Giornata mondiale dell’acqua (22 marzo).

In evidenza

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Siamo fatti per il 65% di acqua e questa composizione è fondamentale per il nostro stato di salute. Infatti è l’acqua che lubrifica articolazioni e muscoli, previene la secchezza della pelle, regola la temperatura, aiuta la digestione, mantiene la pressione sanguigna, aumenta le capacità fisiche, trasporta i nutrienti alle varie parti del corpo.

Questo induce i medici ad affermare che bisogna bere prima di avere sete. Ma oltre a bere un’altra forma di idratazione è quella termale. La chimica è la grande guida  di questa forma di cura e prevenzione; infatti la classificazione delle acque termali è tipicamente chimica in relazione ai minerali contenuti: sulfuree, salse, solfato carbonatiche ,ferruginose , bicarbonate ciascuna con evidenti maggiori capacità curative verso specifiche patologie

Si tratta di risorse preziose anch’esse, come tutte quelle riferite all’acqua, esposte a fenomeni di inquinamento. Il nostro territorio è ricco di pozzi in ambienti privati esposti a processi di inquinamento non controllati e non contrastati. Continua inoltre senza sosta, lo sversamento di preziose Acque Sulfuree di falda nei fiumi, come avviene per il fiume Aniene. Potrebbe e dovrebbe essere un tesoro, come lo è sempre stato sin dai tempi dei Romani. Ci dicono che siamo arrivati ad una quota di 6000 litri al secondo, sversati direttamente in Aniene attraverso canali che partono da impianti di estrazione di travertino, tramite potenti impianti di pompaggio. Accade ormai da anni, troppi anni.

Le cure termali sono un metodo terapeutico che consente di

–  diminuire o eliminare i farmaci

–  aumentare l’efficacia di un farmaco

–  ridurre gli effetti collaterali di alcune terapie di lungo periodo.

Le cure termali consentono inoltre:

– la diagnosi precoce di certe affezioni

– la prevenzione delle ricadute e delle complicanze.

L’effetto delle cure termali è pertanto curativo e preventivo. Ogni ciclo ha una tempistica minima studiata per permettere un riequilibrio efficace. Nelle malattie caratterizzate da crisi acute e ripetute, come l’asma, l’emicrania, l’eczema, le cure termali aiutano a diminuire la sensibilità agli agenti scatenanti. Quando i disturbi funzionali sono legati a delle difficoltà psicologiche, possono scomparire completamente una volta riconquistato l’equilibrio psichico.

L’inquinamento ambientale può danneggiare l’acqua termale rilasciando in essa composti estranei, quando non tossici, tanto che oggi alcune terme vengono periodicamente sanificate con radiazioni uv e con ozonoterapia, ma purtroppo quando la falda è stata intaccata la sua completa rigenerazione è difficile.

L’acqua termale contiene sempre molti minerali, ciascuno dei quali implica diversi benefici per la salute della pelle: 

magnesio: stimola la rigenerazione e la cicatrizzazione della pelle;

calcio: protegge e preserva i tessuti cutanei rinforzandone le difese;

manganese: potente antiossidante che stimola la rigenerazione cellulare combattendo così l’invecchiamento cutaneo;

potassio: idrata in profondità le cellule che caratterizzano il tessuto cutaneo;

silicio: rigenera e rende maggiormente compatta l’epidermide;

rame: un potente anti infiammatorio che previene e lenisce eventuali irritazioni;

ferro: fornisce ossigeno alle cellule che caratterizzano i tessuti cutanei agevolandone lo sviluppo;

zinco: stimola la crescita cellulare e ne favorisce il naturale turn over.

La recente legge 24 ottobre 2000 n. 323 definisce le acque termali come “le acque minerali naturali, di cui al regio decreto 28 settembre 1919 n. 1924, e successive modificazioni, utilizzate a fini terapeutici”. Ma non sempre la distinzione è nitida: in alcuni casi, ad esempio, quando le acque termali hanno caratteristiche di composizione tali da potere essere impiegate anche come “comuni” acque minerali (principalmente salinità non elevata e parametri nei limiti previsti dalla normativa), possono venire regolarmente messe in commercio per tale utilizzo.

Non è raro infatti osservare sulle etichette di alcune note acque minerali la dicitura: “Terme di……”. Al fine di stabilire il regime giuridico applicabile, più che alla origine occorre far riferimento alla utilizzazione delle acque. Per quanto riguarda gli aspetti microbiologici, le acque termali seguono quanto è previsto dalla normativa per le acque minerali mentre per gli aspetti chimici non si applica l’articolo 6 del Decreto 542/92 relativo alle sostanze contaminanti o indesiderabili. Questo articolo è da riferirsi, secondo il contenuto della nota del Ministero della sanità  del 19.10.1993, esclusivamente alle acque destinate all’imbottigliamento.

Il tenore di certi elementi (boro, arsenico, bario e altri) è ammesso nelle acque termali in misura superiore a quanto previsto per le acque minerali imbottigliate: il loro uso infatti, oltre ad essere molto limitato nel tempo, avviene sotto controllo medico. Occorre inoltre ricordare che talvolta è proprio la concentrazione di alcuni elementi a determinare l’attività  farmacologica delle acque termali. In Toscana ad esempio sono diffuse acque termali con boro in concentrazione superiore al valore limite previsto per le acque minerali, così come è noto l’impiego delle acque termali arsenicali-ferrugginose in alcuni impianti termali italiani. Con riferimento alle ricadute igienico sanitarie The Lancet, eccellenza scientifica di riferimento mondiale anche nella recente emergenza coronavirus, rilevava in un’inchiesta come la maggiore “rivoluzione sanitaria” in termini di numero di vite umane salvate nella storia fino ai nostri giorni, fosse la gestione sicura dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari, considerata addirittura più rilevante dell’invenzione degli antibiotici, dei vaccini e della stessa scoperta del genoma – che ci consente oggi di identificare i virus e studiare le cure. Disporre di una risorsa igienicamente pura è essenziale per garantire la propria salute nel tempo.

WWD actionlist

C’è poi il problema del recupero di risorse idriche ad oggi non utilizzabili, a partire da quelle marine

 All’Italia con 9000 km di coste il mare non manca, ma la salinità impedisce la fruizione diretta di questa risorsa. La desalinizzazione è adottata in quasi 200 Paesi al mondo con oltre 16000 impianti. In Italia è un tecnologia ancora indefinita per scelte e tempi a causa degli elevati costi energetici ad essa correlati, tanto che la politica energetica verso le fonti rinnovabili e quella economica verso il modello circolare potrebbero giocare un ruolo importante nel prossimo futuro. Israele ed Emirati Arabi ci insegnano che dall’acqua marina desalinizzata possono derivare giardini e verde. In Medio Oriente la percentuale di acqua potabile ottenuta dalla desalinizzazione di quella marina sfiora il 50%. In Europa il capofila in materia è la Spagna con quasi 800 impianti di desalinizzazione In Italia come dicevo siamo in uno stallo di attesa per motivi energetici ma anche per le carenze idriche che obbligano ad interventi urgenti per la produzione agricola e per quella industriale, piuttosto che a scelte strutturali.

L’allarme deriva anche dagli ultimi dati: il 2023 si presenta come l’anno più caldo di sempre con un aumento per i primi 2 mesi di 1,44 gradi rispetto alla media. In attesa di scelte e di tempi certi bisogna intervenire con provvedimenti di obbligato rigoroso risparmio, di identificazione di invasi e laghetti artificiali, di ricarica delle falde. Le piogge sono sempre di meno con un calo ogni anno dell’80% e con i grandi laghi e fiumi sempre più secchi:% di riempimento 19 per lago di Como, 36 per lago di Garda, 40 per Lago Maggiore, livello del Po 3 m sotto rispetto al livello idrometrico normale.

Terra bruciata

In evidenza

Mauro Icardi

James. G Ballard scrittore inglese, che sarebbe riduttivo definire unicamente autore di libri di fantascienza, nel 1964 pubblica un libro che viene tradotto in Italiano con il titolo di “Terra Bruciata”.

È il libro che sto leggendo in questi giorni, attirato sia dall’immagine di copertina di Karel Thole, il grafico olandese che disegnò le copertine della collana di fantascienza “Urania”, che dallo stile letterario di Ballard. Caustico, molto critico nei confronti della società contemporanea e delle sue palesi contraddizioni, che l’autore mette a nudo con racconti quasi surreali.

In questo libro l’autore immagina un pianeta terra piegato dalla siccità. Sono bastate pochissime righe per provare quella gradevole sensazione, quella specie di scossa elettrica che sento quando mi rendo conto di aver trovato un libro che ti incolla alla pagina, uno di quelli che ti fa restare alzato a leggere fino ad ora tarda.

Nelle prime pagine del libro un brano mi ha particolarmente colpito: “La pioggia! Al ricordo di quello che la parola significava un tempo, Ransom alzò lo sguardo al cielo. Completamente libero da nuvole o vapori, il sole incombeva sopra la sua testa come un genio perennemente vigile. Le strade e i campi adiacenti al fiume erano inondati dalla stessa invariabile luce, vitreo immobile baldacchino che imbalsamava ogni cosa nel suo calore”.

Personalmente queste poche righe mi hanno ricordato la situazione del Fiume Po la scorsa estate.

 Nella trama del romanzo si immagina una migrazione umana sulle rive dell’oceano dove si sono dissalati milioni di metri cubi di acqua marina, e dove le spiagge sono ormai ridotte a saline, ugualmente inospitali per la vita degli esseri umani, così come le zone interne,dove fiumi e laghi stanno lentamente prosciugandosi.

So molto bene che molte persone storcono il naso quando si parla di fantascienza ,senza probabilmente averne mai letto un solo libro,probabilmente per una sorta di snobismo preconcetto. La mia non vuole essere una critica, è solmente una mia personale constatazione. Ma non posso fare a meno di pubblicare su questo post un’altra foto,drammaticamente significativa.

L’immagine scattata dal satellite Copernicus, mostra la situazione del Po a nord di Voghera lo scorso 15 Febbraio. La foto è chiarissima. Rimane valido il motto che dice che un’immagine vale più di mille parole.

Ecco è proprio dalle parole che vorrei partire per chiarire alcuni concetti, porre degli interrogativi a me stesso, e a chi leggerà queste righe.

Parole. Quali parole possiamo ancora usare per convincere chi nemmeno davanti a queste immagini prende coscienza del problema siccità, continuando ostinatamente a negare l’evidenza, esprimendosi con dei triti e tristi luoghi comuni.

Uno fra i tanti, un messaggio inviato alla trasmissione di radio 3 “Prima pagina”. Quando la giornalista lo legge in diretta io rimango sbalordito. L’ascoltatore che lo ha inviato scrive testualmente. “Il riscaldamento globale è un falso problema, tra 100 anni saremo in grado di colonizzare altri pianeti e di sfruttare le loro risorse”. Giustamente la conduttrice risponde che non abbiamo cento anni di tempo. I problemi sono qui e adesso.

Il senso di sbigottimento rimane anche mentre sto terminando di scrivere questo post.  Uscendo in bicicletta nel pomeriggio ho potuto vedere palesemente la sofferenza dei corsi d’acqua in provincia di Varese: il Tresa e il Margorabbia ridotti a dei rigagnoli. Ho visto terreni aridi e molti torrenti della zona prealpina completamente asciutti.

Quali parole possiamo ancora usare, parole che facciano capire l’importanza dell’acqua? L’acqua è indispensabile alla vita penso di averlo letto nelle prefazioni praticamente di ogni libro che si occupasse del tema. Mentre scrivo, in un inverno dove non ho visto un fiocco di neve nella zona dove vivo, leggo l’intervista fatta a Massimiliano Pasqui, climatologo del CNR, che dichiara che ci servirebbero 50 giorni di pioggia per contenere il problema della siccità nel Nord Italia. Il deficit idrico del Nord Ovest ammonta a 500 mm. Le Alpi sono un territorio fragile, i ghiacciai arretrano. Lo speciale Tg1 dedica una puntata ai problemi dei territori dell’arco alpino. Ma buona parte delle persone intervistate sono preoccupate unicamente per il destino delle stazioni sciistiche. Solo una guida alpina valdostana suggerisce un nuovo modo per godere la montagna, uscendo dal pensiero unico che vuole che in montagna si vada unicamente per sciare. Una biologa che si occupa della microfauna dei torrenti alpini ricorda l’importanza della biodiversità e delle catene alimentari che la riduzione delle portate può compromettere.  Un sindaco della zona prealpina del comasco, difende l’idea di creare una pista di innevamento artificiale a 1400 metri di quota, quando ormai lo zero termico si sta situando intorno ai 3000. Non posso pensare ad altro se non ad una sorta di dipendenza. Non da gioco d’azzardo o da alcol, ma una dipendenza che ci offusca il ragionamento. Mi vengono in mente altre parole, le parole di un proverbio contadino: “Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame”. Ma anche di pioggia se ne sta vedendo poca nel Nord Italia, e la neve sembra essere un ricordo in molte zone.

Il Piemonte sta diventando arido. Mia cugina che vive nelle terre dei miei nonni, nel Monferrato, mi informa che alcuni contadini stanno pensando di piantare fichi d’india. Nei vigneti il legno delle piante è secco e asciutto e la pianta sembra essere in uno stato sicuramente non di piena salute. Ci si accorge di questo anche nel momento in cui si lega il tralcio al primo fil di ferro per indirizzare la crescita della pianta: si ha timore di spezzarlo.

Ritorno per un attimo al libro di Ballard. Nella prefazione trovo un passaggio interessante: nel libro l’autore ci parla della siccità che ha immaginato, non in maniera convenzionale. Ci sono nel libro descrizioni di siccità e arsura, ma quello che emerge dalla lettura è il fantasma dell’acqua. Ballard ha sempre evitato i temi della fantascienza classica, viaggi nello spazio e nel tempo, incontri con civiltà aliene.

Ha preferito narrare e immaginare le catastrofi e le decadenze del futuro prossimo. Ma sono catastrofi particolari. Sono cioè catastrofi che “piacciono” ai protagonisti.  Che quasi si compiacciono di quello che si sta svolgendo sotto i loro occhi. Vale per i protagonisti di “Deserto d’acqua e di “Condominium”. Il primo si compiace della spaventosa inondazione che ha sommerso Londra, il secondo racconta le vicende degli inquilini di un condominio di nuova generazione, dove una serie di black out e dissidi tra vicini fanno regredire tutti gli inquilini allo stato di uomini primitivi.

Terra bruciata invece ci mostra un’umanità che deve fare i conti con la mancanza ed il ricordo del composto linfa, H2O. La formula chimica probabilmente più conosciuta in assoluto. Conosciamo a memoria la formula, ma forse non conosciamo affatto l’acqua.  E a volte è uno scrittore come Ballard che riesce ad essere più diretto nel mostrarci quello che rischiamo non preservandola e dandola per scontata. L’indifferenza, la mercificazione indotta, le nostre percezioni errate, lo sfruttamento del composto indispensabile alla vita ci stanno rivelando come anche noi ci stiamo forse compiacendo o abituando a situazioni surreali. Sul web ho visto la pubblicità di una marca di borracce che ci ingannano. Borracce con sedicenti pod aromatizzati che ti danno la sensazione di stare bevendo acqua aromatizzata. Riporto dal sito, senza citare per ovvie ragioni la marca.

Tu bevi acqua allo stato puro. Ma i Pod aromatizzati fanno credere al tuo cervello che stai provando sapori diversi come Ciliegia, Pesca e molti altri.

Naturalmente gustosi. Tutti i nostri Pod contengono aromi naturali e sono vegetariani e vegani.

Idratazione sana. Prova il gusto senza zuccheri, calorie o additivi.

E ‘scienza (anche se ci piace pensare che sia anche un po’ magia). Il tuo centro olfattivo percepisce l’aroma come se fosse gusto, e fa credere al tuo cervello che tu stia bevendo acqua con un sapore specifico.”

Trovo questa pubblicità davvero agghiacciante.

Mi sto chiedendo ormai da diverso tempo come possiamo opporci a questa deriva. Ho letto diversi romanzi di fantascienza sociologica che immaginano società distopiche. Ma francamente mi sembra che non sia più necessario leggerla. In realtà mi sembra tristemente che siamo molto vicine a vivere in una società distopica. Sull’onnipresente rifiuto di bere acqua di rubinetto con la motivazione che “sa di cloro” o addirittura “che fa schifo”, qualcuno costruisce il business delle borracce ingannatrici. Ormai l’acqua non è più il composto vitale. E ‘un composto puro ma che deve essere migliorato. Qualcuno mette in commercio acqua aromatizzata, qualcun altro ci vuole vendere borracce che ci fanno credere che lo sia.

Mi chiedo davvero cosa sia andato storto, e quando recupereremo non dico la razionalità ma almeno il buon senso comune. E intanto possiamo aspettare fiduciosi la stagione estiva.

Sorella acqua.

Luigi Campanella, già Presidente SCI.

Quando si parla di acqua generalmente lo si fa con riferimento alle carenze, agli sprechi, ai trattamenti, ma c’è un aspetto fisiologico che merita di essere considerato accanto a quelli più tradizionali. Il fegato ad esempio ha bisogno dell’acqua per rilasciare il glicogeno, la nostra riserva di carboidrati che viene frammentata a glucosio, utilizzato poi dal nostro organismo come carburante. Ma l’acqua ha numerose altre funzioni: regola la temperatura corporea, elasticizza le mucose, lubrifica le articolazioni, favorisce la digestione e il trasporto dei nutrienti, rimuove le scorie metaboliche ed altro ancora. Il nostro corpo, a seconda dell’età, dal 75% nei bambini al 50% negli anziani, è costituito da acqua sicché – ad esempio nel mio caso, peso ed età considerati -circolano dentro di me circa 40 litri di acqua.


Luigi Campanella - Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica ...  

La maggior parte è contenuta all’interno delle cellule, circa 2/3, il rimanente intorno alle cellule e, circa il 10%,nel sangue, la cui parte liquida, il plasma ne rappresenta il 55%. Da quanto detto si comprende come la disidratazione del nostro corpo rappresenti un pericolo e che perciò va assolutamente reintegrata l’acqua che eliminiamo ogni giorno attraverso sudorazione (circa 1 l), urina (circa 700 ml), tanto da consigliare i tradizionali 2l di acqua da assumere giornalmente sia come tale sia come alimenti ricchi di essa, frutta e verdura in primis. Il bilancio idrico non si può separare da quello elettrolitico: gli elettroliti sono i sali minerali contenuti nei liquidi biologici e, per il corretto svolgimento di tutte le funzioni organiche, è fondamentale che essi mantengano una concentrazione adeguata. All’interno della cellula troviamo una quantità prevalente di potassio, mentre all’esterno il sodio è l’elettrolita preponderante. Quando l’organismo avverte una variazione nella quantità di acqua totale o nella concentrazione dei sali mette in atto dei meccanismi di compensazione, basati essenzialmente sull’assunzione (processo della sete) o sull’eliminazione (urine, sudore) di liquidi. Ad esempio, quando mangiamo un pasto molto salato (es. pizza) la concentrazione di sodio nei fluidi corporei aumenta e i centri ipotalamici della sete vengono stimolati e ci inducono a bere, mentre i reni sono spinti a espellere meno acqua. A regolare il bilancio idroelettrolitico entrano in gioco strutture endocrine come l’ipotalamo, luogo dei centri della sete, l’ipofisi, i surreni, con la secrezione rispettivamente degli ormoni vasopressina e aldosterone. L’idratazione del corpo umano può essere misurata con un apposito test, il test bio-impedenziometrico per il quale vengono applicati degli elettrodi sulle mani e sui piedi.

  Lo strumento induce il passaggio di una lieve corrente elettrica attraverso il corpo e viene misurata  la resistenza offerta dall’organismo a questa corrente, dal cui valore si ricavano poi  tutti i dati richiesti dal test.Il monitoraggio del livello di idratazione e oggi possibile con una  app che permette di notificare agli utenti quando il livello d’acqua nel corpo si abbassa troppo; può ,inoltre, fornire un report dei liquidi che la persona ha consumato durante il giorno e misurare automaticamente l’assunzione d’acqua proveniente da cibi e bevande tramite un sensore di impedenza, che viene utilizzato per misurare il livello complessivo dei liquidi presenti nel corpo di una persona. I risultati vengono visualizzati su uno smartphone e le persone vengono avvisate mediante una notifica su display, spingendo l’individuo ad assumere  più acqua se il livello di liquidi nel corpo è troppo basso Il firmware per il monitoraggio è parte della app . La tecnologia prende anche in considerazione l’attività fisica della persona e calcola la quantità di calorie bruciate.

Riutilizzo di acque reflue depurate.

Mauro Icardi

 Le risorse idriche disponibili stanno diventando scarse sia per la diminuzione di precipitazioni, sia a causa dell’aumento delle pressioni antropiche e del conseguente inquinamento ambientale. Negli ultimi anni sta crescendo l’interesse per il riutilizzo delle acque reflue depurate nei programmi di pianificazione delle risorse idriche, con particolare interesse per l’irrigazione.

In passato, in virtù dell’abbondanza delle risorse idriche, soprattutto confrontando le disponibilità con quelle del resto del mondo, l’Unione Europea non aveva investito in maniera consistente sul riuso delle acque sebbene, in generale, si potesse notare un diverso approccio nei Paesi Nord-Europei rispetto a quelli Mediterranei. In generale quando le risorse idriche sono abbondanti non sempre si è portati ad avere una pianificazione rigorosa ed attenta. Oltre a questo  in passato esistevano perplessità sulla qualità delle acque reflue in uscita dagli impianti di depurazione, situazione che negli ultimi vent’anni è decisamente mutata in positivo con l’adozione di nuove tecniche di trattamento (impianti a membrana), e con il generale miglioramento delle tecniche di trattamento terziario (filtrazione e disinfezione tramite acido peracetico o raggi uv).

Nell’Unione Europea diversi paesi hanno definito norme e linee guida per il riuso delle acque reflue in agricoltura, come ad esempio Francia, Spagna, Cipro e Italia.

Dal punto di vista legislativo in Italia è vigente Il D.M. 185/03 che regolamenta il riutilizzo delle acque reflue, ai fini della tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche, limitando il prelievo delle acque superficiali e sotterranee, riducendo l’impatto degli scarichi sui fiumi e favorendo il risparmio idrico, mediante l’utilizzo multiplo delle acque di depurazione. Secondo il Decreto il riutilizzo deve avvenire in condizioni di sicurezza per l’ambiente, evitando alterazioni agli ecosistemi, al suolo ed alle colture, nonché rischi igienico-sanitari per la popolazione. Inoltre, il riutilizzo irriguo deve essere realizzato con modalità che assicurino il risparmio idrico. Nel riutilizzo sono considerate ammissibili le seguenti destinazioni d’uso:  

Uso irriguo: per l’irrigazione di colture destinate sia alla produzione di alimenti per il consumo umano ed animale sia a fini non alimentari, nonché per l’irrigazione di aree destinate al verde o ad attività ricreative o sportive.

 Uso civile: per il lavaggio delle strade nei centri urbani; per l’alimentazione dei sistemi di riscaldamento o raffreddamento; per l’alimentazione di reti duali di adduzione, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione dell’utilizzazione diretta dell’acqua negli edifici a uso civile, ad eccezione degli impianti di scarico nei servizi igienici.

Uso industriale: come acqua antincendio, di processo, di lavaggio e per i cicli termici dei processi industriali, con l’esclusione degli usi che comportano un contatto tra le acque reflue recuperate e gli alimenti o i prodotti farmaceutici e cosmetici.

Il prossimo anno entrerà in vigore il regolamento europeo 2020/741 che prevede  per gli Stati membri il riutilizzo delle acque reflue depurate, sostituendo il DM 185. La data prevista è fissata per il Giugno 2023.

Attualmente in Italia sono già in funzione 79 impianti per la produzione di acque di riuso, ma rappresentano solo il 5% della potenzialità, che è stimata in un volume di circa 9 miliardi di m3/anno.

I dati provengono dall’indagine di Utilitalia “Il riutilizzo delle acque reflue in Italia”, presentata a Napoli nel corso del convegno “Climate change e servizio idrico: la sfida del PNRR per un sistema efficiente e resiliente” organizzato dalla Federazione in collaborazione con l’Università degli Studi Federico II e con l’Associazione Idrotecnica Italiana.

Esistono in Italia già da diversi anni esempi di riuso delle acque reflue, sia per l’irrigazione che per fini industriali. Il quadro complessivo presenta nette differenze tra regione e regione. Si può però fare la seguente osservazione di carattere generale: il ricorso alle acque reflue per scopi irrigui o industriali è avvenuto quasi esclusivamente in situazioni di “emergenza idrica”, che si possono sostanzialmente distinguere in due tipologie distinte: carenza di disponibilità idrica; elevata esigenza di acqua in porzioni del territorio limitate. Due esempi tipici sono i distretti industriali con elevate necessità e consumi di acqua, e la presenza di vaste aree destinate all’agricoltura intensiva. Solo negli ultimi anni si è iniziato a programmare il riuso delle acque reflue con una visione più ampia, tenendo conto dei vantaggi indiretti di questa pratica, quali il beneficio ambientale del “non scarico” nel corpo idrico ricettore e la possibilità di non fare ricorso ad acque qualitativamente migliori, soprattutto acque di falda preservandone la disponibilità.

La situazione di assoluta emergenza di questi giorni potrebbe però aggiungere due nuove destinazioni d’uso. Il ricarico di acque di faldae l’aiuto per aumentare i flussi di portata nel caso di secche persistenti destinando le acque di scarico su corsi d’acqua in particolare sofferenza. Occorre far notare che la realizzazione di queste due ultime destinazioni d’uso necessita della realizzazione di infrastrutture al momento mancanti (condotte e canalizzazioni). Per altro come avevo già scritto in precedenti articoli, occorre rendersi conto che la secca di molti fiumi anche piuttosto importanti, come ad esempio il Lambro o il Brenta che in questi giorni sono completamente asciutti devono spingere ad adottare provvedimenti lungimiranti e non rimandabili. Da attuarsi con una programmazione il più possibile condivisa.

Se un fiume della lunghezza di 130 km come il Lambro si trasforma in una fiumara, o per volgere lo sguardo fuori dai nostri confini, il Colorado non riesce più ad arrivare al mare per eccessivo prelievo di acqua non è più possibile né sottovalutare, né minimizzare il fatto che ci troviamo di fronte ad un problema reale.

Le nuove regole aiuteranno l’Europa ad adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Il regolamento migliorerà la disponibilità di acqua e ne incoraggerà un uso efficiente. Infatti garantire la disponibilità di acqua sufficiente per l’irrigazione dei campi, in particolare durante ondate di calore e siccità gravi, può aiutare a prevenire la carenza di colture e la carenza di cibo. Dato che le condizioni geografiche e climatiche variano notevolmente tra gli Stati, uno Stato membro potrà decidere che non è appropriato utilizzare l’acqua di recupero per l’irrigazione agricola in parte o in tutto il suo territorio.

Gli Stati membri avranno piena autonomia per poter decidere l’utilizzo più appropriato delle acque destinate al riuso (civile, irriguo, industriale, ricreativo).

Il regolamento contiene requisiti rigorosi per la qualità delle acque di recupero e il relativo monitoraggio per garantire la protezione della salute umana e animale nonché dell’ambiente.

Il fattore chiave nel determinare la possibilità concreta del riuso di acque reflue è la certezza di rigorosi controlli sulla qualità degli effluenti impiegati e di una continua azione di monitoraggio sull’evoluzione qualitativa dei vari comparti coinvolti (acqua, suolo, piante). I limiti di qualità per le acque riutilizzabili in irrigazione, ad esempio, richiedono non solo di salvaguardare gli aspetti sanitari, ma di contrastare tutti i problemi che si potrebbero manifestare sulle colture e nel terreno, nonché sulla stessa funzionalità degli impianti irrigui.

La filosofia di approccio deve identificare certamente dei limiti di sostanze inquinanti, ma nello stesso tempo adattarsi alle condizioni locali. In aggiunta alla mitigazione dei possibili effetti sulla salute, l’uso delle acque reflue depurate per esempio in agricoltura deve assicurare produzioni agricole comparabili con quelle ottenute normalmente e impatti accettabili sull’ambiente.

Le pratiche agricole dovrebbero tenere presenti alcuni fattori tra i quali:

• quantità d’acqua utilizzata

• caratteristiche del suolo (infiltrazione, drenaggio)

• sistemi di irrigazione;

• tipo di coltivazione e pratiche di utilizzo.

I parametri da tenere monitorati per l’utilizzo di acque reflue depurate in agricoltura sono di varia tipologia.

I nutrienti, azoto, fosforo, potassio, zinco, boro e zolfo, devono essere presenti nell’acqua reflua depurata nelle corrette concentrazioni altrimenti possono danneggiare sia le coltivazioni che l’ambiente. Ad esempio il quantitativo di nitrati necessario varia nei diversi stadi di sviluppo delle piante, mentre durante la crescita sono necessarie alte quantità di nitrati, queste si riducono durante la fase di fioritura. Il controllo sulle concentrazioni dei nitrati è fondamentale per ridurre la lisciviazione negli acquiferi che rappresenta un potenziale rischio di inquinamento delle acque destinate al consumo umano. Le concentrazioni di sodio, cloruri, boro e selenio dovrebbero essere attentamente controllate a causa della sensibilità di molte piante a queste sostanze. Il selenio risulta tossico anche a basse concentrazioni e il boro si ritrova in alte concentrazioni per la presenza di detergenti nelle acque di scarico. La qualità delle acque rappresenta anche un aspetto da considerare nella scelta del sistema di irrigazione. In condizioni di alte temperature e bassa umidità, quando è favorita l’evapotraspirazione, è sconsigliato l’utilizzo dell’irrigazione a pioggia se le acque contengono alte concentrazioni di sodio e cloruri in quanto possono arrecare danni alle foglie.

Come si può vedere il concetto di gestione dell’acqua rimane un tema multidisciplinare. E soprattutto uno dei temi tra i più importanti da affrontare (ma non è il solo). Serviranno risorse, conoscenza e soprattutto collaborazione. Occorre ribaltare il concetto che l’acqua non sia un diritto, ma occorre anche avere una formazione di base. Bisogna superare la tendenza a guardare l’orticello di casa, ridare senso al bene comune che non è patrimonio di una mentalità liberista e miope che vorrebbe mercificare ogni risorsa planetaria.  E in ultimo mi sento di fare una piccola tirata d’orecchie a chi di professione si occupa di scegliere i titoli dei pezzi sui giornali. Ad Assago l’acqua depurata viene utilizzata per rifornire le spazzatrici municipali che lavano le strade. Questo avviene dal 2019. Il dato di fatto è che si risparmiano circa 8000 litri anno di acqua potabile. Ma la stampa locale diede la notizia con questo titolo: “Assago, le strade della città si lavano con l’acqua di fogna” Un titolo inopportuno, quando sarebbe stato molto meglio scrivere “Assago, le strade della città si lavano con l’acqua trattata dai depuratori”. Questo può fare molta differenza nella percezione di quello che è stato realizzato. Non è un dettaglio trascurabile.

Oggi 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua.

Luigi Campanella e Mauro icardi

Si celebra  oggi 22 marzo la Giornata Mondiale dell’Acqua, noi lo facciamo con ben due post dedicati al tema, uno di Luigi Campanella ed uno di Mauro Icardi.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Molto si è scritto sulla carenza di acqua e di acqua potabile in molte parti del mondo. Generalmente ci si sofferma sugli aspetti ambientali e sanitari, ma altre sono le ricadute della  mancanza o al contrario della disponibilità di acqua.

Una di queste riguarda l’istruzione: la carenza di acqua pulita nelle zone rurali di Kenya, Burkina Faso, Costa d’Avorio comporta il diffondersi di malattie ed infezioni che obbligano i bambini colpiti a saltare le lezioni rimanendo indietro nel percorso di studi, ma con il rischio di finire a mendicare nella strada perché ogni giorno in più lontano dai libri è un giorno in più vicino all’abbandono scolastico.

Un’altra ricaduta della carenza o disponibilità di acqua pulita è il tasso di mortalità infantile: dati statistici dell’ONU e della FAO chiaramente evidenziano una correlazione diretta fra carenze idriche e tasso di mortalità infantile con il risultato di impegnare risorse per contrastarla mentre basterebbe una ricchezza idrica maggiore e di  nuocere allo sviluppo demografico.

Una terza osservazione riguarda i mezzi di approvigionamento. Il nodo degli invasi per raccogliere acqua piovana è stato affrontato in sedi diverse, non sempre tutte d’accordo su tale strumento che invece, abbinato a pompe azionate da energia solare, può rappresentare un supporto significativo. Se poi la raccolta dell’acqua piovana avviene in cisterne, contenitori che si aprono solo in occasione delle piogge, rimanendo chiusi per il resto del tempo è possibile nei Paesi caldi-e molti di quelli poveri lo sono- riscaldare l’acqua fornendo un servizio prezioso in medicina neonatale. Infine vorrei ricordare la importanza nella formazione dei giovani dell’attività fisica che ovviamente sia per l’acqua emessa con il sudore sia per il sudore stesso che bagna la pelle e richiede di lavarla comporta la necessità di una minima quantità di acqua disponibile per ristorare il corpo, quindi poca acqua poca attività fisica con ricadute negative sullo sviluppo del corpo.

Anche l’aspetto energetico sembra oggi cambiare coinvolgendo l’acqua nell’era dell’idrogeno. La nuova forma pulita di energia ci obbliga a considerare l’acqua anche da questo punto di vista: risorsa preziosa di idrogeno. Se poi gli aspetti economici di bilancio non saranno soddisfatti, questo nulla toglie ad un’ennesima preziosità dell’acqua, essere un abbondante potenziale contenitore di idrogeno. Tra l’altro l’impiego della luce solare (in presenza di un catalizzatore) come energia estrattiva apre ulteriori spazi da percorrere. C’è infine il problema del monitoraggio: per proteggere e per correggere bisogna conoscere. I metodi analitici degli inquinanti in matrice acquosa sono stati messi a punto e pubblicati in forme diverse, praticamente in tutti i paesi sviluppati del mondo. C’è però bisogno di metodi alternativi capaci di fornire risposte in tempo reale, capaci di controllare sistemi automatici di correzione, capaci di indicare in tempo reale gli eventuali inconvenienti prodottisi in un impianto acquedottistico. La Scienza fa grandi progressi e sensoristica e biosensoristica ci vengono incontro.

I test di tossicità integrale rappresentano in tale linea un’ulteriore opportunità in quanto fornendo una risposta integrale ed in tempo reale ci affrancano, in una fase di urgenza, dalle analisi specifiche e puntuali che possono essere eseguite soltanto quando necessario. La ricchezza d’acqua non sempre significa disponibilità: in un terreno agricolo ad esempio si possono creare a seguito di ripetuti interventi sbagliati da parte dell’uomo delle condizioni assai negative a fini della trasferibilità e del trasporto dell’acqua. Anche su questo punto sono stati messi a punto test idonei propri e finalizzati a misurare non la quantità di acqua presente, ma il grado della sua disponibilità e quindi di sfruttamento da parte dell’uomo e della coltura scelta per il terreno.

Mauro Icardi

Giornata mondiale dell’acqua 2022. La ricorrenza è triste

Su questo blog, abbiamo cercato di celebrare la giornata mondiale dell’acqua tutti gli anni.

Francamente in questo 2022 sono davvero troppe le notizie che rischiano di oscurare la celebrazione di questa giornata. La guerra in Ucraina è la prima fra tutte. E in guerra si comprende crudelmente quanto sia importante.

Nelle città assediate, nei rifugi l’acqua comincia a scarseggiare. Come il cibo, i medicinali.

Intanto in un’Europa che subisce una sorta di sospensione della realtà dovuta alla guerra, la situazione della siccità e mostrata in questa immagine.

Le aree in rosso nella cartina rappresentano le zone dove la situazione di siccità si può definire da eccezionale a estremo.

Le conseguenze di questo stato di cose sono facilmente intuibili. Problemi per l’agricoltura, già in crisi per la contemporanea scarsità di materie prime e di fertilizzanti.

La produzione di energia elettrica soffre questo stato di cose.  «La siccità che stiamo affrontando è unica da quando esistono i sistemi di misurazione», spiega Paolo Taglioli, direttore generale di Assoidroelettrica, l’associazione di categoria che rappresenta 427 operatori, circa il 40 per cento delle società del settore per energia prodotta. «Possiamo inventarci qualsiasi cosa, ma se non piove o nevica siamo impotenti».

Se guardiamo all’Italia praticamente non piove da quasi tre mesi. L’innevamento invernale è stato scarso soprattutto nel nord Ovest.

In passato ho scritto articoli che suggerivano modalità e tecniche per il risparmio idrico. Ma oggi, lo dico con franchezza la cosa mi sembra fuori luogo. È trascorso mezzo secolo dalla pubblicazione de “I limiti alla crescita”. 

I problemi globali, non solo quello delle risorse idriche sono ormai tragicamente evidenti.

Nulla però sembra scalfire una mentalità unica, una negazione diffusa. Cosa che da sempre cerco di chiarire prima di tutto a me stesso. Senza trovare una spiegazione razionale.

Nessuna soluzione tecnica o scientifica può funzionare se non si cerca di riportare al centro dei dibattiti e delle iniziative la coscienza del bene comune.

Questa è la foto del lago artificiale di Ceresole Reale, in provincia di Torino. Mi ha molto colpito.

Ho passato da giovane molte delle mie estati in una valle dell’arco alpino occidentale, durante le vacanze estive. Li ho imparato dalle persone del luogo ad avere cura dell’acqua. Ma negli anni in cui trascorrevo le mie vacanze, l’acqua che vedevo scorrere nei torrenti e dalle fontane era percepita come inesauribile. Io stesso avevo questa idea. Ma le cose sono cambiate rapidamente. E penso che occorra fare attenzione a non subire un nuovo shock emozionale. Non solo quello del ritorno della guerra, ma anche a quello delle scarsità. Perché la scarsità di acqua, si porta dietro tutte le altre. E quando scorrendo i giornali vedo articoli che magnificano l’innevamento artificiale, oppure l’aumento delle spese militari, dentro di me c’è qualcosa che sento completamente dissonante. Vorrei che tutti ci risvegliassimo da questo sogno infranto. Da quella mentalità che spesso ci fa adagiare sulle rassicuranti favole, piuttosto che affrontare in maniera razionale le azioni che siamo obbligati a intraprendere.

Buona giornata mondiale dell’acqua, nonostante tutto.

 L’effetto serra dell’acqua.

Claudio Della Volpe

Uno dei comuni errori che fanno i commentatori negazionisti dell’effetto serra è che dato che l’effetto serra generato dal vapore acqueo è il principale motore dell’effetto serra terrestre non ci sia necessità di controllare il tasso di CO2 atmosferico, ma invece al massimo quello dell’acqua.

Questo errore, che ancora torna ogni tanto, si può presentare anche come legittimo dubbio da parte di chi non abbia mai approfondito la questione e dunque vale la pena di spenderci un post, anche perché in giro non si trovano molti commenti in merito.

L’effetto serra è un meccanismo semplice, ma delicato che consente alla biosfera terrestre di avere una temperatura media ben 33°C superiore a quella possibile grazie alla sola irradiazione solare.

http://climateknowledge.org/figures/Rood_Climate_Change_AOSS480_Documents/Kiehl_Trenberth_Radiative_Balance_BAMS_1997.pdf

La radiazione in uscita dal pianeta, che è essenzialmente nell’infrarosso, attorno a 10micron di lunghezza d’onda, viene riassorbita da alcuni componenti atmosferici : acqua, CO2, ozono, metano, N2O, fluorocarburi e tutte le molecole capaci di assorbire bene l’infrarosso e ritorna in parte verso il suolo; questo rallentamento nel processo di equilibrio radiativo fra Terra e spazio remoto aumenta la temperatura al suolo.

La parte del leone la fanno quei gas che sono più concentrati (maggiore pressione parziale), che sono migliori assorbitori IR (più alto coefficiente di estinzione, ε) e che hanno vita media più lunga in  atmosfera (non c’è un simbolo specifico per la vita media delle molecole in aria).

Ovviamente l’acqua è il primo attore e su questo non ci piove, se mi passate il gioco di parole.

Alla temperatura media terrestre la tensione di vapore dell’acqua è circa 1700 pascal, ossia l’acqua può costituire poco meno del 2% dell’atmosfera, 1.7% per la precisione, mentre per esempio la CO2 ne costituisce solo lo 0.04%, equivalenti a 40 pascal (erano 28 nel 1750).

Ricordo che la pressione atmosferica equivale a 101325 pascal; la  CO2  è a 400ppm sono 0.4 parti per mille e dunque 0.04%.

Tensione di vapore dell’acqua.

Eppure vi dico qui che nonostante la pressione parziale della CO2 sia oltre 40 volte più bassa di quella dell’acqua non è l’acqua il gas critico per il “riscaldamento globale” ma la CO2; con questa espressione non si indica l’effetto serra come tale ma la sua variazione in crescita verificatasi negli ultimi 250 anni.

Come si spiega questo apparente paradosso? L’acqua è di gran lunga di più ma la conclusione dell’IPCC è che la sua presenza è meno critica di quella della CO2 e degli altri gas serra che sono ancor meno. Quanto contano gli altri parametri: vita media in atmosfera e coefficiente di assorbimento? C’è qualche altro fattore?

Beh un fattore che non abbiamo ancora nominato è che l’acqua è, fra tutti i gas serra, l’unico condensabile facilmente. Ossia l’acqua agisce come gas serra in qualità di vapore d’acqua, ma nelle condizioni tipiche della biosfera è un liquido, con una tensione di vapore saturo, ossia una pressione gassosa di equilibrio o massima che cresce con la temperatura; mentre tutti gli altri sono gas, veri e propri, ossia non è  possibile condensarli nelle condizioni tipiche dell’atmosfera terrestre; se pensate per esempio alla stratosfera, dove volano gli aerei intercontinentali, lì vapor d’acqua quasi non ce n’è  perché la temperatura tipica è -50°C (e la pressione di vapore è bassissima e questo è il motivo per cui l’acqua immessa da noi in stratosfera per esempio con i motori dei jet è un gas serra antropogenico anche se poco importante); ma tutti gli altri gas ci sono e la CO2 fa la parte del leone. Nelle condizioni anche più estreme di atmosfera e biosfera l’acqua è l’unico gas serra “condensabile”; se superate la sua tensione di vapore, ossia la massima pressione o se volete concentrazione relativa alla temperatura, l’acqua condensa e forma le nuvole, una parte basica del nostro paesaggio e che fra l’altro hanno un ruolo importante perché le nuvole di goccioline d’acqua riflettono la luce solare e riducono il suo effetto. (In effetti le nuvole assorbono anche la radiazione infrarossa dalla Terra; se ci fate caso le notti fredde sono anche col cielo pulito, mentre se il cielo è coperto la temperatura non scende mai molto, perché la radiazione emessa dal suolo rimane intrappolata fra suolo e nuvole.)

Quale è la conseguenza di ciò? Semplicemente il vapor d’acqua ha una concentrazione che DIPENDE dalla temperatura ma che non può farla aumentare; se produciamo acqua in eccesso (e lo facciamo quando bruciamo i fossili) l’acqua in eccesso condensa (le famose scie di condensazione dei jet, il grosso dei nuvoloni emessi dagli impianti di combustione, etc. ) e al massimo aumenta la copertura nuvolosa, ossia aumenta la riflessione della luce solare, non l’effetto serra. D’altronde se assorbissimo acqua dall’atmosfera nella improbabile convinzione di ridurne l’effetto serra, altra acqua evaporerebbe dall’oceano che copre il 71% della superficie del pianeta e in poco tempo ripristinerebbe la sua concentrazione/pressione di equilibrio, dunque lavoro inutile .

Conclusione l’acqua è un gas serra ma non può aumentare la propria pressione se la temperatura media non è GIA’ aumentata. Non è una forzante climatica di per se, ma come si dice è un feedback, una conseguenza di retroazione, può dare il suo contributo solo dopo che i gas serra non condensabili hanno agito.

Torniamo all’argomento del potere relativo di assorbimento dei gas serra. Qui contano il loro coefficiente di assorbimento e la loro concentrazione, ossia in termini della legge di Lambert e Beer il coefficiente e e lo spessore ottico equivalente, l.

Gli spettri di assorbimento dei vari gas si sovrappongono così che non è banale anche trascurando altri aspetti calcolare il loro peso relativo; d’altra parte è più semplice calcolare l’effetto complessivo usando a tale scopo i numerosi programmi di calcolo che si trovano in rete.

Per stimare almeno grossolanamente i contributi dei vari gas si può fare in due modi: stimando l’effetto serra se si toglie quel certo gas (ci darebbe il valore minimo) o se al contrario si costruisce una atmosfera fatta solo di quel gas (ci darebbe il valore massimo). Il calcolo avrebbe un valore “istantaneo”, non ci direbbe molto del ruolo complessivo, ma sarebbe indicativo.

Nel primo caso l’effetto serra inteso come puro assorbimento radiativo, se togliamo l’acqua, diventa il 34% di quello effettivo, dunque per differenza l’acqua conterebbe il 66% del totale; se invece facciamo una atmosfera solo con acqua e nuvole allora l’assorbimento diventa l’85% dell’effettivo.

Il peso dell’acqua, a causa dell’incertezza dovuta alla sovrapposizione degli spettri sta dunque fra 66 e 85%; se facciamo la media aritmetica siamo al 75% del totale, numero che possiamo usare come stima grossolana.

L’acqua contribuisce ai tre quarti dell’effetto serra terrestre. Se ripetiamo lo stesso calcolo con la CO2 otteniamo come risultato 9% o 26%, in media stiamo al 17%. E rimane un 8% per tutti gli altri gas serra.

(questi calcoli si possono ottenere per esempio da https://www.giss.nasa.gov/tools/modelE/  oppure nella pagina di RealClimate citata in fondo)

La differenza è che se aggiungiamo CO2 o un altro gas serra non condensabile all’atmosfera quello rimane lì a lungo e non condensa, facendo aumentare di poco ma stabilmente la temperatura media, mentre se aggiungiamo l’acqua essa ritorna velocemente al suo valore di equilibrio (tensione di vapore) senza alcun effetto tangibile.

Stiamo ancora escludendo la vita media delle molecole in atmosfera, che è di qualche giorno/settimana per l’acqua mentre diventa dieci anni per il metano e fra 50 e 200 anni per la CO2. Quindi non solo non condensa ma continua ad agire per un tempo veramente significativo.

Se introducessimo esplicitamente la vita media delle molecole in atmosfera avremmo come risultato quel potere di riscaldamento relativo di solito calcolato su tempi di 20 o 100 anni e che viene spesso usato nelle discussioni sull’effetto serra (e che per l’acqua non viene nemmeno calcolato, tuttavia una stima c’è Steven C Sherwood et al 2018 Environ. Res. Lett. https://doi.org/10.1088/1748-9326/aae018 ed equivale ad 1/1000 di quello della CO2).

C’è un secondo punto da introdurre sull’acqua; l’acqua abbiamo detto non può forzare la temperatura ma solo adeguarsi ad essa; questo adeguamento è molto significativo però; se infatti consideriamo anche un solo grado di aumento della temperatura media la pressione parziale dell’acqua aumenta di circa il 7%; dunque consideriamo che se passiamo da 15° a 16°C medi arriviamo da 1700 ad oltre 1800 pascal, con un proporzionale incremento del ruolo dell’acqua nell’assorbimento della radiazione.

In conclusione è vero che l’acqua gioca un ruolo importante nell’effetto serra a regime, direi dominante, ma gioca un ruolo del tutto trascurabile nel farlo aumentare; l’acqua si adegua alle condizioni imposte dagli altri gas serra non condensabili, possiamo dimenticarcela completamente se il nostro scopo è di ridurre l’effetto serra in eccesso (ossia il cosiddetto riscaldamento globale), anche se dal calcolo totale evinciamo che le dobbiamo circa metà dell’incremento complessivo causato IN ORIGINE dai gas serra non condensabili che noi stessi abbiamo introdotto in atmosfera.

Da leggere:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2405844018327415

https://history.aip.org/climate/co2.htm

https://www.realclimate.org/index.php/archives/2005/04/water-vapour-feedback-or-forcing/JOURNAL OF GEOPHYSICAL RESEARCH, VOL. 115, D20106, doi:10.1029/2010JD014287, 2010    scaricabile da:

https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1029/2010JD014287

che contiene la seguente tabella, riferita al 1980 con il programma versione ultima di IPCC

La formazione dell’acqua.

Diego Tesauro

La presenza dell’acqua nell’universo è oggetto di ricerca ormai da oltre mezzo secolo da parte degli astrochimici sia nel sistema solare che sui pianeti dei sistemi extra solari negli ultimi venticinque anni. La molecola d’acqua fra i composti chimici è uno dei più semplici ed è presente nelle nebulose molecolari dalle quali si formano le stelle. Ma quando e come si è formata questa molecola?  Immediatamente dopo il Big Bang 13.8 miliardi di anni fa, l’universo era denso e caldo per cui sicuramente qualsiasi legame chimico non sarebbe stato stabile. Fu solo quando la temperatura, a seguito dell’espansione dell’universo, si abbassò intorno ai 4000 K che cominciarono le prime reazioni chimiche alla luce degli elementi all’epoca disponibili.  In queste condizioni la prima reazione che avvenne coinvolse l’idrogeno ionizzato e gli atomi neutri di elio che si combinano per formare l’idruro di elio (HeH+). La molecola fu osservata con spettrometro l’infrarosso GREAT a bordo dell’osservatorio Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (SOFIA) (https://it.wikipedia.org/wiki/Stratospheric_Observatory_for_Infrared_Astronomy) alcuni anni fa [1]. Per poter formarsi la molecola d’acqua, terza per abbondanza dopo H2 e CO nelle nebulose, bisogna aspettare epoche successive non essendo l’ossigeno presente dopo il Big Bang. La nucleosintesi di questo elemento avviene nei nuclei stellari e va a contaminare le nubi a seguito dell’esplosione delle supernove oppure di forti venti stellari. Pertanto ritrovare l’acqua in galassie remote consente anche di avere informazioni sull’epoca nella quale si sono formate le stelle. Recentemente gli astronomi hanno rilevato tracce di molecole d’acqua in una delle più antiche galassie, la galassia SPT0311-58 [2] (fig.1). Questa si trova a 12.88 miliardi di anni luce dalla Terra, il che significa che i telescopi la vedono come appariva solo 1 miliardo dopo il Bing Bang. Gli astronomi stimano che la galassia abbia quindi un età di soli 780 milioni di anni, si trova alla fine dell’epoca della reionizzazione, cioè di quel periodo nel quale il gas, inizialmente neutro, è stato  ionizzato dalla luce prodotta dalle prime stelle e galassie. L’osservazione è avvenuta con il radiotelescopio ALMA che a 5000 metri d’altitudine sull’arida piana di Chajnantor nel deserto di Atacama in Cile (uno dei luoghi più aridi della Terra, tale da essere la riserva più grande del nitro di Cile https://ilblogdellasci.wordpress.com/tag/nitro-del-chile/)- Sono proprie le condizioni del luogo che rendono possibili queste osservazioni. Poiché l’acqua è presente anche nell’atmosfera della Terra, gli osservatori costruiti in ambienti meno elevati e meno asciutti hanno più problemi nell’identificare l’origine delle emissioni provenienti dallo spazio. La sensibilità elevata e l’alta risoluzione angolare di ALMA, permettono di rivelare alla lunghezza d’onda di 1,64 millimetri, anche i deboli segnali dell’acqua nell’Universo locale. Questa scoperta implica che la formazione stellare sia iniziata abbastanza rapidamente dopo il Big Bang perché l’ossigeno possa esistere nell’universo dopo 1 miliardo di anni. Nello spazio aperto, gli atomi di idrogeno e ossigeno dovevano scontrarsi con un’energia sufficiente per legarsi chimicamente e formare acqua. Si potrebbe pensare che tutto ciò dovrebbe richiedere molto tempo; eppure esaminando la chimica delle giovani nubi molecolari, contenenti mille volte meno ossigeno del sole, con sorpresa, è stato scoperto che è presente tanto vapore acqueo quanto ne vediamo nella nostra galassia.

Fig. 1 Coppia di galassie Spt0311-58 osservate con Alma. Il contenuto di polvere (in rosso), acqua (in blu) e monossido di carbonio (osservato in tre diverse lunghezze d’onda e mostrato in tre sfumature di rosa/viola) nella. Nella colonna a destra, sono visibili i contributi individuali delle varie componenti.

Sebbene le nubi siano povere di ossigeno, c’è una spiegazione del motivo per il quale l’acqua si sia formata così facilmente nell’universo primordiale. L’universo allora era più caldo per la presenza della radiazione cosmica di fondo  che oggi è a soli 2,725 K.

Nelle nubi diffuse l’H2O si forma principalmente nelle reazioni in fase gassosa tramite sequenze ione-molecola [3]. La catena della reazione ione-molecola è innescata dalla ionizzazione dei raggi cosmici o dei raggi X di H e H2, che porta alla formazione di ioni H+ e H3+. Questi interagiscono con l’ossigeno atomico formando la specie OH+. Una serie di acquisizioni di protoni portano alla formazione di H3O+, che produce OH e H2O attraverso la ricombinazione dissociativa. Questo meccanismo di formazione non è generalmente molto efficiente e solo una piccola frazione dell’ossigeno viene convertita in acqua, il resto rimane in forma atomica o si congela sotto forma di ghiaccio d’acqua [4].

Alle temperature > 300 K, l’acqua si forma direttamente attraverso reazioni in cui si combinano atomi neutri O + H2 → OH + H, reazione seguita da OH + H2 → H2O + H. Questo cammino di reazione diviene particolarmente importante negli shocks, dove il gas si riscalda ad alte temperature, e può conseguentemente portare più ossigeno a formare H2O [5][6].

Queste recenti osservazioni mostrano come ancora i modelli delle fasi inziali del nostro universo debbano ancora essere affinati per poter aver una comprensione migliore delle sue prime fasi.

Bibliografia

[1] R. Güsten et al., Astrophysical detection of the helium hydride ion HeH+Nature, 2019, 568, 357–359 DOI: 10.1038/s41586-019-1090-x

[2] S. Jarugula et al. Molecular Line Observations in Two Dusty Star-forming Galaxies at z = 6.9 The Astrophysical Journal, 2021, 921:97 (26 pp)  https://doi.org/10.3847/1538-4357/ac21db

[3] E. Herbst, W. Klemperer The Formation and Depletion of Molecules in Dense Interstellar Clouds The Astrophysical Journal 1973, 185, 505-534. doi:10.1086/152436

[4] D. Hollenbach et al. Water, O2, and ice in molecular clouds The Astrophysical Journal 2009690, 1497-1521  doi:10.1088/0004-637X/690/2/149

[5] B. T. Draine et al. Magnetohydrodynamic shock waves in molecular cloud The Astrophysical Journal, 1983, 264, 485-507.

[6] M. J. Kaufman et al. Far-Infrared Water emission from magnetohydrodynamic  shock waves  The Astrophysical Journal 1996, 456, 611

La chimica e la fisica della stiratura (con qualche nota di profumo).

Claudio Della Volpe

Questo post ha una storia lunghissima; sono sposato da 44 anni e sono 44 anni che discuto con mia moglie della stiratura dei panni, della sua necessità e delle metodiche per farla od evitarla; in particolare ci sono alcune cose che mi hanno sempre stupito: una per tutte, perché sbattere i panni umidi prima di stenderli dovrebbe essere una strategia che aiuta a ridurre la stiratura?

Ecco oggi cerco di parlarvi di cose del genere e finalmente risponderò alla domanda o se volete allo sfottò di mia moglie (che è una chimica anche lei) del tipo: ok non so il motivo-chimico-fisico ma funziona così (“motivo chimico fisico” scritto con le lineette corrisponde alla particolare cantilena usata dalla consorte, una cosa che normalmente mi fa imbestialire).

Il fatto è che a me il motivo chimico fisico mi intriga troppo per trascurarlo e così dopo l’ennesima discussione, questa volta con amiche e sorelle che davano assolutamente ragione a mia moglie, ho deciso di capirci qualcosa.

Ok, mia moglie ha ragione e adesso so perché e ve lo voglio raccontare.

Sarà un segno dei tempi, un frutto poco goloso, ma comunque è il mio contributo al MeToo.

Dobbiamo partire dal materiale di cui sono fatti i vestiti: le fibre tessili.

La maggiore o minore inclinazione alla formazione di pieghe dipende prima di tutto dalla composizione dei tessuti. I tessuti in cellulosa naturale sono quelli più soggetti alla formazione di pieghe (cotone, lino…).

Nelle fibre naturali costituite di polisaccaridi come la cellulosa che è la molecola base del lino, del cotone le lunghe molecole di polisaccaride possono formare legami idrogeno che specie in presenza di umidità e molecole di acqua assorbite si rompono e riformano con l’asciugatura; questi legami sono più deboli di quelli covalenti o ionici e possono formarsi e rompersi con relativa facilità e soprattutto sono numerosi e non “obbligati” dalla struttura, se ne possono formare molti e fra parti diverse e non connesse in origine.

Aggiungo qui che questa osservazione per me, che mi occupo di adesione, ha un grande valore perché il legame idrogeno è il più comune dei legami acido-base di Lewis che costituiscono la base dei legami adesivi fra superfici; ne abbiamo parlato in altri post (per esempio qui e qui). Dunque come i legami adesivi comuni prevedono legami idrogeno e simili meccanismi di donazione-accettazione di densità elettronica fra molecole di superficie, così fanno i legami INTERNI fra molecole in materiali comuni come i tessuti; solo che nei tessuti questa adesione ne modifica la forma e la geometria producendo nel nostro caso pieghe a non finire specie se il tessuto è stato bagnato!

Tout se tien!

Scusate ma ho bisogno di un mondo fatto così, dove capisco cosa faccio!

Uno dei motivi per cui i tessuti naturali vengono arricchiti con fibre sintetiche o rigenerate, come elastan o viscosa, è limitare la formazione di pieghe oltre a migliorare elasticità e vestibilità; in pratica limitare la possibilità di formare legami idrogeno aiuta a limitare le pieghe nelle fibre a base di polisaccaridi.

I tessuti in fibra di cellulosa rigenerata tendono a piegarsi meno. Queste fibre sono prodotte dalla cellulosa naturale, che viene prima trasformata in nitrato o acetato di cellulosa, e poi riorganizzata in fibre. Rayon, viscosa, acetato o tencel sono esempi di tessuti in fibra di cellulosa rigenerata.

Le fibre sintetiche, come il poliestere e il nylon, sono caratterizzate da una tipologia più differenziata ma generalmente tendono a piegarsi meno (nel nylon i legami idrogeno ci sono, ma per fare legami idrogeno intercatena le difficoltà steriche sono maggiori).

Infine, le fibre meno soggette a pieghe sono quelle di origine animale fatte di proteine, non di polisaccaridi, come la seta e la lana e questo comporta anche la loro elevata cristallinità e una specifica struttura piana le cosiddette beta-sheet, legate alla struttura cosiddetta “secondaria” della catena proteica; le strutture possibili sono due ma entrambe rigide.

Qui i legami idrogeno ci sono eccome, ma sono tanti e tali e così ben connessi che la rigidità è strutturale; le fibre sono fortemente connesse e rimangono tali anche durante e dopo il lavaggio.

In definitiva la formazione delle odiate pieghe nei tessuti dipende dalla possibilità di formare legami interni fra le molecole delle fibre e tra le fibre stesse (le fibre sono complessi lineari di macromolecole); perché ciò avvenga ci vogliono tante molecole capaci di fare legami idrogeno ma anche senza obblighi strutturali, se no come succede nella seta o nella lana i legami non si spostano; nelle fibre a base di cellulosa la cosa è possibile, con calore o pressione e si esalta se si aggiungono molecole di acqua, ovviamente. Allontanando l’acqua (o il calore o la pressione) i legami si riformano nella nuova posizione (e fanno le pieghe!!!).

The glass transition of cotton PhD thesis di Chantal Denam, Deakin University 2016

Chiaramente ci sono condizioni di temperatura e pressione che facilitano la distruzione e formazione di questi legami. Nella chimica dei polimeri la condizione di temperatura che consente la trasformazione è chiamata “temperatura di transizione vetrosa” Tg, risente della pressione e dell’umidità  e consente di distruggere e formare nuovi legami, facendo anche variare lo spazio libero fra le fibre e dentro le fibre; per il cotone la temperatura in questione risente particolarmente dell’umidità come si vede dal grafico. In definitiva dunque lavaggio e successiva stiratura riproducono questa condizione e consentono di forzare od eliminare la piegatura; la stiratura, meglio se leggermente umida, come si fa stirando a vapore è un modo di mettersi in queste condizioni di Tg.

 C’è da dire che a volte la formazione di pieghe è desiderata: una gonna plissettata per esempio è una gonna a pieghe e come si formano?  Pare che le prime tecniche di stiratura vengano dai tentativi di fare tessuti plissettati svolti ai tempi degli egiziani e a freddo con uno strumento piatto e molto pesante detto lisciatoio, usato sui tessuti umidi.

Solo nel 200dC arrivò l’antenato del nostro ferro a caldo, un recipiente in bronzo con manico in legno, contenente brace incandescente, impiegato alla corte cinese per lisciare sete e tessuti. La storia dei ferri da stiro la potete trovare sulla pagina della Polti, uno dei più noti produttori di questo elettrodomestico, elencata in fondo.

Ci sono altri aspetti che favoriscono o meno la formazione di pieghe; la tessitura, in pratica i tessuti piatti (weave), come il tessuto di una camicia tradizionale, tendono a formare più pieghe rispetto ai tessuti a maglia (knit), come quelli di maglioni e felpe, anche a parità di composizione. E a parità di altri parametri la densità della tessitura, tessuti più fitti fanno meno pieghe.

Ed infine da notare che in anni recenti si sono sviluppate tecniche decisamente “chimiche” per ridurre le pieghe; i procedimenti attuali per ottenere tessuti antipiega consistono in trattamenti con urea-formaldeide e melammina-formaldeide che reticolano con legami covalenti i tessuti sia naturali che sintetici, impedendo la formazione di pieghe ma possono rilasciare molecole come la formaldeide.

Ho riassunto l’essenziale delle condizioni chimiche e fisiche che portano alla formazione di pieghe nei tessuti. Adesso torniamo alla pratica della manipolazione dei tessuti quando li si lava e li asciuga e poi li si stira.

La stiratura ha preso piede soprattutto all’inizio del 900 con la comprensione che essa aiutava ad igienizzare i panni eliminando per esempio le uova di pidocchio o le spore ed i batteri che fossero rimasti adesi al tessuto; oggi con le maggiori condizioni di igiene complessiva e la potenza dei nuovi detersivi questo ruolo è meno importante, ma è comunque ragionevole ricordarlo, specie nei paesi dove le condizioni igieniche non sono come le nostre. Inoltre la stiratura come tale aiuta a riposizionare le fibre nella posizione originale allungando la vita utile del tessuto, ma questo come vedremo si può fare anche altrimenti.

Quali procedure possono essere utili per ridurre la stiratura al minimo? Lo scopo è ridurre la spesa energetica della stiratura che viene stimata in alcuni kWh per chilo di tessuto

La prima è scegliere tessuti che non fanno le pieghe o ne fanno meno stando attenti in fase di acquisto; seguono poi alcuni criteri operativi.

Se si lava in lavatrice usare una centrifuga meno spinta perché le forze sviluppate durante la centrifugazione forzano i tessuti bagnati in una configurazione a pieghe, specie se avete riempito la lavatrice al massimo. Se lavate a mano e torcete i panni per asciugarli le pieghe si formano ancor più.

Stendere i panni al sole e al vento ma facendo attenzione a “stenderli” eliminando le pieghe che si sono formate durante il lavaggio; e qui, in questo momento topico, lo sbattimento del tessuto, di cui ho discusso innumerevoli volte con mia moglie, ha il suo ruolo maggiore; sbattere il tessuto prima di stenderlo, casomai più di una volta prendendolo in posti “chiave” e ricordandogli la sua forma “giusta”; non ci riuscirete subito, cari lettori maschi.

Nonostante io adesso l’abbia capito non ci riesco sempre.

Questo metodo si deve usare anche nell’appendere il vestito, sfruttando i posti da cui può pendere in modo simmetrico, evitando la formazione di nuove pieghe causate dalle mollette per esempio. Un trucco può anche essere di stendere non solo lungo il filo ma FRA due fili, perpendicolarmente al filo cercando di ottenere un supporto di dimensioni opportune. Quest’ultima operazione può essere motivo di discussione con i rispettivi consorti.

Usare per i capi di forma complessa come le camicie una stampella a cui appenderla nel modo più “naturale”.

Sto parlando di stendere al sole e al vento, nostri naturali alleati energetici; oggi si è creato anche in Italia un mercato di “asciugatrici” elettriche; personalmente credo siano spesso inutili; stendere al balcone i panni o alla finestra deve diventare un nuovo  status symbol, quello di chi capisce che risparmiare energia è necessario e civile. Non dico che non possa essere perfino indispensabile la asciugatrice ma certo la spinta ad acquistarla che viene dal mercato dei falsi bisogni deve essere ben valutata. Nella maggior parte dei casi non è necessaria.

Inoltre i panni asciugati al sole e al vento (asciugatura rinnovabile…..) hanno anche un particolare profumo che ricorda a molti di noi quando stendere i panni insieme a mamme e nonne era un momento clou dell’infanzia. Voglio finire con questa nota profumata ricordando qui un recente lavoro di una giovane ricercatrice italiana, Silvia Pugliese, ora all’Università di Copenhagen che ha pubblicato un interessante lavoro su cosa conferisca ai panni stesi al sole quel particolare profumo.

Silvia Pugliese

Come vedete dalla figura si tratta di un complesso effetto legato alla compresenza di idrocarburi atmosferici, luce solare e cotone bagnato.

Silvia Pugliese et al.  Environmental Chemistry 17(5) 355-363 https://doi.org/10.1071/EN19206 Chemical analysis and origin of the smell of line-dried laundry

Dice l’autrice: L'odore fresco e gradevole della biancheria asciugata all'aperto al sole è riconosciuto dalla maggior parte delle persone, ma nonostante decenni di speculazioni l'origine dell'odore non è stata dimostrata. Mostriamo che l'odore del bucato steso è dovuto alla combinazione unica di tracce di idrocarburi atmosferici, luce solare e superficie del tessuto bagnato. È probabile che questa fotochimica superficiale sia diffusa nell'ambiente su superfici di materiali naturali.
E ancora:
Proponiamo che l'ozono o le reazioni fotochimiche convertano i VOC (ossia i composti organici volatili, come gli idrocarburi) a catena corta nelle loro controparti ossigenate, che sono note per avere una varietà di odori, molti dei quali possono fungere da note che contribuiscono al caratteristico odore di bucato appena steso. La superficie del cotone lega i prodotti di reazione per fisisorbimento o legame idrogeno e può trattenere l'odore per alcuni giorni.

Brava Silvia!.

Da consultare:

https://www.polti.com/news/the-science-of-effective-ironing/

https://www.polti.it/stiro-e-cura-dei-capi/evoluzione-e-storia-del-ferro-da-stiro-con-caldaia/

La Polti produce ferri da stiro, ma ha anche costruito delle interessanti pagine web sul tema, dunque, al netto dei conflitti di interesse, grazie alla Polti ed alla collega Deborah García Bello che ne ha curate alcune molto interessanti.

Acqua virtuale e altre storie.

Claudio Della Volpe

Il primo ad introdurre il concetto di acqua virtuale è stato nel 1993 il professore di geografia John Anthony Allan del King’s College London e della School of Oriental and African Studies, che per questo ha ricevuto, nel 2008, lo Stockholm Water Prizeda parte dello Stockholm International Water Institute.

Si tratta di questo: quanta acqua viene usata nella produzione di una certa merce? Per vari motivi quell’acqua viene considerata come “irreversibilmente” spostata dal ciclo dell’acqua della zona di produzione e si considera che la merce considerata “trasporti” con sé l’acqua usata la quale in qualche modo diventa una sua parte virtuale. Se dunque quella merce viene esportata l’acqua virtuale entra (o entrerebbe) a far parte di fatto del bilancio dell’acqua della zona di importazione.

E’ chiaro che si tratta di una approssimazione anche abbastanza forte dal punto di vista fisico, perché nella maggior parte dei casi l’acqua rimane nella zona di produzione, ma viene spostata dal ciclo naturale! Questo è il punto fisico vero: evapora, si inquina, si sposta dal percorso naturale; se è una acqua geologica (prodotta da processi geologici su grande scala e tempi lunghi) ovviamente il suo uso è effettivamente un processo irreversibile; ma diciamo che in generale è una approssimazione che aiuta a stimare i fenomeni socioeconomici con maggiore completezza.

Ovviamente occorre un grano di sale nella sua analisi.

Affine a questo il concetto di impronta idrica che però si riferisce ai consumi di una comunità o di una persona e in più aggiunge l’indicazione dei punti geografici di captazione, delle modalità esatte di impiego e del tempo in cui l’acqua viene utilizzataintroducendo a questo scopo dei “colori” dell’acqua.

Inizialmente si pensava che l’acqua fosse impiegata principalmente nella produzione agricola, ma studi più ampi hanno consentito di concludere che l’acqua impiegata per la produzione industriale in un paese come il nostro è nella maggior parte impiegata nell’industria, nella produzione di energia, per usi civili e che solo un 40-45% viene impiegata nell’agricoltura; valori analoghi  nella media dei paesi europei.

Di che numeri stiamo parlando? Il ciclo dell’acqua implica una enorme quantità di processi paralleli.

Sulla terraferma la quantità di acqua che cade in tutte le forme assomma a poco più di 100mila km3 all’anno, ma solo un terzo di questa quantità rimane in forma condensata, mentre il resto rievapora; dunque, eccettuato l’oceano, l’acqua liquida o solida che cade attorno a noi ogni anno corrisponde a poco più di 35mila km3.

Si stima che noi intercettiamo più del 10% di questa quantità, circa 4mila km3, per i nostri scopi: agricoli, industriali, civili ed energetici. Nel nostro paese da dati Istat citati qui (impronta dell’acqua)

(Da https://www.greenreport.it/news/acqua/acqua-industria-ed-energia-litalia-vista-luso-del-suo-oro-blu/  ).

per sommi capi ed escludendo l’approvvigionamento a mare (che assomma comunque a 16 km3 per il raffreddamento delle centrali termiche), l’industria manifatturiera italiana utilizza ogni anno 5,5 km3 di acqua dolce, le centrali termoelettriche 2,2 km3, i cittadini 5,2 km3 dalle reti comunali, e il settore dell’agricoltura 11,6 km3: 24,8 km3 in totale, una somma assai rilevante.

Fra l’altro apprendiamo da questi dati che “Con 681 milioni di metri cubi, il settore della chimica e dei prodotti chimici è quello che ne ha impiegati di più, seguito dal settore della gomma e materie plastiche (645 milioni di metri cubi)

In modo analogo la media europea è la seguente:

(https://www.eea.europa.eu/archived/archived-content-water-topic/water-resources/water-use-by-sectors)

On average, 44 % of total water abstraction in Europe is used for agriculture, 40 % for industry and energy production (cooling in power plants), and 15 % for public water supply.

Questi numeri sono notevolmente diversi in lavori od analisi più datati con stime che salgono addirittura ad oltre il 90% per la sola agricoltura, dunque occorre fare attenzione alla sorgente dei dati, soprattutto perché le metodologie usate per i calcoli possono essere molto varie.

Un esempio di questi problemi di interpretazione lo ho avuto facendo una accesa discussione nelle scorse settimane con un altro collega che si richiamava ai risultati di un gruppo di lavoro di UniMi e secondo il quale collega, usando il grafico sottostante,:

La Cina è la principale destinataria di questi flussi che provengono prevalentemente da USA e Brasile. Il totale stimato del commercio di acqua virtuale ammonta a 1748 Km cubi/anno (dati 2016), una quantità confrontabile con quella totale dei fiumi della terra circa 2000 Km cubi e con quella contenuta nella biosfera 1200 Km cubi (dati presi da wikipedia). Praticamente si deforesta l’Amazonia e si consuma la falda fossile di Ogallala, come se fossero risorse infinite, per dar da mangiare ai cinesi.”

In questo lavoro però si esclude fin dal principio il ruolo dell’acqua virtuale legata ai prodotti industriali, concentrandosi solo sull’acqua virtuale legata al cibo.

In effetti questo tipo di approccio separa i flussi di acqua virtuale fra cibo ed altre merci; ora la Cina che è un gigantesco esportatore di merci industriali di ogni tipo esporta acqua virtuale di tipo “industriale” e secondo altri lavori che tengono conto di tutti i beni è un esportatore netto di acqua sia pur virtuale. Si veda per esempio qui (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412018314582#f0010)

dove si arriva a conclusioni opposte.

Personalmente ritengo che, a parte le difficoltà concettuali legate alla definizione esatta dell’acqua virtuale, l’analisi dei flussi non possa escludere il ruolo determinante, almeno per i paesi più sviluppati, dell’acqua usata nella produzione di beni non legati al cibo; il rischio è di usare queste analisi in modo direttamente politico e poco scientifico traendone conclusioni inesatte o parziali.

Voi che ne dite?

L’acqua sulla Luna nell’epoca dell’antropocene

Diego Tesauro

Negli interventi ospitati da questo blog, gli estensori hanno messo in luce come, nell’epoca dell’antropocene, il ciclo naturale degli elementi e dei composti chimici sulla Terra ne sia risultato alterato, con particolare riferimento, agli ultimi due secoli e mezzo, cioè dall’avvento della società industriale. Da mezzo secolo l’intervento alterante dell’uomo si è esteso allo spazio. Soprattutto lo spazio intorno al nostro pianeta si è andato riempiendo di satelliti che, una volta terminata la loro funzione, sono rimasti ad orbitare costituendo “spazzatura spaziale” che oggi viene ravvisato come pericolo per gli altri satelliti e la stazione spaziale orbitale. All’alba del terzo decennio del XXI secolo ci si comincia a porre il problema di una presenza più invasiva sulla Luna alla luce delle ben otto missioni, che diversi paesi condurranno nei prossimi tre anni. Dal 2022 sono state programmate dalla NASA delle missioni con dei landers nelle zone dei poli lunari che saranno prodromi di nuove missioni umane. I progetti dovrebbero infatti portare alla costruzione di una base lunare. In un intervento, pubblicato di recente sulla rivista Nature, viene posto all’attenzione della comunità scientifica e quindi ovviamente anche di quella politica che deve prendere le decisioni, una possibile trasformazione e contaminazione dell’acqua sulla Luna. La storia della presenza dell’acqua sul nostro satellite è una storia lunga, ma al tempo stessa recente. Galilei, che per primo puntò il suo telescopio rifrattore verso il nostro satellite, nel Sidereus Nuncius descrisse le montagne, le valli, i crateri e delle zone oscure che individuò come mari, anche se dubitava che fossero effettivamente distese di acqua. Con l’avvento delle maggiori conoscenze sulla chimica dell’acqua, si escluse che queste zone non potessero contenerla, fino a giungere alla conclusione che il nostro satellite era completamente anidro. Questa convinzione ebbe riscontro a seguito delle missioni Apollo, una cinquantina di anni fa, che hanno permesso all’uomo di porre piede per la prima volta sulla Luna. Gli astronauti, nelle 6 missioni sul suolo lunare, raccolsero e portarono sulla Terra dei campioni di rocce di varie zone del satellite, e dall’analisi di queste rocce si concluse che non vi erano tracce d’acqua. Nel 2004 la sonda Clementine riuscì ad individuare delle possibili tracce di ghiaccio al polo sud lunare all’ombra dei crateri.

Dopo questa prima osservazione ne sono seguite altre [1] che però solo nel 2018 hanno dato evidenze definitive [2] in quanto i segnali nel dominio dell’UV erano compatibile con un semplice gruppo ossidrile. Come è possibile che si trovi dell’acqua allo stato solido? Sulla Luna si verificano variazioni notevoli di temperatura fra le zone in ombra e le zone illuminate dal Sole con escursioni termiche di oltre 200 gradi, per cui laddove i raggi del sole non arrivano, del ghiaccio può rimanere intatto, essendo la temperatura di solo 100 K (Figura 1). Questo ghiaccio dovrebbe avere avuto origine dalla caduta di comete e meteoriti, che provenendo da zone lontane dello spazio, dove la radiazione solare non distrugge le molecole d’acqua, avevano in miliardi di anni lasciato dell’acqua a riparo dalla radiazione solare. Alternativamente o allo stesso tempo l’acqua proverrebbe dal vento solare (vento di protoni) che bombarda la sua superficie. L’acqua potrebbe avere anche un’origine endogena provenendo dall’interno della stessa Luna a seguito di eruzioni vulcaniche di oltre 4 miliardi di anni fa. Riguardo le origini, l’acqua lunare conterrebbe delle informazioni crociali. Questi dati non sono più presenti sulla Terra a seguito dell’evoluzione geologica causata dal movimento delle placche continentali. L’acqua sulla Luna potrebbe contenere la chiave dell’evoluzione del sistema solare stesso. Successivamente osservazioni condotte dallo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (SOFIA) rilevarono una banda alla lunghezza d’onda di 6 µm dovuto dal H–O–H bending indice inequivocabile di presenza di acqua molecolare ad alte latitudini lunari in zone illuminate dal Sole [3]. Sulla base delle osservazioni si stima abbondanze da circa 100 a 400 µg g−1. La distribuzione dell’acqua è un risultato di evoluzione geologia locale ed è probabilmente un fenomeno non globale. La maggioranza dell’acqua deve essersi conservata nei vetri e negli spazi tra i grani che la schermano dalla radiazione solare diretta. Molti meccanismi si potrebbero proporre per spiegare l’origine di quest’acqua. Accanto all’origine esogena già vista che resta poi intrappolata nei vetri o introdotta nell’esosfera e chemioassorbita. L’acqua può essersi formata in situ sulle superficie dei grani da pre-esistenti gruppi ossidrili che deadsorbiti alle alte temperature diurne, particolarmente all’equatore. L’acqua potrebbe anche essersi formata in situ da gruppi idrossili pre-esistenti durante l’impatto di micrometeoriti, quando le alte temperature promuovono le reazioni, come è stato dimostrato in laboratorio.

Recentemente è stato anche proposto un ciclo dell’acqua sulla Luna ovviamente molto diverso da quello presente sulla Terra [4]. Questo ciclo (Figura 2) è indotto dall’impatto di meteoroidi sulla superficie lunare che immettono nella tenue atmosfera lunare del vapore acqueo. Basterebbe che i meteoroidi, anche di soli pochi millimetri, penetrino per 8 centimetri nel suolo lunare, dove si troverebbe un terreno omogeneamente idratato con le molecole d’acqua aderenti alla regolite lunare, per rilasciare vapore acqueo.

Dalle misurazioni di acqua presente nell’esosfera, i ricercatori hanno calcolato che lo strato idratato sotto-superficiale ha una concentrazione d’acqua da 200 a 500 parti per milione, equivalente a circa lo 0,02-0,05 per cento in massa. 

Quindi il nostro satellite sarebbe tutt’altro che anidro. La presenza dell’acqua apre scenari e dilemmi. L’uomo può sfruttare quest’acqua estraendola dalle rocce per utilizzarla ad esempio come combustile per missioni spaziali che dovessero partire dalla Luna. Generando, mediante celle fotovoltaiche, energia elettrica si potrebbe condurre l’elettrolisi dell’acqua ottenendo ossigeno ed idrogeno che potrebbero essere sfruttati come combustibile e comburente per viaggi spaziali e per il funzionamento delle basi stesse. Ora però quest’utilizzo potrebbe far perdere all’acqua ghiacciata quelle preziose informazioni in essa contenute. Inoltre la presenza stessa dell’uomo comporterebbe un inquinamento dell’acqua con quella prodotta dai razzi stessi delle missioni spaziali. Da simulazioni condotte nel laboratorio di fisica applicata della John Hopkins University, l’acqua resta dopo sessanta giorni terrestri per il 30-40% sulla Luna depositandosi in tutti i luoghi.  Quest’allarmante simulazione concluderebbe che già l’inquinamento dell’acqua lunare è un dato di fatto. In realtà questa potrebbe essersi depositata in superficie senza contaminare i ghiacci presenti sui poli. In ogni caso si pone in termini brevi la necessità che le agenzie spaziali dei vari paesi coinvolti nell’esplorazioni della Luna e gli scienziati suggeriscano soluzioni condivise per mantenere inalterato un patrimonio di potenziali future conoscenze per i posteri.  

1 P.O.,Hayne A. Hendrix , E. Sefton-Nash, M.A. Siegler, P.G. Lucey, K.D. Retherford, J.P. Williams, B.T. Greenhagen, D.A. Paige. Evidence for exposed water ice in the Moon’s south polar regions from Lunar Reconnaissance Orbiter ultraviolet albedo and temperature measurements. Icarus 2015, 255, 58–69.

2 S. Li, P.G. Lucey, R.E. Milliken, P.O. Hayne, E. Fisher, J.P. Williams, D.M. Hurley, and R.C. Elphic Direct evidence of surface exposed water ice in the lunar polar regions PNAS  2018, 115,  8907–8912

3 C.I. Honniball , P.G. Lucey, S. Li, S. Shenoy , T.M. Orlando, C.A. Hibbitts, D. M. Hurley and W. M. Farrell Molecular water detected on the sunlit Moon by SOFIA Nature astronomy Pub data: 2020-10-26 , DOI: 10.1038/s41550-020-01222-x

4 M. Benna, D.M. Hurley, T.J. Stubbs, P.R. Mahaffy  R.C. Elphic Lunar soil hydration constrained by exospheric water liberated by meteoroid impactsNature Geoscience  2019, 12, 333–338

 

Figura 1 Ombre sulla Luna di diverse dimensioni riprese (A) dal Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) (https://svs.gsfc.nasa.gov/Gallery/LunarReconnaissanceOrbiter.html), missione lanciata nel 2009 e tuttora operante per individuare le zone in cui far allunare i prossimi robot degli USA. Tra gli scopi della missione, quello di indentificare zone polari con ghiaccio;, (B) dal rover Yuto della missione cinese Chang’e 3 del 2013, prima missione sul suolo della Luna dopo ila sonda sovietica Luna 24 nel 1976; (C) da Apollo 14, terza missione del programma Apollo del febbraio 1971.