitudinario ed usuale, a cui probabilmente non facevamo più nemmeno troppa attenzione. Certamente qualcuno più attento avrà installato erogatori che permettono il minor consumo di acqua, avrà chiuso il rubinetto mentre si spazzolava i denti. Ma adesso questi gesti ordinari assumono un altro valore. Perché dietro a questi gesti ci sono le persone che continuano a garantirci questo servizio essenziale. Servizio di gestione delle reti e degli impianti idrici, fognari e di depurazione. Mi sembra giusto e doveroso ricordarlo. Senza enfasi o retorica. E ricordare che secondo il rapporto “Progress and drinking water” di OMS e Unicef del 2019, nel mondo, una persona su tre non ha accesso all’acqua potabile sicura. Secondo il Rapporto, circa 2,2 miliardi di persone a livello mondiale non dispongono di servizi per l’acqua potabile, 4,2 miliardi non dispongono di servizi igienici sicuri. Per 3 miliardi di persone, inoltre, non è possibile neppure lavarsi le mani disponendo di acqua e sapone in casa.

Altra riflessione che mi viene in mente è relativa alla definizione di “oro blu” legata all’acqua, e mediata dalla definizione di “oro nero” che era stata coniata per il petrolio. Sono almeno vent’anni che questa definizione è entrata nel nostro lessico. Quindi sottintende qualcosa di prezioso per definizione. E ciò che è prezioso diventa, per un modo ormai radicato di pensare, qualcosa che debba essere mercificato. E sappiamo che questa cosa già accade. In Italia molte persone si sono impegnate per ottenere un referendum che stabilisse che l’acqua non si dovesse mercificare. Che fosse e restasse un diritto pubblico universale, così come stabilito dall’ONU già nel 2010. Ognuno potrà valutare da sé se questo obbiettivo sia stato o no raggiunto. Io su questo tema ho potuto anche vedere molta confusione. L’acqua è diventata per molti un concetto astratto. Che potrei riassumere con un frase non mia, ma del Professor Roberto Canziani del politecnico di Milano, con cui a suo tempo ho collaborato per una sperimentazione sugli impianti MBR. Cioè che “Acqua pubblica non vuol dire acqua gratis, perché altrimenti dovremmo ancora andare a prenderla con il secchio e portarla fino a casa”. E’ una frase sulla quale si può essere d’accordo o meno. Certamente pone il problema degli investimenti da destinare al ciclo idrico, ed alla loro corretta gestione. Investimenti che devono comprendere anche la ricerca. Ci sono molti temi da affrontare, e qui se ne è scritto: inquinanti emergenti e resistenza antibiotica tra i più urgenti. Quanto meno serve a farci capire che l’acqua arriva e se ne va dalle nostre case, tramite le strutture e gli impianti che servono alla sua corretta gestione. Concetto che sembra ancora ignoto a molti.

Su quello che sono i beni comuni credo che già in questi giorni molti stiano facendo delle riflessioni. A partire dalla questione, oggi sotto gli occhi di tutti ,di un altro settore fondamentale e primario, cioè la sanità. L’acqua segue a ruota. Credo che sia un dovere per tutti riflettere a fondo sui beni comuni. Uscire da quelle affermazioni banali che, o per interesse proprio, o per dissonanza cognitiva o percettiva ci portano a considerare tutto il pubblico come qualcosa di inefficiente se non clientelare o parassitario. A pensare che solo la privatizzazione sia sinonimo di efficienza, trasparenza e professionalità. Lo stiamo vedendo anche per l’epidemia in corso. Forse dobbiamo ritornare cittadini, e ricordarci che come mi venne insegnato da mia madre lo Stato non è (o non dovrebbe esserci) estraneo. Lo stato mi diceva, siamo noi.

Esiste a mio parere una dissonanza idrica. Profonda e radicata, quella che ci fa svuotare i supermercati di confezioni di bottiglie d’acqua, che ci induce a considerare a priori che sia negativo bere l’acqua del proprio rubinetto di casa. Un atteggiamento di questo tipo merita un altra riflessione, profonda e doverosa.

Supportata certamente da studio e informazione. Senza superficialità . In tanti anni di lavoro ne ho sentita davvero troppa.

In Italia abbiamo anche permesso che in passato le organizzazioni criminali, come la mafia si sostituissero alle istituzioni fornendo acqua con le autobotti nei momenti di crisi idrica. In Italia dobbiamo tenere a mente un numero: 42. Questo numero non è la risposta che il supercomputer pensiero profondo ,(deep thought) del ciclo di libri “Guida galattica per autostoppisti” fornisce agli uomini che gli domandano cosa ci sia nella vita e nell’universo. Quei libri sono di fantascienza umoristica. In Italia 42% è ancora la quantità di acqua mediamente dispersa nelle reti idriche. Dato rimasto praticamente costante, e in questo caso l’umorismo sarebbe fuori luogo.

Lo sostengo su questo blog praticamente da sempre. Serve l’educazione idrica. Serve la rivalutazione della conoscenza. Della ricerca. I tempi del coronavirus ci hanno fatto capire, e ci stanno mostrando che il futuro, che non si può predire, ma solamente in qualche modo prefigurare, sarà decisamente molto diverso. Ne stiamo facendo esperienza tutti noi, ogni giorno. Il cambio di approccio e di paradigma è vitale.

Mi permetto l’ennesima citazione . Che viene da Primo Levi e anche dai Talmud.

Se non ora, quando?

https://www.who.int/water_sanitation_health/publications/jmp-report-2019/en/

https://www.worldwatercouncil.org/en

http://waterweb.org/

https://pubs.rsc.org/en/journals/journalissues/ew#!recentarticles&adv

https://www.snpambiente.it/category/temi/acqua/

 

Un commento di Luigi Campanella sulla Giornata dell’acqua

Aumentare l’accesso all’acqua pulita e la disponibilità di servizi sanitari nel mondo è un Obiettivo di Sviluppo Sostenibile fissato dall’ONU.

Acqua pulita e igiene sono essenziali per la sopravvivenza e per la produttività economica delle comunità.

In Africa il diritto all’acqua è ancora in gran parte non garantito.

In tutto il continente, escluso il Nord Africa, meno del 25% della popolazione ha eccesso all’acqua potabile, contro una media globale di oltre il 70%.

Nelle aree rurali 339 milioni di persone non hanno accesso ad acqua pulita e sicura.

In 60 anni e oltre di lavoro in Africa abbiamo imparato molto di più di quel che abbiamo insegnato. Gran parte di ciò che abbiamo appreso lo dobbiamo alle donne.

Le donne sono il volano dello sviluppo, sociale, culturale ed economico. Dal 2010 ad oggi, l’Africa Sub-sahariana ha perso in media 95 miliardi di dollari ogni anno, solo per non aver offerto le medesime opportunità e tutele a donne e uomini.

Il parallelismo che suggerisco in questo post del blog tra donne e acqua, richiama alla mente due immagini su tutte: la vita e la forza. Le donne, infatti, sono coloro che hanno il dono di custodire e dare la vita; l’acqua è il bene primario per eccellenza, senza il quale nessuno di noi potrebbe vivere. Che dire invece della forza, quella dei fiumi, degli oceani, quella di una goccia perpetua in grado di scavare la roccia? Eccole le donne.

 

I miei primi trent’anni di depurazione

Mauro Icardi

Marzo 2020. Festeggio il traguardo di trent’anni di attività nel settore della depurazione e più ampiamente nel settore della gestione del ciclo idrico. Il bilancio dell’attività di lavoro è ampiamente positivo. Trent’anni significano un discreto bagaglio di conoscenze ed esperienze. Come ho sempre scritto sulle pagine di questo blog, ritengo indispensabile l’attività di formazione continua. Questo perché praticamente in quasi tutti i settori lavorativi le tecnologie cambiano e si modificano. La tecnica consolidata di trattamento delle acque reflue, cioè la depurazione biologica a fanghi attivi è ormai utilizzata dal 1914, quando gli ingegneri inglesi Edward Arden e William T. Locket presentarono questo tipo di tecnologia alla Società inglese di chimica industriale.

Gli inglesi insieme ai francesi ,furono i pionieri di questa tecnica, che permise di risolvere gravi problemi di salute pubblica in città in crescita tumultuosa come Londra e Parigi. La depurazione delle acque moderna è un settore che coinvolge diverse categorie di tecnici e ricercatori. Biologi, Chimici Industriali, Ingegneri sanitari e ambientali. La tecnologia di depurazione a fanghi attivi che è un invenzione sconosciuta ai più, adesso necessita dell’ausilio di altre tecniche che possano essere utilizzate a supporto. Questo perché le nostre acque, sia superficiali che residuali, sono ogni anno di più minacciate da nuove molecole, da nuovi inquinanti che hanno diminuito la funzionalità degli impianti di depurazione esistenti. Il problema non è recentissimo, basti pensare ad esempio alla questione dei tensioattivi, che risale agli anni 70. Il massiccio uso di detersivi sintetici, in sostituzione dei normali saponi che funzionavano meno bene quando venivano utilizzati in acque con grado di durezza particolarmente elevata, riempì i corsi dei principali fiumi italiani di coltri di schiume.

Quando si iniziarono a produrre detergenti totalmente sintetici dopo la seconda guerra mondiale si utilizzò il propilene come materia prima per produrli. Il propilene era un sottoprodotto abbondante e quindi economico dell’industria petrolifera. La reazione di solfonazione del propilene per produrre olefine come materia prima per i detergenti non funzionava però troppo bene (il gruppo solfonato è uno dei solubilizzanti utilizzati nella formulazione dei tensioattivi anionici) .  Produceva una miscela di olefine di difficile utilizzo. Quindi si pensò di utilizzare il benzene come materia prima e di solfonare l’anello benzenico. Le molecole aromatiche come il benzene fanno parte di quel gruppo di molecole chiamate “recalcitranti” alla degradazione da parte dei microrganismi, che non riescono a servirsene come fonte di carbonio per il loro metabolismo. Quando il problema delle schiume allarmò sia le autorità, che la pubblica opinione venne imposto per legge che i tensioattivi fossero resi biodegradabili. In realtà la dicitura fu biodegradabile all’80%, e negli anni 70 ricordo che negli spot di Carosello ne sentivo spesso parlare.

Nella formulazione dei tensioattivi i gruppi aromatici vennero sostituiti, in tutto o parzialmente da gruppi alifatici lineari più “appetibili” per i microrganismi. Negli stessi anni in Italia venne promulgata la legge 319/76 detta “Legge Merli” che ancora oggi viene ricordata, per l’impatto che ebbe a livello sociale, essendo la prima legge ad imporre dei limiti allo scarico per le attività produttive che recapitavano i reflui di depurazione in fognatura pubblica, sia per gli impianti di depurazione centralizzati che si cominciarono a costruire in maniera diffusa, anche se alcuni erano già stati realizzati anche molti anni prima.

Questa legge ebbe però il merito di iniziare un percorso ancora in essere, nel quale si punta a dare regole unitarie, ad imporre limiti via via più restrittivi e regole condivise anche a livello europeo. I nuovi inquinanti che da diversi anni sono venuti alla ribalta (metaboliti di farmaci e droghe, molecole come i PFAS di nulla biodegradabilità), impongono riflessioni e sforzi che non possono né essere procrastinati, né sottovalutati. Questo non è l’unico problema da affrontare. Esiste un problema di modifica del regime delle precipitazioni in Italia come nell’intero pianeta, a causa del riscaldamento globale, (non uso il termine cambiamento climatico, perché potrebbe indurre qualcuno a pensare che non vi sia una responsabilità diretta legata allo smodato uso dei combustibili fossili.) La comunità scientifica è concorde sul fatto che il nostro modo di stare sul pianeta vada nella direzione opposta a quello che le leggi fisiche ci impongono. L’acqua è distribuita in maniera ineguale. Depurarla richiede tecniche nuove e quindi investimenti che devono essere coordinati. L’acqua è un bene comune, su questo sono completamente d’accordo. Fatta questa affermazione di principio, ritengo che dobbiamo educare ed educarci ad averne cura e rispetto. La demagogia, le fake news sono un altro problema sottovalutato. Il web è pieno di soggetti che vendono soluzioni miracolistiche come il Dottor Dulcamara dell’Elisir d’Amore di Donizetti. Dopo trent’anni di “militanza chimica” nel settore (il riferimento ovvio è a Primo Levi, il chimico militante per eccellenza), provo ancora un gran senso di fastidio quando leggo pubblicità di sedicenti prodotti miracolosi, per la depurazione dell’acqua. In questo caso dell’acqua di rubinetto. Acque alcaline, ionizzate ed altre amabili sciocchezze. Per conoscere l’acqua cominciamo a studiare la sua molecola. Ripassiamo la chimica. Poi potremo dedicarci ad altri concetti. Microbiologia, principi basilari di idraulica.

A partire da quest’anno l’impianto dove lavoro subirà un profondo intervento di ristrutturazione. Saranno modificati gli areatori della vasca di ossidazione, sarà dotato di tecnologie a membrana, di un trattamento terziario più efficiente. Il laboratorio dove opero sta iniziando la fase di accreditamento. Provo ovviamente una certa soddisfazione. Come cittadino, ancor prima che come addetto a questo servizio. Non posso però non ricordare che i tempi per arrivare a questo risultato sono stati piuttosto lunghi. Ci è voluto un decennio per costituire il gestore unico a livello provinciale. E la critica alla politica è a mio parere doverosa. Per spronare sia la classe politica stessa, che noi cittadini che in fondo ne siamo lo specchio, a mutare atteggiamento. Le polemiche e i litigi da cortile non portano nessun risultato utile e pratico. Di acqua sento parlare da decenni. Non sempre in maniera corretta. Credo sia il momento di avere un atteggiamento decisamente diverso. Non ci dobbiamo preoccupare solo del ciclo idrico. Abbiamo diverse sfide a livello ambientale e di gestione del territorio e dell’ambiente che si devono necessariamente approcciare in maniera molto concreta.

I miei primi trent’anni da chimico della depurazione li ho raggiunti. Non posso che guardare al futuro. C’è ancora molto lavoro da fare. E molta divulgazione, studio e ricerca necessari. Indispensabili.

Il fango e quegli idrocarburi del cavolo.

Claudio Della Volpe

Continuiamo a parlare dell’art.41 del decreto “Genova” di cui abbiamo già parlato in un post precedente; si tratta di un testo che è stato integrato durante l’approvazione del decreto “Genova” e il cui testo riporto in calce (lo trovate qui).

Ricordo che sulla composizione dei fanghi esisteva una legge dedicata la legge 99/92, in cui si scrivono criteri generali e nelle appendici una almeno parziale lista di limiti di composizione dell’effluente nei suoi rapporti con la matrice (qua si potrebbe discutere sul problema costituito dai rapporti fra effluenti e matrice, problema che già ebbe potente ruolo nel caso delle acque e della legge Merli, entrambi devono essere considerati). Sul tema le regioni più interessate avevano legiferato arrivando a stabilire criteri su altri componenti, in particolare gli idrocarburi C10-C40; contro quel limite e su altri, alcuni comuni lombardi avevano fatto ricorso e il TAR e la Cassazione gli avevano dato ragione, sostenendo che

i fanghi da depurazione sono destinati ad essere mescolati ad ampie porzioni di terreno e a divenire, quindi, un tutt’uno con esso; appare pertanto logico che il fango rispetti i limiti previsti per la matrice ambientale a cui dovrà essere assimilato”

una logica fallace, che impedirebbe perfino di spargere dei comuni concimi biologici, in quanto nemmeno il letame rispetta i limiti previsti per la matrice ambientale e men che meno lo fanno i concimi di sintesi o altri ammendanti; eh si perchè miei cari Giudici delle Corti se si aggiungono essi vengono aggiunti proprio allo scopo di modificare le caratteristiche del terreno, reintegrando ciò che è stato consumato dalla produzione di cibo oppure introducendo componenti necessari ma non presenti! Questo criterio trascura anche il fatto che il terreno è una struttura di massa molto maggiore del fango (che vi può venire aggiunto secondo l’art. 3 della legge 99/92 in ragione di sole 15ton/ettaro, ossia una frazione dell’ordine dell’1/1000 o meno della massa di terreno per ettaro usata in agricoltura che arriva almeno a 40cm) che dunque lo diluisce; che è una struttura viva, che è in grado cioè “metabolizzare” il fango di trasformarlo almeno parzialmente.

Per questo mentre ha senso imporre limiti uguali a quelli del suolo per il cadmio, presente come ione e che non potrà essere “smontato” in alcun modo, così come per molecole organiche stabili, i POPs, persistent organic pollutants come il DDT o il PCB, non è la stessa cosa per le molecole come gli idrocarburi lineari che sono persino presenti anche nella struttura dei tessuti organici (come vedremo più avanti).

Ma tant’è! Questo ha bloccato il riciclo dei fanghi e dunque ha portato alla necessità di modificare le cose, regolamentando meglio della legge 99 la situazione, come sta facendo il Parlamento con l’art.41 che AGGIUNGE nuovi limiti per i fanghi che prima non esistevano.

Ovviamente le proteste dei Comuni e dei loro cittadini hanno motivi ragionevoli, per esempio nell’abuso legato all’uso di fanghi non civili o all’eccesso di uso, al modo scorretto di trasporto oppure infine all’odore pestifero e così via, tutti aspetti però che non toccano il problema di fondo e che devono essere risolti per altra via, per esempio migliorando la depurazione (come descritto da Mauro Icardi in post precedenti), imponendo metodi di trasporto diversi, con maggiori controlli sulle distanze dalle abitazioni e contrastando le ecomafie che sono diffuse anche nelle regioni del Nord non solo nella “terra dei fuochi”, dunque con una legge più completa e moderna della 99/92.

I fanghi di origine civile (cioè le nostre deiezioni così come il letame e le altre deiezioni degli animali a noi asserviti) sono utili all’agricoltura e servono a chiudere il ciclo agricolo, cosa del tutto necessaria e logica e che noi non facciamo ancora o forse non facciamo più, dato che la logica del riciclo è parte della cultura dell’agricoltura tradizionale da millenni.

Ovviamente le deiezioni di una volta, che i contadini riusavano nel terreno (si veda la citazione di Liebig nel post precedente) erano diverse da quelle attuali; vi pare strano? E invece no, non solo perchè mangiamo cose diverse, ma anche perchè nei depuratori arrivano oltre ai resti del cibo anche altri prodotti casalinghi; i detersivi, i cosmetici, le droghe, i farmaci e tanti altri prodotti di sintesi che certo il contadino di Liebig non usava.

Questo impone un riesame continuo dei metodi di depurazione che sono stati esaminati nei numerosi post di Mauro Icardi in questo blog e che devono essere adeguati, studiati migliorati; il depuratore deve diventare la fabbrica dell’acqua, ma anche il centro di un modo nuovo di sentirci parte dell’ecosfera.

Noi non siamo estranei all’ecosfera, ne siamo parte integrante; la vita è a sua volta parte della superficie terrestre, di quel supersistema di interazioni che Lovelock ha chiamato Gaia. Il depuratore non è un posto che puzza, è un momento cruciale di questa interazione, il simbolo della nostra capacità di integrarci in Gaia.

Voglio chiudere questo post raccontandovi una cosa che riguarda la presenza degli idrocarburi lineari nelle piante e dunque nei campi e nel suolo; degli idrocarburi in genere abbiamo già detto (sono infatti idrocarburi lineari ma insaturi il licopene del pomodoro, il betacarotene della carota); parliamo di quelli saturi.

Come ho raccontato altrove mi occupo di bagnabilità; per esempio di cose come l’angolo di contatto delle superfici e dunque anche di quelle naturali; molti lettori avranno sentito parlare del loto e delle superfici superidrofobiche, ossia che non si bagnano. Molte piante hanno sviluppato strutture superficiali che servono proprio a questo, che tengono cioè la superficie foliare pulita, priva di acqua, perchè l’acqua oltre ad essere un bene prezioso e necessario è anche il vettore di infezioni: muffe, batteri e funghi. Dunque controllare il suo flusso ed evitare il suo accumulo in certe zone è fondamentale; anche l’acqua è una molecola a due facce, come tutte le cose, buona e cattiva, la dualità della Natura, la dialettica della natura (avrebbe detto Guido Barone che ci ha lasciato da poco: “ogni molecola ha due corni”). L’acqua è fondamentale da bere, ma evitate di farla entrare nei vostri polmoni, diventa mortale.

Una foglia di loto coltivata in una vasca nel mio laboratorio, notate la forma delle gocce di acqua che non “si attaccano” ma scivolano sulla superficie.

Come fanno le piante a creare superfici superidrofobiche? Nessun materiale supera la idrofobicità dei legami fluorurati CF o anche CH; il comune materiale idrofobico naturale sono le cere, ossia catene idrocarburiche CH2, terminate con CH3. Alcune di queste cere cristallizzano spontaneamente in forme aghiformi, dando luogo dunque a strutture “pelose” di fili idrofobici.La superficie di una foglia di loto al SEM dell’Ospedale S. Chiara di Trento che ringrazio. Notate la pelosità superficiale dovuta alle cere epicuticolari.

E’ un trucco molto comune in natura; gli uccelli acquatici si lisciano continuamente le penne costituite di strutture filamentose per spargere il grasso prodotto dalle loro ghiandole superficiali e rendono le penne idrofobiche; infatti la scadente capillarità dei grassi (e delle cere) impedisce all’acqua di scacciare l’aria dai loro sottili contorni e dunque impedisce di raffreddare l’animale, che rimane nelle sue penne come in un …piumino.

Le piante, la cui dinamica è molto più lenta degli animali, usano strutture diverse, le cosiddette cere epicuticolari che stabiliscono il loro dominio all’estremo del loro corpo, all’esterno delle pectine e della cellulosa, impedendo la penetrazione dell’acqua e anzi facilitandone lo scorrimento. Il loto è il sacro simbolo della purezza, grazie a questo trucco; ma in realtà molte piante comuni ed umili sono altrettanto ricche di cere epicuticolari.

Il comune cavolo, Brassica Oleracea, diffuso alimento delle regioni del Nord contiene 50microgrammi di cera per ogni cm2 di superficie foliare ed è altrettando superidrofobico del loto. Un metro quadro di foglia contiene dunque 0.5grammi di cere e una pianta di cavolo può contenere grammi di cere epicuticolari (Acta agriculturae Slovenica, 91 – 2, september 2008 str. 361 – 370 DOI: 10.2478/v10014-008-0016-3).

Di cosa sono fatte le cere? Sono sostanzialmente idrocarburi lineari a catena maggiore di C16, perché l’esadecano è l’ultimo idrocarburo lineare saturo a fondere a t ambiente. La cera della candela è di origine minerale, petrolifera ma è fatta al medesimo modo. Le cere epicuticolari sono costituite di varie sostanze, contenenti nel caso del cavolo, tutte una catena C27-C31, principalmente C29 , compresi in quantità notevole degli idrocarburi lineari veri e proprii (attorno a un terzo del totale delle cere); un campo di cavolo contiene dunque idrocarburi lineari di quel tipo in dose misurabile e non lontana dai limiti fissati dall’art.41 (parte f della figura successiva). Ve lo aspettavate?SEM micrographs of cell surface structuring by epicuticular waxes. (a) Thin wax films, hardly visible in SEM, cover many plant surfaces as indicated here in H. bonariensis. (b) A wax crust with fissures on a leaf of Crassula ovate, (c) β-diketone wax tubules of E. gunnii and (d) nonacosan-ol tubules on Thalictrum flavum glaucum leaves are shown. (e) Wax platelets on Robinia pseudoacacia leaves are arranged in rosettes. The waxes shown are (f) simple rodlets on a leaf of Brassica oleracea, whereas the rodlets shown are (g) transversely ridged rodlets on a leaf of Sassafras albidum. (h) Mechanically isolated waxes from a leaf of Thalictrum flavum on a glass surface show wax tubules and the underlying wax film.

Phil. Trans. Roy. Soc. A Superhydrophobic and superhydrophilic plant surfaces: an inspiration for biomimetic materials Kerstin Koch, Wilhelm Barthlott

Laila R, Robin AHK, Yang K, Park J-I, Suh MC, Kim J and Nou I-S (2017) Developmental and Genotypic Variation in Leaf Wax Content and Composition, and in Expression of Wax Biosynthetic Genes in Brassica oleracea var. capitata. Front. Plant Sci. 7:1972. doi: 10.3389/fpls.2016.01972

Ma non è il solo alimento comune; in modo simile il pisello contiene elevate quantità di cere epicuticolari, così come altre comuni piante.

Attenti dunque, nella furia antifanghista, a non mettere fuori legge i campi di cavoli e piselli!

(ah dimenticavo un dettaglio; nella cera d’api un settimo circa (15%) è costituito da idrocarburi lineari della medesima dimensione di cui parliamo qui, il resto sono in gran parte acidi grassi, sempre solita catena molto lunga, attenti dunque al suolo sotto gli alveari, sarà mica fuori legge pure quello?)

L’art.41 non è una soluzione completa, è una misura di emergenza che dovrà essere sostituita da un aggiornamento della 99/92, si potrebbe scrivere meglio, ma non è un imbroglio, né una misura da inquinatori. Se ne convincessero gli ambientalisti.

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Testo art. 41 dopo approvazione della Camera.

Il testo è diviso in due colonne; a sinistra com’era uscito dal Consiglio dei Ministri, a destra dopo le modifiche in Commissione

Giornata mondiale dell’acqua 2018 “La natura per l’acqua”

Mauro Icardi

Anche quest’anno si celebra la giornata mondiale dell’acqua. Il tema di quest’anno è “Acqua e natura”, ovverosia ricercare soluzioni basate sulla natura per affrontare le sfide idriche del nuovo millennio.

L’appuntamento annuale, sia pur simbolico va ovviamente ricordato. Dovrebbe servire a ricordarci che l’acqua è un bene indispensabile per la vita umana. Imprescindibile.

Credo che molte, troppe, persone si dimentichino di questo concetto di base, distratti dal semplice gesto di aprire un rubinetto e vedere scorrere l’acqua. Senza chiedersi cosa ci sia dietro, quali risorse in termini monetari e di personale qualificato siano necessarie per la corretta gestione. Ho sostenuto diverse volte, sulle pagine di questo blog, come sul tema acqua si faccia spesso confusione, e in qualche caso anche dell’inutile demagogia. Mi rendo conto che troppo spesso informazioni che oggi chiamiamo bufale o fake news, e che una volta avremmo definito chiacchiere da bar hanno purtroppo maggior riscontro di interesse ma provocano notevoli danni, che spesso sembra rendano inutili gli sforzi di informazione e di divulgazione. E’ un problema che ovviamente coinvolge tutte le tematiche riguardanti i temi ambientali. Qualcosa che i tecnici o i ricercatori non possono risolvere da soli, senza l’aiuto determinante di chi si interessa del comportamento umano. Io ho ricordi personali di come mia nonna, che già anziana doveva pescare acqua dal pozzo della cascina dove viveva, e che per questa ragione poneva molta attenzione all’uso che faceva dell’acqua. Anche nelle pratiche di irrigazione, dell’orto e dei vasi di fiori che disponeva sui davanzali. Questo ricordo è stato utile e formativo. Anche se succedeva nel Monferrato negli anni 70 e non in un paese africano ai giorni nostri.

Da tecnico mi sono reso conto che molte volte gli appelli al risparmio idrico vengano colpevolmente sottovalutati, anche se nutro fiducia che questo tipo di malcostume dovrà cessare.

La scorsa estate è stata significativa in questo senso, basta andare a rivedere le cronache per rendersene conto.

Tra le iniziative che si possono segnalare quella che si terrà a Roma a cura dell’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale.

http://www.sinanet.isprambiente.it/gelso/eventi/xviii-giornata-mondiale-dell2019acqua-2018

I temi del convegno si focalizzano sulla corretta gestione delle acque sotterranee destinate al consumo umano. Quelle che necessitano di maggior protezione dalle contaminazioni di agenti inquinanti.

Oltre a questo i prelievi eccessivi, per esempio l’acquifero di Ogallala negli Stati Uniti dove i prelievi di acqua cosiddetta fossile (e quindi non rinnovabile) ammontano circa 26 km3 all’anno (consumo stimato nel 2000).

Sappiamo da anni che occorre incrementare non solamente il risparmio, ma il riuso e la diversa destinazione di vari tipi di acqua. Non ha molto senso utilizzare acqua potabile per i servizi igienici.

Il tema acqua e natura allarga la visuale anche alla protezione dei corsi d’acqua, delle aree umide. E si lega a quello dell’inquinamento ambientale in senso più ampio.

La natura ci ha già dato una mano in passato, considerando che per esempio le tecniche di depurazione classiche sono nate proprio trasferendo in impianti dotati di depurazione quelli che sono i processi autodepurativi naturali. Attualmente queste tecniche sono supportate da altre innovative, che migliorano il processo nel suo insieme. Ma nessuna tecnica, qualunque essa sia, potrà funzionare se non ci si rende conto di quanto sia importante l’acqua. Che è un diritto non solo per noi esseri umani, ma per le comunità ecologiche in generale. Questo credo vada sottolineato, perché spesso è un concetto dimenticato e non conosciuto. Per chiudere occorre anche doverosamente ricordare l’impegno che il settore chimico ha per la protezione dell’acqua. Non fosse altro che per il controllo a livello analitico di inquinanti vecchi e nuovi, che devono essere monitorati. Per i nuovi limiti di concentrazione e di rilevabilità che dal punto di vista quantitativo sono sempre più bassi.

Non siamo ovviamente i soli che si devono occupare di questo tema, ed è fondamentale la collaborazione con altre discipline scientifiche e tecniche. Anche questa collaborazione è imprescindibile. E in ultimo l’appello che sempre mi sento di dover ripetere. La collaborazione sia a scopo operativo, che divulgativo con le scuole e le Università. Educazione idrica e ambientale diffusa. A partire dalle scuole elementari. Quando ho tenuto lezioni nelle scuole ho sempre riscontrato interesse e arricchimento reciproco.

Auguro a tutti una buona giornata dell’acqua. Per chiudere ci sarebbero moltissimi aforismi che si prestano.

Ma questo tratto da “La ballata del vecchio marinaio” di Samuel Taylor Coleridge credo sia il più adatto.

“Acqua, acqua ovunque. E non una goccia da bere”

Invito all’educazione idrica.

Mauro Icardi

L’approssimarsi dell’estate si può ormai riconoscere da due fenomeni ricorrenti. Il primo sono gli incendi boschivi. Piaga che sembra quasi da considerarsi come una maledizione, ma dipende invece da un disinteresse per il rispetto ambientale. E anche da disturbi comportamentali. Il piromane è attirato dagli effetti del fuoco, e può appiccarli per vandalismo, profitto personale o vendetta. Non sono né psicologo ne psicoterapeuta. Tocca a loro studiare il problema.

Il secondo fenomeno che si sta invece verificando negli ultimi anni, e con un peggioramento significativo è quello dei fenomeni ricorrenti di siccità. Il modificarsi del regime delle piogge, i sempre più evidenti fenomeni estremi sia di siccità prolungate che di scarso innevamento invernale si ripercuotono in maniera evidente nel comparto delle gestione del ciclo idrico integrato.

Già nel 2011 l’organizzazione mondiale della sanità si è preoccupata di emanare linee guida per la fornitura idrica ed il trattamento di potabilizzazione durante il verificarsi di eventi meteorologici estremi.

(WHO Guidance in water supply and sanitation in extreme weather events).

Eventi di questo genere mettono sotto pressione le strutture di distribuzione e di depurazione. Quindi occorre dotare le aziende di efficaci piani di intervento. Allo stesso tempo, ad eventi violenti e concentrati di precipitazioni piovose fanno spesso seguito periodi piuttosto lunghi di assenza di precipitazioni. Quindi occorre predisporre usi razionali dell’acqua. E questo non deve essere impegno solo delle aziende fornitrici, ma dovrebbe esserlo di ogni singolo utente. Per quanto attiene al settore depurativo che patisce maggiormente le repentine variazioni dei flussi idraulici vale comunque l’invito a non gettare nei wc materiali estranei e non biodegradabili. Questa è una regola ancora troppo spesso sottovalutata. Interventi straordinari di manutenzione e di pulizia sono necessari per liberare le sezioni di trattamento da materiali estranei che oltrepassano la sezione di grigliatura. Spesso il trattamento di depurazione è conosciuto da non molte persone. Questo è un invito a non buttare tutto giù nl wc alla rinfusa.

Per quanto riguarda invece l’acqua potabile l’invito è sempre quello di risparmiarla e di non sprecarla. Destinandola agli usi principali, cioè per bere e cucinare, e per l’igiene personale.

In questo grafico viene suggerito come l’acqua piovana possa sostituire quella potabile per utilizzi diversi. Ma non solo l’acqua potabile, anche l’acqua depurata potrebbe avere utilizzi diversi, primo fra tutti quello irriguo. Non sono pochi gli ostacoli di carattere più burocratico che tecnico. Ma occorre essere molto attenti, e rendersi conto che dovremmo inserire tra le materie di studio anche quella dell’educazione idrica. Educarci a risparmiare e rispettare l’acqua. Da subito. Da ora. Vincendo inutili resistenze, rinunciando alla piscina gonfiabile in giardino, e del rito settimanale di lavaggio dell’auto.

Non è a mio parere una regressione, bensì il primo passo dell’educazione idrica . Fondamentale e indispensabile.

(Cogliamo l’occasione per ricordare il nostro collega di Unife Francesco Dondi che anche su questi temi ha speso la sua vita accademica; Francesco continuiamo la tua attività).

 

Due parole su chi controlla le acque potabili.

Mauro Icardi

La scorsa settimana una delle “Pillole di Mercalli”, filmati che il noto climatologo dedica ai temi ambientali e che vanno in onda su Rai News, è stata dedicata all’eccessivo consumo di acqua in bottiglia da parte degli Italiani.

Terzi a livello mondiale dopo Messico e Tailandia.

Ho visionato il filmato sul sito della Rai e ho voluto vedere qualche commento a proposito. A parte il solito schierarsi a favore o contro il consumo di acqua in bottiglia per ragioni diverse (sostenibilità ambientale su tutte, ma anche abitudini e gusti personali), ho potuto notare come al solito il proliferare di luoghi comuni decisamente banali.

Si sa che in generale le persone si lamentano dell’odore di cloro dell’acqua potabile (problema che è risolvibilissimo con il semplice utilizzo di una caraffa dove far riposare l’acqua per circa trenta minuti).

Molti sono addirittura convinti che l’acqua potabile sia nociva per la salute. E non è semplice far capire che un gestore di acquedotto ricorre alla disinfezione per consegnare l’acqua completamente esente da microorganismi potenzialmente patogeni.

Devo dire che ormai mi sono quasi rassegnato a questo tipo di commenti. Ma non ho resistito a dover rispondere ad un commento che in maniera superficiale e direi offensiva, sosteneva che la fiducia nell’acqua in bottiglia risiedesse nel fatto che le aziende imbottigliatrici “fanno i controlli”, e che conseguentemente i controlli effettuati dai gestori del ciclo idrico fossero insufficienti, o addirittura mancanti.

Ho risposto al commentatore, scrivendo che, se era così sicuro che gli addetti al controllo delle acque potabili della sua zona adottassero comportamenti omissivi nello svolgimento delle analisi , non gli restava che presentare una circostanziata denuncia alla Procura della Repubblica.

Assumendosi l’onere e la responsabilità di quanto affermava. Inutile dire che non ho ricevuto nessuna risposta a questo mio commento.

Forse avrei dovuto ignorare questo commento, come molti altri. Commenti che riguardano gli argomenti più diversi. Sulla possibilità che il web amplifichi quelle che un tempo erano le chiacchiere da bar si espresse già Umberto Eco. E sulla propagazione di bufale e leggende per meccanismi di conferma che si sviluppano per esempio tra chi crede alle scie chimiche, e sulla facilità con cui queste possono prendere piede ci sono già molti studi, e molti interessanti articoli. Uno molto interessante a firma di Walter Quattrociocchi è uscito sul numero 570 de “Le scienze” nel Febbraio 2016.

Ma su una cosa di questa importanza, non ho voluto far finta di niente. Mi sono sentito chiamato in causa in prima persona, ed ho pensato anche a tutte le persone che conosco negli incontri di lavoro, e che si occupano di qualità dell’acqua potabile.

Le società di gestione e conseguentemente gli addetti sono tenuti a rispettare quanto disposto dal Dlgs 31 che regola i controlli sulle acque destinate al consumo umano.

I controlli sono sia interni, cioè svolti dall’azienda di gestione dell’acquedotto, che esterni cioè effettuati dalle aziende sanitarie locali. I gestori sono soggetti ad un numero definito di analisi in funzione del volume di acqua erogata.

Questo il link del Dlgs 31.

https://www.arpal.gov.it/images/stories/testi_normative/DLgs_31-2001.pdf

Mi chiedo come si possa pensare che le aziende sanitarie, i gestori di acquedotto possano mettere in pratica comportamenti omissivi.

Siamo tenuti a conservare i risultati delle analisi per cinque anni, a pubblicare i rapporti di prova sul sito della nostra azienda per ottemperare a criteri di qualità e di trasparenza.

Ma soprattutto siamo coscienti di fornire un servizio. Come addetti al laboratorio poi siamo impegnati in un lavoro continuo di aggiornamento sia normativo che analitico. Le aziende acquedottistiche dovranno nel futuro sviluppare un proprio “Water Safety Plan” , cioè monitorare i fattori di rischio non solo a livello analitico, ma territoriale e di rete.

Siamo consapevoli dell’importanza della risorsa acqua.

Io ho come hobby il ciclismo. E ogni volta che faccio uscite in bicicletta rivolgo sempre un ringraziamento ai colleghi di altre aziende, quando sosto presso una fontanella o ad una casa dell’acqua. Al loro lavoro che mi permette di combattere sete e caldo, soprattutto in questi giorni.

Ma vorrei dire un’ultima parola a chi crede che non si facciano i controlli. Come chimici, come biologi, come tecnici di rete siamo vincolati ad un importante valore. Sappiamo di svolgere un servizio e conosciamo cosa significa una parola: etica. La conosco personalmente come chimico che in qualche caso ha rinunciato a ferie o permessi per terminare un’analisi urgente o la lettura di una piastra di microbiologia.

La conoscono i colleghi che a qualunque ora del giorno e della notte sono chiamati ad intervenire per ripristinare la fornitura dell’acqua. Lo sostengo da sempre. Non è con la demagogia o il sensazionalismo che si possono affrontare questi problemi. E questa cosa vale non solo per la mia azienda.

Riflettere un attimo prima di dire cose insensate è una virtù ormai scomparsa.

L’acqua, un indicatore di sostenibilità.

Luigi Campanella, ex Presidente SCI

Acqua, cultura, pace: un triangolo molto significativo. Pace vuol dire messa in comune di ricchezze e di risorse: il nostro Pianeta è nato senza barriere, senza confini. Le risorse del pianeta appartengono a tutte le Nazioni. Il pianeta Terra non conosce né le Nazioni, né i confini di proprietà degli Uomini. Esso cela, conserva ed elargisce i beni primari perché i Regni di Natura più evoluti ne possano trarre sostentamento.

E’ in questo spirito che l’Umanità deve operare con scambievole collaborazione, utilizzando le materie prime secondo il principio di equità. Fra queste risorse l’acqua è di certo la più necessaria per il nostro corpo: si può sopravvivere alla fame non alla sete.

L’acqua è una risorsa essenziale per la vita dell’uomo.Essa è fondamentale non solo per la sopravvivenza stessa, ma anche per attività quali agricoltura ed industria. Senza di essa non vi può essere sviluppo ed il mantenimento delle risorse idriche è problema molto importante. Le riserve idriche sono infatti soggette ad un deterioramento dovuto a molti fattori, tra i quali gli scarichi industriali, l’utilizzo di pesticidi in agricoltura, l’inquinamento atmosferico, riportato al suolo dalle piogge acide.

La ricchezza d’acqua non sempre significa disponibilità: in un terreno agricolo ad esempio si possono creare a seguito di ripetuti interventi sbagliati da parte dell’uomo delle condizioni assai negative a fini della trasferibilità e del trasporto dell’acqua. Sono stati messi a punto test idonei propri e finalizzati a misurare non la quantità di acqua presente, ma il grado di disponibilità.

Anche l’aspetto energetico sembra oggi cambiare. L’era dell’idrogeno, la nuova forma pulita di accumulo dell’energia ci obbliga a considerare l’acqua anche da questo punto di vista: risorsa preziosa di idrogeno. Se poi gli aspetti economici di bilancio non saranno soddisfatti, questo nulla toglie ad un’ennesima preziosità dell’acqua, essere un abbondante potenziale contenitore di idrogeno. Tra l’altro l’impiego della luce solare (in presenza di un catalizzatore) come energia estrattiva apre ulteriori spazi da percorrere.

Lo stesso ruolo che l’acqua esercita per il nostro corpo, la cultura esercita per la nostra anima e la nostra mente che sono alimentate dalla cultura, intesa in senso formativo e stimolante, conoscitivo e sociale. Traduzioni, religioni, arti di un popolo ne rappresentano la ricchezza comune, ma anche quella di ogni singolo cittadino. Queste risorse, acqua e cultura, contribuiscono alla crescita sociale ed economica, alla qualità, della vita, alla salute dei popoli ma esse stesse, se distribuite in modo iniquo, diventano strumenti di discriminazione, di dominio e di potere. La pace ne risulta compromessa.

A chi vengono tolte acqua e cultura vengono sottratte risorse di vita. Ne risulta un quadro internazionale di paesi troppo ricchi e paesi troppo poveri: allora la globalizzazione che potrebbe in senso positivo essere interpretata come messa a comune di risorse, trasferimento di tecnologie, condivisione di progresso, caduta di barriere diviene invece occasione per discriminazioni, compressioni, prepotenze.

La comunità culturale è certamente più sensibile alle discriminazioni e all’equa ripartizione delle risorse di quanto non lo sia la comunità dell’acqua, intesa come espressione della comunità economica. La pace che da questo viene spesso compromessa può essere salvata da quella: in questo senso convegni, incontri, appelli delle comunità scientifiche e culturali rappresentano preziosi strumenti in difesa della pace, dell’equilibrio sociale,del diritto alla vita ed alle sue indispensabili risorse.

 

Quaestio de aqua. Riflessioni sulla giornata mondiale dell’acqua.

Mauro Icardi.

Mercoledì 22 Marzo 2017 è la giornata mondiale dell’acqua. E di acqua è molto difficile non parlare, per motivi davvero molto evidenti. Lo abbiamo sentito ripetere da almeno due decenni. L’acqua è una risorsa che non è inesauribile come inconsciamente abbiamo sempre pensato. Il tema della corretta gestione e protezione di una risorsa vitale indispensabile, si lega a filo doppio anche ad altri problemi ambientali che ci troviamo a dover affrontare. Uno su tutti quello del riscaldamento globale che impatta notevolmente sul ciclo idrogeologico dell’acqua.
Le risorse disponibili di acqua dolce sono sottoposte a una pressione crescente, ulteriormente aggravata dagli effetti dei cambiamenti climatici. Dagli anni ’80 il tasso dei prelievi di acqua dolce è cresciuto ogni anno dell’1%. Tra il 2011 e il 2050 si prevede che la popolazione mondiale crescerà del 33%, passando da 7 a 9 miliardi di persone, mentre la domanda di beni alimentari crescerà nello stesso periodo del 70%.
Ma contestualmente secondo quanto riportato dal quinto rapporto dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) circa il 7% della popolazione mondiale vedrà ridursi la disponibilità di risorsa idrica del 20% per ogni grado di innalzamento della temperatura globale.
Altri numeri sono indicativi: 750 milioni di persone nel mondo secondo l’Unicef non hanno accesso all’acqua potabile. Noi ci permettiamo di usarla anche per i servizi igienici.

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E a proposito di servizi igienici un terzo della popolazione mondiale non vi ha accesso.
Mentre lo scorso anno il tema centrale della giornata era dedicato al legame possibile tra acqua e lavoro, la giornata del 2017 pone l’attenzione ai reflui, alle acque rilasciate dagli impianti di depurazione civili e industriali, che raggiungono i corpi idrici superficiali; gli impianti non sempre sono presenti e talvolta non funzionano efficacemente o sono insufficienti.
Per il futuro ci si propone di raggiungere “l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n°6” – acqua potabile e servizi igienico-sanitari per tutti entro il 2030 – dimezzando la percentuale di acque reflue non trattate e aumentando il riciclo dell’acqua con un riuso sicuro.
In futuro, la possibile carenza d’acqua richiederà l’impiego di risorse idriche non convenzionali, come ad esempio la raccolta di acqua piovana e il riciclaggio di acque reflue e di deflusso urbano.
Tutto questo richiede ovviamente un grande sforzo. E questo deve avvenire non solo nei paesi meno sviluppati, ma anche in Italia.

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Per le inadempienze nell’attuazione della Direttiva l’Italia ha già subito due condanne da parte della Corte di Giustizia Europea, e l’avvio di una nuova procedura di infrazione.
E a questo proposito devo purtroppo constatare che quando si parla di acqua appunto, sembra che tutto si limiti al parlare e basta. E che a parlare siano i soggetti più disparati, ma che troppo spesso i tecnici e gli operatori del servizio siano i meno ascoltati.
Dopo il referendum del 2011 che ha sancito la volontà degli Italiani che l’acqua sia gestita da aziende pubbliche, tutto sembra essersi rallentato. Premesso che ho votato a favore della gestione pubblica dell’acqua, devo però constatare che spesso si sono fatte molte discussioni stancanti ed inutili, di pura lana caprina. Uno dei tabù è quello legato alla tariffa del servizio idrico. Occorre ricordare che le aziende del ciclo idrico non ricevono finanziamenti dalla fiscalità generale, ma solo dalle bollette dell’acqua e dalla tariffazione degli scarichi industriali. Altro tasto dolente è la resistenza che c’è sia da parte della politica locale, che della pubblica opinione che spesso sono contrarie a priori all’aggregazione (prevista per legge) del ciclo idrico a livello di gestione unica provinciale. Per motivi diversi (campanilismo, lotte politiche) ma che di fatto impediscono la creazione di strutture più grandi che possano essere meglio organizzate a livello tecnico ed operativo.

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Sono situazioni che vivo e seguo da ormai dieci anni. E’ infatti dal 2007 che in provincia di Varese si è iniziato il processo di aggregazione. Ancora non è terminato, si attende una decisione del Consiglio di Stato a seguito di un ricorso presentato da una delle aziende del territorio.
Nel frattempo gli investimenti ormai non più differibili sono ancora fermi.
Sarebbe il caso di fare una riflessione anche su queste tematiche. L’acqua non arriva nelle case se le strutture non sono efficienti, e questo vale per acquedotti e conseguentemente si riflette sui depuratori. Quindi fermo restando che debba essere un bene pubblico e universale non è con atteggiamenti di rigidità, e qualche volta di demagogia che si migliora la situazione. Le multe europee potrebbero costarci 482 milioni di euro l’anno.
Allo stesso tempo però non è accettabile che, come dichiarato dall’allora amministratore delegato di Nestlè Peter Brabeck nel 2005 l’acqua sia “la più importante delle materie prime che abbiamo oggi nel mondo“,
ma anche che “La questione è se dovremmo privatizzare la fornitura dell’acqua comune per la popolazione. E ci sono due opinioni diverse in merito. Un’opinione, che ritengo sia estremistica, è rappresentata dalle ONG, che fanno rumore allo scopo di dichiarare l’acqua un diritto pubblico.

L’acqua deve essere e restare un diritto pubblico universale.

Per farlo nel migliore dei modi dobbiamo tutti imparare a conoscerla, a rispettarla e a non sprecarla inutilmente. Visto che il tema riguarda quest’anno la depurazione voglio citare un piccolo esempio.
Ultimamente a pochi giorni di distanza uno dall’altro, nel territorio della provincia di Varese due sfioratori di piena sono entrati in funzione, sversando liquami nei fiumi Olona e Ticino in periodo di tempo secco. Questo si è verificato a causa del fatto che le pompe di sollevamento dei liquami agli impianti di depurazione sono risultate ostruite da stracci.

sfioratore

Sarebbe bastato buttare quegli stracci nel bidone apposito, e non nel wc per evitare l’inquinamento dei due corsi d’acqua.

Io credo che, almeno nei paesi sviluppati, molte persone considerino l’acqua disponibile in maniera praticamente inesauribile, ritengano che quella potabile debba costare poco se non essere gratuita, e non si preoccupino affatto di quello che è il processo laborioso di depurazione, ogni volta che premono il pulsante di uno sciacquone. E magari sono accaniti consumatori di acqua in bottiglia, ed in questo caso non si preoccupano del fatto che un bene demaniale, un bene universale sia gestito da multinazionali private che, per sfruttare i diritti di captazione delle fonti pagano canoni di fatto irrisori e fanno su questo bene di diritto universale profitti enormi.
Non sono questi gli atteggiamenti che dobbiamo adottare. Dobbiamo pensare che l’acqua è vita. Frase che può sembrare banale, ma che invece non lo è affatto.
Un impegno di tutti a preservarla, un impegno soprattutto di chi come me nell’acqua e nel suo trattamento e gestione ha trovato il suo lavoro quello di fare informazione e di impegnare le proprie risorse e le proprie conoscenze.
Per augurare a tutti buona giornata dell’acqua credo che questo brano de “ Il Piccolo Principe” sia davvero indicato.

pozzo principe

“Buongiorno”, disse il Piccolo Principe.
“Buongiorno”, disse il mercante.
Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
“Perché vendi questa roba?” disse il Piccolo Principe.
“È una grossa economia di tempo” disse il mercante. “Gli esperti hanno fatto i calcoli. Si risparmiano cinquantatré minuti alla settimana.”
“E cosa se ne fa di questi cinquantatré minuti?”
“Se ne fa ciò che si vuole…”
“Io”, disse il Piccolo Principe, “se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…”

Inquinanti emergenti nelle acque: qualche considerazione

a cura di Valentina Furlan* e Mauro Icardi*

Negli ultimi anni tra gli addetti alla gestione del ciclo idrico integrato (approvvigionamento,distribuzione,depurazione delle acque reflue)  si è iniziata a focalizzare l’attenzione sulla presenza di contaminanti definiti “emergenti”, riscontrati sia nelle acque destinate al consumo umano,sia nelle acque reflue. La provenienza di questi contaminanti è piuttosto varia. Il termine emergenti significa che sono composti sui quali si stanno approfondendo controlli e studi. Questo per due principali motivi: inserirli nelle tabelle dei limiti di emissione, se non ancora normati, e verificare quali possono essere le tecnologie più adatte per la loro rimozione.

Sono sostanze che  possono derivare da trattamenti di potabilizzazione delle acque (per esempio i cloriti),dall’incremento dell’uso di prodotti per la detergenza personale,  dall’uso di farmaci e dal consumo di droghe d’abuso. Gli effetti di questi prodotti sulle acque sono da diversi anni in fase di studio e di monitoraggio, vista la loro diffusione  capillare nell’ambiente.

I farmaci per esempio non vengono  metabolizzati completamente, e possono venire escreti tal quali,o come metaboliti attivi con le urine o le feci. Queste sostanze finiscono così nel flusso di acque fognarie destinate ai trattamenti di depurazione negli impianti centralizzati. Non riescono ad essere degradate adeguatamente .

La maggior parte degli impianti di depurazione presenti in Italia sono di tipo biologico. La fase principale del trattamento avviene in una vasca di ossidazione detta  a fanghi attivi. In questa vasca si sfrutta l’azione metabolica dei microorganismi che possono essere di diverso tipo,dai batteri ai protozooi ,e che sfruttano le sostanze organiche e l’ossigeno disciolti nel liquame per le loro necessità di sviluppo e riproduzione. In questo modo si formano fiocchi di fango facilmente eliminabili poi nella successiva fase di sedimentazione finale. E’ di tutta evidenza che se i microrganismi trovano nel liquame per esempio sostanze ad azione antibiotica, la loro attività può essere inibita o ridotta. In questo modo le sostanze non biodegradabili si ritrovano inalterate alla fine del processo di depurazione, e quindi finiscono per essere scaricate nei corsi d’acqua dove possono esplicare attività tossica. O interferire con il sistema endocrino dei pesci,e della fauna in generale.

Per ovviare a questo problema è necessario adottare trattamenti di tipo terziario, consistenti principalmente nei sistemi di filtrazione su membrana, che attualmente stanno cominciando a trovare impiego in alcuni depuratori consortili.  Il costo gestionale però  sta ancora limitandone la diffusione. La tecnica di filtrazione su membrana è,dal punto di vista gestionale, di più facile applicazione e gestione, rispetto per esempio ai sistemi di ossidazione avanzata. Questi ultimi se non correttamente condotti e gestiti possono portare alla formazione di intermedi di reazione più tossici dei prodotti di partenza.  Sono comunque sistemi utilizzati. Si possono utilizzare per questa tecnica anche le lampade uv, che però trovano maggior impiego per le disinfezione finale delle acque già sottoposte a sedimentazione finale, prima dello scarico nel corpo idrico. Questo perché uno dei principali fattori limitanti delle lampade uv, è la riduzione della capacità ossidativa delle lampade, a causa di problemi di sporcamento delle stesse.

L’adsorbimento su appositi materiali, quali filtri a carboni attivi è, nel settore del trattamento acque ancora uno dei maggiormente usati, sia nel trattamento delle acque reflue, sia in quello delle acque destinate al consumo umano. I filtri a carboni attivi riescono ad eliminare microinquinanti sia inorganici che organici,quali metalli pesanti,insetticidi e altri fitofarmaci.

Per quanto riguarda gli inquinanti emergenti nel settore delle acque destinate al consumo umano, l’attenzione nel tempo è stata focalizzata sia sui prodotti  intermedi della disinfezione, sia su inquinanti derivanti da particolari situazioni ambientali.

Nel primo caso si può citare il problema dei cloriti. I cloriti sono prodotti intermedi che si originano nel trattamento delle acque destinate al consumo umano con biossido di cloro, per garantirne la purezza microbiologica al punto di erogazione.  Se l’approvvigionamento  di acqua per uso potabile non viene effettuato da pozzi o da acque sorgentizie, ma da acque superficiali, questo tipo di trattamento è indispensabile, soprattutto se la rete di distribuzione è particolarmente estesa.

Ma i cloriti sono sospettati di poter produrre problemi di anemia nei bambini, e disordini nel sistema nervoso. Per questa ragione, in un primo momento il limite di questi composti nelle acque potabili era stato fissato a 200 microgrammi/litro. Ma ci si è accorti molto presto che era un valore troppo basso, e che si rischiava di non riuscire ad effettuare un’adeguata disinfezione dell’acqua. Giova ricordare che se l’acqua non è disinfettata adeguatamente può essere veicolo di problemi sanitari piuttosto gravi, quali colera, tifo, varie patologie dissenteriche di origine batterica. A seguito di verifiche effettuate dall’Istituto superiore di sanità, questo limite è stato innalzato al valore di 700 microgrammi/litro dal decreto del Ministero della salute del 5 settembre 2006, modificando il precedente valore di 200 microgrammi inserito in origine nel decreto legislativo 31 del 2001.

Le modifiche di questi valori di parametro, ovviamente seguono l’evoluzione delle ricerche e degli studi effettuati da diverse organizzazioni, prima fra tutte l’Organizzazione Mondiale della sanità. Le indicazioni sono poi di norma recepite dalle normative europee, e da quelle italiane.

Acqua_potabile

L’altro problema dovuto ad un inquinante, che forse non si può definire emergente in senso stretto, ma che ha avuto molto risalto  è quello dell’arsenico. Problema particolarmente grave nella zona di Viterbo, ma anche in altre zone d’Italia. E su questo problema occorre fare chiarezza, per diversi motivi.

L’arsenico che si può trovare nelle acque destinate ad uso potabile, può derivare da inquinamento ambientale, o da dissoluzione naturale . In Lombardia concentrazioni significative di Arsenico si possono riscontrare per esempio nella zona nord della provincia di Varese e nelle zone di Cremona e Mantova.

La tossicità dell’Arsenico, e gli effetti negativi sulla salute sono ben noti da tempo. L’ingestione di acqua contenente arsenico può provocare gravi patologie, quali cancro a pelle, polmoni, fegato, effetti neurotossici, iperpigmentazione.

Le acque inquinate da Arsenico possono subire opportuni  trattamenti. Le forme principali dell’Arsenico solubilizzato sono quelle ossidate  di arseniati (As+5) o ridotte di arseniti (As+3).

Si può quindi rimuovere l’arsenico con vari processi

-Coagulazione/precipitazione  con  coagulanti quali solfato di alluminio, solfato ferrico, cloruro ferrico. Questi processi necessitano di una preossidazione alla forma As+5

. In assenza di questa fase il rendimento che solitamente è pari al 90% si riduce drasticamente fino al 10%. Uno degli svantaggi di questa tecnica è la produzione di fanghi di risulta che necessitano di essere poi avviati allo smaltimento.

– Ossidazione , principalmente con ozono, cloro,permanganato di potassio, che permettono di ottenere rendimenti di rimozione fino al 95%. In questo tipo di processi non risultano controindicazioni evidenti. Occorre ovviamente procedere con molta cura ed accuratezza alla gestione del processo per evitare il rilascio di sottoprodotti di reazione.

– Processi di adsorbimento su vari materiali quali idrossidi di ferro, allumina attivata. Questi processi prevedono controlli per verificare la necessità di rigenerazione dei letti di filtrazione. Gli idrossidi di ferro sono meno influenzati dallo stato di ossidazione dell’Arsenico, mentre l’allumina ha maggiore affinità per la forma  arseniato rispetto all’arsenito, che necessita anche in questo caso di preossidazione. I rendimenti di rimozione sono dell’ordine del 90-95%.

– Scambio ionico con resine sintetiche anioniche caricate “forti”, che riescono a rimuovere solo le specie ioniche dell’As+5 ma non quelle dell’As+3 perché non caricate. I problemi gestionali  di questa tipo di tecnica sono principalmente lo sporcamento (fouling), la presenza di ioni competitivi, il rilascio di eluati.

Anche in questo caso il rendimento di rimozione può arrivare al 90%.

-Processi di ultrafiltrazione a membrana, che devono però essere preceduti  da precipitazione.  Questi processi non richiedono una fase preossidativa, anche se risultano maggiormente efficaci sulla forma ossidata dell’Arsenico. Si possono verificare problemi di incrostazione in presenza di acque dure, ed intasamenti in caso di presenza di sostanze colloidali.

Per concludere si può dire che la risorsa acqua, che diventa ogni giorno più scarsa, soggetta ad inquinamenti di vario tipo, necessita di adeguate politiche di gestione e tutela.

Che è necessario che gli addetti , ma anche i semplici cittadini si rendano conto di quelle che sono le problematiche per la gestione di questo bene prezioso.

E che la chimica svolge un ruolo importante e fondamentale in questo settore. Non soltanto fornendo prodotti per il trattamento, ma anche fornendo le basi fondamentali per la conoscenza dei processi che riguardano la risorsa acqua.

Ed insieme agli aspetti di chimica delle acque, occorre porre molta attenzione agli aspetti  riguardanti e contaminazioni e  i processi biologici e biochimici delle acque. Non dimenticando quelli che possono essere i problemi di altri inquinanti emergenti  attinenti alla biologia, quali la giardia lamblia.

acquabenecomune

L’acqua va gestita, va difesa e non deve essere sprecata. Ma bisogna che sia conosciuta, per evitare che anche in questo ambito la tecnologia e la scienza siano soppiantate dalle ormai onnipresenti bufale.

Questo è uno dei compiti più importanti a cui ci dobbiamo applicare.

per saperne di più:

http://www.europarl.europa.eu/news/it/news-room/content/20130701IPR14760/html/Acque-di-superficie-nuove-sostanze-chimiche-da-monitorare

http://www.acqualab.it/innovazione/files/20080522-Verlicchi-Dondi-LARA_H2O.pdf

http://www.greenreport.it/news/acqua/inquinamento-delle-acque-i-nuovi-standard-di-qualita-ambientale-dellue/

http://it.wikipedia.org/wiki/Acqua_potabile

*Mauro Icardi e Valentina Furlan sono tecnici di laboratorio in una azienda che si occupa di gestione integrata della acque in provincia di Varese.