Un nuovo allotropo dell’azoto ad altissima pressione.

Rinaldo Cervellati

Come ricordato in un precedente post sul carbonio, l’allotropia è la proprietà di esistere in diverse forme, presentata da alcune sostanze semplici (cioè sostanze i cui atomi sono dello stesso elemento). Le diverse forme sono note come allotropi. La definizione si deve a J.J. Berzelius (1779-1848). Tipico esempio è proprio il carbonio che esiste come grafite, diamante, fullereni, nanotubi e in una ancor diversa forma.

Nel numero dell’11 giugno scorso, su Chemistry World on-line, Tom Metcalfe ha riportato la notizia della realizzazione di un nuovo allotropo dell’azoto, ad altissima pressione, da parte di due gruppi di ricerca indipendenti che hanno pubblicato i loro risultati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Secondo i ricercatori, questo allotropo, formatosi a una pressione di 1,4 milioni di volte la pressione atmosferica, ha la stessa struttura atomica bidimensionale di alcune forme di altri elementi dello stesso gruppo nella tavola periodica, come il fosforo e l’arsenico.

Come noto, la forma più comune di azoto è quella gassosa molecolare, N2, che costituisce circa il 78% dell’atmosfera terrestre. Altre forme di azoto si trovano solo a temperature estreme, come l’azoto solido che si forma sulla superficie ghiacciata di Plutone. I singoli atomi di azoto sono estremamente reattivi e quindi raramente si riesce a individuare la struttura di questi solidi.

L’azoto è il capostipite del gruppo 15 della tavola periodica, che comprende fosforo, arsenico, antimonio e bismuto. Le forme ad alta pressione degli adiacenti carbonio (gruppo 14) e ossigeno (gruppo 16) possono mostrare proprietà chimiche simili ad altri elementi nei loro gruppi. Il diamante, ad esempio, un allotropo ad alta pressione di carbonio, è strutturalmente simile ai cristalli di silicio e germanio. Ma l’azoto – fino ad ora – non si è comportato in questo modo e i chimici hanno cercato di capirne il perché.

Ora, i due gruppi di scienziati hanno pubblicato in modo indipendente ricerche su quello che entrambi hanno chiamato “azoto nero” – un allotropo trasparente e cristallino dell’azoto formato a pressioni e temperature molto elevate. Riferiscono che gli atomi dell’azoto nero hanno la stessa struttura bidimensionale dell’allotropo del fosforo chiamato “fosforo nero”, da cui il nome dato alla nuova forma dell’azoto (figura 1).

Figura 1. Struttura cristallina del nuovo allotropo di azoto – soprannominato azoto nero – visto da diverse angolazioni. Credit: Am Phys Soc

Questa è la prima volta che un allotropo di azoto ha mostrato somiglianze chimiche con altri elementi del suo gruppo, afferma Dominique Laniel dell’Università di Bayreuth in Germania, che ha coordinato uno dei due gruppi di ricercatori [1].  Sostiene Laniel: “È una regola d’oro delle scienze dell’alta pressione che gli elementi ad alta pressione adottino le stesse strutture degli elementi dello stesso gruppo sottostanti nella tabella periodica a pressioni più basse. Prima di questa scoperta, apparentemente l’azoto non obbediva a questa regola.”

Dominique Laniel

Un secondo gruppo internazionale, comprendente scienziati cinesi, statunitensi e canadesi, ha pubblicato analoghi risultati pochi giorni dopo [2].

Il gruppo coordinato da Laniel ha realizzato un piccolo campione di azoto nero, largo solo pochi micrometri, comprimendo l’azoto tra le punte di una cella a incudine di diamante[1] (figura 2) a circa 140GPa e riscaldandolo con un laser a circa 4000K.

Figura 2. Cella a incudine di diamante

La coautrice Natalia Dubrovinskaia, geologa svedese, afferma che il campione risultante era così piccolo che si è dovuti ricorrere a uno specifico approccio speciale per condurre gli studi  cristallografici.

Natalia Dubrovinskaia

Gli allotropi sono comuni nella chimica ad alta pressione, ad esempio il gruppo svedese di Dubrovinskaia ha trovato tre nuovi allotropi ad alta pressione di boro, ma “l’identificazione strutturale di un allotropo di un elemento leggero come l’azoto a un milione e mezzo di atmosfere è rara, per non dire unica”, afferma la ricercatrice. E continua: “Mentre la struttura atomica bidimensionale del fosforo nero viene studiata per l’uso in elettronica, le condizioni necessarie per l’azoto nero sono così estreme che è improbabile che abbia applicazioni pratiche. Non si conosce a priori l’uso pratico di una scoperta, non oggi, certo, ma chi può prevedere domani ?”.

Il chimico fisico Russell Hemley dell’Università dell’Illinois a Chicago, non coinvolto in queste ultime ricerche, osserva che il nuovo allotropo è stato previsto in un lavoro del 1985 [3], mentre la possibilità che le molecole diatomiche possano rompersi sotto pressione per formare strutture complesse risale al 1935 [4].

Roald Hoffmann della Cornell University di Ithaca, New York, vincitore del premio Nobel per la chimica 1981, spiega che il nuovo allotropo è un semiconduttore a banda larga, costituito da atomi di azoto uniti da tre singoli legami e una sola coppia di elettroni su ciascun atomo. Un “grande lavoro sperimentale”.

Bibliografia

[1] D. Laniel et al., High-Pressure Polymeric Nitrogen Allotrope with the Black Phosphorus Structure., Phys. Rev. Lett., 2020, DOI: 10.1103/PhysRevLett.124.216001, 28 maggio 2020

[2] C.Ji et al., Nitrogen in black phosphorus structure., Sci. Adv, 2020, DOI: 10.1126/ sciadv.aba9206, 3 giugno 2020

[3] A. K. McMahan, R. LeSar, Pressure Dissociation of Solid Nitrogen under 1 Mbar. Phys. Rev. Lett.,198554, 1929.

[4] E. Wigner, H.B. Huntington, On the Possibility of a Metallic Modification of Hydrogen.,

  1. Chem. Phys., 19353, 764.

[1] Una cella a incudine di diamante (DAC) è un dispositivo ad alta pressione utilizzato negli esperimenti di geologia, ingegneria e scienza dei materiali. Consente la compressione di un piccolo pezzo di materiale (dimensioni inferiori al millimetro) a pressioni estreme.

Elementi della tavola periodica: Azoto, N.

Mauro Icardi

Azoto: simbolo chimico N, numero atomico 7, peso atomico 14,007.  Un gas senza colore, né odore. Appartenente alla serie dei non metalli. Tra tutti gli elementi del quinto gruppo, l’unico che si trova libero (allo stato biatomico) in natura. Capace di formare legami doppi e tripli. L’80% del volume totale dell’atmosfera è occupato da questo elemento. L’aria quindi è la principale fonte di azoto della terra.

In natura esso si presenta in forme diverse, più o meno disponibili per gli organismi viventi.  E’ sempre stato al centro degli approfondimenti nel lavoro che svolgo. Si può ritenere il propagatore degli eterni dilemmi della chimica. Se da tempo ci si interroga sulla chimica, se essa sia portatrice di benefici, oppure la responsabile di ogni nefandezza, a partire dall’ottimo libro di Luciano Caglioti “I due volti della chimica: Benefici o rischi?”, allo stesso modo ci si può porre la domanda per l’azoto: amico o nemico?

Ovviamente le attività dell’uomo hanno prodotto, in particolare negli ultimi tre secoli, un certo cambiamento nella composizione dell’aria sia in termini di concentrazione delle specie già presenti, sia in termini di rilascio di “nuovi” composti. Nel caso dei composti dell’azoto è necessario aggiungere ad N2 e NO anche il biossido di azoto (NO2), l’ammoniaca (NH3), gli acidi nitrico (HNO3) e nitroso (HNO2)

L’azoto venne scoperto nel 1772 da Daniel Rutherford, e contemporaneamente anche da Henry Cavendish in Inghilterra e da Carl W. Scheele in Svezia. Fu Lavoisier a dimostrare che si trattava di un elemento chimico. La presenza di ben tre legami covalenti impartisce alla molecola biatomica dell’azoto un’elevata stabilità. Per questa ragione, viene ampiamente utilizzato come gas inerte a livello industriale. L’azoto liquido è usato come refrigerante per il congelamento tramite immersione, per il trasporto dei prodotti alimentari, per l’immagazzinamento stabile dei campioni biologici.

L’azoto è anche componente delle proteine e degli acidi nucleici.
La proverbiale inerzia chimica dell’azoto molecolare, però, complica notevolmente la sua fissazione e quindi il suo impiego da parte degli organismi viventi come fonte di azoto indispensabile nella sintesi degli amminoacidi e delle proteine.

A questo punto vediamo di focalizzare l’attenzione sul ciclo dell’azoto.

Osservando questa immagine si nota una fitta trama di interconnessioni. Diversi sono anche i compartimenti dove le reazioni che rimettono in circolo l’azoto, tramutandolo da una forma all’altra, avvengono: il suolo, le piante, ma anche le stesse proteine e gli amminoacidi, costituenti degli organismi.

E’ possibile raggruppare l’insieme dei processi che determinano il ciclo dell’azoto in 3 gruppi di reazioni:

  1. Le reazioni di azotofissazione
  2. Le reazioni di ammonificazione
  3. Le reazioni di nitrificazione/denitrificazione

L’azotofissazione consiste in una serie di reazioni, che possono avvenire sia per via biologica che chimica, attraverso le quali viene attivata la conversione dell’azoto molecolare ad azoto organico in modo da renderlo disponibile per il metabolismo delle piante. Le leguminose sono piante che possiedono nelle proprie radici batteri azoto fissatori, in grado di arricchire il suolo di sostanze nutritive azotate. La fissazione biologica è mediata da microrganismi come l’Azobacter e il Rhizobium, ed è resa possibile da un enzima, la nitrogenasi, che catalizza la reazione che produce la rottura del triplo legame covalente stabile presente nella molecola di azoto. Una stima quantitativa è riportata nella figura seguente dal lavoro di Fowler e coll. citato in fondo:Nelle reazioni di ammonificazione si parte da composti organici complessi contenenti azoto. Le sostanze azotate, già derivate da processi di decomposizione della sostanza organica, vengono ulteriormente demolite in sostanze più semplici grazie all’azione di organismi presenti nei suoli, come funghi e batteri, che le utilizzano per fabbricare le proprie molecole essenziali (proteine e amminoacidi). La restante parte di azoto in eccesso viene liberata sotto forma di ioni ammonio  o di ammoniaca.Nelle reazioni di nitrificazione si ha l’ossidazione dello ione ammonio. Questo processo è a carico di alcune specie di batteri che ne traggono energia per le loro attività metaboliche.

Questo processo particolarmente attivo nei suoli caldi e umidi caratterizzati da valori di pH vicino a 7, si svolge attraverso due reazioni ossidative: la nitrosazione e la nitrificazione. La prima consiste nell’ossidazione dell’ammonio a nitrito ed è mediata da microrganismi come i Nitrosomonas:

NH4+ + 3/2 O2 → 2H+ + NO2 + H2O

La seconda reazione di ossidazione porta alla formazione dei nitrati mediata dai Nitrobacter:

NO2 + 1/2 O2 → NO3

In questo modo l’azoto rientra in circolo nella rete alimentare, considerato che il nitrato è la specie chimica attraverso la quale la maggior parte dell’azoto viene assimilata dalle piante attraverso le radici.

In ultimo con la denitrificazione i nitrati vengono scissi in seguito alle attività di alcuni batteri che vivono nel terreno (es Pseudomonas). Questi batteri scindono i nitrati liberando l’azoto che torna all’atmosfera. La denitrificazione avviene soprattutto in terreni saturi d’acqua con poca disponibilità di ossigeno e in presenza di materia organica decomponibile.

Da notare come le reazioni di nitrosazione, nitrificazione e denitrificazione siano quelle usate anche nei processi di trattamento biologico delle acque reflue.

Dopo la scoperta e l’industrializzazione del processo Haber-Bosch per la sintesi dell’ammoniaca, utilizzando come fonte di azoto l’aria atmosferica, il ciclo stesso nel tempo è risultato alterato.

La produzione mondiale di fertilizzanti azotati è cresciuta ,e si è verificato l’accumulo di forme reattive di azoto nella biosfera. Gli inconvenienti principali sono stati quelli dell’eutrofizzazione, del rilascio di tossine algali, e la perdita di biodiversità. I processi produttivi umani convertono all’incirca 120 milioni di tonnellate/anno di azoto in forme più reattive. E’ intuitivo capire che il problema dello sbilanciamento del ciclo dell’azoto non è di facile soluzione. Nell’articolo “A safe operating space for humanity” uscito nel Settembre 2009 su “Nature”, Johan Rockstrom ed i suoi collaboratori hanno proposto la riduzione di questo prelievo di azoto riducendolo a 35 milioni di tonnellate/anno.

Per lavorare in questa direzione occorrono più fondi per la ricerca , e come sempre un’informazione precisa, per rendere l’opinione pubblica più informata e attenta. E allo stesso tempo dobbiamo ricordarci che stime risalenti al 2008 ci ricordano che il 48% dell’umanità e stata sfamata grazie ai concimi prodotti dall’ammoniaca di sintesi. E che nel frattempo la produzione mondiale di fertilizzanti ha raggiunto attualmente i 190 milioni di tonnellate, di cui poco più di 110 milioni di azoto, 45 di fosforo e 35 di potassio. Sono le sfide che ci attendono nel futuro.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3682748/

Fowler D et al. 2013 The global nitrogen cycle in the twenty-first century. Phil Trans R Soc B 368: 20130164. http://dx.doi.org/10.1098/rstb.2013.0164

Un contributo a Discussion Meeting Issue ‘The global nitrogen cycle in the twenty-first century’.

Due capitoli significativi del Sistema Periodico di Levi: Cromo e Azoto

Mauro Icardi

Credo che nell’opera di Primo Levi “Il sistema periodico” sia uno dei libri più rappresentativi. Il libro è essenziale, e non è un caso che nel 2006 la Royal Institution britannica lo abbia scelto come il migliore di scienza mai scritto. In realtà non si può definirlo soltanto un testo scientifico, in quanto è un testo anche autobiografico. E’ un libro che ho molto regalato e molto consigliato. Che può essere apprezzato dai chimici e dai non chimici.

Forse può sembrare riduttivo, ma dovendo scegliere due capitoli che incarnino pienamente lo spirito del chimico, ed in particolare quello del chimico che applica la sua conoscenza nella risoluzione di problemi pratici, due risaltino in maniera particolare: “Cromo” e “Azoto”.

Il primo ambientato nell’immediato dopoguerra, racconta l’esperienza di Levi nel suo primo approccio con l’industria dei prodotti vernicianti, che sarà poi il lavoro che lo scrittore svolgerà per buona parte della sua esperienza lavorativa alla SIVA di Settimo Torinese.

Nel 1946 Levi lavora alla Duco di Avigliana. L’esperienza del Lager è recente e viva nella sua memoria. E’ spesso triste, isolato. Ma in quel periodo su uno dei fumosi ed arrangiati treni del dopoguerra che lo trasportano da Torino alla fabbrica in riva al lago, lo scrittore conosce quella che diventerà sua moglie, Lucia Morpurgo. E contemporaneamente, mentre nelle ore morte del lavoro continua la stesura di “Se questo è un uomo”, riceve finalmente un incarico che lo sottrae alla routine ed alla noia. Deve occuparsi di risolvere un problema. Provare a recuperare un lotto di vernici solidificate ed apparentemente inutilizzabili che giacciono in un angolo del cortile dell’azienda.

La soluzione del problema della vernice antiruggine ai cromati affronta uno dei temi cari allo scrittore. Quello del lavoro, della sua etica. Levi che nel primo periodo di lavoro non ha compiti fissi e viene invitato a studiare il processo di produzione delle vernici e a tradurre articoli tecnici dal tedesco, soffre di questa sua inattività pratica.

Ma finalmente il direttore dell’azienda lo incarica di recuperare le vernici inservibili. E Levi si appassiona. Ottiene i certificati di collaudo delle materie prime, i referti analitici delle vecchie analisi di controllo qualità. Si guadagna la nomea di rompiscatole. Ma finalmente capisce da dove origina il problema della solidificazione di quelle vernici. Il cromato acquistato per la produzione delle vernici deve, per contratto, non contenere meno del 28% di ossido di cromo totale. Ma la ricerca d’archivio mostra una anomalia sconcertante. Ogni lotto di cromato acquistato e collaudato mostra una percentuale di ossido fissa ed immutabile, cioè il 29,5% tra un lotto ed un altro. Ed è proprio questa anormalità, questo ripetersi di cifre uguali che fanno torcere le fibre di chimico di Levi. Che recuperate le quasi inviolabili PDC (prescrizioni di collaudo), leggendole con attenzione si accorge di un errore, dovuto ad una dimenticanza. Ovvero la scheda di collaudo è stata revisionata, e nell’istruzione operativa per il colludo del pigmento si legge che dopo la dissoluzione del pigmento, si devono aggiungere 23 gocce di un certo reattivo. Ma nella scheda precedente si legge che dopo la dissoluzione si devono aggiungere 2 o 3 gocce di reattivo. La “o” fondamentale è sparita nella trascrizione e revisione della scheda. L’eccesso ingiustificato di reattivo aggiunto ha falsato le analisi su quel valore fittizio di 29,5%, che ha nascosto ed impedito di respingere lotti di pigmenti troppo basici e che si sarebbero dovuti scartare.

Levi riuscirà a risolvere il problema inserendo nella formulazione di quel tipo di vernice il cloruro d’ammonio, che combinandosi con l’ossido di piombo, e liberando ammoniaca correggerà l’eccesso di basicità. Passeranno poi gli anni, e il cloruro d’ammonio inserito da Levi si continuerà ad usare, anche se a rigor di logica avrebbe dovuto essere utilizzato unicamente per recuperare le vernici non conformi.

Questo capitolo del libro mi è sempre molto piaciuto. Credo non sia così infrequente quando si lavora, dover fare i conti con alcune convenzioni radicate, che si continuano ad osservare, ma che ormai sono prive di significato pratico. Posso dire che mi sono capitate. Molte volte soprattutto nella gestione di alcune sezioni del depuratore. E queste situazioni insegnano a relazionarsi al meglio. Perché prendere il problema di punta, o scontrarsi non sortirebbe alcun risultato. Un episodio ricollegabile all’atmosfera di questo racconto Leviano mi capitò nei primi anni di lavoro. Un addetto alla conduzione dell’impianto mi venne a cercare per dirmi che a suo parere “avevamo fatto estrarre troppo fango di supero, e in disidratazione di fango non ne arrivava più”

Premetto che un’eventualità di questo genere e quantomeno remota se non impossibile. Una vasca di ossidazione si svuota se sono in avaria le pompe di ricircolo. E’ un’impresa svuotarle con un’eventuale errata impostazione delle pompe di spurgo. E questo l’ho capito dalla teoria e da molta pratica sul campo. Ma allora era da poco meno di un anno che lavoravo nel settore. Mi aspettavo di trovare un fango con poca concentrazione di solidi, molto diluito. In realtà non trovai proprio nulla. Semplicemente il trascinamento di materiale sfuggito alla sezione di grigliatura (il famigerato “malloppo” di bastoncini per orecchie, e un groviglio di calze da donna) aveva ostruito la girante di una pompa. E quindi interrotto il flusso idraulico. L’episodio mi fece tornare in mente il racconto di Levi.

Molte volte le abitudini, la potente narcosi delle pratiche burocratiche possono spegnere le migliori intenzioni. E l’atmosfera di “Cromo” ne da conto con uno stile profondamente umoristico.

Il secondo racconto del libro che ho letto e riletto, e che molte volte mi capita di citare è “Azoto”.

In questo racconto è narrata la singolare e fallimentare ricerca di sintetizzare allossana da utilizzare per la formulazione di rossetti per labbra. Essendo la molecola sintetizzabile per demolizione ossidativa dell’acido urico, Levi cerca di procurarsi la materia prima cercando vari tipi di escrementi, di rettili o di uccelli (le galline in questo caso) che ne sono ricchi, perché eliminano l’azoto allo stato solido come acido urico insolubile, e non allo stato liquido come nei mammiferi tramite la molecola di urea.

Qui le riflessioni di Levi sulla materia “né nobile, né vile” sulla poca, anzi nulla importanza della sua origine prossima, meriterebbero di essere lette come programma nei corsi e nelle lezioni divulgative di chimica.

Anche qui c’è un fondo umoristico ed una riflessione autobiografica. Pensare che una materia prima per produrre rossetti destinati ad abbellire le labbra delle signore, possa provenire da escrementi di gallina non turba per nulla Levi. Non è avvezzo a certi ribrezzi, soprattutto dopo l’esperienza del Lager.

Io mi sono servito di questo racconto, e delle riflessioni di Levi sulla materia quando mi è capitato di parlare di argomenti quali il riciclo integrale di acque reflue, o della gestione o analisi di campioni “difficili” quali fanghi, morchie, o residui alimentari, in particolare i fanghi provenienti dalla depurazione di acque di salumificio o dalla produzione di pasti per mense scolastiche.

Non ho mai avuto problemi nell’occuparmi di queste tipologie di campioni, a differenza di colleghi o di studenti che in visita agli impianti di trattamento, o durante gli stages si trovavano in una comprensibile e tutto sommato ovvia difficoltà.

Eppure proprio in “Azoto” Levi descrive in maniera mirabile un ciclo, quello dell’Azoto appunto, con molta naturalezza e semplicità. Cogliendo in pieno la filosofia della chimica come scienza della materia e delle sue trasformazioni. Due capitoli di un libro “Il sistema periodico” che ancor più de “La chiave a stella” avvicina il lettore alla doppia anima di Primo Levi. Al suo mestiere di chimico a quello di scrittore. Sono ancora molte le persone che non sanno che Levi era un chimico. Leggendo questo libro capirebbero alcune cose di chimica, molte altre su Levi. Un autore che va letto perché ha molto da dirci. La dualità di chimico e scrittore è il fondamento del suo stile letterario.

ENA, che vuol dire?

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Luigi Campanella, ex Presidente SCI

Recentemente la prestigiosa rivista Environmental Science & Policy ha pubblicato l’articolo scientifico “The contribution of food waste to global and European nitrogen pollution”, a firma di Ugo Pretato e di Bruna Grizzetti, Luis Lassaletta, Gilles Billen e Josette Garnier del Centre National de la Recherche Scientifique e della Université Pierre et Marie Curie di Parigi.

Lo studio individua nella domanda di cibo uno dei maggiori fattori d’immissione di azoto nell’ambiente, con impatti negativi sulla salute umana e sugli ecosistemi. Nonostante il costo economico e ambientale, la quantità di cibo sprecata è assai rilevante. Il lavoro degli autori quantifica la dispersione di azoto nell’ambiente dovuta allo spreco di cibo su scala europea e globale, e ne analizza il potenziale impatto ambientale lungo il ciclo di vita dei prodotti.

L’impronta d’azoto (nitrogen footprint) costituisce uno strumento utile e innovativo per fornire supporto alla decisione nel quadro delle politiche europee di riduzione del carico ambientale di azoto.

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Sulla stessa lunghezza d’onda l’Unione Europea ha introdotto l’ENA, sigla poco conosciuta, ma molto importante, che rappresenta la valutazione Europea sullo stato dell’azoto e quest’anno ha individuato nell’agricoltura anche finalizzata alle produzioni alimentari la maggior sorgente di perdite di azoto come ammoniaca, nitrato e nitrito. In particolare viene evidenziato il peso minore che le produzioni alimentari basate su piante hanno rispetto alle altre, rapporto circa 1: 4. E’ anche stata calcolata l’impronta azoto per singolo cittadino rilevando che al livello dei Paesi Europei c’è notevole disomogeneità con un fattore compreso fra 2 e 4 fra i valori più alti e quelli più bassi. Il consumo di proteine in Europa è circa del 70% superiore alle raccomandazioni dell’organizzazione Mondiale della Sanità, il che indirizza verso la necessità di diete meno proteiche. Anche per i grassi fra il dato reale e l’optimum si registra una differenza di circa il 40% suggerendo anche in questo caso adattamenti dietetici. Su questi aspetti in uno dei prossimi numeri di Chimica e Industria comparirà un articolo con dati assai più dettagliati, dai quali anche emerge che una riconsiderazione delle diete avrebbe come conseguenza virtuosa una riconsiderazione di come utilizzare il terreno coltivabile a favore di minori emissioni di azoto secondo quanto si diceva all’inizio con presumibile conseguenza anche sul piano sociale ed economico da un lato con attenzione alle produzioni più accessibili a tutti e dall’altro alle produzioni che vengono esportate con conseguente vantaggio per la bilancia dei pagamenti. Tali modifiche possono anche rispondere ad un criterio strettamente ambientale: riduzione dell’inquinamento, riduzione delle emissioni di gas serra e dei conseguenti cambiamenti climatici.

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Nell’aprile di quest’anno-in accordo con quanto sopra detto- è stato pubblicato dalla stessa Ue un Rapporto speciale che fornisce una valutazione di che cosa accadrebbe se l’ Europa decidesse di fare diminuire il suo consumo di carne e di prodotti lattier-caseario.Il rapporto mostra quanto ridurre carne e latte nelle nostre diete diminuirebbe l’inquinamento azotato nell’aria e nell’acqua,nonchè le emissioni di gas effetto serra, al tempo stesso liberando ampie aree di terreno coltivabile per altri scopi quali l’esportazione o la bioenergia.Nel rapporto viene anche considerata l’indennità malattia derivante dal consumo diminuito di carne.

Non fidarsi mai di compiacere il potere

 Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Haber1Cadono quest’anno ottanta anni dalla morte del chimico tedesco Fritz Haber (1868-1934), grande e controverso protagonista del ventesimo secolo. Nel corso dell’Ottocento era cresciuta rapidamente la popolazione mondiale e la richiesta di alimenti che potevano essere ottenuti con coltivazioni agricole intensive che impoverivano i terreni delle principali sostanze nutritive fra cui quelle azotate. Justus von Liebig (1803-1873), nella metà dell’Ottocento, aveva chiarito che la fertilità dei terreni avrebbe potuto essere reintegrata se fossero stati addizionati con sostanze azotate e aveva indicato come concime il nitrato di sodio che veniva scavato nell’arido altopiano cileno. Era così cominciato lo sfruttamento dei giacimenti, non certo illimitati, di nitrati la cui esportazione stava facendo la fortuna economica del Cile. La dipendenza dai nitrati cileni, costosi e distanti migliaia di chilometri, rallentava lo sviluppo economico e agricolo europeo.

220px-Nitrate-ion-2DOltre che come concime i nitrati erano importanti per la fabbricazione degli esplosivi, dalla polvere da sparo ai più potenti esplosivi organici, come il tritolo che richiedevano acido nitrico come i prodotti della nascente industria delle sintesi organiche di coloranti e medicinali.

Alla fine dell’Ottocento c’era un gran fermento fra i chimici per trovare dei surrogati del nitrato del Cile. L’azoto era disponibile in quantità grandissime nell’atmosfera ma l’azoto gassoso anche puro, può essere “fissato” con altri elementi, soltanto con mezzi fisici, pressione e temperatura, molto energici. Nel 1898 Adolf Frank (1834-1916) e Nikodem Caro (1871-1935) avevano messo a punto un processo di fissazione dell’azoto atmosferico per reazione con carburo di calcio ottenuto in forno elettrico da calce e carbone; la calciocianammide così prodotta si prestava all’impiego come concime azotato. Gli svedesi Kristian Birkeland (1867-1917) e Sam Eyde (1866-1940) avevano inventato un processo di produzione dell’acido nitrico per reazione ad altissima temperatura, in un arco elettrico, dell’azoto con l’ossigeno dell’aria, ma il processo era costoso per l’elevato consumo di elettricità.

La vera soluzione fu trovata da Fritz Haber; nato a Breslavia da famiglia ebraica, aveva studiato a Berlino, Zurigo e Jena ed era diventato professore alla Scuola Superiore Industriale di Karlsruhe dove raggiunse grande fama per i suoi studi sulla termodinamica delle reazioni fra gas. Altri chimici avevano tentato senza successo la sintesi diretta dell’ammoniaca per combinazione di azoto e idrogeno, una sintesi durante la quale si libera calore e che ha luogo con buoni rendimenti soltanto se la miscela è tenuta ad elevata pressione e a bassa temperatura, due condizioni difficilmente conciliabili.

Haber studiò sistematicamente le condizioni di pressione e temperatura a cui si potevano ottenere rese soddisfacenti di ammoniaca e osservò che i rendimenti miglioravano in presenza di adatti catalizzatori come osmio o uranio. Le condizioni per la produzione di ammoniaca sintetica furono l’oggetto di un brevetto del 1908 subito acquistato dalla grande industria chimica BASF presso la quale Karl Bosch (1874-1940) perfezionò e applicò il processo industrialmente usando un catalizzatore di ferro. La prima fabbrica di ammoniaca sintetica fu aperta ad Oppau nel 1913, alla vigilia della prima guerra mondiale.

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Il processo pensato per produrre i concimi per sfamare milioni di terrestri, ebbe la prima applicazione per produrre esplosivi che uccisero milioni di persone. Con una reazione studiata anni prima da Wilhelm Ostwald (1853-1932) era infatti possibile trasformare l’ammoniaca in acido nitrico, la materia necessaria per gli esplosivi che la Germania avrebbe avuto difficoltà a fabbricare per il blocco delle importazioni del nitrato cileno; senza la sintesi dell’ammoniaca ottenuta da Haber la Germania avrebbe potuto resistere in guerra solo pochi mesi.

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Clara_Immerwahr

Haber spinse il suo patriottismo fino a suggerire l’uso in guerra come gas asfissiante del cloro che fu impiegato per la prima volta contro i soldati francesi il 22 aprile 1915 a Ypres, nel Belgio. Un evento già ricordato in questo blog da Marco Taddia
https://ilblogdellasci.wordpress.com/perle/errori-di-guerra/
La moglie Clara Immerwahr (1870-1915), una chimica anche lei, che Haber aveva sposato nel 1901, cercò di dissuadere il marito dal barbaro impiego digas tossici in battaglia; quando seppe dell’attacco di Ypres si uccise, dieci giorni dopo, il 2 maggio, con un colpo di pistola. L’assegnazione ad Haber del premio Nobel per la chimica nel 1918 suscitò vivaci polemiche.

Finita la “grande” guerra la Germania era sommersa dai debiti per irisarcimenti ai vincitori; ancora una volta Haber, per aiutare il suo paese, pensò di estrarre l’oro dall’acqua di mare che ne contiene 6 milligrammi per ogni mille metri cubi; fu attrezzata una nave-laboratorio ma l’impresa fallì. Intanto Haber era diventato una celebrità internazionale e anche un uomo ricchissimo; grazie al suo processo già nel 1929 il 40 percento dell’azoto industriale usato nel mondo era sotto forma di ammoniaca sintetica.

Tragico destino quello di Haber. Quando Hitler salì al potere nel 1933 decise di sbarazzarsi di “quell’ebreo di Haber”; benché Haber si fosse convertito al cristianesimo e nonostante le pressioni di molti autorevoli colleghi, Hitler fu irremovibile. Haber dovette dare le dimissioni dalle sue cariche e dall’insegnamento e riparò in Inghilterra; nel 1934, già malato, si mise in viaggio verso la Palestina, dove era stato invitato, ma durante il viaggio morì a Basilea, nel gennaio di quell’anno.

Vari parenti di Haber furono assassinati nei campi di concentramento nazisti. Il figlio della prima moglie, Hermann (1902-1946) emigrò negli Stati Uniti dove si uccise, oppresso dal ricordo del contributo del padre all’uso dei gas di guerra. Ludwig (1921-2994), figlio della seconda moglie Charlotte Nathan, anche lei, come Clara, una ebrea convertita al cristianesimo che Haber aveva sposato nel 1919, emigrò negli Stati Uniti dove si occupò di storia della chimica e scrisse un libro intitolato: ”The Poisonous Cloud. Chemical Warfare in the First World War” (1986).librohaber

Haber resta una delle figure rilevanti nella storia della chimica, anche se il suo zelante impegno nella guerra chimica ne ha offuscato la reputazione; un esempio di intreccio perverso fra scienza, successo e politica e di come sia pericoloso per uno studioso fidarsi del potere.

Bilanci di materia.

a cura di C. Della Volpe

Negli ultimi anni è cresciuta la coscienza del ruolo della attività umana nel sistema Terra con effetti climatici ed ambientali enormi. Nonostante le prove di questi stravolgimenti si accumulino sempre più, costringendo alle corde i pochi e rarefatti oppositori scientifici ed onesti di questa visione, rimane a livello di grande pubblico una diffusa ignoranza. Grandi masse di persone ignorano le leggi scientifiche e i risultati della ricerca, rimanendo schiave di visioni e concezioni “neghiste” di varia natura.

Una delle cose più difficili da accettare è la dimensione fisica, nel senso scientifico del termine, dell’umanità, ossia il ruolo che l’attività produttiva ha rispetto alle dimensioni dei flussi planetari di materia, una attività umana che ha sconvolto o alterato praticamente tutti i cicli importanti del pianeta. Tento in questo breve post di dare un piccolo contributo per colmare questa ignoranza fornendo alcune informazioni di base sulle quantità di materia processate dall’uomo in rapporto alle quantità di materia che la natura riesce a riciclare ogni anno.

Sapete, per esempio, quali quantità di acqua usiamo rispetto a quella che riceviamo dalle precipitazioni totali sul globo? Secondo i dati Aquastat, che sono dati ufficiali ONU, nel 2008 le precipitazioni totali contano 108.000km3, se eliminiamo l’acqua che evapora e che ammonta a 65.000km3 rimangono circa 43.000km3 di risorse interne, a fronte dei nostri usi complessivi che sono stati di  3860 km3, ossia il 9% delle risorse interne dell’acqua disponibile.

La percentuale è alta ma all’apparenza non enorme. C’è un ma; come la restituiamo l’acqua che usiamo? Beh, parecchio più sporca! Recentemente l’ISPRA, (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) nel Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque 2013, realizzato sulla base delle informazioni fornite dalle Regioni e dalle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente ha concluso che in Italia il 55% dei punti di campionamento superficiale e il 28% di quelli sotterranei era inquinato da qualcuno dei 350 tipi di sostanze fitosanitarie usate in agricoltura e che in circa un terzo dei casi (34.1%) tale inquinamento superava i valori ammessi per la potabilità delle acque. E la situazione non è migliore nel resto del mondo.

Un secondo dato da conoscere è la quantità di anidride carbonica che immettiamo in atmosfera; è difficile valutarla con precisione perché una parte è diretta, ossia dipende dalle combustioni e l’altra invece è indiretta, ossia dipende dalle nostre attività agricole e forestali. Beh, la sola parte diretta assomma a circa 10 miliardi di ton di carbonio equivalente: i nostri consumi di energia primaria sono di oltre 12 miliardi di ton di petrolio equivalente e per l’87% sono di combustibili fossili, e

primaryenergy2012Source: BP Statistical Review of World Energy, 2012

usando le formule brute di petrolio (CH2), carbone (C) e metano (CH4) la quota di carbonio emessa è esattamente di 9.4Gton anno.

Bene, la stima dell’input totale di carbonio in atmosfera da parte dei produttori naturali terrestri è di circa 60Gton/anno. Quindi per questo solo fattore contiamo per il 15% del totale. Ovviamente una parte di questo carbonio in eccesso viene riassorbito da tutti i meccanismi di riassorbimento (principalmente dal mare il cui pH si è spostato verso il basso negli ultimi 250 anni di circa 0.1 unità di pH, pari al 21%) e quindi l’apporto “netto” al carbonio atmosferico è circa la metà di questo valore.

La domanda è che cosa cambiano 4.5Gton di carbonio, come CO2, ossia 4.5×3.66=16.5 Gton di CO2? Ebbene esse costituiscono all’incirca lo 0.5% in aggiunta allo stock atmosferico di questo gas (sono all’incirca 3000Gton, attualmente corrispondenti a 390ppmv) che così aumenta ogni anno in proporzione: ed ecco le circa 2 ppmv di aumento medio annuo della concentrazione di anidride carbonica!

Sto facendo certo una enorme semplificazione rispetto ai complessi flussi di tutti i meccanismi, ma è impressionante come le quantità complessive si ritrovino:

maunaloa

Volete qualche altro esempio? Allora consideriamo i due elementi non “fungibili” della vita P e N; nella sua poesia Robert Garrels,

garrels

che ne analizzò fra i primi i comportamenti, recitava:

I put some P into the sea
the biomass did swell
But settling down soon overcame
and P went down toward Hell

From Purgatory soon released
it moved up to the land

To make a perfect rose for thee
to carry in thy hand

But roses wilt and die you know
then P falls on the ground

Gobbled up as ferric P
a nasty brown compound

The world is moral still you know
and Nature’s wheels do grind

Put ferric P into the sea
and a rose someday you’ll find

Quante sostanze contenenti fosforo usiamo? In agricoltura usiamo i minerali fosfatici in ragione di 200Mton/anno;

phosphate(dati USGS)

che, dato che le rocce fosfatiche contengono circa un terzo in massa di ione fosfato PO4-3, corrispondono approssimativamente a 7×1011 moli di P. Ebbene questa quantità corrisponde a 7 volte la stima del “fosforo” che arriva in mare dalla degradazione naturale delle rocce (The Earth System 3rd ed. Kump, Kasting, Crane, ed Pearson) e ad un settimo di tutto il “fosforo” che la “pompa biologica”, ossia il complesso dei flussi oceanici in upwelling e downwelling mobilizza ogni anno.

Un numero mostruoso!

Ma non è il solo; che succede con l’azoto? Una cosa equivalente. L’industria dell’ammoniaca, basata sulla reazione di Haber-Bosch, è in grado di fissare ogni anno quasi 140Mton di azoto.

nitrogen(dati USGS)

Stiamo quindi parlando di circa 1013 mol di azoto all’anno che è circa quanto viene “fissato” sulla terra e sul mare dal resto della biosfera, ossia 1.4×1013 mol (The Earth System 3rd ed. Kump, Kasting, Crane, ed Pearson).

Secondo i testi universitari ci sono molti dubbi che attualmente il ciclo dell’azoto e del fosforo siano effettivamente bilanciati, dato il gigantesco apporto umano legato alla moderna agricoltura industrializzata e che non prevede alcun meccanismo retroattivo utile di recupero. Azoto e fosforo si accumulano nell’ambiente con enormi danni alla catena trofica.

La Terra e l’aria sono i nostri depositi dell’immmondizia! Per P e N l’uomo è il player principale. Ha di gran lunga superato ogni altra specie vivente e anche parecchi processi naturali a scala planetaria.

E la cosa più assurda è che nonostante questa gigantesca produzione di azoto e fosforo abbia sbilanciato i due cicli naturali preesistenti, oltre un miliardo di uomini soffre la fame e i più ricchi soffrono di malattie da sovra-alimentazione. La tanto celebrata rivoluzione verde, pur non riuscendo a nutrire tutti, ha certamente sbilanciato i cicli della biosfera e l’unico modo per renderla sostenibile sarebbe di attivare meccanismi di riassorbimento efficaci.

Quale conclusione possiamo trarre?

Direi che gli attuali metodi ed approcci produttivi non sono più a lungo sostenibili e la Chimica avrà la responsabilità di cercare delle alternative sostenibili.

Ma soprattutto chi ha la responsabilità di fare scelte a livello globale deve conoscere e riflettere su questi numeri ed operare scelte conseguenti.

E, infine ciascuno di noi consapevole di questi trend, deve, nel suo quotidiano, vivere cercando di ridurre  il proprio impatto sul pianeta.

Enzo Tiezzi avrebbe detto: L’economia non può fare  a meno della Chimica.

Per approfondire:

The Earth System 3rd ed. Kump, Kasting, Crane, ed Pearson

http://www.educazionesostenibile.it/portale/sostenibilita/tecnica-a-ecologia/racconti/1524-breve-storia-dei-fosfati-nutrimento-della-terra.html

la pagina dello US Geological Survey è una miniera di dati sui minerali

http://www.usgs.gov/

http://www.wri.org/publication/content/8398

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