Claudio Della Volpe
Giorni fa mi sono imbattuto nella pubblicità di vari tipi di stufe che non appaiono così comuni e mi è venuta spontaneamente la voglia di approfondirne le caratteristiche; dopo tutto siamo in inverno e il riscaldamento degli edifici è uno dei problemi pratici da affrontare per milioni di persone; certo la cosa migliore è di investire in case che non hanno bisogno di riscaldamento oppure che usano energie rinnovabili, per esempio l’accoppiata fotovoltaico-geotermia a bassa temperatura che si avvia a diventare una delle tecniche più interessanti.
Ma diciamo la verità, da una parte la scarsa conoscenza tecnica dall’altra la presenza di un robusto sistema produttivo basato sul bruciare qualche tipo di combustibile e infine i costi relativamente elevati delle tecnologie più nuove fanno si che vengano alla ribalta metodi molto più tradizionali.
Oggi vi farò due esempi, fra di loro alquanto diversi, di questi metodi perché mi hanno colpito e perché dopo tutto sono relativamente diffusi: uno è un metodo di riscaldamento diretto basato sulle stufe ad alcool etilico o come dicono i venditori a “bioetanolo” e l’altro un metodo sostanzialmente di accumulo del calore, le stufe a sabbia, che potrebbe forse essere sfruttato per cose più ambiziose.
C’è un massiccio dispositivo pubblicitario che spinge le cose, specie nel caso delle stufe a bioetanolo e che è basato su una serie di enormi ambiguità.
A cominciare dal nome “bioetanolo”; come al solito il prefisso bio è usato con uno scopo esclusivamente pubblicitario; si sottintende che dato che è di origine naturale, ottenuto per distillazione da componenti vegetali è un prodotto sano e buono di per se; ma le cose sono più complesse di così.
Lavori recenti confermano quel che già si sapeva: la produzione di bioetanolo da piante come la cassava o il mais o la canna da zucchero entra in diretta concorrenza con la produzione di cibo e lo fa specie in paesi poveri, dove quella produzione è preziosa. In secondo luogo se uno fa il conto di quanta energia si ottiene per via netta, scorporando l’energia grigia (ossia quella che serve alla coltivazione distillazione e trasporto ) il conto non torna, i risultati sono spesso al limite o della unità o di un valore critico minimale (EROI 3:1) e solo alcuni autori lo stimano molto alto e comparabile con quello di tecnologia più affermate (per dati affidabili si veda per esempio un lavoro di Hall, che ha inventato il concetto di EROI, e altri, https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0301421513003856).
Dunque la parolina bio non basta a rendere l’etanolo di origine agricola un prodotto sostenibile; ma c’è molto di più. Il vantaggio che viene stressato da chi vende le stufe a bioteanolo o ad etanolo (dopo tutto il consumatore finale difficilmente è in grado di rendersi conto della effettiva origine del combustibile che compra casomai su Amazon) è che non c’è bisogno per queste stufe di avere un camino.
Alcuni produttori citano a questo riguardo un regolamento europeo del 1993 (dunque ormai trentennale) ma che si riferisce alla denaturazione dell’alcol etilico; mentre in realtà le norme che consentono e regolano le stufe a bioetanolo sono norme UNI o EN, la UNI-11518:2013 poi superata dalla UNI EN 16647 : 2016; come tutte le norme UNI questa non è libera, cioè occorre pagare per poter leggere le norme necessarie a fare le cose, una assurdità tutta italiana e tutta mercantile; d’altronde siamo o no il paese in cui per sapere come pagare le tasse occorre andare da un commercialista o al CAF? Diciamo che questi pagamenti servono agli stipendi di UNI più che a pagare gli esperti che fanno le norme e che non vengono pagati.
Alcune cose si riescono a estrarre comunque.
Ci sono alcuni metodi di riscaldamento a combustione che non necessitano di camino: sia l’etanolo che gli idrocarburi liquidi, il GPL (questi ultimi se bruciati in stufe a catalizzatore) godono di questo privilegio. (ATTENZIONE: le stufe a pellet dette “senza canna fumaria” in realtà necessitano di una canna fumaria, non necessariamente in muratura.)
La differenza fra queste due tipologie sta nel fatto che le stufe a etanolo o a GPL non fanno fumi (o almeno non ne fanno in quantità significative), ma producono invece i prodotti basici della combustione, CO2 ed acqua, più una quantità piccola ma misurabile di altre molecole tipiche delle combustioni, anche in funzione delle condizioni effettive di composizione del combustibile e di combustione (miscelazione, temperatura, etc). La purezza del combustibile è dunque condizione essenziale per evitare la produzione di sostanze tossiche o semplicemente puzzolenti. Non completamente perché secondo il regolamento del 1993 che invece stabilisce la composizione dell’alcol denaturato (che è quello al 96% che si usa in questi casi) una quantità di “impurezze” sono permesse dalla legge; le tecniche di denaturazione dipendono dal paese europeo; in Italia per esempio l’alcool denaturato contiene:
Per ettolitro anidro di alcole puro:
– 125 grammi di tiofene,
– 0,8 grammi di denatonium benzoato,
– 0,4 grammi di C.l., acid red 51 (colorante rosso),
– 2 litri di metiletilchetone.
Nel momento della combustione queste sostanze, specie all’inizio, possono produrre comunque odore sgradevole. Infine piccole quantità di CO (che è tossico, non solo asfissiante come la CO2) si possono produrre specie se il dispositivo funziona male.
Un secondo problema è causato poi dal fatto che l’alcool etilico è infiammabile e questo, specie in fase di riempimento del serbatoio, può dare origine a pericolosi incidenti se non si rispettano regole precise per evitare il contatto con materiali molto caldi; un nutrito set di incidenti a livello internazionale è riportato in letteratura (vedi in fondo) . Per evitare grandi rischi la quantità di alcol che si può usare per ciascuna alimentazione è ridotta, diciamo che in una grande stufa c’è un serbatoio di 4-5 litri ossia, considerando la densità di 0.8 kg/L, qualche chilo.
E arriviamo ad un po’ di stechiometria e chimica fisica; quanto calore e quanta CO2 si producono?
L’entalpia di combustione dell’alcol etilico puro è di 27 MJ/kg (la legna oscilla fra 15 e 17MJ/kg) e la quantità di CO2 prodotta è di 1.9kg/kg (all’incirca 1.8 nel caso del legno).
La differenza sta oltre che nella bassissima produzione di fumi da parte dell’alcol nel ridotto rischio nel maneggiare la legna; mentre far bruciare l’alcol è molto semplice accendere il fuoco con la legna può essere parecchio più difficile.
Una grande stufa ad alcol, diciamo da 3-4 kW di potenza col suo serbatoio di 5 litri (ossia 4kg) potrà bruciare per quanto tempo? La risposta è alcune ore, ma queste sono le dimensioni massime che si possono avere; semplice fare il conto se avete 4kg di alcol potete ottenere poco più di 108MJ di energia termica; 4 kW sono 4kJ/s e dunque la stufa potrà lavorare per 7-8 ore, consumando circa mezzo litro l’ora. E quanta CO2 produrrà? Quasi 8kg che sono 4mila litri di gas, 4 metri cubi, raggiungendo una concentrazione in un volume poniamo di 300 metri cubi,(consideriamo un appartamento di 100 metri quadri ) superiore all’1%, che è 20-30 volte maggiore della concentrazione naturale (0.04%) ossia arriviamo a 8-10mila ppm mentre il massimo consigliato in ambienti molto vissuti è 2500 ppm per evitare disturbi significativi ; un po’ troppo! Per cui la norma UNI impone di aerare i locali ripetutamente e questo ovviamente contrasta con il mantenimento di una temperatura decente. Anche perché si genera parecchia acqua (1.2 kg/kg di alcol) e l’umidità ambientale aumenta col rischio di avere condensa e muffe.
Conclusione: sì, potete risparmiare di costruire un camino se non ce l’avete, ma la resa complessiva non sarà ottimale rispetto a quella di avere un camino funzionante e in genere non se ne consiglia l’uso in grandi ambienti : piccole stufe in piccoli ambienti, non il riscaldamento principale insomma, e sempre attenti a rischio incendio e qualità dell’aria.

Certo sono oggetti anche ben fatti ed esteticamente validi, ma questo cosa c’entra col riscaldamento?
Un’ultima considerazione è il costo; al momento è di 3 euro al litro, poco meno di 4 al kilo, mentre la legna costa 1 euro al kilo; la differenza è notevole per unità di calore ottenuta.
Passiamo alla stufa a sabbia che è invece un oggetto della mia infanzia. mio padre era un convinto utente della stufa a sabbia; ai tempi era elettrica come è anche adesso e dunque un oggetto dai consumi certo non economici; dove è l’utilità?
L’utilità è nella capacità di riscaldare la stufa ad una temperatura anche elevata e consentire il rilascio lento di questo calore nel tempo; di solito è fatta immergendo delle resistenze metalliche nella sabbia; e la sabbia ha una capacità termica che può essere significativa dato che può raggiungere temperature elevate senza alterarsi significativamente, anche varie centinaia di gradi; ovviamente il problema è che non potete toccare la sabbia e il dispositivo deve essere costruito in modo da evitare contatti molto pericolosi, deve riscaldare solo l’aria ambiente.
La capacità termica della sabbia è di 830J/kgK; immaginiamo allora di averne a disposizione 1 kg e di riscaldarlo a 100°C sopra la temperatura ambiente; il calore disponibile sarà di 83000J; supponiamo di averne 100kg, un oggetto parecchio pesante dunque, ma una volta riscaldato avrà accumulato e ci restituirà nel tempo 8.3MJ e se lo riscaldiamo a 200°C sopra l’ambiente avremo l’accumulo di 16.6MJ che corrispondono a bruciare un kilo di legno.
Non è impossibile isolare bene la massa di sabbia e conservare il calore per parecchie decine di ore o anche più sfruttandolo all’occorrenza.
L’idea, che è venuta ad un gruppo di tecnici finlandesi della Polar Night Energy, è di usare sabbia di quarzo di buona qualità ed in grandi quantità riscaldata a 1000°C usando per esempio eolico o fotovoltaico nei momenti di eccesso di produzione; in questo modo ogni ton di sabbia di quarzo potrebbe immagazzinare 830MJ/ton e secondo i loro esperimenti e calcoli rappresenta un modo innovativo ma semplice di accumulare energia termica a basso costo (attenzione una ton di idrocarburo produce oltre 40GJ, 50 volte di più).
Attualmente ci stiamo concentrando su due prodotti. Al momento possiamo offrire un sistema di accumulo di calore con potenza di riscaldamento di 2 MW con una capacità di 300 MWh o una potenza di riscaldamento di 10 MWh con una capacità di 1000 MWh. Il nostro sistema di accumulo di calore è scalabile per molti scopi diversi e amplieremo la gamma di prodotti in futuro. I nostri accumulatori sono progettati sulla base di simulazioni che utilizzano il software COMSOL Multiphysics. Progettiamo i nostri sistemi utilizzando modelli di trasporto del calore transitorio 3D e con dati di input e output reali. Abbiamo progettato e costruito il nostro primo accumulo di calore commerciale a base di sabbia a Vatajankoski, un’azienda energetica con sede nella Finlandia occidentale. Fornirà calore per la rete di teleriscaldamento di Vatajankoski a Kankaanpää, in Finlandia. L’accumulo ha una potenza di riscaldamento di 100 kW e una capacità di 8 MWh. L’utilizzo su vasta scala dello stoccaggio inizierà durante l’anno 2022. Abbiamo anche un impianto pilota da 3 MWh a Hiedanranta, Tampere. È collegato a una rete di teleriscaldamento locale e fornisce calore per un paio di edifici. Il progetto pilota consente di testare, convalidare e ottimizzare la soluzione di accumulo di calore. Nel progetto pilota, l’energia proviene in parte da un array di pannelli solari di 100 metri quadrati e in parte dalla rete elettrica.
Il dispositivo è correntemente sul mercato. Ci riscalderemo con queste “batterie a sabbia”?

Materiali consultati oltre quelli citati.
https://www.expoclima.net/camini-a-bioetanolo-la-nuova-norma-uni-11518
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:01993R3199-20050814
https://www.treehugger.com/viral-sand-battery-isnt-what-it-seems-5547707
anche in Italia si producono “batterie a sabbia”: https://www.magaldigreenenergy.com/en/economy-energia-green-con-le-batterie-di-sabbia
Incidenti con le stufe a bioetanolo:
J Burn Care Res 2011 Mar-Apr;32(2):173-7. doi: 10.1097/BCR.0b013e31820aade7
Burns Volume 42, Issue 1, February 2016, Pages 209-214
https://www.sciencedaily.com/releases/2014/09/140903091728.htm
Ringrazio Gianni Comoretto per gli utili suggerimenti.