Giornata mondiale dell’acqua (22 marzo).

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Luigi Campanella, già Presidente SCI

Siamo fatti per il 65% di acqua e questa composizione è fondamentale per il nostro stato di salute. Infatti è l’acqua che lubrifica articolazioni e muscoli, previene la secchezza della pelle, regola la temperatura, aiuta la digestione, mantiene la pressione sanguigna, aumenta le capacità fisiche, trasporta i nutrienti alle varie parti del corpo.

Questo induce i medici ad affermare che bisogna bere prima di avere sete. Ma oltre a bere un’altra forma di idratazione è quella termale. La chimica è la grande guida  di questa forma di cura e prevenzione; infatti la classificazione delle acque termali è tipicamente chimica in relazione ai minerali contenuti: sulfuree, salse, solfato carbonatiche ,ferruginose , bicarbonate ciascuna con evidenti maggiori capacità curative verso specifiche patologie

Si tratta di risorse preziose anch’esse, come tutte quelle riferite all’acqua, esposte a fenomeni di inquinamento. Il nostro territorio è ricco di pozzi in ambienti privati esposti a processi di inquinamento non controllati e non contrastati. Continua inoltre senza sosta, lo sversamento di preziose Acque Sulfuree di falda nei fiumi, come avviene per il fiume Aniene. Potrebbe e dovrebbe essere un tesoro, come lo è sempre stato sin dai tempi dei Romani. Ci dicono che siamo arrivati ad una quota di 6000 litri al secondo, sversati direttamente in Aniene attraverso canali che partono da impianti di estrazione di travertino, tramite potenti impianti di pompaggio. Accade ormai da anni, troppi anni.

Le cure termali sono un metodo terapeutico che consente di

–  diminuire o eliminare i farmaci

–  aumentare l’efficacia di un farmaco

–  ridurre gli effetti collaterali di alcune terapie di lungo periodo.

Le cure termali consentono inoltre:

– la diagnosi precoce di certe affezioni

– la prevenzione delle ricadute e delle complicanze.

L’effetto delle cure termali è pertanto curativo e preventivo. Ogni ciclo ha una tempistica minima studiata per permettere un riequilibrio efficace. Nelle malattie caratterizzate da crisi acute e ripetute, come l’asma, l’emicrania, l’eczema, le cure termali aiutano a diminuire la sensibilità agli agenti scatenanti. Quando i disturbi funzionali sono legati a delle difficoltà psicologiche, possono scomparire completamente una volta riconquistato l’equilibrio psichico.

L’inquinamento ambientale può danneggiare l’acqua termale rilasciando in essa composti estranei, quando non tossici, tanto che oggi alcune terme vengono periodicamente sanificate con radiazioni uv e con ozonoterapia, ma purtroppo quando la falda è stata intaccata la sua completa rigenerazione è difficile.

L’acqua termale contiene sempre molti minerali, ciascuno dei quali implica diversi benefici per la salute della pelle: 

magnesio: stimola la rigenerazione e la cicatrizzazione della pelle;

calcio: protegge e preserva i tessuti cutanei rinforzandone le difese;

manganese: potente antiossidante che stimola la rigenerazione cellulare combattendo così l’invecchiamento cutaneo;

potassio: idrata in profondità le cellule che caratterizzano il tessuto cutaneo;

silicio: rigenera e rende maggiormente compatta l’epidermide;

rame: un potente anti infiammatorio che previene e lenisce eventuali irritazioni;

ferro: fornisce ossigeno alle cellule che caratterizzano i tessuti cutanei agevolandone lo sviluppo;

zinco: stimola la crescita cellulare e ne favorisce il naturale turn over.

La recente legge 24 ottobre 2000 n. 323 definisce le acque termali come “le acque minerali naturali, di cui al regio decreto 28 settembre 1919 n. 1924, e successive modificazioni, utilizzate a fini terapeutici”. Ma non sempre la distinzione è nitida: in alcuni casi, ad esempio, quando le acque termali hanno caratteristiche di composizione tali da potere essere impiegate anche come “comuni” acque minerali (principalmente salinità non elevata e parametri nei limiti previsti dalla normativa), possono venire regolarmente messe in commercio per tale utilizzo.

Non è raro infatti osservare sulle etichette di alcune note acque minerali la dicitura: “Terme di……”. Al fine di stabilire il regime giuridico applicabile, più che alla origine occorre far riferimento alla utilizzazione delle acque. Per quanto riguarda gli aspetti microbiologici, le acque termali seguono quanto è previsto dalla normativa per le acque minerali mentre per gli aspetti chimici non si applica l’articolo 6 del Decreto 542/92 relativo alle sostanze contaminanti o indesiderabili. Questo articolo è da riferirsi, secondo il contenuto della nota del Ministero della sanità  del 19.10.1993, esclusivamente alle acque destinate all’imbottigliamento.

Il tenore di certi elementi (boro, arsenico, bario e altri) è ammesso nelle acque termali in misura superiore a quanto previsto per le acque minerali imbottigliate: il loro uso infatti, oltre ad essere molto limitato nel tempo, avviene sotto controllo medico. Occorre inoltre ricordare che talvolta è proprio la concentrazione di alcuni elementi a determinare l’attività  farmacologica delle acque termali. In Toscana ad esempio sono diffuse acque termali con boro in concentrazione superiore al valore limite previsto per le acque minerali, così come è noto l’impiego delle acque termali arsenicali-ferrugginose in alcuni impianti termali italiani. Con riferimento alle ricadute igienico sanitarie The Lancet, eccellenza scientifica di riferimento mondiale anche nella recente emergenza coronavirus, rilevava in un’inchiesta come la maggiore “rivoluzione sanitaria” in termini di numero di vite umane salvate nella storia fino ai nostri giorni, fosse la gestione sicura dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari, considerata addirittura più rilevante dell’invenzione degli antibiotici, dei vaccini e della stessa scoperta del genoma – che ci consente oggi di identificare i virus e studiare le cure. Disporre di una risorsa igienicamente pura è essenziale per garantire la propria salute nel tempo.

WWD actionlist

C’è poi il problema del recupero di risorse idriche ad oggi non utilizzabili, a partire da quelle marine

 All’Italia con 9000 km di coste il mare non manca, ma la salinità impedisce la fruizione diretta di questa risorsa. La desalinizzazione è adottata in quasi 200 Paesi al mondo con oltre 16000 impianti. In Italia è un tecnologia ancora indefinita per scelte e tempi a causa degli elevati costi energetici ad essa correlati, tanto che la politica energetica verso le fonti rinnovabili e quella economica verso il modello circolare potrebbero giocare un ruolo importante nel prossimo futuro. Israele ed Emirati Arabi ci insegnano che dall’acqua marina desalinizzata possono derivare giardini e verde. In Medio Oriente la percentuale di acqua potabile ottenuta dalla desalinizzazione di quella marina sfiora il 50%. In Europa il capofila in materia è la Spagna con quasi 800 impianti di desalinizzazione In Italia come dicevo siamo in uno stallo di attesa per motivi energetici ma anche per le carenze idriche che obbligano ad interventi urgenti per la produzione agricola e per quella industriale, piuttosto che a scelte strutturali.

L’allarme deriva anche dagli ultimi dati: il 2023 si presenta come l’anno più caldo di sempre con un aumento per i primi 2 mesi di 1,44 gradi rispetto alla media. In attesa di scelte e di tempi certi bisogna intervenire con provvedimenti di obbligato rigoroso risparmio, di identificazione di invasi e laghetti artificiali, di ricarica delle falde. Le piogge sono sempre di meno con un calo ogni anno dell’80% e con i grandi laghi e fiumi sempre più secchi:% di riempimento 19 per lago di Como, 36 per lago di Garda, 40 per Lago Maggiore, livello del Po 3 m sotto rispetto al livello idrometrico normale.

Terra bruciata

In evidenza

Mauro Icardi

James. G Ballard scrittore inglese, che sarebbe riduttivo definire unicamente autore di libri di fantascienza, nel 1964 pubblica un libro che viene tradotto in Italiano con il titolo di “Terra Bruciata”.

È il libro che sto leggendo in questi giorni, attirato sia dall’immagine di copertina di Karel Thole, il grafico olandese che disegnò le copertine della collana di fantascienza “Urania”, che dallo stile letterario di Ballard. Caustico, molto critico nei confronti della società contemporanea e delle sue palesi contraddizioni, che l’autore mette a nudo con racconti quasi surreali.

In questo libro l’autore immagina un pianeta terra piegato dalla siccità. Sono bastate pochissime righe per provare quella gradevole sensazione, quella specie di scossa elettrica che sento quando mi rendo conto di aver trovato un libro che ti incolla alla pagina, uno di quelli che ti fa restare alzato a leggere fino ad ora tarda.

Nelle prime pagine del libro un brano mi ha particolarmente colpito: “La pioggia! Al ricordo di quello che la parola significava un tempo, Ransom alzò lo sguardo al cielo. Completamente libero da nuvole o vapori, il sole incombeva sopra la sua testa come un genio perennemente vigile. Le strade e i campi adiacenti al fiume erano inondati dalla stessa invariabile luce, vitreo immobile baldacchino che imbalsamava ogni cosa nel suo calore”.

Personalmente queste poche righe mi hanno ricordato la situazione del Fiume Po la scorsa estate.

 Nella trama del romanzo si immagina una migrazione umana sulle rive dell’oceano dove si sono dissalati milioni di metri cubi di acqua marina, e dove le spiagge sono ormai ridotte a saline, ugualmente inospitali per la vita degli esseri umani, così come le zone interne,dove fiumi e laghi stanno lentamente prosciugandosi.

So molto bene che molte persone storcono il naso quando si parla di fantascienza ,senza probabilmente averne mai letto un solo libro,probabilmente per una sorta di snobismo preconcetto. La mia non vuole essere una critica, è solmente una mia personale constatazione. Ma non posso fare a meno di pubblicare su questo post un’altra foto,drammaticamente significativa.

L’immagine scattata dal satellite Copernicus, mostra la situazione del Po a nord di Voghera lo scorso 15 Febbraio. La foto è chiarissima. Rimane valido il motto che dice che un’immagine vale più di mille parole.

Ecco è proprio dalle parole che vorrei partire per chiarire alcuni concetti, porre degli interrogativi a me stesso, e a chi leggerà queste righe.

Parole. Quali parole possiamo ancora usare per convincere chi nemmeno davanti a queste immagini prende coscienza del problema siccità, continuando ostinatamente a negare l’evidenza, esprimendosi con dei triti e tristi luoghi comuni.

Uno fra i tanti, un messaggio inviato alla trasmissione di radio 3 “Prima pagina”. Quando la giornalista lo legge in diretta io rimango sbalordito. L’ascoltatore che lo ha inviato scrive testualmente. “Il riscaldamento globale è un falso problema, tra 100 anni saremo in grado di colonizzare altri pianeti e di sfruttare le loro risorse”. Giustamente la conduttrice risponde che non abbiamo cento anni di tempo. I problemi sono qui e adesso.

Il senso di sbigottimento rimane anche mentre sto terminando di scrivere questo post.  Uscendo in bicicletta nel pomeriggio ho potuto vedere palesemente la sofferenza dei corsi d’acqua in provincia di Varese: il Tresa e il Margorabbia ridotti a dei rigagnoli. Ho visto terreni aridi e molti torrenti della zona prealpina completamente asciutti.

Quali parole possiamo ancora usare, parole che facciano capire l’importanza dell’acqua? L’acqua è indispensabile alla vita penso di averlo letto nelle prefazioni praticamente di ogni libro che si occupasse del tema. Mentre scrivo, in un inverno dove non ho visto un fiocco di neve nella zona dove vivo, leggo l’intervista fatta a Massimiliano Pasqui, climatologo del CNR, che dichiara che ci servirebbero 50 giorni di pioggia per contenere il problema della siccità nel Nord Italia. Il deficit idrico del Nord Ovest ammonta a 500 mm. Le Alpi sono un territorio fragile, i ghiacciai arretrano. Lo speciale Tg1 dedica una puntata ai problemi dei territori dell’arco alpino. Ma buona parte delle persone intervistate sono preoccupate unicamente per il destino delle stazioni sciistiche. Solo una guida alpina valdostana suggerisce un nuovo modo per godere la montagna, uscendo dal pensiero unico che vuole che in montagna si vada unicamente per sciare. Una biologa che si occupa della microfauna dei torrenti alpini ricorda l’importanza della biodiversità e delle catene alimentari che la riduzione delle portate può compromettere.  Un sindaco della zona prealpina del comasco, difende l’idea di creare una pista di innevamento artificiale a 1400 metri di quota, quando ormai lo zero termico si sta situando intorno ai 3000. Non posso pensare ad altro se non ad una sorta di dipendenza. Non da gioco d’azzardo o da alcol, ma una dipendenza che ci offusca il ragionamento. Mi vengono in mente altre parole, le parole di un proverbio contadino: “Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame”. Ma anche di pioggia se ne sta vedendo poca nel Nord Italia, e la neve sembra essere un ricordo in molte zone.

Il Piemonte sta diventando arido. Mia cugina che vive nelle terre dei miei nonni, nel Monferrato, mi informa che alcuni contadini stanno pensando di piantare fichi d’india. Nei vigneti il legno delle piante è secco e asciutto e la pianta sembra essere in uno stato sicuramente non di piena salute. Ci si accorge di questo anche nel momento in cui si lega il tralcio al primo fil di ferro per indirizzare la crescita della pianta: si ha timore di spezzarlo.

Ritorno per un attimo al libro di Ballard. Nella prefazione trovo un passaggio interessante: nel libro l’autore ci parla della siccità che ha immaginato, non in maniera convenzionale. Ci sono nel libro descrizioni di siccità e arsura, ma quello che emerge dalla lettura è il fantasma dell’acqua. Ballard ha sempre evitato i temi della fantascienza classica, viaggi nello spazio e nel tempo, incontri con civiltà aliene.

Ha preferito narrare e immaginare le catastrofi e le decadenze del futuro prossimo. Ma sono catastrofi particolari. Sono cioè catastrofi che “piacciono” ai protagonisti.  Che quasi si compiacciono di quello che si sta svolgendo sotto i loro occhi. Vale per i protagonisti di “Deserto d’acqua e di “Condominium”. Il primo si compiace della spaventosa inondazione che ha sommerso Londra, il secondo racconta le vicende degli inquilini di un condominio di nuova generazione, dove una serie di black out e dissidi tra vicini fanno regredire tutti gli inquilini allo stato di uomini primitivi.

Terra bruciata invece ci mostra un’umanità che deve fare i conti con la mancanza ed il ricordo del composto linfa, H2O. La formula chimica probabilmente più conosciuta in assoluto. Conosciamo a memoria la formula, ma forse non conosciamo affatto l’acqua.  E a volte è uno scrittore come Ballard che riesce ad essere più diretto nel mostrarci quello che rischiamo non preservandola e dandola per scontata. L’indifferenza, la mercificazione indotta, le nostre percezioni errate, lo sfruttamento del composto indispensabile alla vita ci stanno rivelando come anche noi ci stiamo forse compiacendo o abituando a situazioni surreali. Sul web ho visto la pubblicità di una marca di borracce che ci ingannano. Borracce con sedicenti pod aromatizzati che ti danno la sensazione di stare bevendo acqua aromatizzata. Riporto dal sito, senza citare per ovvie ragioni la marca.

Tu bevi acqua allo stato puro. Ma i Pod aromatizzati fanno credere al tuo cervello che stai provando sapori diversi come Ciliegia, Pesca e molti altri.

Naturalmente gustosi. Tutti i nostri Pod contengono aromi naturali e sono vegetariani e vegani.

Idratazione sana. Prova il gusto senza zuccheri, calorie o additivi.

E ‘scienza (anche se ci piace pensare che sia anche un po’ magia). Il tuo centro olfattivo percepisce l’aroma come se fosse gusto, e fa credere al tuo cervello che tu stia bevendo acqua con un sapore specifico.”

Trovo questa pubblicità davvero agghiacciante.

Mi sto chiedendo ormai da diverso tempo come possiamo opporci a questa deriva. Ho letto diversi romanzi di fantascienza sociologica che immaginano società distopiche. Ma francamente mi sembra che non sia più necessario leggerla. In realtà mi sembra tristemente che siamo molto vicine a vivere in una società distopica. Sull’onnipresente rifiuto di bere acqua di rubinetto con la motivazione che “sa di cloro” o addirittura “che fa schifo”, qualcuno costruisce il business delle borracce ingannatrici. Ormai l’acqua non è più il composto vitale. E ‘un composto puro ma che deve essere migliorato. Qualcuno mette in commercio acqua aromatizzata, qualcun altro ci vuole vendere borracce che ci fanno credere che lo sia.

Mi chiedo davvero cosa sia andato storto, e quando recupereremo non dico la razionalità ma almeno il buon senso comune. E intanto possiamo aspettare fiduciosi la stagione estiva.

La situazione della depurazione in Italia: qualche considerazione.

In evidenza

Mauro Icardi

Il depuratore di Paestum- Capaccio è stato protagonista, nel febbraio 2018, di un incidente che ha causato uno dei più gravi fenomeni di inquinamento marino degli ultimi anni nel Mediterraneo. Dall’impianto fuoriuscirono circa 132 milioni di dischetti in plastica(in inglese carrier) che erano utilizzati come supporti per la crescita di biomassa adesa. La biomassa adesa, così come il fango di ossidazione, è la comunità microbiologica costituita da batteri e protozoi che depura le acque reflue. Nei mesi successivi a questo incidente i dischetti furono ritrovati, sospinti dalle correnti, fin sulle coste della Francia e della Spagna, oltre che nel Lazio, in Toscana, in Liguria, in Sicilia e sugli arenili campani.

Per questo incidente otto persone sono state rinviate a giudizio, con l’accusa di disastro ambientale e inquinamento doloso.

Da quanto ho potuto reperire facendo ricerche in rete, ho desunto che la vasca di ossidazione dove erano contenuti i rack con i dischetti, abbia subito un cedimento strutturale. In qualche caso ho letto che i responsabili della gestione avrebbero sovraccaricato questa vasca, che già presentava segni di ammaloramento, e questo aumento di portata sarebbe stato il fattore scatenante del cedimento.

Posto che l’inchiesta ed il processo (che mi risulta siano ancora in corso), dovranno appurare le responsabilità, ci sono alcune considerazioni che vorrei fare. La prima, piuttosto semplice, è che questo è probabilmente stato il più eclatante incidente occorso ad un impianto di depurazione. Nel momento in cui si verifica un cedimento strutturale, la mente corre al crollo del ponte Morandi, e alle altre decine di situazioni simili che si sono verificate in molte zone d’Italia. E qui la parola andrebbe data a chi è esperto di costruzioni. Si sa che i manufatti in cemento armato possono degradarsi con il tempo. Esiste quindi un problema di insufficiente o mancata manutenzione di questo tipo di costruzioni, che deve essere monitorato e risolto.

Quando si tratta di una vasca di ossidazione, il problema deve essere anche analizzato da un altro punto di vista, cioè quello progettuale. Ovvero un depuratore dovrebbe essere progettato in maniera modulare. Avere cioè delle vasche di equalizzazione, delle vasche di raccolta di maggior volume (chiamate in gergo vasche volano) che possano raccogliere eventuali sversamenti.

Se la portata di acque reflue è molto elevata e il depuratore è al servizio di una grande città, (penso agli impianti di Milano, Torino, Roma per fare un esempio) è usuale avere più linee di trattamento. In questo modo in caso di necessità di manutenzione di queste sezioni, (vasche di ossidazione, sedimentatori, ispessitori), una di esse può essere svuotata per effettuare gli interventi di riparazione o manutenzione, senza che le acque reflue confluiscano senza trattamento direttamente nel corpo idrico ricettore.

Ma a cosa servono i dischetti che sono fuoriusciti dal depuratore di Capaccio?

Un impianto di depurazione in condizioni normali di funzionamento riesce a garantire il rispetto dei limiti su BOD, COD e solidi sospesi senza particolari difficoltà. Diverso è invece il caso dei nutrienti per scarichi in aree sensibili. Le quali non rappresentano più solo i laghi, ma per esempio anche l’area del bacino del Po e che quindi vanno ad interessare impianti che precedentemente non sottostavano a limiti così restrittivi (per esempio per quanto riguarda il fosforo totale).
In generale, quindi, si prospetta la necessità di intervenire su un gran numero di impianti di depurazione per far fronte a due diverse esigenze: incrementarne la potenzialità (come carico trattabile), e migliorare le rese depurative (abbattimento in particolare dei nutrienti).

Nel caso in cui le caratteristiche del liquame influente non rappresentino un fattore inibente, (ad esempio in termini di pH, rapporto BOD/Azoto totale, presenza di sostanze tossiche, ecc.), le condizioni richieste, per conseguire la nitrificazione (ovvero la trasformazione dell’ammoniaca in un composto meno inquinante come il nitrato), sono essenzialmente un adeguato contenuto di ossigeno nel comparto di ossidazione e una biomassa ben strutturata nella quale esista una buona percentuale di batteri nitrificanti.
L’aggiunta di un sistema di coltura a biomassa adesa permette di migliorare la fase di nitrificazione.
Vi sono due distinte possibilità: un sistema ibrido che viene inserito nel preesistente bacino di ossidazione a fanghi attivi, ed un sistema separato che viene di solito inserito a valle della fase di sedimentazione finale per incrementare le rese di nitrificazione e quindi di abbattimento dell’ammonio.
Si tratta in pratica di fissare la biomassa nitrificante su supporti fissi aventi elevata superfice specifica (per esempio supporti in polietilene o in matrici di gel). Mi interessava precisare questa cosa. Può forse sembrare eccessivamente tecnica, ma gli articoli trovati in rete si limitavano a definire i dischetti dei filtri, e la definizione non è esatta, pur avendo un qualche fondamento.

Per una corretta progettazione dei depuratori è necessario effettuare diversi prelievi delle acque che saranno da sottoporre al trattamento, monitorando principalmente COD, BOD5 ,Composti azotati, Fosforo totale, tensioattivi. Una volta conosciuta la concentrazione media di questi parametri, occorre considerare i volumi di acque da trattare.

L’impianto dovrà essere in grado di fare fronte alle variazioni dovute alle precipitazioni. La condizione ideale per ottenere una gestione migliore sarebbe quella di separare le acque nere da quelle meteoriche. Questo per evitare repentine variazioni di portata che possono provocare eccessive diluizioni delle acque reflue, malfunzionamenti e allagamenti. Episodi a cui ho assistito personalmente. La modifica del regime delle piogge è ormai una situazione critica, per i depuratori e per le reti fognarie.  Oppure come già detto in precedenza dotare gli impianti di depurazione di adatte vasche di equalizzazione, per smorzare non solo le variazioni repentine di portata, ma anche per stoccare gli eventuali scarichi anomali costituiti da composti tossici o non biodegradabili.

Data l’ormai ubiqua e di fatto incontrollabile dispersione nell’ambiente di inquinanti emergenti, è di fatto indifferibile la necessità di adeguare gli impianti di depurazione più vecchi, dotandoli di un’efficiente sezione di trattamento terziario, oltre che a potenziare la sezione di ossidazione, non solo con un sistema per la crescita di biomassa adesa, ma anche con sistemi di depurazione più moderni.  Il sistema MBR (Membrane Bio Reactor) è un sistema di depurazione biologica delle acque che consiste nella combinazione del processo tradizionale di depurazione a fanghi attivi e di un sistema di separazione a membrana (generalmente microfiltrazione o ultrafiltrazione) che sostituisce il normale sedimentatore secondario.

Nel 2018 il servizio pubblico di depurazione delle acque reflue urbane, garantito da 18.140 impianti in esercizio, ha trattato un carico inquinante medio annuo di circa 68 milioni di abitanti equivalenti. Il 65,5% del carico inquinante civile e industriale è depurato in impianti con trattamento di tipo avanzato, il 29,5% in impianti di tipo secondario, il restante 5,0% in impianti di tipo primario e vasche Imhoff.

Sin dal 1991, attraverso una specifica Direttiva CEE, l’Europa chiede agli Stati membri l’adeguamento degliimpianti di trattamento delle acque reflue e del sistema fognario.  L’Italia è stata sanzionata con una procedura d’infrazione costata 25 milioni di euro per mancato adeguamento di 74 agglomerati urbani difformi. E altre procedure di infrazione sono in corso.

Se si considerano questi dati e si guarda alle disparità tra Nord e Sud, è evidente che la situazione dell’Italia è complessa e necessita di azioni integrate, coese, coerenti, non solo per garantire gli standard di depurazione su tutto il territorio. È necessaria una concreta politica del ciclo integrato delle acque, con investimenti adeguati sia del settore pubblico che di quello privato.

In quasi tutte le regioni d’Italia il percorso per arrivare alla definizione di un gestore unico a livello provinciale per la gestione del ciclo idrico integrato, è stato lungo ed estenuante.

La gestione unica che molte persone temono serve a razionalizzare gli investimenti. La realizzazione di un depuratore consortile di dimensioni più grandi, rispetto a dieci di piccola taglia semplifica la gestione e la conduzione. Queste sono cose che non tutti possono conoscere, io mi sento di dirle semplicemente perché ho sperimentato queste criticità lavorando sul campo. Chi legge queste righe non me ne voglia, ma ricordando il referendum del 2011 mi sono accorto che spesso intorno al tema acqua si fa molta confusione, e in qualche caso troppa demagogia. Non discuto il diritto all’acqua, e mi sono impegnato in prima persona contro la privatizzazione.

Ma vorrei ricordare che l’acqua non si trasporta, potabilizza, e infine si depura senza adeguati investimenti, programmazioni e senza ricerca. Ho concluso decine di volte i miei post con queste considerazioni e questi auspici. In Italia ci sono molti progetti di ricerca. Il tema acqua e soprattutto il tema fanghi è molto sentito dall’opinione pubblica. Ma mi preoccupa il fatto che troppo spesso l’informazione sia carente.  So che nelle scuole superiori ad indirizzo chimico, con il nuovo ordinamento si studia la depurazione delle acque. Mi piacerebbe anche ci fossero cittadini consapevoli e informati sul tema, che provassero a capire come funziona un depuratore. Ma non solo, anche come funziona questo pianeta.

Quindi mi permetto di dare i miei suggerimenti di lettura. Una bibliografia minima essenziale per avere le idee più chiare.

Ingegneria sanitaria ambientale. 

               D’Antonio Giuseppe Edizioni Hoepli

              Eugene P Odum Edizioni Piccin Nuova Libraria

  • Il grande bisogno

Rose George Edizioni Bompiani

  • I limiti alla crescita

D H Meadows – D L Meadows – J Randers – WW Behrens III Edizioni LU CE

Una nuova percezione dell’acqua.

In evidenza

Mauro Icardi

Ogni italiano, in media, beve 208 litri di acqua in bottiglia in un anno: siamo primi in Europa, dove la media è di 106 litri, e secondi al Mondo dopo il Messico (244 litri). Questa abitudine sembra quasi impossibile da modificare. Ma pochi giorni fa ho assistito ad una conversazione tra un cliente e la cassiera di un supermercato che mi ha indotto a scrivere questa breve riflessione. Il cliente voleva verificare se il prezzo della confezione di acqua che aveva appena finito di acquistare fosse esatto. Quando la cassiera lo ha confermato ho avuto per un attimo la tentazione di intervenire, per invitare il signore che era stupito e quasi indignato, a confrontare il prezzo dell’acqua in bottiglia con quello della cosiddetta acqua del sindaco, ovvero quella potabile. Alla fine ho desistito sia per ragioni legate all’educazione ricevuta ma anche per la convinzione che non sarei approdato a nulla, iniziando una conversazione che rischiava di farmi passare per inopportuno ed impiccione. L’attuale situazione economica italiana è stata probabilmente la molla che deve avere spinto il signore in fila alla cassa a chiedere la verifica dello scontrino. Quando ogni singolo euro, o centesimo di euro diventa importante, alcuni schemi mentali possono cambiare.

Ma mi sono sempre posto una domanda. In Italia si è molto dibattuto, manifestato e protestato affinché la gestione dell’acqua rimanesse in capo ad un soggetto pubblico. Votarono per questo quesito referendario 27 milioni di elettori, ed il sì al mantenimento della gestione pubblica delle risorse idriche venne votato da 25 milioni di avanti diritto al voto, ovvero con una percentuale del 95%, risultato che si può definire storico.

Ma nonostante questo la mercificazione dell’acqua è proseguita. A livello subliminale, trainata da martellanti campagne pubblicitarie. I molti esperti della nostra salute individuale, siano essi dottori, amici che la sanno lunga, personal trainer o blogger, ci raccomandano in tutti i modi di bere molto e di farlo proattivamente senza affidarci all’occasionale presentarsi di pulsioni come, per fare un esempio, la sete. Concetto giusto ma che porta anche a comportamenti decisamente esagerati.

Se è concepibile che un medico consigli per i bambini un’acqua oligominerale, trovo semplicemente assurdo leggere commenti sui social dove si consiglia l’acquisto di acqua in bottiglia per gli animali da compagnia. Mi fa venire immediatamente in mente ciò che Nicholas Georgescu Roegen definiva crimine bioeconomico.

Sono state immesse sul mercato “super acque” arricchite di elettroliti e proteine e questo di fatto significa che si sta lavorando a un potenziamento funzionale dell’acqua che non si limita alle caratteristiche che l’acqua potrebbe avere naturalmente. Vengono ancora chiamate acque anche se ormai la parola ha perso il suo significato originario, finendo per definire una categoria di merce più che un composto. Cioè proprio quello che il referendum del 2011 voleva evitare.

Credo si debba lavorare sulla percezione dell’acqua. Non solo ragionando su quella che beviamo che in Italia relativamente al consumo di quella potabile rappresenta il 7% mentre il resto si distribuisce per l’uso di cucina, igiene personale e lavaggio indumenti.

Sarebbe necessario riflettere sulla nostra futura disponibilità di acqua. Il modificarsi del regime delle precipitazioni è evidente. Le statistiche mensili pubblicate dal Centro Geofisico Prealpino di Varese mi informano che in settembre alcuni forti temporali hanno portano piogge del 28% più abbondanti della media, ma che il deficit idrico dal primo dicembre 2021 rimane di 709 millimetri. In una provincia che un tempo era nota per l’abbondanza di precipitazioni. In attesa di vedere se ritroveremo neve sulle Alpi per  evitare quanto accaduto l’estate appena trascorsa, quella che abbiamo definito di siccità epocale.

Ma nel frattempo il Segretario Generale dell’Autorità Distrettuale del fiume Po, in merito allo stato idro-climatico del bacino Padano ha dichiarato il 30 Ottobre che: “La situazione è drammatica. E a preoccupare sono le falde ormai molto basse, quell’acqua che arriva dal sottosuolo è vita per la pianura”

Educazione all’uso dell’acqua, o come mi piace definirla educazione idrica ma non solo. Educazione ambientale che deve partire dallo studio della molecola dell’acqua e dalle sue particolarità cioè un ambito di studio prettamente chimico. Dimenticandoci di distorsioni percettive che sono inutili e dannose.

A proposito di disinfezione dell’acqua potabile.

Mauro Icardi

La disinfezione dell’acqua è una misura preventiva che garantisce la nostra salute.

Il Ministero della Salute definisce l’acqua come potabile quando è sicura dal punto di vista chimico e microbiologico e presenta caratteristiche organolettiche (limpidezza, assenza di odori) accettabili per chi la beve. In Italia, come in tutti i paesi industrializzati, l’acqua subisce numerosi controlli e trattamenti affinché rispetti questi standard. Le tipiche conseguenze dell’acqua non potabile includono i sintomi intestinali (diarrea e mal di pancia) dati da infezioni del tratto digerente che si hanno nel 50% dei casi di ingestione di acque non trattate.

L’introduzione del cloro per la potabilizzazione delle acque agli inizi del ‘900 segnò un importante passo avanti nella soluzione del problema dell’approvvigionamento idrico e dellaqualità dell’acqua, aiutando a sconfiggere malattie batteriche e virali come il colera, il tifo e la dissenteria. Il cloro diventò così il disinfettante per l’acqua potabile più comune per prevenire la trasmissione di malattie attraverso la pelle o l’ingestione. Una scoperta che ai tempi rivoluzionò anche la vita delle persone, che finalmente poterono contare su un’acqua sicura e più facilmente disponibile.

Il prodotto presente in commercio che viene normalmente utilizzato per la clorazione delle acque è una soluzione di ipoclorito di sodio al 12-14% in volume, pari a circa il 10% in peso di cloro attivo (la candeggina domestica contiene circa il 5 per cento di ipoclorito di sodio).

L’aggiunta di cloro nell’acqua produce acido cloridrico e ipocloroso: questi composti sono noti come cloro libero. Il pH e la temperatura incidono in modo rilevante sulla efficacia della disinfezione.

Sia che il cloro venga immesso direttamente nella rete idrica, sia in un serbatoio, dovrebbe essere assicurato prima dell’utilizzo un “tempo di contatto” fra acqua e cloro di almeno 30 minuti, in maniera che il cloro possa svolgere la sua azione battericida.
In realtà poiché le soluzioni di ipoclorito di sodio perdono spontaneamente (con il tempo, la luce, la temperatura, l’azione di altre sostanze presenti nell’acqua) il titolo in cloro attivo, per assicurare “al rubinetto” la misura richiesta (es. 0,2 mg/l), negli acquedotti si applicano dosaggi progressivamente superiori (es. 0,4 mg/l).  I valori di cloro sia libero che totale vengono evidenziati con appositi reagenti, e prevalentemente misurati con il colorimetro portatile.
Il Colorimetro Digitale (detto anche fotometro) permette di determinare la concentrazione di cloro libero o totale con un metodo colorimetrico: la reazione tra cloro e reagente conferisce una particolare colorazione all’acqua che opportunamente elaborata dalla fotocellula interna allo strumento permette all’operatore, anche non specializzato, di leggere direttamente nel display il valore in mg/l, con una precisione da laboratorio.

Possono essere utilizzate anche tecniche diverse per la disinfezione, quali l’ozonizzazione e le radiazioni UV. Queste tecniche possono essere usate in combinazione con quella di clorazione.

Una delle più frequenti risposte di chi non beve acqua del rubinetto è proprio la considerazione che l’acqua “sappia di cloro”, oppure che si senta odore di candeggina quando si apre il rubinetto. Premesso che la disinfezione delle acque destinate al consumo umano è regolamentata, per quanto riguarda il cloro residuo totale al punto di messa a disposizione dell’utente il decreto legislativo 31/2001 stabilisce che il valore di 0,2 mg/L è da intendersi come valore minimo. Si tratta di un valore consigliato.  Non è sempre richiesta, ma quando il gestore la ritenga necessaria deve essere condotta correttamente per garantire una concentrazione minima di cloro presente in tutta la rete. Vengono effettuate verifiche sulla rete e sono possibili misure e verifiche in continuo, oltre a quelle puntuali del valore di cloro libero. Lasciando l’acqua in una caraffa il cloro evapora rapidamente. Le tecniche di disinfezione non sono standardizzate, dipendono dalla provenienza dell’acqua da immettere in rete (di falda o superficiale). Le acque di falda molto profonde sono a volte prive di contaminazione batterica all’origine. I laboratori dei gestori delle aziende che erogano l’acqua verificano la qualità delle acque. In caso di interventi di manutenzione sulla rete idrica per la riparazione per esempio di perdite, deve essere sempre possibile disinfettare le tubazioni al ripristino della funzionalità.

Febbre tifoide, colera, epatite A o Esono alcune delle malattie che si possono contrarre attraverso il consumo di acqua non potabile. E questo è tra i motivi principali per cui nei paesi del Sud del mondo sono proprio queste malattie a causare le peggiori epidemie.

In Italia direi che è un rischio improbabile quindi ci si potrebbe anche fare una riflessione più approfondita e meno superficiale quando apriamo il rubinetto di casa. Siamo ancora nella parte fortunata del mondo (almeno per il momento) da questo punto di vista.

Acqua torrenziale e siccità.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Dinnanzi alle piogge torrenziali di questi giorni ed alla siccità generale denunciata dai nostri agricoltori con i pericoli di incendi e di colture definitivamente spente un pensiero viene spontaneo: perché non si può utilizzare l’acqua che viene dal cielo per sopperire alle carenze di questa preziosa risorsa?

Riflettendo sulla situazione della presente estate nella quale abbiamo avuto un quinto del Paese sotto il diluvio ed i rimanenti 4 quinti nella morsa dell’aridità estrema nasce evidente la necessità di moltiplicare in tutte le nostre colline e montagne un cospicuo numero di piccoli e medi invasi  dedicati a trattenere l’acqua.

https://www.inmeteo.net/2021/08/05/siccita-estrema-in-italia-pioggia-latitante-da-mesi-in-molte-regioni/

Quanto più una risorsa è preziosa tanto più se ne rende fondamentale un uso sostenibile e sociale. Quando si affronta questo problema si finisce per parlare di risparmio, di uso intelligente dell’acqua, di sistemi di distribuzione colabrodo con conseguenti perdite, di riciclo, ma difficilmente si sente parlare di raccolta dell’acqua piovana e del suo successivo impiego. Il lago artificiale usato per immagazzinare una certa quantità d’acqua è creato, di solito, attraverso la costruzione di una diga che sbarra un corso d’acqua. Quando l’invaso è localizzato in zone montuose, l’acqua è contenuta dai lati della valle, mentre la diga è posizionata di solito nel punto più basso e più stretto sí da minimizzare il costo di costruzione. In zone collinari gli invasi sono a volte ricavati aumentando la capacità di laghi naturali già presenti.

Gli invasi possono essere ricavati anche  all’interno di fiumi, in zone pianeggianti; in questo caso una parte del volume è ottenuta per escavazione e l’altra attraverso la costruzione di argini. Gli invasi possono essere realizzati per differenti scopi, quali ad esempio: idroelettrico, irriguo, di produzione di acqua potabile, di controllo delle piene (le cosiddette casse di espansione). In un invaso a scopo idroelettrico l’acqua contenuta viene convogliata attraverso un sistema di tubazioni in alcune turbine.Il sistema idroelettrico è stato alla base della nostra industrializzazione tanto da rappresentare il 90% dell’elettricità nel periodo di boom economico. Oggi vale molto di meno, circa il 20%, per motivi diversi: invecchiamento degli impianti, nuove forme di energia, incertezze normative.

In corrispondenza di una caduta dei grandi invasi, a partire da ENEL, c’è invece una crescita dei piccoli basati su corsi di fiumi e torrenti che forse meritano una maggiore attenzione e per i quali è auspicabile un sostegno nell’ambito del PNRR(Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). La loro modesta potenza non risolve certamente il problema dell’energia pulita, ma ne permette uno sviluppo con investimenti che necessitano di contributi meno rilevanti di quelli degli impianti eolici. Siamo giustamente preoccupati per gli andamenti climatici sempre più estremi e sempre più altrettanto giustamente si invocano cambiamenti di stili di vita, ma si dimenticano una seria di altri importanti azioni.

26 e 27 luglio grandinate sul nord Italia.

https://www.ilmeteo.it/notizie/meteo-cronaca-nord-italia-travolto-da-nubifragi-frane-grandine-e-alluvioni-lampo-ancora-allerta-154137

Quella sugli invasi è una di queste eppure se correttamente sviluppata potrebbe rappresentare una efficace difesa. Un problema può essere rappresentato dalla recente liberalizzazione del settore adottata nel nostro Paese e dalla contemporanea norma sulla riduzione dei tempi delle concessioni che sconsigliano gli attuali acquirenti, Regioni incluse: questo significa puntare su imprese straniere che vogliano investire. Infine c’è il problema dell’abbandono delle campagne e delle colline proprio per l’assenza di una politica di sostegno anche relativa agli invasi: oggi le cause di quelle fughe sono anche ascrivibili all’abbandono degli invasi che ha portato ad una drammatica riduzione della produttività agricola. La mancanza d’acqua è la prima causa della morte della nostra montagna e della nostra collina.

Rimanendo al tema acqua voglio segnalare la moltiplicazione delle indicazioni “acqua non potabile” che ho personalmente rilevato anche lungo sentieri di montagna che di certo non possono giustificare tale raccomandazione. La burocrazia e le incertezze normative sulle responsabilità spingono gli amministratori locali verso una condotta di deresponsabilizzazione: meglio un cartello che procedere a controlli adeguati!!

Lavorare sull’acqua.

Mauro Icardi

Mi è successo ancora. Dopo quanto avevo raccontato nel post intitolato “L’acqua percepita”, un altro collega mi ha visto riempire di acqua del rubinetto, non più la borraccia della bici, ma un thermos in acciaio che tengo nell’ufficio in laboratorio : “Bevi l’acqua del rubinetto, ma è buona?” Aggiungendo poi, che si sarebbe fidato a berla solo se avessi in qualche modo garantito della qualità. La cosa che poi mi ha fatto veramente sorridere è questa. Il nuovo collega è stato aggregato al laboratorio, con l’incarico di recuperare i campioni da analizzare e trasportarli in laboratorio. La realizzazione di un gestore unico è finalmente partita anche in provincia di Varese. Ottima notizia, che per altro attendevo da decenni Questo significa prima di tutto che arriveranno più campioni, che conosceremo nuovi colleghi. Il nostro “fattorino” è di origine siciliana, precisamente di Palermo. In questi giorni, in cui si sta preparando il calendario dei campionamenti per il prossimo anno, si parla e ci si conosce meglio. Io sono molto attratto dalla Sicilia regione che mi affascina, e che ho potuto visitare solo in parte. Ma che ho conosciuto attraverso le parole di molti scrittori. Da Sciascia, a Pirandello, fino a Camilleri.  Dino mi consiglia di visitare Palermo, cosa che vorrei fare, appena la situazione della pandemia lo consentirà. Mi racconta anche di una escursione che lui ha fatto. Raggiungendo una spiaggia situata nella zona del golfo di Castellammare, e raggiungibile solo a piedi. In quella occasione la compagnia con cui lui si trovava, aveva pensato a tutto. Cibo, ombrelloni, costumi da bagno. Ma si era distrattamente dimenticata proprio delle bottiglie d’acqua. Per non morire di sete nella calda estate siciliana, avevano richiamato l’attenzione di un battello che navigava lungo costa. Battello che vendeva gelati e bibite. E mi dice che finì per pagare 5000 delle vecchie lire, per una bottiglietta di acqua.

L’aneddoto in sé, mi fa sorridere. Ma mi fa anche riflettere su un tema che mi sta molto a cuore. Cioè quello delle percezioni. Delle dissonanze cognitive e percettive appunto. La realizzazione di un’azienda unica di maggiori dimensioni ha comportato operazioni di cessioni di ramo d’azienda. Ognuno di noi dovrà integrarsi in una realtà di lavoro differente. Una delle prime richieste che alcuni colleghi hanno suggerito di portare al tavolo, nelle trattative di armonizzazione, è stata una richiesta che ho trovato davvero incongruente. Cioè di mantenere come benefit aziendale la possibilità che l’azienda fornisse acqua in bottiglia per le mense aziendali.

Questa consuetudine, di cui si sono perse le origini è stata ovviamente eliminata. Ma mi fa riflettere. Perché diversi colleghi, nonostante tutto la rimpiangono. E che il rimpianto coinvolga anche persone che lavorano in laboratorio, mi porta ad ulteriori riflessioni.

Non è semplice modificare le abitudini, le scienze umane, la psicologia in particolare ce lo ricordano.

Le suggestioni di media, pubblicità, commenti sui social, sono sirene che ancora hanno un forte potere di persuasione subliminale e occulta.  E mi preoccupa molto che possano avere influenza anche su chi dovrebbe invece usare maggiore senso critico e discriminazione. C’è ancora molto lavoro da fare, per contrastarne gli effetti.

Acqua, ancora e sempre acqua pubblica.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Torno su un tema a me caro, l’acqua, per esaltarne ancora una volta la preziosità e le necessità di risparmio e riciclo. Il prelievo giornaliero di acqua per abitante del nostro Paese supera i 420 l,ma di questi solo il 52% viene realmente consumato, visto che il residuo 48% non arriva nelle nostre case per disfunzioni ed anomalie nella rete pubblica di distribuzione.

Si perdono così annualmente quasi 5 miliardi di mc di acqua che fanno collocare il ns Paese all’ultimo posto rispetto all’obiettivo 6.4 dell’ONU,relativo all’efficienza idrica.Queste disfunzioni si traducono in disservizi, anche pesanti, che oggi gravano su quasi 3 milioni di famiglie, per lo più residenti al Sud.

Anche la Chiesa Italiana si è mossa sul tema istituendo la Giornata Nazionale del Ringraziamento,di cui  l’8 novembre si è celebrato il 70mo evento centrato proprio, fra i tanti problemi sociali e del lavoro, sull’acqua per contrastare qualunque calcolo mercantilistico o di privatizzazione impropria.

Quanto viene affermato nel documento della CEI a celebrazione della Giornata punta a legare l’acqua alla terra: ognuna delle due si completa nell’altra.L’acqua non è bene inesasuribile e va pertanto gestita come tutto ciò che è prezioso.Le recenti risorse che l’Europa ha messo a disposizione anche del nostro Paese dovrebbero trovare nel settore dell’acqua le  risorse per un processo di vera rigenerazione. 50 anni fa avevamo la percezione di una risorsa infinita di acqua.

Poi la società del benessere ha fatto crescere la domanda ed accentuato comportamenti meno virtuosi rispetto ad un usi corretti e ragionevoli.In Italia abbiamo disponibili quantità di acqua superiori a quelli vantati da metá della popolazione cinese,ma a questo regalo non rispondiamo con l’adeguata responsabilità: all’ultimo  referendum indetto dal comuune di Brescia sulla privatizzzazione dell’acqua solo 22 bresciani su 100 hanno pensato di rispondere. Ma,confermando di essere un Paese imprevedibile da un lato non abbiamo sistemi di recupero idrico nelle case private-che invece esistono,ad esempio, in Germania da oltre 30 anni e dall’altro però abbiiamo il più alto tasso di conversione dell ‘acqua in cibo.

La pandemia é servita ad esaltare ancora una volta il ruolo insostituibile dell’acqua per l’attività di pulizia e cleaning, ruolo che ne  giustifica ancora una volta l’insostituibilità del carattere pubblico. Eppure scelte diverse ci sono state, ma per fortuna isolate e spesso proseguite con una responsabile marcia indietro.

L’idea che la privatizzazione attraverso la competizione tra società diverse renda più efficiente e di migliore qualità la gestione dell’acqua e con il tempo faccia abbassare il prezzo per il consumarore era di moda negli anni 90, ma é stata superata dalla realtà. Le carenze del sistema distributivo difficilmente trovano risposte adeguate se a darle deve essere  un privato il cui inteesse  primario è in genere il profitto e che comunque è legato da interessi commerciali a operatori amici, non sempre i migliori sul piano tecnico.

La privatizzazione è ormai promossa soprattutto nei Paesi  emergenti come Cina e Russia e le imprese private, soprattutto in Europa, faticano a dimostrare che non convenga fare marcia indietro verso una progressiva ripublicizzazione dell’acqua. In Italia abbiamo nel 2011 votato un referendum contro la privatuzzazione dell’acqua:quella scelta è stata adeguatamente implementata?

L’acqua si perde!

Luigi Campanella, già Presidente SCI

I nostri acquedotti sono ormai un colabrodo, perdiamo in alcuni punti fino a 75 gocce su cento. “Per di più, quando piove, l’acqua incontra terreni così induriti che non riesce a filtrarsi, scorre sulla superficie e magari fa disastri”, spiega Vito Felice Uricchio, direttore dell’Irsa, Istituto di ricerca sulle acque del CNR. Con situazioni come questa si comprende come al timone dei cambiamenti climatici si aggiungano gli errori,e talora orrori, del nostro modo di gestire i problemi: la rete nazionale di distribuzione dell’acqua potabile (quindi pregiata, trattata e depurata) perde oltre 6.5 milioni di litri al minuto, pari al 41,9 per cento di quella immessa nelle tubature. Dati in costante rialzo: eravamo al 35 per cento nel 2012, al 38 nel 2015. Ci sono zone, come Frosinone, in cui le perdite raggiungono il terrificante primato del 75 per cento. Lo stesso tipo di dati per la Germania fornisce per la Germania perdite pari al 6,5% e per la Francia pari al 20,9%.In realtà, oggi esistono tecnologie che permettono di localizzare e aggiustare il punto esatto della perdita a costi minimi, in modo rapido e tutto sommato economico. “Noi dell’Università a Milano Bicocca, per esempio, abbiamo inventato un software che, attraverso piccolo sensori, registra cali di pressione e portata dove il tubo ha una falla”, spiega Antonio Candelieri.Con tale metodo ci sono impianti che hanno ottenuto una riduzione delle perdite fino al 30 per cento.

C’è poi discorso della prevenzione, sempre meglio della cura. All’IRSA CNR sono 40 anni che invitano lo Stato a costruire gli invasi sotterranei di raccolta dell’acqua piovana: costano un quinto di quelli all’aperto, non hanno il problema dell’evaporazione.“Noi proponiamo di incentivare con l’aiuto pubblico anche la costruzione di microinvasi condominiali, che possano rendere i palazzi più autonomi”, dice Uricchio.

Siamo il Paese con uno dei consumi d’acqua domestica più alti (circa 240 litri al giorno pro capite, contro i 180 della media europea) e in compenso siamo la terza nazione al mondo per consumo di acqua in bottiglia. L’acqua del rubinetto è perfettamente sana, dovremmo imparare a consumarne di meno e soprattutto bisognerebbe creare sistemi per recuperarla (per esempio, dopo una doccia) e riutilizzarla in giardino o per altri usi meno pregiati.E’ tempo di lanciare la cosiddetta microirrigazione nei campi, in modo che alle piante arrivino giusto le gocce di cui hanno davvero bisogno.

La discussione di questo tema è entrata in Parlamento lo scorso ottobre 2018, con un progetto di legge in materia di “Gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque” che si muove in continuità con un disegno di legge già presentato nella precedente legislatura e che a breve approderà in aula della Camera dei Deputati. Difatti, come riportato nella bozza del DEF 2019: “E ‘obiettivo del Governo garantire l’accesso all’acqua quale bene comune e diritto umano universale, anche avvalendosi degli strumenti normativi europei. Sarà rafforzata la tutela quali-quantitativa della risorsa e si incentiverà l’uso di sistemi per ridurre gli sprechi e le dispersioni con l’introduzione e la diffusione di nuove tecnologie e si incrementeranno gli investimenti di natura pubblica sul servizio idrico integrato.

Al riguardo, un progetto di legge in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque (A.C. n.773) è all’esame della Camera dei Deputati.

Da una prima lettura del progetto di legge emergono questioni di grande importanza che potranno creare forti criticità nella struttura del settore idrico a livello nazionale. In particolare, secondo la Federazione nazionale degli ordini dei chimici e dei fisici (Fncf) alcune proposte previste nel progetto di legge meritano un confronto approfondito, come ad esempio:

  • Il principio di “unitarietà” della gestione, in luogo dell’”unicità”, all’interno di bacini idrografici;
  • L’adesione facoltativa alla gestione unitaria del servizio idrico integrato per i Comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti situati in territori di comunità montane o di unioni di comuni.
  • Il restringimento degli affidamenti, consentiti in ambiti territoriali non superiori alle province o alle città metropolitane;
  • Il ritorno delle competenze in materia di regolazione al Ministero dell’Ambiente. Così era sino al 2011, cioè prima del mandato conferito a un’autorità indipendente, l’Autorità per l’energia, le reti e l’ambiente denominata Area.

In merito al deficit da dati della Fncf risulta che il 4% della popolazione è ancora priva di adeguati impianti acquedottistici, mentre il 7% di un collegamento alla rete fognaria. Sul versante della depurazione delle acque emerge un ritardo drammatico con il 15% della popolazione sprovvista di impianti di trattamento

Gli investimenti nel settore idrico, dopo uno scenario decennale inerziale (30 euro/abitante/anno), hanno avuto qualche miglioramento con evidente ripresa (45 euro/abitante/anno) e con previsioni di crescita (in media oltre 50 euro/abitante/anno). Tuttavia, si è ancora molto lontani dal fabbisogno di 80 euro/abitante/anno). Serve quindi uno scenario più forte e di ripresa degli investimenti: da 3,2Mld€/anno (oltre 50 €/abitante/anno a 4,8 Mld€/anno (circa 80 €/abitante/anno). Attualmente, tali risorse sono, a livello regionale, reperite all’interno della tariffa a carico del consumatore.

Immagini dal bell’articolo di Milena Gabanelli:

https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/acqua-potabile-rete-colabrodo-si-perdono-274mila-litri-minuto/886100ba-5841-11e8-9f2b-7afb418fb0c0-va.shtml

 

Nuove prospettive per il ciclo idrico integrato.

Mauro Icardi

Sull’inserto del quotidiano “Repubblica” dedicato alla salute è uscito martedì scorso,11 Aprile ,un articolo intitolato significativamente “Com’è buona l’acqua del rubinetto” a firma di Elvira Naselli. Articolo abbastanza esaustivo e soprattutto articolo che prova per l’ennesima volta a demolire miti e paure radicate nella pubblica opinione. Miti e paure che spesso verifico anche personalmente, soprattutto quando seguo le discussioni sul tema acqua sui social network. Che spesso sono (purtroppo) la cassa di risonanza di invenzioni pure, baggianate colossali e che soprattutto non permettono quasi mai la possibilità di sviluppare una discussione propositiva. Anche questo è un problema emergente che è campo di studio soprattutto dei sociologi. Auguro loro buon lavoro.

Tornando in tema l’articolo di Repubblica oltre a spiegare che l’acqua del rubinetto non è responsabile della calcolosi renale, ci permette di capire anche che non esiste un’acqua “colesterol free”.

Ma è probabile che l’assuefazione all’essere bombardati da messaggi pubblicitari abbia avuto certamente effetti deleteri. Di solito chi non si fida a priori dell’acqua potabile adduce di solito l’obiezione che l’acqua sia troppo dura, o che sappia di cloro (situazioni che per altro si risolvono eventualmente con impianti appositi, ma solo se effettivamente necessario, e nel secondo caso semplicemente lasciando evaporare l’acqua spillata da rubinetto in una brocca per far evaporare l’eventuale cloro residuo).

E non manco mai di far notare che generalmente una bottiglia di un’acqua minerale di marca da un litro e mezzo che si paga indicativamente 50 centesimi corrisponde alla fornitura di circa 300 litri di acqua dell’acquedotto. Ovviamente poi ognuno può fare le proprie scelte.

Ci sono in Italia situazioni contrastanti. Il 44% degli Italiani ha optato per il consumo di acqua di rubinetto, i restanti consumano 208 litri all’anno di acqua in bottiglia rendendo l’Italia il terzo paese per consumo mondiale di acqua imbottigliata dietro a Messico e Thailandia.

Per quelli che hanno optato per l’acqua del rubinetto la buona notizia è che nel futuro, prima come adesione volontaria, e successivamente come obbligo normativo, le aziende che distribuiscono acqua potabile si doteranno di un Water Safety Plan. Questa decisione deriva dalla revisione della direttiva 98/83/CE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano (recepite dal Dlgs 31 del 2001 in Italia).

La fornitura di acqua qualitativamente idonea all’uso umano è attualmente garantita in Italia da una serie di misure normative particolarmente rigorose, da prassi consolidate nei sistemi di gestione idrica in grado di assicurare la produzione di acque sicure, e da un livello di sorveglianza particolarmente esteso e capillare.

Questo impegno viene svolto da laboratori attrezzati e che tra le altra cose impegnano il personale impiegato nella verifica delle metodiche utilizzate e nel controllo delle prestazioni fornite dal laboratorio in termini di precisione e accuratezza dei risultati analitici, sia per i parametri chimici che per quelli microbiologici.

Nel futuro l’adozione di un piano di sicurezza impegnerà i gestori in un lavoro di carattere multidisciplinare. Si tratterà di predisporre un piano dettagliato di analisi dei rischi e delle possibili contaminazioni sull’intera rete idrica, e nei vari punti di diramazione e di snodo.

Questo approccio avrà due effetti da punto di vista del lavoro degli addetti ai laboratori. Maggiore impegno nella rilevazione di patogeni e sostanze di sintesi emergenti (per esempio interferenti endocrini).

Dovranno essere rivisti e migliorati i criteri di campionamento ed il livello di prestazione dei metodi analitici. Dovrà essere valutato l’impatto dei cambiamenti climatici sulle acque destinate al consumo umano, ma in generale sull’intero ciclo idrico, dalla captazione alla depurazione.

Questo per la ragione che l’impoverimento di molte aree di approvvigionamento idrico ha un impatto sempre più rilevante sulla quantità e sulla qualità delle acque.

Si dovranno sviluppare altresì sistemi di monitoraggio in continuo della rete acquedottistica per verifiche non solo della situazione idraulica e distributiva, ma anche per la determinazione di parametri chimici in continuo.

In Italia circa l’85% delle acque destinate al consumo umano viene prelevata dalle falde. Questo garantisce una miglior qualità ed una maggiore gradevolezza (particolare non indifferente quando poi si tratta di ottenere il gradimento dell’utenza). Ma le falde sono più vulnerabili a situazioni di eventuali contaminazioni o inquinamenti. E quindi necessitano di attenti interventi di protezione e monitoraggio.

Nel futuro l’impegno sarà quello di garantire la salvaguardia della salute pubblica, e nello stesso tempo di fornire un’acqua gradevole per chi la consumerà.

E tutto questo si dovrà interfacciare con uso oculato e sostenibile della risorsa acqua, ma delle risorse in generale.

Riferimenti utili.

  1. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality incorporating first addendum. Geneva: WHO Ed. 2006; Vol. 1, 3rd ed. 2
  2. UNI EN ISO 22000. Sistemi di gestione per la sicurezza alimentare. Requisiti per qualsiasi organizzazione nella filiera alimentare. Milano: Ente Nazionale Italiano di Unificazione; 2005.
  3. World Health Organization. Water safety plan manual: Step-by-step risk management for drinking-water suppliers. Geneva: WHO Ed.; 2008 Vol. 1, 3rd ed.