Nanolimpiadano: una curiosa supramolecola

 

Rinaldo Cervellati

Nel numero del 17 luglio di Chemistry World newsletter, rivista ufficiale della Royal Society of Chemistry, Kyra Welter riporta la notizia dell’assemblaggio di questa nuova supramolecola (figura 1):

Figura 1. La struttura ottenuta dall’autoassemblaggio di anelli a incastro [1]. Credit: Springer Nature Ltd. 2020

La struttura ricorda il logo olimpico, e per questo chiamata nanolympiadano dai chimici giapponesi che l’hanno sintetizzata, Shiki Yagai e Sougata Datta [1].

Shiki Yagai e Sougata Datta

La molecola è uno degli ultimi policatenani supramolecolari assemblati usando solo interazioni deboli non covalenti. Attraverso un’originale strategia di miscelazione dei solventi, i ricercatori sono stati in grado di preparare strutture autoassemblate contenenti fino a 22 anelli usando blocchi più semplici. I nuovi catenani sono abbastanza grandi da essere osservati usando la microscopia a forza atomica e potrebbero trovare applicazioni nella scienza dei materiali.

I policatenani sono strutture contenenti diversi anelli meccanicamente interconnessi per formare una catena. La realizzazione di tali architetture è impegnativa, soprattutto se i componenti anulari sono composti da un grande insieme di molecole. In tal caso, è necessario un sistema di assemblaggio molecolare in grado di generare costantemente grandi anelli di diametro uniforme.

Shiki Yagai e Sougata Datta dell’Università di Chiba (Giappone), avevano già in precedenza utilizzato un tipo speciale di polimero supramolecolare per raggiungere questo obiettivo [2].

I materiali sono costituiti da monomeri che possono connettersi attraverso legami a idrogeno per formare anelli a sei membri, chiamati “rosette”, che sono quindi collegati da interazioni π per costruire strutture polimeriche con diverse topologie tra cui anelli toroidali. Spiega Datta: “Ogni anello fondamentale nei nostri nano-policatenani è composto da 600 piccole molecole tenute insieme da interazioni deboli non covalenti. Questo è completamente diverso dai policatenani precedentemente riportati, in cui ciascun anello costituente è costituito da forti legami covalenti.”

Figura 2. Ogni anello è composto di 600 piccole molecole tenute insieme da interazioni di van der Waals. Credit: Springer Nature Ltd

Yagai aggiunge che mentre i metodi precedenti per produrre policatenani si basavano sulla sintesi su schemi metallici, il nuovo approccio sfrutta la tendenza delle molecole a riunirsi sulla superficie dei toroidi esistenti. Dice: “Le indagini spettroscopiche e le simulazioni molecolari multiscala hanno rivelato che se aggiungiamo monomeri a una soluzione contenente anelli preassemblati, tendono a riunirsi sulla superficie di quegli anelli a causa delle interazioni fra solventi e di van der Waals. Pertanto, i monomeri hanno maggiori probabilità di formare anelli che sono interbloccati con strutture preformate piuttosto che in altri spazi vuoti. Questo fenomeno si chiama “nucleazione secondaria””, ed è la chiave del meccanismo di policatenazione.

Il gruppo di Datta e Yagai ha scoperto che si poteva influenzare la chiusura dell’anello variando il solvente e la velocità di raffreddamento. Per creare i nuovi materiali, hanno iniettato una soluzione concentrata di molecole pre-dissolte in un solvente polare posto in un solvente non polare.

Figura 3.  Terminato un anello, i monomeri tendono ad avviarne un altro e così via portando alla formazione di policatenani. Credit: Springer Nature Ltd

Yagai e colleghi sono stati in grado di preparare catenani contenenti un numero variabile di toroidi. Hanno chiamato la struttura a cinque anelli “nanolympiadano” in omaggio a “olympiadane”, un sistema catenano covalente riportato nel 1994 [3].

Figura 4. L’olympiadano molecolare del 1994 [3]

David Amabilino, dell’Università di Nottingham nel Regno Unito, coinvolto nella sintesi dell’olympiadano, sottolinea che il nanolympiadano è un nuovo tipo di catenano non covalente i cui anelli sono molto più grandi di quelli nel sistema molecolare. Afferma: “Nella ricerca del team di Yagai, gli anelli hanno un diametro di circa 25 nm, rendendo il sistema a cinque anelli lungo circa 90 nm, mentre l’olimpiadano è lungo circa 4 nm“. Amabilino ritiene che essere in grado di preparare catenani in questo modo apre un campo di ricerca completamente nuovo. E conclude: “Questi materiali non hanno precedenti. Fino ad ora, questo tipo di assemblaggio non è stato nemmeno considerato in senso lato, a causa della potenziale difficoltà nel realizzare i sistemi in modo controllato. Il gruppo di Yagai ha aperto la porta a ciò”.

Guillaume De Bo dell’Università di Manchester (UK) è d’accordo: “Questa è una bella procedura che fornisce un rapido accesso a policatenani piuttosto grandi. Mostra come l’autoassemblaggio può essere usato per costruire architetture supramolecolari complesse. Sarebbe interessante vedere come la composizione e la dimensione degli anelli potrebbero essere sintonizzate utilizzando diversi elementi costitutivi e come le proprietà dinamiche e meccaniche di questi policatenani autoassemblati si confrontino con le loro controparti covalenti”.

Michal Juríček che studia molecole organiche funzionali all’Università di Zurigo afferma:

“In generale, è difficile prevedere e controllare la topologia degli assiemi supramolecolari formati, ma se si ottengono le giuste condizioni funziona, non può essere più semplice di così”.

Bibliografia

[1] S. Datta et al., Self-assembled poly-catenanes from supramolecular toroidal building blocks., Nature 583, 400–405 (2020). https://doi.org/10.1038/s41586-020-2445-z

[2] S. Yagai et al., Supramolecular Polymers Capable of Controlling Their Topology., Acc. Chem. Res. 2019, 52, 5, 1325–1335.

[3] D.B. Amabilino et al., Olympiadane., Angew. Chem., Int. Ed., 1994, 33, 1286 

* Tradotto e adattato da ‘Nanolympiadane’ created from supramolecular building blocks, by Kira Welter, Chemistry World News, 17 July 2020.

Il cubo di Rubik chimico

Rinaldo Cervellati 

Come noto al grande pubblico, il cubo di Rubik è un famoso rompicapo 3D (twisty puzzle 3D). E’ stato ideato nel 1974 dall’architetto ungherese Ernő Rubik[1], da cui il nome. Sebbene il cubo di Rubik abbia raggiunto il picco della sua popolarità all’inizio degli anni ’80, è ancora largamente utilizzato. Molti appassionati continuano a confrontarsi in competizioni internazionali nel tentativo di risolvere il cubo di Rubik nel tempo minore possibile e in varie categorie.

Nella C&EN newsletter del 9 agosto scorso, Bethany Halford, col titolo “Rubik’s cube with a chemical twist” [1], informa che un gruppo di ricercatori chimici ha pubblicato una versione chimica del cubo di Rubik [2]. Racconta Halford:

Nel gennaio 2018, Jonathan Sessler[2] (Università del Texas a Austin) era a una riunione che presentava il lavoro svolto dal suo laboratorio realizzando modelli 2D da lastrine di idrogel colorati. Philip A. Gale[3], un chimico dell’Università di Sydney, specializzato in chimica supramolecolare e post-dottorato nel laboratorio di Sessler negli anni 1995-97, lo sfidò a trasformare queste lastrine in un cubo di Rubik. Afferma Gale [1]: “La forma delle matrici di gel di Jonathan mi hanno ricordato la faccia di un cubo di Rubik, mi chiedevo se sarebbe stato possibile costruire un cubo funzionante formato da blocchi di gel che avrebbero potuto essere facilmente riconfigurati”.

Jonathan Sessler e Philip A. Gale

Sessler accettò la sfida e affidò il progetto a Xiaofan Ji ricercatore post-dottorato. Il compito si rivelò una sfida tremenda più del previsto. Ji ha avuto problemi nella sintesi di idrogel con i sei colori necessari per realizzare un cubo di Rubik.

Ben Zhon Tang

Fu solo quando Ji chiese la collaborazione del gruppo del prof. Ben Zhong Tang[4] dell’Università di Scienza e Tecnologia di Hong Kong, che furono scoperti composti che, grazie all’aggregazione, inducevano la fluorescenza quando incorporati in idrogel (AIE Aggegation-Induced Emission), figura 1.

Figura 1. Fotografie di sospensioni acquose di composti AIE (da Da S-1 a S-6: sospensioni blu, verdi, gialle, arancioni, rosse e bianche, rispettivamente) e i corrispondenti idrogel AIE.[2]

Il secondo passo consistette nell’assemblare le lastrine in cubetti con le facce diversamente colorate. Ciò venne realizzato facendo aderire le piastrine fra loro, infatti gli idrogel formano legami incrociati di forza variabile col tempo. Un tempo di contatto di 24 ore garantisce la stabilità della struttura. I cubetti di questi idrogel vennero quindi fatti aderire per 1 ora in una struttura simile a un cubo di Rubik, (RC). Ciò produsse un blocco 3 × 3 × 3 (RC) in cui i singoli blocchi di gel fluorescenti aderiscono debolmente l’uno all’altro. Come conseguenza, è possibile ruotare anche gli strati 1 × 3 × 3 che compongono l’RC orizzontalmente o verticalmente per realizzare nuove forme (figura 2).

Figura 2. Fotografie che mostrano a) la formazione dell’idrogel HG-C attraverso l’adesione macroscopica dell’idrogel HG-0 e degli idrogel AIE HG-1 – HG-6 con ricottura per 24 ore, b) la formazione di un idrogel RC simile a un cubo di Rubik attraverso l’adesione macroscopica per 1 ora di singoli blocchi HG-C di idrogel (3 × 3 × 3), c) idrogel RC fatto rotolare a mano.[2]

La figura 3 mostra le successive rotazioni di 90° su un cubo di Rubick (a sinistra) e il suo analogo chimico (RC) (a destra).

Figura 3 [2]

C’è però un problema: dopo 24 ore, il cubo di Rubik chimico si blocca in quella data posizione. Lo stesso meccanismo che ha permesso al gruppo di ricerca di unire le tessere colorate ha infatti reso il gioco non più giocabile. Dice Sessler: “Fondamentalmente abbiamo realizzato un materiale che, come il gesso di Parigi o l’argilla, nel tempo diventa più duro”.

Anche se ricreare il giocattolo alla moda è stato divertente, Sessler afferma che non è il suo obiettivo finale. Vorrebbe realizzare piastrelle di materiali morbidi e intelligenti che funzionano come i materiali fluorescenti di Tang cambiando colore in presenza di stimoli chimici. Tali piastre potrebbero comunicare informazioni mediche quando vengono posizionati sulla pelle di una persona o guidare robot che eseguono reazioni chimiche, come ad es. una titolazione acido-base.

Infine, ecco il commento di Gale: “È un lavoro elegante e apre un nuovo approccio alla produzione di sensori”, sono lieto che abbiano affrontato la sfida.

Desidero ringraziare Bethany Halford, senior correspondent of ACS C&EN newsletter, per questa notizia che mi ha condotto a approfondire l’argomento sull’articolo originale del gruppo di ricerca cino-americano.

Bethany Halford

Prima di diventare senior correspondent di C&EN, Helford è stata un chimico organico di sintesi, diceva di essere una scultrice su scala molto piccola. Ora scolpisce storie, particolarmente quelle più strane.

Bibliografia

[1] B. Halford, Rubik’s cube with a chemical twist., C&EN news, August 9, 2019.

[2] Xiaofan Ji et al, A Functioning Macroscopic “Rubik’s Cube” Assembled via Controllable Dynamic Covalent Interactions., Adv. Mater. 2019, DOI: 10.1002/adma.201902365

 

[1] Ernő Rubik (1944-) architetto e scultore ungherese, insegna all’Istituto Universitario d’Arte e Design di Budapest.

[2] Jonathan Sessler (1956-), statunitense, è professore di chimica all’Università del Texas ad Austin. È noto per il suo lavoro pionieristico sulle porfirine espanse e le loro applicazioni in biologia e medicina.

[3] Philip Alan Gale (1969-), chimico britannico, è attualmente direttore della School of Chemistry dell’Università di Sydney. È noto per il suo lavoro sulla chimica supramolecolare degli anioni.

[4] Ben Zon Tang, direttore del Dipartimento di Chimica, The Hong Kong University of Science and Tecnology, esperto di polimeri funzionali e di Aggregate-Induced Emission. Il suo gruppo è costituito da 26 ricercatori.

Macchine molecolari attraversano membrane cellulari

Rinaldo Cervellati (con un commento di Vincenzo Balzani)

Opportuni dispositivi o “macchine” molecolari ruotando attraverso le membrane cellulari potrebbero veicolare farmaci e distruggere le cellule cancerose

Sono titolo e sottotitolo di una recente notizia riportata da Bethany Halford sul n. 35 di Chemistry & Engineering newsletter on line il 30 agosto scorso. Premesso che per macchina molecolare, o nanomacchina, si intende un insieme di molecole legate fra loro (supramolecola) in grado di eseguire movimenti simili a quelli meccanici in risposta a specifici stimoli luminosi o elettrici, Halford riporta i risultati di una recente ricerca compiuta da un gruppo coordinato dal prof. James M. Tour, direttore del Center for Nanoscale Science and Technology della Rice University a Houston. (V.Garcià-Lopez et al., Molecular machines open cell membranes, Nature, 2017, DOI: 10.1038/nature23657)

James M. Tour

Quando stimolato dalla luce ultravioletta, un opportuno motore molecolare può ruotare nel suo percorso entro le cellule causando aperture attraverso le quali potrebbero scivolare i terapeutici o potrebbero essere sufficienti per distruggere l’integrità della cellula tumorale, sostengono gli autori della ricerca.

La ricerca di Tour è da tempo focalizzata sulla creazione di macchine molecolari con queste caratteristiche. Quando illustro le nostre ricerche, spesso le persone mi chiedono se le macchine molecolari potranno un giorno essere usate per curare i tumori, dice Tour.

Tali domande si sono moltiplicate dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la Chimica lo scorso anno [1].

Poiché le macchine molecolari sono molto più piccole delle strutture biologiche, come le cellule, Tour inizialmente non pensava che potessero avere un uso pratico in medicina. Ma poi, dice, mi sono reso conto che circondare una cellula con macchine molecolari con una parte potenzialmente rotante poteva dare risultati interessanti.

Così ho interessato Robert Pal della Durham University, Gufeng Wang della North Carolina State University e Jacob T. Robinson di Rice a esplorare questa idea (tutti coautori dell’articolo su Nature)

Il gruppo di Tour ha costruito diverse molecole con il seguente schema:

La luce UV isomerizza il doppio legame in questa supramolecola, rendendo il gruppo rotore libero di ruotare.

Alcune supramolecole costruite hanno catene peptidiche (R) che si associano a proteine ​​specifiche sulla superficie di alcune cellule. Nelle prove su cellule tumorali della prostata umana, il gruppo ha scoperto che queste macchine potrebbero saltare sulle cellule e, dopo l’esposizione a luce UV, distruggerle in meno di tre minuti.

Ma succede solo quando si espongono alla luce“, afferma Tour. Ciò significa che se le macchine saltano su cellule sane senza essere irradiate le aperture rimarranno inattive lasciandole inalterate.

La prossima sfida che i ricercatori affronteranno, continua Tour, sarà quella di ottenere la stessa azione nanomeccanica mediante irradiazione visibile o nel vicino infrarosso, raggi che penetrano più profondamente nel tessuto, in modo che le molecole del motore possano essere ampiamente utilizzate negli animali e nelle persone.

A tal fine, Tour dice che il gruppo sta già lavorando allo sviluppo di motori che ruotano in risposta alla luce visibile e alla radiazione a raggi infrarossi a due fotoni.

[1] P. Greco, http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/pietro-greco/balzani-pioniere-delle-macchine-molecolari-premiate-stoccolma

Commento di Vincenzo Balzani

La rottura del doppio legame C=C in seguito ad eccitazione fotonica è una delle più conosciute reazioni fotochimiche. Usualmente viene utilizzata per convertire isomeri trans nei corrispondenti isomeri cis, che poi termicamente tornano alla più stabile forma trans. La foto isomerizzazione avviene perché lo stato eccitato ha un minimo di energia per angoli di rotazione attorno ai 90°, dove lo stato fondamentale ha un massimo. Ben Feringa, premio Nobel per la Chimica 2016, ha utilizzato da molto tempo composti di questo tipo per sviluppare una serie di motori rotanti unidirezionali (Figura 1) [1]:

Figura 1. Motore rotante molecolare azionato dalla luce [1].

James Tour aveva poi tentato di utilizzare con scarso successo fotoisomerizzazioni di questo tipo per costruire il prototipo di una nano macchina azionata dalla luce [2]:

Figura 2. Nanomacchina potenzialmente azionata dalla luce [2].

Un altro tipo di macchina molecolare potenzialmente utile in medicina è la nano valvola illustrata nella Figura 3, azionata da impulsi redox [3]:

Figura 3. Nano valvola azionata da una reazione redox

Tornando ai composti con doppio legame C=C, l’eccitazione fotonica in genere causa solo una rotazione di 180° attorno al doppio legame (non è che si crea un rotore libero). Quindi per avere un effetto distruttivo su una cellula credo si tratterebbe di provocare tante successive foto isomerizzazioni della “macchina”, che potrebbe “rompersi” a causa di reazioni secondarie. Bisogna anche tener conto che usando luce UV si possono direttamente distruggere cellule anche senza l’azione di “macchine” fotosensibili; penso che gli autori abbiano tenuto conto di questo. Utilizzare luce visibile o infrarossa credo sia complicato perché il doppio legame in tal caso dovrebbe essere molto delocalizzato sul resto della molecola e la barriera di isomerizzazione sarebbe allora molto bassa, accessibile termicamente. Poi c’è il problema tutt’altro che semplice, in vivo, di irradiare le “macchine” che sono vicine alle cellule malate e non a quelle sane.

In conclusione, le macchine molecolari artificiali [4] potranno certamente essere utili per applicazioni mediche, ma c’è ancora molta strada da fare.

  1. Koumura, N., Zijlstra, R.W.J., van Delden, R.A., Harada, N. and Feringa,B.L. (1999) Nature, 401, 152.
  2. Morin, J.-F., Shirai, Y. and Tour, J.M. (2006) Organic Letters, 8, 1713.
  3. Saha, S., Leug, K.C.-F., Nguyen, T.D., Stoddart, J.F. and Zink, J.I. (2007) Advanced Functional Materials, 17, 685.
  4. Balzani, V., Credi, A., Venturi, M. (2008) Molecular Devices and Machines, Concepts and Perspectives for the Nanoworld, Second Edition, Wiley-VCH, Weinheim.

 

Chimica e creatività. 2.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Vincenzo Balzani, Professore emerito, Alma Mater

Prolusione in occasione dell’inaugurazione  dell’anno accademico 2017, tenuta in Bologna, venerdì 18 novembre 2016 nell’ Aula Magna di Santa Lucia

la prima parte di questo post è pubblicata qui.

Dendrimeri

Sono sistemi supramolecolari ramificati che possono svolgere due funzioni: antenne per la raccolta dell’energia solare e dispositivi per modificare la frequenza della luce; trovano applicazioni, rispettivamente, nella fotosintesi artificiale e come sensori luminescenti. Nello schema di Figura 14 (parte sinistra) sono evidenziate con colori diversi i tre tipi di componenti molecolari del sistema. L’energia luminosa assorbita dalle 32 molecole periferiche viene trasferita alle 8 molecole intermedie e successivamente alla molecola centrale, che emette luce di frequenza diversa.

creativita14

creativita14bFigura 14. A sinistra lo schema e il modo di funzionare di un dendrimero. A destra un dendrimero reale che si comporta nel modo schematizzato a sinistra.

 

Presa-spina

Presa-spina è un dispositivo molto usato nel mondo macroscopico. Per costruire un simile sistema a livello molecolare è necessario sintetizzare anzitutto due molecole di adatta struttura, poi è necessario trovare un modo reversibile per connetterle e separarle e, infine, disporre di un segnale che viene trasmesso dalla spina alla presa quando le due molecole sono connesse. I componenti utilizzati e lo schema di funzionamento sono illustrati nella Figura 15.

creativita15Figura 15. Sistema presa/spina molecolare per il trasferimento di un segnale luminoso.

Connessione e separazione di spina e presa sono ottenute mediante input acido/base. Quando presa e spina sono connesse, l’assorbimento di luce del componente presa causa emissione di luce dal componente spina. E’ stata fatta anche una versione del sistema presa/spina molecolare dove il trasferimento riguarda elettroni anziché segnali luminosi.

Basandosi sugli stessi concetti è stata costruita anche una prolunga molecolare.

 

Ascensore molecolare

L’ascensore molecolare è stato costruito a partire dai due componenti mostrati in Figura 16. Uno di essi è formato da tre fili molecolari uguali, congiunti. Su ogni filo ci sono due unità che hanno, in grado diverso, la stessa proprietà: sono elettron accettori. L’altro componente è costituito da tre anelli molecolari uguali, congiunti, ciascuno avente caratteristiche di elettron donatore. In soluzione, il tris-filo e la piattaforma formata dai tre anelli si assemblano spontaneamente e i tre anelli vanno a circondare le unità situate nella parte “alta” dei tre fili perché queste hanno carattere elettron accettore più spiccato delle tre unità nella parte “bassa”. Una volta che il sistema si è auto assemblato, mediante sintesi chimica si posizionano gruppi molto ingombranti nelle estremità dei tre fili per evitare che gli anelli possano sfilarsi.

 

creativita16Figura 16. Costruzione dell’ascensore molecolare.

La Figura 17 mostra un modello tipo lego del sistema supramolecolare così ottenuto e anche una sua rappresentazione schematica dalla quale appare chiaramente la localizzazione iniziale della piattaforma.

creativita17Figura 17. Dimensioni e modello della struttura dell’ascensore molecolare.

La Figura 18 nella parte alta mostra che per aggiunta di una base si possono togliere ioni H+ agli atomi di azoto (N) che si trovano nella parte “alta” dei tre fili, disattivando così l’interazione con i tre anelli elettron donatori che li circondano. In questa nuova situazione, i tre anelli preferiscono interagire con le unità nella parte “bassa” dei fili. La piattaforma quindi “scende”; poi può essere fatta “risalire” mediante aggiunta di acido, che ripristina la situazione iniziale. Studi dettagliati hanno mostrato che in realtà i tre anelli non scendono (e non salgono) simultaneamente, ma in successione, inclinando la piattaforma.

creativita18Figura 18. La parte alta mostra il funzionamento dell’ascensore molecolare in seguito all’aggiunta di base e di acido. In basso a sinistra è mostrato un fotogramma di uno schema animato.

Come è sottolineato nella Figura 18, l’energia per il movimento è fornita da reazioni chimiche (aggiunte di base/acido) che, ovviamente, generano “scorie”, come accade anche nelle macchine del mondo macroscopico alimentate da energia chimica (ad esempio, nei motori a combustione interna). Ci siamo chiesti, allora, se fosse possibile generare un movimento meccanico in un sistema supramolecolare senza formazione di scorie. La lunga esperienza nel campo della fotochimica ci ha suggerito di utilizzare un sistema alimentato dalla luce.

 

Nanomotore alimentato dalla luce solare

Siamo partiti dallo schema semplice mostrato in Figura 19. Poi, come diceva Edison, al lampo dell’ispirazione ha fatto seguito un lungo periodo di duro lavoro.

creativita19

Figura 19. Schema dell’idea di un nano motore a energia solare.

Quale tipo di reazione fotochimica usare? Quali componenti molecolari scegliere? In che ordine collegarli? Quali interazioni sfruttare? Dopo molte discussioni e ripensamenti abbiamo scelto il sistema illustrato nella Figura 20. Il “filo” del nano motore è formato da cinque componenti che, da destra a sinistra, sono: un gruppo ingombrante che impedisce all’anello di sflilarsi; due componenti (azzurro e rosso nella figura) che hanno, in grado diverso, la stessa proprietà: sono elettron accettori (il più forte è il componente azzurro e quindi l’anello, che è un elettron donatore, inizialmente sta attorno a questo componente); uno spaziatore rigido (arancione) e, all’estrema sinistra, un complesso Rutenio-tris-dipiridina (verde).

creativita20Figura 20. Nanomotore molecolare alimentato da energia solare. Parte alta: il sistema supramolecolare usato. In basso: un fotogramma di uno schema di animazione.

 

Il complesso di Rutenio è l’elemento più importante: quando assorbe un fotone di luce visibile espelle un elettrone che va sul componente più elettron accettore, quello azzurro, attorno al quale si trova l’anello. Con l’arrivo dell’elettrone questo componente perde le sue proprietà di elettron accettore, così che l’anello passa sul componente rosso. A questo punto, però, l’elettrone, che si era trasferito in seguito all’eccitazione fotonica dal complesso di Rutenio all’elettron accettore azzurro, torna indietro sul complesso di Rutenio così che si ripristinano le proprietà di elettron accettore del componente azzurro e, di conseguenza, l’anello torna alla sua posizione iniziale. Il complesso di Rutenio è ora in grado di assorbire un altro fotone iniziando così un nuovo ciclo. Il sistema supramolecolare sopra descritto è quindi in grado di convertire l’energia luminosa del sole in movimento meccanico a livello molecolare.

Come sopra descritto, tale sistema opera in quattro fasi che formalmente corrispondono alle quattro fasi di un motore a scoppio macroscopico, con il quale peraltro non c’è nessun’altra analogia: 1. Iniezione del carburante (fotone) e combustione (trasferimento di un elettrone); 2. Spostamento del pistone (anello); 3. Scarico (ritorno dell’elettrone sul complesso di rutenio); 4. Ritorno del pistone (anello) nella situazione iniziale.

Questa ricerca ha avuto molta risonanza nel mondo scientifico internazionale e anche sulla stampa italiana dove, con le solite esagerazioni, si è molto insistito sulle sue caratteristiche di motore a 4 tempi alimentato dalla luce (Figura 21)

 

creativita21Figura 21. Ritagli di commenti di stampa sul nano motore.

 

Riflessioni finali

Prima di chiudere vorrei fare un breve accenno ad un argomento molto importante. Prendo lo spunto dal libro sopra menzionato su dispositivi e macchine molecolari (Figura 13), nel quale abbiamo fatto una cosa del tutto inusuale: dopo aver descritto in 16 capitoli tutti gli aspetti scientifici e tecnologici di questa branca della scienza, abbiamo aggiunto un altro capitolo, il 17mo (Figura 22), come capitolo finale, nel quale abbiamo discusso il ruolo della scienza e degli scienziati nel nostro mondo così complesso e così fragile. Il perché di questa aggiunta l’abbiamo spiegato nell’introduzione del capitolo (Figura 22): “Questo è un libro scientifico, che tratta essenzialmente scienza di base. Quindi poteva (qualche lettore dirà: doveva) finire col capitolo precedente. Ma, oggi, può la scienza essere trattata come argomento separato, neutrale, asettico? Può uno scienziato ignorare i problemi della società e isolarsi in una torre d’avorio? Noi pensiamo di no. Noi pensiamo che ci sia molto bisogno di discutere il ruolo della scienza e degli scienziati nella società e crediamo che un libro scientifico offra un’opportunità, per farlo, che non deve andare perduta”.

creativita22Figura 22. Introduzione del cap. 17 del testo “Molecular Devices and Machines”.

In questo capitolo finale abbiamo così discusso la relazione fra scienza e società, con particolare riferimento alle limitate risorse del pianeta, al modello di sviluppo insostenibile, alle crescenti disuguaglianze, all’etica e alla solidarietà. Nei libri scientifici non si parla mai di questi argomenti. Noi l’abbiamo fatto per ricordare, anzitutto a noi stessi, poi a tutti i nostri colleghi, che la Scienza va usata per la pace e non per la guerra, per custodire il pianeta su cui viviamo e non per distruggerlo, per ridurre e non per aumentare le disuguaglianze fra paesi ricchi e paesi poveri e per fare patti e non per creare contrasti fra le generazioni. Tutte cose che sappiamo bene, ma delle quali forse non parliamo abbastanza ai nostri studenti e tanto meno alla gente che, dagli scienziati, vorrebbe sentire pareri autorevoli e ricevere messaggi chiari. Forse è ora di incominciare a farlo, con più forza.

 

Un grazie speciale

Infine, voglio mostrarvi questa bella immagine:

 

creativita23Il titolo è: lavoro di gruppo. Sotto c’è scritto: “I fiocchi di neve sono una delle cose più fragili della natura; ma guardate cosa possono fare quando si stringono insieme”. E’ un’immagine bellissima dei regali che ho ricevuto e per i quali voglio ringraziare la Divina Provvidenza e le tante persone che mi circondano col loro affetto, ad iniziare dalla mia famiglia. Un grazie particolare va poi ai colleghi e agli studenti del Gruppo di Fotochimica e Chimica Supramolecolare che hanno lavorato con me in tutti questi anni e che mi hanno spinto così in alto da permettermi di parlare qui, davanti a voi, questa sera.

Grazie per l’attenzione con cui mi avete ascoltato.

Chimica e creatività.1.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Vincenzo Balzani, Professore emerito, Alma Mater

Prolusione in occasione dell’inaugurazione  dell’anno accademico 2017, tenuta in Bologna, venerdì 18 novembre 2016 nell’ Aula Magna di Santa Lucia

Magnifico Rettore, autorità, gentili ospiti, colleghe, colleghi, studenti, signore e signori, buona sera.

Il titolo che ho dato al mio intervento può apparire un po’ audace: per molti, Chimica è quell’orribile materia scolastica di cui ci si vanta di non aver mai capito nulla; per altri, Chimica significa sofisticazioni, inquinamento ed incidenti. Quindi, accostare Chimica a Creatività può apparire una provocazione. Qualcuno potrebbe dire: la Chimica ha già fatto abbastanza danni, non ti provare a crearne altri. Se si facesse un referendum con una sola domanda: “Siete favorevoli ad abolire la Chimica?”, senza alcun dubbio vincerebbe il SI’. Ma, mi dispiace, la Chimica non si può abolire, per il semplice fatto che tutto quello che c’è al mondo, attorno a noi e anche in noi, è Chimica!

Nel mio breve intervento vorrei spiegare perché le ricerche sulle macchine molecolari, di cui si è molto parlato dopo l’annuncio del premio Nobel 2016, sono realmente un settore di punta della Chimica e della Scienza tutta.

Chimica e creatività, dunque, con riferimento alle macchine molecolari; ma gli scienziati possono essere creativi? O lo sono solo gli artisti? Si, è vero, spesso si pensa che uno scienziato sia una persona intelligente, ricco di idee originali: insomma, che sia un genio. Forse lo è, ma nel senso che intendeva Edison: “Genius is one percent inspiration and ninety-nine percent perspiration”. In effetti gli scienziati sono anzitutto gente che lavora sodo. L’idea creativa è un lampo: poi c’è da metterla in pratica.

Chimica e creatività, dunque. Ma cosè la creatività? E’ definita in molti modi, quasi tutti convergenti. Secondo Henri Poincaré “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove”. François Jacob ha scritto che “La creatività nasce da associazioni, prima mai considerate, di cose già note. Creare è ricombinare”. La definizione che più mi piace, però, è la seguente, che ho formulato modificando leggermente una famosa frase di Albert Szent-Györgyi: “La creatività consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò a cui nessuno ha mai pensato”.

Per spiegare cosa sono le macchine molecolari, mi servirò di questi suggerimenti: farò una connessione, un paragone, fra due cose apparentemente non collegate: la Chimica e il linguaggio.

Le molecole

Gli elementi fondamentali del linguaggio sono le lettere raccolte nell’alfabeto (Figura 1). Gli elementi fondamentali della chimica sono gli atomi, raccolti nella tavola degli elementi, il sistema periodico. Nel linguaggio generalmente non si usano le lettere singolarmente prese, ma combinazioni di lettere (le parole). Ugualmente, nella chimica non sono importanti gli atomi separatamente presi, ma loro combinazioni: le molecole. Le molecole, dunque, sono le parole della Chimica.

creative1Figura 1. Confronto fra la struttura del linguaggio e struttura della Chimica.

Nel linguaggio, ogni parola ha un ben preciso significato, un valore aggiunto rispetto all’insieme delle singole lettere che la compongono. Esempio: a, b, b, i, m, n, o; bambino. Allo stesso modo, ogni molecola ha proprietà specifiche e un’identità ben definita che rappresentano il valore aggiunto che la molecola ha rispetto all’insieme degli atomi che la costituiscono. Prendiamo, ad esempio, la molecola dell’acqua che posso rappresentare con la formula H2O, che indica da quali atomi è composta, oppure con H-O-H, che indica chi è legato a chi, oppure con un modellino tipo lego, come questo che ho in mano e che è mostrato nella Figura 2. Nella molecola gli atomi sono in relazione e dalla relazione emergono nuove proprietà, quelle specifiche della molecola, molto diverse dalle proprietà degli atomi che la compongono.

creative2Figura 2. Le molecole dell’acqua.

E’ bene notare che gli atomi, e quindi anche le molecole, sono oggetti molto piccoli: hanno dimensioni di miliardesimi di metro (1 miliardesimo di metro = 1 nanometro, 1 nm). Il modellino tipo lego della molecola d’acqua mostrato nella Figura 2 è in scala 1 a cento milioni. Quindi la sostanza che beviamo e che chiamiamo acqua è un insieme di tantissime molecole. Più in generale, qualsiasi “cosa” macroscopica che vediamo o tocchiamo è costituita da un numero enorme di “entità” piccolissime: le molecole. Per rendere meglio l’idea, in una goccia d’acqua ci sono 100 miliardi di miliardi di molecole H2O; per contarle al ritmo di una al secondo si impiegherebbero trenta mila miliardi di anni!

Ma chi ci crede? Eppure è vero! La scienza, spesso, va contro la comune intuizione: pone problemi. Li ha sempre posti: Goethe si opponeva all’uso del microscopio. Diceva che se c’era qualcosa che non si poteva vedere ad occhio nudo, non si doveva andarla a vedere, perché evidentemente era nascosta per qualche buona ragione. E’ esattamente il contrario di quanto pensa la scienza, che vuole vedere tutto. Oggi, infatti, con tecniche molto speciali si possono vedere o, meglio, si possono ottenere immagini anche di singole molecole.

Protagoniste della Chimica, dunque, sono le molecole: oggetti piccolissimi, ma caratterizzati da composizione, dimensione, struttura e forma (Figura 3) e quindi da proprietà specifiche tramite le quali hanno anche effetti diversi sugli organismi. Per cui accade che le molecole di caffeina ci tengono svegli, mentre le molecole di acido acetil salicilico abbassano la febbre.

creative3Figura 3. Formule chimiche e modelli delle molecole di caffeina e acido acetil salicilico.

I sistemi supramolecolari

Chiarito cosa sono le molecole, possiamo fare un passo avanti nel confronto chimica-linguaggio (Figura 4). Come ben sappiamo, il linguaggio non si ferma alle parole. Per esprimere un concetto è necessario usare combinazioni di parole, cioè una frase. Allo stesso modo la Chimica non si ferma alle molecole. Per avere proprietà interessanti, per compiere funzioni utili è necessario combinare fra loro più molecole in modo da ottenere sistemi complessi, supramolecolari: se le molecole sono le parole della Chimica, i sistemi supramolecolari sono le frasi della Chimica.

creative4Figura 4. Seconda parte del confronto fra la struttura del linguaggio e quella della Chimica.

Per capire meglio cos’é un sistema supramolecolare, consideriamo le tre molecole mostrate in Figura 5; queste molecole, quando sono messe in soluzione, si associano spontaneamente per dare un sistema supramolecolare.

creative5Figura 5. L’associazione fra molecole dà origine a sistemi supramolecolari.

Possiamo approfondire questo concetto, sempre sfruttando il paragone col linguaggio. Le parole necessarie per costruire una frase che abbia senso compiuto vengono scelte e messe in ordine, da chi scrive o da chi parla, secondo le regole del linguaggio. Nella frase il bambino va in bicicletta, il deve “interagire” (essere davanti a) bambino e in deve “interagire” con bicicletta. Usando termini informatici, si può dire che ogni parola contiene elementi di informazione, tramite i quali interagisce o non interagisce con altre parole. Nelle frasi, quindi, dalla combinazione degli elementi di informazione portati da ogni parola, emergono significati che non sono e non possono essere presenti nelle singole parole che le compongono. Analogamente, nei sistemi supramolecolari dalla combinazione degli elementi di informazione portati da ogni molecola emergono proprietà che non sono e non possono essere presenti nelle singole molecole che li compongono. Accade così che, nel sistema supramolecolare mostrato in Figura 5, quando un fotone colpisce il componente molecolare di sinistra (un complesso di Rutenio) viene espulso un elettrone che si va a collocare sul componente di colore azzurro a destra, cosa che non può accadere quando le tre molecole sono separate. Questa, appunto, è una delle proprietà emergenti.

La miniaturizzazione

Prima di parlare in modo esplicito di dispositivi e macchine molecolari, è opportuno introdurre il concetto di miniaturizzazione. La Figura 6 mostra, sulla sinistra, il primo computer elettronico (1944): era grande come un appartamento, pesava 30 tonnellate, aveva 19.000 valvole (dispositivi che i giovani non conoscono), consumava 200.000 W e ogni mezz’ora si rompeva. I computer di oggi sono enormemente più piccoli, più leggeri, più affidabili, hanno milioni di transistor e consumano molto meno.

creative6Figura 6. Computer di ieri e di oggi

Come è avvenuta questa rivoluzione? Attraverso la miniaturizzazione, il passaggio da circuiti elettrici macroscopici a microcircuiti (1 micron = 1 milionesimo di metro) (Figura 7). Un’ulteriore miniaturizzazione “dall’alto” fino a giungere a livello dei nanometri (miliardesimi di metro) presenta difficoltà. E’ più facile arrivarci “dal basso”, partendo dalle molecole, che sono già di per sé oggetti nanometrici.

creative7Figura 7. Miniaturizzazione dall’alto (top down) e dal basso (bottom up)

In effetti i chimici, oggi, sono molto bravi a mettere assieme molecole diverse per formare sistemi supramolecolari. Un esempio un po’ singolare è quello mostrato in Figura 8. Combinando una molecola a forma di calice (calixarene) e una molecola a forma di pallone da calcio (fullerene) si è ottenuto un sistema supramolecolare che richiama come forma la Coppa del Mondo di calcio.

creative8Figura 8. Un curioso sistema supramolecolare.

E’ un oggetto nanometrico curioso, forse bello; certamente inutile. Se si vogliono fare cose utili, è necessario che i componenti molecolari abbiano proprietà chimiche e fisiche ben precise in modo che nel sistema supramolecolare, grazie all’interazione fra le caratteristiche dei singoli componenti, emergano proprietà che permettano al sistema di svolgere una funzione interessante (Figura 9). In tal modo la Chimica supramolecolare diventa Ingegneria molecolare e, se fa cose di interesse applicativo, diventa Nanotecnologia.

creative9Figura 9. Sistemi molecolari capaci di svolgere una funzione.

Dispositivi e macchine molecolari

In sostanza, oggi i chimici possono lavorare allo stesso modo degli ingegneri, con la differenza che gli ingegneri usano componenti macroscopici, mentre i chimici utilizzano componenti molecolari (nanometrici) (Figura 10).

creative10Figura 10. Analogia fra il lavoro di un ingegnere e quello di un chimico per la costruzione di dispositivi o macchine.

Nel mondo macroscopico un dispositivo o una macchina è un oggetto materiale che usa energia per svolgere una funzione, cioè un “lavoro”, che può essere un movimento meccanico o l’elaborazione di un segnale. L’energia fornita può essere chimica, elettrica o luminosa, come illustrato nella Figura 11.

creative11Figura 11. Esempi di macchine o dispositivi del mondo macroscopico che utilizzano rispettivamente energia chimica, elettrica e luminosa.

Il concetto di macchina o dispositivo si può estendere al mondo nanoscopico, dove l’oggetto materiale dovrà essere un sistema supramolecolare capace di utilizzare energia (chimica, elettrica o luminosa) per svolgere una funzione (ad esempio, una reazione chimica, un segnale o un movimento meccanico) (Figura 12). Per molti motivi il modo migliore di fornire energia a un sistema supramolecolare è mediante la luce. Con un fotone di adatta frequenza si può, infatti, far giungere energia ad uno specifico componente di un sistema supramolecolare senza perturbare gli altri componenti e senza “toccare” (e quindi senza “sporcare”) in alcun modo il sistema.

creative12Figura 12. Fornendo energia è possibile far compiere una funzione a sistemi supramolecolari opportunamente progettati.

I dispositivi e le macchine molecolari sono dunque sistemi supramolecolari progettati per svolgere una funzione in conseguenza di uno stimolo energetico.

La Figura 13 mostra la copertina delle edizioni inglese e cinese dell’unico testo finora disponibile su dispositivi e macchine molecolari, adottato in università di tutto il mondo.

creative13Figura 13. Testo che riporta i concetti fondamentali e numerosi esempi di dispositivi e macchine molecolari.

I dispositivi e le macchine molecolari si possono dividere in due categorie, a seconda che la funzione svolta consista nell’elaborare segnali o nel provocare movimenti meccanici. Per ragioni di spazio riporteremo solo alcuni degli esempi più significativi.

(continua)