Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo
a cura di Vincenzo Balzani, Professore emerito, Alma Mater
Prolusione in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2017, tenuta in Bologna, venerdì 18 novembre 2016 nell’ Aula Magna di Santa Lucia
Magnifico Rettore, autorità, gentili ospiti, colleghe, colleghi, studenti, signore e signori, buona sera.
Il titolo che ho dato al mio intervento può apparire un po’ audace: per molti, Chimica è quell’orribile materia scolastica di cui ci si vanta di non aver mai capito nulla; per altri, Chimica significa sofisticazioni, inquinamento ed incidenti. Quindi, accostare Chimica a Creatività può apparire una provocazione. Qualcuno potrebbe dire: la Chimica ha già fatto abbastanza danni, non ti provare a crearne altri. Se si facesse un referendum con una sola domanda: “Siete favorevoli ad abolire la Chimica?”, senza alcun dubbio vincerebbe il SI’. Ma, mi dispiace, la Chimica non si può abolire, per il semplice fatto che tutto quello che c’è al mondo, attorno a noi e anche in noi, è Chimica!
Nel mio breve intervento vorrei spiegare perché le ricerche sulle macchine molecolari, di cui si è molto parlato dopo l’annuncio del premio Nobel 2016, sono realmente un settore di punta della Chimica e della Scienza tutta.
Chimica e creatività, dunque, con riferimento alle macchine molecolari; ma gli scienziati possono essere creativi? O lo sono solo gli artisti? Si, è vero, spesso si pensa che uno scienziato sia una persona intelligente, ricco di idee originali: insomma, che sia un genio. Forse lo è, ma nel senso che intendeva Edison: “Genius is one percent inspiration and ninety-nine percent perspiration”. In effetti gli scienziati sono anzitutto gente che lavora sodo. L’idea creativa è un lampo: poi c’è da metterla in pratica.
Chimica e creatività, dunque. Ma cosè la creatività? E’ definita in molti modi, quasi tutti convergenti. Secondo Henri Poincaré “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove”. François Jacob ha scritto che “La creatività nasce da associazioni, prima mai considerate, di cose già note. Creare è ricombinare”. La definizione che più mi piace, però, è la seguente, che ho formulato modificando leggermente una famosa frase di Albert Szent-Györgyi: “La creatività consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò a cui nessuno ha mai pensato”.
Per spiegare cosa sono le macchine molecolari, mi servirò di questi suggerimenti: farò una connessione, un paragone, fra due cose apparentemente non collegate: la Chimica e il linguaggio.
Le molecole
Gli elementi fondamentali del linguaggio sono le lettere raccolte nell’alfabeto (Figura 1). Gli elementi fondamentali della chimica sono gli atomi, raccolti nella tavola degli elementi, il sistema periodico. Nel linguaggio generalmente non si usano le lettere singolarmente prese, ma combinazioni di lettere (le parole). Ugualmente, nella chimica non sono importanti gli atomi separatamente presi, ma loro combinazioni: le molecole. Le molecole, dunque, sono le parole della Chimica.
Figura 1. Confronto fra la struttura del linguaggio e struttura della Chimica.
Nel linguaggio, ogni parola ha un ben preciso significato, un valore aggiunto rispetto all’insieme delle singole lettere che la compongono. Esempio: a, b, b, i, m, n, o; bambino. Allo stesso modo, ogni molecola ha proprietà specifiche e un’identità ben definita che rappresentano il valore aggiunto che la molecola ha rispetto all’insieme degli atomi che la costituiscono. Prendiamo, ad esempio, la molecola dell’acqua che posso rappresentare con la formula H2O, che indica da quali atomi è composta, oppure con H-O-H, che indica chi è legato a chi, oppure con un modellino tipo lego, come questo che ho in mano e che è mostrato nella Figura 2. Nella molecola gli atomi sono in relazione e dalla relazione emergono nuove proprietà, quelle specifiche della molecola, molto diverse dalle proprietà degli atomi che la compongono.
Figura 2. Le molecole dell’acqua.
E’ bene notare che gli atomi, e quindi anche le molecole, sono oggetti molto piccoli: hanno dimensioni di miliardesimi di metro (1 miliardesimo di metro = 1 nanometro, 1 nm). Il modellino tipo lego della molecola d’acqua mostrato nella Figura 2 è in scala 1 a cento milioni. Quindi la sostanza che beviamo e che chiamiamo acqua è un insieme di tantissime molecole. Più in generale, qualsiasi “cosa” macroscopica che vediamo o tocchiamo è costituita da un numero enorme di “entità” piccolissime: le molecole. Per rendere meglio l’idea, in una goccia d’acqua ci sono 100 miliardi di miliardi di molecole H2O; per contarle al ritmo di una al secondo si impiegherebbero trenta mila miliardi di anni!
Ma chi ci crede? Eppure è vero! La scienza, spesso, va contro la comune intuizione: pone problemi. Li ha sempre posti: Goethe si opponeva all’uso del microscopio. Diceva che se c’era qualcosa che non si poteva vedere ad occhio nudo, non si doveva andarla a vedere, perché evidentemente era nascosta per qualche buona ragione. E’ esattamente il contrario di quanto pensa la scienza, che vuole vedere tutto. Oggi, infatti, con tecniche molto speciali si possono vedere o, meglio, si possono ottenere immagini anche di singole molecole.
Protagoniste della Chimica, dunque, sono le molecole: oggetti piccolissimi, ma caratterizzati da composizione, dimensione, struttura e forma (Figura 3) e quindi da proprietà specifiche tramite le quali hanno anche effetti diversi sugli organismi. Per cui accade che le molecole di caffeina ci tengono svegli, mentre le molecole di acido acetil salicilico abbassano la febbre.
Figura 3. Formule chimiche e modelli delle molecole di caffeina e acido acetil salicilico.
I sistemi supramolecolari
Chiarito cosa sono le molecole, possiamo fare un passo avanti nel confronto chimica-linguaggio (Figura 4). Come ben sappiamo, il linguaggio non si ferma alle parole. Per esprimere un concetto è necessario usare combinazioni di parole, cioè una frase. Allo stesso modo la Chimica non si ferma alle molecole. Per avere proprietà interessanti, per compiere funzioni utili è necessario combinare fra loro più molecole in modo da ottenere sistemi complessi, supramolecolari: se le molecole sono le parole della Chimica, i sistemi supramolecolari sono le frasi della Chimica.
Figura 4. Seconda parte del confronto fra la struttura del linguaggio e quella della Chimica.
Per capire meglio cos’é un sistema supramolecolare, consideriamo le tre molecole mostrate in Figura 5; queste molecole, quando sono messe in soluzione, si associano spontaneamente per dare un sistema supramolecolare.
Figura 5. L’associazione fra molecole dà origine a sistemi supramolecolari.
Possiamo approfondire questo concetto, sempre sfruttando il paragone col linguaggio. Le parole necessarie per costruire una frase che abbia senso compiuto vengono scelte e messe in ordine, da chi scrive o da chi parla, secondo le regole del linguaggio. Nella frase il bambino va in bicicletta, il deve “interagire” (essere davanti a) bambino e in deve “interagire” con bicicletta. Usando termini informatici, si può dire che ogni parola contiene elementi di informazione, tramite i quali interagisce o non interagisce con altre parole. Nelle frasi, quindi, dalla combinazione degli elementi di informazione portati da ogni parola, emergono significati che non sono e non possono essere presenti nelle singole parole che le compongono. Analogamente, nei sistemi supramolecolari dalla combinazione degli elementi di informazione portati da ogni molecola emergono proprietà che non sono e non possono essere presenti nelle singole molecole che li compongono. Accade così che, nel sistema supramolecolare mostrato in Figura 5, quando un fotone colpisce il componente molecolare di sinistra (un complesso di Rutenio) viene espulso un elettrone che si va a collocare sul componente di colore azzurro a destra, cosa che non può accadere quando le tre molecole sono separate. Questa, appunto, è una delle proprietà emergenti.
La miniaturizzazione
Prima di parlare in modo esplicito di dispositivi e macchine molecolari, è opportuno introdurre il concetto di miniaturizzazione. La Figura 6 mostra, sulla sinistra, il primo computer elettronico (1944): era grande come un appartamento, pesava 30 tonnellate, aveva 19.000 valvole (dispositivi che i giovani non conoscono), consumava 200.000 W e ogni mezz’ora si rompeva. I computer di oggi sono enormemente più piccoli, più leggeri, più affidabili, hanno milioni di transistor e consumano molto meno.
Figura 6. Computer di ieri e di oggi
Come è avvenuta questa rivoluzione? Attraverso la miniaturizzazione, il passaggio da circuiti elettrici macroscopici a microcircuiti (1 micron = 1 milionesimo di metro) (Figura 7). Un’ulteriore miniaturizzazione “dall’alto” fino a giungere a livello dei nanometri (miliardesimi di metro) presenta difficoltà. E’ più facile arrivarci “dal basso”, partendo dalle molecole, che sono già di per sé oggetti nanometrici.
Figura 7. Miniaturizzazione dall’alto (top down) e dal basso (bottom up)
In effetti i chimici, oggi, sono molto bravi a mettere assieme molecole diverse per formare sistemi supramolecolari. Un esempio un po’ singolare è quello mostrato in Figura 8. Combinando una molecola a forma di calice (calixarene) e una molecola a forma di pallone da calcio (fullerene) si è ottenuto un sistema supramolecolare che richiama come forma la Coppa del Mondo di calcio.
Figura 8. Un curioso sistema supramolecolare.
E’ un oggetto nanometrico curioso, forse bello; certamente inutile. Se si vogliono fare cose utili, è necessario che i componenti molecolari abbiano proprietà chimiche e fisiche ben precise in modo che nel sistema supramolecolare, grazie all’interazione fra le caratteristiche dei singoli componenti, emergano proprietà che permettano al sistema di svolgere una funzione interessante (Figura 9). In tal modo la Chimica supramolecolare diventa Ingegneria molecolare e, se fa cose di interesse applicativo, diventa Nanotecnologia.
Figura 9. Sistemi molecolari capaci di svolgere una funzione.
Dispositivi e macchine molecolari
In sostanza, oggi i chimici possono lavorare allo stesso modo degli ingegneri, con la differenza che gli ingegneri usano componenti macroscopici, mentre i chimici utilizzano componenti molecolari (nanometrici) (Figura 10).
Figura 10. Analogia fra il lavoro di un ingegnere e quello di un chimico per la costruzione di dispositivi o macchine.
Nel mondo macroscopico un dispositivo o una macchina è un oggetto materiale che usa energia per svolgere una funzione, cioè un “lavoro”, che può essere un movimento meccanico o l’elaborazione di un segnale. L’energia fornita può essere chimica, elettrica o luminosa, come illustrato nella Figura 11.
Figura 11. Esempi di macchine o dispositivi del mondo macroscopico che utilizzano rispettivamente energia chimica, elettrica e luminosa.
Il concetto di macchina o dispositivo si può estendere al mondo nanoscopico, dove l’oggetto materiale dovrà essere un sistema supramolecolare capace di utilizzare energia (chimica, elettrica o luminosa) per svolgere una funzione (ad esempio, una reazione chimica, un segnale o un movimento meccanico) (Figura 12). Per molti motivi il modo migliore di fornire energia a un sistema supramolecolare è mediante la luce. Con un fotone di adatta frequenza si può, infatti, far giungere energia ad uno specifico componente di un sistema supramolecolare senza perturbare gli altri componenti e senza “toccare” (e quindi senza “sporcare”) in alcun modo il sistema.
Figura 12. Fornendo energia è possibile far compiere una funzione a sistemi supramolecolari opportunamente progettati.
I dispositivi e le macchine molecolari sono dunque sistemi supramolecolari progettati per svolgere una funzione in conseguenza di uno stimolo energetico.
La Figura 13 mostra la copertina delle edizioni inglese e cinese dell’unico testo finora disponibile su dispositivi e macchine molecolari, adottato in università di tutto il mondo.
Figura 13. Testo che riporta i concetti fondamentali e numerosi esempi di dispositivi e macchine molecolari.
I dispositivi e le macchine molecolari si possono dividere in due categorie, a seconda che la funzione svolta consista nell’elaborare segnali o nel provocare movimenti meccanici. Per ragioni di spazio riporteremo solo alcuni degli esempi più significativi.
(continua)