L’iperaccumulo, un modo alternativo di estrarre il Nickel (e altri metalli).

Claudio Della Volpe

Del Nickel abbiamo parlato ripetutamente; per esempio qui oppure qui.

Si tratta di un elemento molto importante dal punto di vista applicativo e dotato di un complesso ciclo biogeochimico che ricopio da uno dei post sopracitati.

L’ìmmagine è a sua volta estratta da un fondamentale lavoro sui cicli biogeochimici che non smetterò di citare (2009 (GLOBAL BIOGEOCHEMICAL CYCLES, VOL. 23, GB2001, doi: 10.1029/2008GB003376, 2009).

Come si vede la parte naturale del ciclo del Nickel non è così ridotta ed il Nickel è un elemento che arriva anche dallo spazio come anche è presente nel nucleo terrestre; insomma un elemento veramente principe.

Proprio per questo trovo veramente importante la sottolineatura di un recente articolo giornalistico sull’accumulo di questo elemento in varie piante; l’articolo originale è stato pubblicato dal Guardian, che personalmente considero uno dei migliori quotidiani del mondo e tradotto in italiano da Internazionale, una rivista mensile di articoli da tutto il mondo a cui sono abbonato da molti anni (nel numero 1459 ).

Cominciamo col dire che la percentuale del metallo nei minerali è attualmente in discesa, il che è OVVIO; abbiamo già estratto le risorse più ricche di molti elementi e dunque non possiamo meravigliarci di questa continua discesa della ricchezza dei depositi dei principali elementi che stiamo usando.

Il mondo che abitiamo è limitato e le sue risorse non sono affatto infinite come invece sottintende o ipotizza una ridicola visione economica cosiddetta “neoclassica” sulla quale sono ahimè basati molti programmi economici anche nel nostro paese e le cognizioni “scientifiche” di molti colleghi economisti e di altrettanti uomini politici, fra i quali il nostro attuale Presidente del Consiglio.

Come vedete i minerali dai quali estraiamo il nickel hanno attualmente una percentuale di metallo che si avvicina al 2% e tende a ridursi sempre più; ricordiamo che questo dato è simile in parecchi altri metalli importanti.

Torniamo all’argomento sull’accumulo. In realtà sarebbe più corretto parlare di iperaccumulo, in inglese hyperaccumulation, un fenomeno scoperto in effetti da molto tempo ed ancora in studio.

Di che si tratta?

È interessante notare che ci sono piante che sopravvivono, crescono e si riproducono su terreni metalliferi naturali e su siti inquinati con metalli pesanti a seguito di attività antropogeniche. La maggior parte delle specie che tollerano concentrazioni di metalli pesanti altamente tossici per le altre piante si comportano come “esclusori” (Fig. 1), basandosi su strategie di tolleranza e persino ipertolleranza utili per limitare l’ingresso del metallo. Trattengono e disintossicano la maggior parte dei metalli pesanti nei tessuti radicali, con una traslocazione ridotta al minimo alle foglie le cui cellule rimangono sensibili agli effetti fitotossici. Tuttavia, un certo numero di specie ipertolleranti, definite “iperaccumulatori”, mostra un comportamento opposto per quanto riguarda l’assorbimento e la distribuzione di metalli pesanti nell’organismo (Fig. 1).

Il termine “iperaccumulatore” è stato coniato per le piante (Fig. 1) che, a differenza delle piante che si comportano come “esclusori”, assorbono attivamente grandi quantità di uno o più metalli pesanti dal suolo. Inoltre, i metalli pesanti non vengono trattenuti nelle radici ma vengono traslocati nel germoglio e accumulati in organi fuori terra, in particolare foglie, a concentrazioni 100-1000 volte superiori a quelle che si trovano nelle specie non iperaccumulanti. Non mostrano sintomi di fitotossicità [12,13]. Sebbene sia una caratteristica distinta, l’iperaccumulazione si basa anche sull’ipertolleranza, una proprietà chiave essenziale che consente alle piante di evitare l’avvelenamento da metalli pesanti, a cui le piante iperaccumulatrici sono sensibili quanto quelle che non lo sono.

È il testo di una review scritta da due autrici italiane:

Il lavoro spiega quali meccanismi interni vengono usati dalla pianta per iperaccumulare, quali enzimi servono per trasferire senza danno gli ioni da una zona all’altra e illustra anche le ipotesi che si fanno sull’origine di questo comportamento, che sembrerebbe legato alla difesa della pianta dall’attacco di specie animali di varia natura; è da dire che esistono anche insetti specializzati che riescono comunque a cibarsi della pianta iperaccumulatrice. Le applicazioni che si intravedono per queste proprietà sono due: la depurazione di suoli inquinati (fitodepurazione) e l’estrazione mineraria (fitominazione).

Sierra Exif JPEG

Streptanthus polygaloides – Milkwort jewelflower (bozzolina)

Sierra Exif JPEG

Alyssum bertolonii (in regione mediterranea)

Uno studio pionieristico sulla fitominazione è stato condotto utilizzando l’iperaccumulatore di Ni S. polygaloides: una resa di 100 kg ha−1 di Ni senza zolfo potrebbe essere ottenuta dopo un’applicazione moderata di fertilizzanti. La rimozione del Ni dal suolo mediante fitominazione è praticabile in linea di principio, poiché esistono molte piante iperaccumulatrici, come Alyssum spp. e B. coddii, che soddisfano il criterio di raggiungere concentrazioni di Ni nei germogli superiori a 10 g kg-1 su base di sostanza secca e producendo più di 10.000 kg ha −1 all’anno. A. bertolonii può anche accumulare 10 mg di materia secca Ni g−1 da terreni serpentini. Sono stati condotti esperimenti sul potenziale utilizzo di questa pianta iperaccumulatrice nella fitominazione di terreni serpentini. Nel campo di prova piante di A. bertolonii sono state concimate con N + P + K per un periodo di 2 anni. La fertilizzazione aumenta la biomassa di 3 volte senza diluizione della concentrazione di Ni nelle piante fertilizzate. Si è concluso che A. bertolonii, con una biomassa dopo fertilizzazione di circa 13.500 kg ha-1, o altre specie di Alyssum potrebbero essere utilizzate per la fitominazione. In un’altra prova sul campo B. coddii, con una biomassa non fecondata di 12.000 kg ha-1, è stato segnalato come uno dei migliori candidati per la fitominazione del Ni con fertilizzanti applicati e umidità adeguata, dopo di che è stata raggiunta una biomassa di 22.000 kg ha-1 e un’alta concentrazione di Ni [159.162.177.180 ?].

Da altri lavori si ricavano dati su altre piante iperaccumulatrici; i rapporti estrattivi sono espressi sui grammi di sostanza secca e in questo caso stiamo parlando dunque di concentrazioni che sono comparabili con quelle ottenute da minerale; stiamo parlando di valori fra 0.X e X%, dove X può superare 3-4; inoltre in questo caso si parla anche in resa per ettaro di coltivazione, in analogia a quella ottenuta in campo alimentare.

L’altra cosa da notare è che per avere valori ragionevoli della resa non è necessario coltivare le piante su suoli inquinati o particolarmente ricchi poiché le radici sono in grado di concentrare moltissimo i valori presenti nel suolo (notate la frase sui terreni serpentini, ossia originato dalla degradazione di rocce di tipo serpentinoscisto).

Ecco dunque un metodo che può certamente aiutare nel riciclo dei metalli e che riduce di gran lunga l’impatto umano sul pianeta, almeno in potenza.

Oltre ai metalli elencati nella tabella sono stati condotti esperimenti sull’iperaccumulo di metalli preziosi ed anche in quel caso i risultati sono di tutto rispetto anche se inferiori quantitativamente al caso del Nichel.

Voi ve lo sareste aspettato?

Lavori consultati.

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2307/1221970

https://www.annualreviews.org/doi/abs/10.1146/annurev-arplant-042809-112156

https://scialert.net/fulltext/?doi=jest.2011.118.138

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0168945210002402

Una lista di piante iperaccumulatrici la trovate qui con i riferimenti di letteratura.

Si fa presto a dire ricicliamo….3. Elemento per elemento.

Claudio Della Volpe

 (la prima e la seconda parte di questo post sono qui e qui)

In questa terza parte del post discuteremo la situazione del riciclo guardando alla materia come divisa fra gli elementi chimici; ovviamente questo non è vero di per se perché quasi tutti gli elementi, a parte i gas nobili, sono presenti come composti e dunque manipolarne uno ne fa manipolare parecchi.

Ma questo punto di vista consente di avere un quadro partendo da un punto di vista che è familiare per i chimici, ossia quello della tavola periodica, di cui, ricordiamo oggi, il 2019 è stato dichiarato anno internazionale.

Non solo; consente di ragionare del riciclo degli elementi incrociando il riciclo in campo umano con quello che già avviene in campo naturale, ossia i grandi cicli biogeochimici, che sono familiari a parecchi di noi e fanno parte anche della cultura naturalistica della gran parte delle persone. Ragionare per elemento consente di comprendere come l’umanità abbia modificato od alterato o sconvolto alcuni dei cicli basilari della biosfera.

I cicli biogeochimici sono legati alla nascita della chimica; il primo e più famoso di essi, quello del carbonio, legato alla respirazione, e dunque intimamente connesso alla nostra vita ed alle piante, fu scoperto da Joseph Priestley ed Antoine Lavoisier e successivamente popolarizzato dalle famose conferenze sulla candela di Faraday e da Humphry Davy, l’inventore della lampada di sicurezza dei minatori.

Ma questo punto di vista è divenuto quello largamente dominante per tutti gli elementi e soprattutto è divenuto la base della concezione della biosfera come sistema chiuso ma non isolato, alimentato dal Sole e strutturato dal flusso di energia libera e di entropia determinato dai vari gradienti presenti nel sistema e dal loro accoppiamento (si vedano i tre post qui, qui e qui).

I cicli biogeochimici sono in un certo senso le principali “strutture dissipative” (per usare il bel termine coniato da Prigogine) alimentate dal flusso di energia solare e costituiscono il vero anello di congiunzione fra l’animato e l’inanimato, fra la vita e la non-vita. I cicli biogeochimici sono fatti a loro volta di cicli più piccoli e sono intrecciati fra di loro, costituendo un “iperciclo”(termine coniato da Manfred Eigen che lo usava per le molecole autoreplicantesi) ossia un ciclo di cicli, una rete di interazioni che rappresenta l’anima della biosfera terrestre, Gaia, come l’ha chiamata Lovelock. Un iperciclo non è solo una miscela di flussi di materia (e di energia), ma è una serie di interazioni di retroazione in cui ogni parte del ciclo interagisce con le altre e alla fine questo schema può essere sia la base della stabilità, dell’omeostasi del sistema, della sua capacità di adattarsi, sia della sua delicatezza, della sua sensibilità ai più diversi effetti, e dunque della sua capacità di trasformarsi ed evolvere e ovviamente di essere avvelenato e di morire. Nulla è per sempre. Panta rei .“Tutto scorre”, come già Eraclito aveva capito, ma nell’ambito di un unico sistema che Parmenide aveva ricosciuto a sua volta come l’unità della Natura. E la sintesi, secondo me è proprio la concezione dialettica della natura, quello che noi chiamiamo con la parola retroazione, con il termine iperciclo e che quantifichiamo con sistemi di equazioni differenziali (non lineari), che (lasciatemi dire) se colgono i numeri perdono l’unità dell’idea.

Questo fa comprendere come l’invasione di campo che l’uomo ha compiuto nel ciclo del carbonio incrementando lo scambio con l’atmosfera di circa un sesto, con il ciclo dell’azoto di cui oggi rappresenta un co-partner equivalente al resto della biosfera e con il ciclo del fosforo nel quale è il player di gran lunga principale, non siano fatti banali ma alterazioni profonde e probabilmente irreversibili le cui conseguenze non sono ancora ben comprese.

Ma tutto ciò è una visione unitaria del tema; meno unitaria e più dedicata agli scopi pratici ed economici è il paradigma economico dominante che teorizza la crescita infinita, un’economia non biofisica e anzi direi talmente scandalosamente finanziarizzata e lontana dalla vita di noi tutti da dover essere cambiata al più presto possibile.

La questione è che anche gli articoli scientifici non colgono spesso questa unitarietà ma analizzano solo gli aspetti “concreti”.

C’è un bel filmato segnalatomi dall’amica Annarosa Luzzatto (che è una nostra redattrice) che fa vedere come in poco più di 300 anni si siano scoperti tutti gli elementi che conosciamo.

Ebbene in un tempo anche più breve l’uso di questi elementi è divenuto normale nella nostra industria; praticamente non c’è elemento che non sia usato nel nostro ciclo produttivo, anche di quelli che non hanno un ruolo significativo nella biosfera; e, dato il nostro modo lineare di produrre, questo ha corrisposto ad un significativo incremento della “redistribuzione” di questi elementi nell’ambiente.

I dati aggiornati per circa 60 elementi sono stati raccolti dall’ONU (1) e sono mostrati nella figura sotto (tratta dalla ref. 2).>50% corrisponde a poco più del 50%, nella maggior parte dei casi. Si tratta però dei valori di riciclaggio a fine vita non del “riciclaggio” e basta, che potrebbe facilmente confondersi con le procedure di recupero INTERNE al ciclo produttivo, che non cambiano le cose e nelle quali la tradizione industriale è maestra (quasi sempre).

Il report ONU conclude che:

Because of increases in metal use over time and long metal in-use lifetimes, many RC values are low and will remain so for the foreseeable future.

A causa dell’aumento dell’uso del metallo, molti valori RC (NdA grandezza che stima il riciclo) sono bassi e rimarranno tali per il prossimo futuro.

Anche l’articolo da cui è tratto la tabella soprariportata (2) conclude fra l’altro:

The more intricate the product and the more diverse the materials set it uses, the bet- ter it is likely to perform, but the more difficult it is to recycle so as to preserve the resources that were essential to making it work in the first place.

Più il prodotto è intricato e più è vario il gruppo di materiali utilizzato, più è probabile che funzioni, ma più è difficile riciclarlo, in modo da preservare le risorse indispensabili per farlo funzionare (in primo luogo) .

Fate caso che solo meno di un quarto del cadmio viene riciclato a fine vita; il cadmio è un elemento cancerogeno acclarato; che fine fa più del 75% del cadmio che usiamo? Il mercurio, altro metallo pesante tristemente famoso, su cui ho scritto parecchio in passato, viene riciclato a fine vita per meno del 10%; che fine fa più del 90% del mercurio?

Probabilmente il piombo rappresenta una eccezione in questo quadro apocalittico e possiamo dire che quasi la totalità del piombo usato nelle batterie viene riciclato grazie ad una legislazione molto severa.

Perfino i metalli preziosi come il platino o l’oro, che hanno un elevato valore intrinseco che ne favorisce il riciclo a fine vita, sono sfavoriti dal fatto che l’uso in elettronica ne rappresenta una frazione significativa e corrisponde ad una breve vita dei prodotti e ad un elevato grado di miscelazione che rendono poco appetibile il riciclaggio a fine vita (pensateci quando comprerete il prossimo cellulare, io ho sempre comprato prodotti usati, ma non riesco sempre a convincere il resto della famiglia ed il mio notebook, da cui sto scrivendo, quest’anno compie 10 anni ed è difficile mantenerlo aggiornato, ma tengo duro) ci vogliono regole che obblighino i produttori a continuare a produrre le batterie e i pezzi di ricambio e rendere i software compatibili, due scuse che spesso impediscono di continuare ad usare prodotti perfettamente funzionanti.La figura qui sopra riporta, sebbene i dati siano di una decina di anni fa, la situazione di due metalli che sono all’estremo della capacità di recupero; da una parte il nickel che arriva al 52% di recupero a fine vita e dall’altra il neodimio che non viene affatto recuperato.

Questa è la situazione forse non aggiornatissima, ma significativa del nostro punto di partenza. Quando va bene sprechiamo almeno la metà di ciò che estraiamo, altrimenti lo sprechiamo tutto, lo usiamo una volta e lo sottraiamo all’uso delle future generazioni (figli e nipoti); ma non solo, gli sporchiamo il mondo. E prima o poi pagheremo per questo; o pagheranno loro.

Nel prossimo ed ultimo post di questa serie parleremo a fondo di qualche caso esemplare di riciclo.

Ah dimenticavo; buone feste.

(continua)

Da consultare

(1) E. Graedel et al., “Recycling Rates of Metals—A Status Report, a Report of the Working Group on the Global Metal Flows to UNEP’s International Resource Panel” (2011); www. unep.org/resourcepanel/Portals/24102/PDFs/ Metals_Recycling_Rates_110412-1.pdf

(2) Challenges in Metal Recycling Barbara K. Reck and T. E. Graedel Science 337, 690 (2012); DOI: 10.1126/science.1217501