Riciclare il PVC.

Claudio Della Volpe

In un recente articolo dedicato al riciclo della plastica avevo contrapposto come esempi apparentemente diversi il PVC e il PET, attribuendo al primo una percentuale di riciclo nulla e al PET il 70% ma facendo vedere che in dipendenza della durata del ciclo di vita dopo un certo periodo (30 anni) entrambi avevano riciclo nullo di fatto indipendentemente dalla percentuale, ma con forte dipendenza dalla lunghezza temporale del ciclo di vita; ho ricevuto una critica da una gentile lettrice che commentava :

Il PVC è perfettamente riciclabile. Quel poco che viene raccolto viene tutto riciclato.

La lettrice in questione non è una sconosciuta ma è la dott. Diana Castiglione, dunque una persona esperta del tema sul quale ha anche contributo a pubblicare dei testi; le ho risposto immediatamente, ma cerco in questo breve post di chiarire perché ho attribuito al PVC una percentuale nulla di riciclo.

Mi sono basato sui dati pubblici su questo tema che si possono compendiare nei fatti seguenti ciascuno accompagnato da un link o un lavoro da cui ho estratto i dati:

(dal 10 al )20% di tutta la plastica è PVC

https://www.bpf.co.uk/plastipedia/polymers/pvc.aspx

ogni anno si producono 65 milioni di ton di cloro

http://www.essentialchemicalindustry.org/chemicals/chlorine.html

il 30% va in PVC

http://www.essentialchemicalindustry.org/chemicals/chlorine.html

da qui si deduce che (0.3 x 65=) si usano 20 Mton di ton di cloro per fare il PVC ogni anno e dato che la formula PVC è (CH2-CHCl)n e il Cl rappresenta dunque il 56,8% in peso il totale produzione mondiale di PVC si aggira sui 37-40 Mton (per il ciclo del cloro si veda qui)

Annual production of chlorine

World 65 million tonnes1
U.S. 11 million tonnes1
Europe 10 million tonnes2

Dati da:
1) 2018 Elements of the Business of Chemistry, American Chemical Council.
2) In 2017 Chlor-Alkali Review 2017/2018 Euro Chlor, 2018.

Quanto di questo PVC si può riciclare?

La prospettiva di riciclo del PVC di Vyniplus (iniziativa europea) al 2020 è 800.000 ton   su circa 5 milioni di ton di PVC europeo ossia il 16% circa; è una prospettiva; quanto se ne ricicla adesso? Il documento (pieno di bei disegni) non lo dice.

http://www.eswa.be/pdf/camb01_4002_vinylplus_brochure_en.pdf

In mancanza di dati certi mi rifaccio ad un documento dell’UE del 2004-2005

https://ec.europa.eu/environment/waste/studies/pdf/pvc-final_report_lca.pdf

dove si legge:

The PVC recycling rate for post consumer waste (in the year 2000) is relatively low in the European Union, representing only 3%, in comparison to landfilling (82%) and incineration (15%). This is mainly due to high collection and separation costs. Nevertheless, this rate is expected to increase.

Dunque l’ultimo dato certo è 3% (e quello di prospettiva del prossimo anno di 16%).

Io nel mio esempio ho approssimato certamente per difetto, ma rispetto al 70% di riciclo del PET mi sembrava di poter contrapporre i due materiali.

I metodi di riciclo del PVC sono meccanici, triturazione e rifusione oppure chimici, rimetterlo nel ciclo industriale del cloro tramite la produzione del CaCl2, certamente si può fare; d’altronde qualunque materiale a patto di spendere sufficiente energia è riciclabile; ma, come si sa, per contrastare il 2 principio occorre spendere un flusso di energia (dalla raccolta alla separazione al riciclo vero e proprio); secondo la documentazione la cosa è fattibile ma non all’infinito:

quante volte si può riciclare il PVC?

PVC is fully recyclable.  Due to its properties it reprocesses well and can be recycled into second (or third life) applications with ease.

https://www.bpf.co.uk/plastipefrecycledia/polymers/pvc.aspx

Dunque anche chi lo produce sostiene che si può fare, ma solo due o tre volte. Evidentemente il danno da riciclo è sensibile. Ma il riciclo non è una operazione una-tantum; un buon riciclo è PER SEMPRE mentre ora siamo qua: 0.163=0.005. Chiara l’antifona? Smettiamola di parlare di riciclo una tantum, è il proseguimento della economia lineare, fare uno, due o tre cicli non basta occorre farne tanti; quanti? quanto serve!

Aggiungo che l’incinerazione riportata nel documento UE (che è datato consento) è presente sia in modo legale che illegale (gli incendi fraudolenti dei depositi di plastica italiani dopo il blocco cinese) e non corrisponde ad alcun modo di recupero, in quanto la quota di energia recuperata tramite combustione è solo una quota piccola dell’energia spesa nella filiera complessiva di produzione del PVC a partire da petrolio e sale marino. Secondo una stima riportata nel documento sottocitato la quantità di energia necessaria per produrre 1kg di PVC è di circa 70MJ contro i 18 MJ ottenibili dalla sua combustione, con una perdita netta del 300%.

http://www.inference.org.uk/sustainable/LCA/elcd/external_docs/epvc_31116f09-fabd-11da-974d-0800200c9a66.pdf

https://www.m-ep.co.jp/en/pdf/product/iupi_nova/physicality_04.pdf

Quest’ultimo elemento è quello che ho sviluppato di più nella risposta immediata sul blog. La conclusione è che al momento il riciclo di massa del PVC è certamente molto più complesso di quello di altri polimeri anche se la sua vita media è molto alta, attorno al valore che ho usato nell’esempio, circa 30 anni.

Per tutti i motivi che ho esposto qua mi sembra che il mio post sia ampiamente difendibile.

Origine e presenza del cloro nell’universo e nel sistema solare

Diego Tesauro

Il cloro, elemento numero 17, ha molteplici funzioni nella società tecnologica assolvendo a diversi ruoli, formando sia legami ionici che covalenti con gli altri elementi della tavola periodica. E’ inoltre un elemento essenziale per la vita essendo, come ione cloruro, presente nel sangue, di cui è il principale anione e come acido cloridrico nello stomaco, certamente retaggio della vita terrestre generatasi nel mare. Negli oceani infatti è il terzo elemento per abbondanza in massa dopo naturalmente l’ossigeno e l’idrogeno. Sulla crosta terrestre è invece meno abbondante essendo la maggior parte dei composti di natura ionica e per la maggior parte solubili in acqua per cui troviamo i suoi sali in zone aride. Due sono gli isotopi stabili il 35Cl e il 37Cl nel rapporto 3:1. In questo stesso rapporto è presente in tutto il sistema solare dal Sole, alla Luna a Marte. Questo rapporto è sicuramente stato ubiquitario nella formazione del sistema solare. La conferma è venuta dalle osservazioni e dalle analisi svolte durante la missione Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko (Figura 1) [1].

Figura 1 La Cometa Churyumov-Gerasimenko è una cometa periodica del nostro Sistema solare, dal periodo orbitale di 6,45 anni terrestri. La cometa è stata oggetto della missione Rosetta

A livello della via Lattea, invece, la presenza del cloro è stata poco studiata e solo negli ultimi decenni sono effettuate osservazioni per verificarne l’effettiva esistenza, e rilevarne, negli spazi interstellari, la formazione di composti. Nelle stelle è difficile evidenziare il cloro per la sua bassa abbondanza e per non accessibilità delle transizioni atomiche. Solo di recente mediante spettrometri infrarossi è stato osservato in 15 giganti rosse ed in una stella nana rossa. Avendo una massa atomica inferiore a 56, ma essendo un elemento relativamente pesante, il cloro si forma, secondo l’attuale teoria della nucleosintesi, certamente nelle stelle massicce con massa intorno alle 8 masse solari. In queste stelle, nelle fasi finali dell’evoluzione stellare, avviene la sintesi di elementi pesanti a partire dall’acquisizione di nuclei di elio da parte del neon. A seguito di questi processi di sintesi, essendo un elemento con numero atomico dispari, non dovrebbe essere particolarmente abbondante secondo calcoli teorici sull’evoluzione chimica. Invece un osservazione recente dimostra che il rapporto fra entrambi gli isotopi del cloro ed il ferro è più alto di quello atteso, anche in relazione al rapporto con altri elementi quali il silicio e il calcio. Pertanto si può suppore che l’isotopo 35Cl può essere prodotto dalla frammentazione indotta dai neutrini mentre l’isotopo 37Cl può essere generato nelle stelle giganti rosse del ramo AGB. Questo dato, però successive osservazioni, su un gruppo di stelle più ampio, non è stato confermato e il rapporto isotopico tra i due nuclei si è dimostrato coerente con i modelli, senza dover introdurre ulteriori vie nella sintesi di entrambi gli isotopi. Il cloro prodotto in queste fasi terminali viene poi espulso a seguito dell’esplosione di supernova contaminando le nebulose molecolari. In questo contesto gli atomi di cloro subiscono una ionizzazione da parte della radiazione UV alla lunghezza d’onda di 91.2 and 95.6 nm [2] formando la specie Cl+. Lo ione risultante reagisce esotermicamente con l’idrogeno molecolare, che come è noto, è la forma elementare più abbondante in queste nebulose, formando, attraverso una serie di intermedi, al termine del processo, HCl. Pertanto il cloro nelle nebulose è presente essenzialmente in questa forma [3]. L’osservazione di HCl è stata limitata a lungo, per gli strumenti basati sulla Terra, in quanto è difficile rilevare la lunghezza d’onda 625.9187 GHz nel dominio submillimetrico del lontano infrarosso, a cui emette l’acido cloridrico a causa del piccolo momento di inerzia, essendo questa frequenza troppo vicina a quella dell’assorbimento dell’acqua dell’atmosfera. Pertanto la molecola è stata osservata dallo spazio negli anni ottanta con lo osservatorio Kuiper Airborne (KAO) della NASA e solo nel 1995 da Terra nella regione di formazione stellare verso il centro della nostra galassia nella nebulosa Sagittarius B2 (Figura 2).

Figura 2 La nebulosa Sagittarius B2 di gas e polveri è situata a 390 anni luce dal centro della Via Lattea con una massa di 3 milioni di volte superiore alla massa del Sole

Successivamente si è avuta conferma della sua presenza in zone occupate da stelle evolute e in zone attive di formazione stellare grazie allo strumento Heterodyne (HIFI) a bordo dell’osservatorio spaziale Herschel che ha fornito dati sui composti presenti nella via Lattea e nel gruppo locale (ammasso di galassie al quale appartiene la via Lattea). La presenza di questa molecola nella nebulosa, da cui si è formato il sistema solare, è stato dimostrata dalla citata missione Rosetta [1]. Le comete infatti sono un laboratorio temporale fossile capace di conservare le molecole presenti nelle prime fasi di formazione del sistema solare. In queste condizioni il 90% del cloro era infatti legato all’idrogeno, incorporato nelle particelle di polvere gelata, di cui è costituita la cometa. Un discorso completamente diverso riguarda, invece, la presenza di composti clorurati su altri corpi del sistema solare, come ad esempio Marte. Fin dalle prima missioni Viking nel 1976 era sta rilevata una grande abbondanza di ione perclorato, inizialmente attribuito ad una contaminazione terrestre da parte del veicolo spaziale.

Figura 3 Phoenix Mars Lander è una sonda automatica sviluppata dalla NASA per l’esplorazione del pianeta Marte. E’ stata lanciata il 4 agosto 2007 ed è atterrata su Marte il 25 maggio 2008 (ACS Earth Space Chem copyright)

Successive osservazioni e la missione Phoenix giunta su Marte nel 2008 (Figura 3) hanno fornito evidenze sulla distribuzione dell’anione nel sito di atterraggio in una miscela composta per il 60% da Ca(ClO4)2 e per il 40% di Mg(ClO4)2 [4]. La presenza del perclorato permette, in alcune zone del pianeta, la presenza di acqua allo stato liquido grazie all’elevata salinità delle pozze, che abbassano la tensione di vapore dell’acqua impendendone l’ebollizione, nonostante i soli 4 millibar di pressione dell’atmosfera del pianeta rosso. La formazione del perclorato e del clorato nonché di cloruro di metile è stata ottenuta di recente in laboratorio riproducendo le condizioni presenti su Marte come processo di ossidazione dell’acido cloridrico a carico del biossido di carbonio catalizzato da biossido di titanio, i minerali anatasio, rutilo (a base di biossido di titanio), montmorillonite (un silicato di formula (Na,Ca)0,33(Al,Mg)2(Si4O10)(OH)2.n H2O), e il meteorite marziano Nakhla (Figura 4) [5].

Figura 4 Pathways di reazione e prodotti intermedi per la produzione di ClO4 nelle condizioni dell’ambiente marziano.

Come quindi è possibile constatare da queste osservazioni, l’indagine su questo elemento, a livello della ricerca astronomica, sarà ancora lunga e complessa per poter dare delle risposte che possano chiarire il ruolo di questo elemento e dei suoi composti nelle nebulose e sui pianeti rocciosi.

Riferimenti

1 Frederik Dhooghe et al. Halogens as tracers of protosolar nebula material in comet 67P/Churyumov–Gerasimenko MNRAS 2017, 472, 1336–1345. doi:10.1093/mnras/stx1911

2 M. Jura, Chlorine-bearing molecules in interstellar clouds The Astrophysical Journal 1974, 190, L33.

3 R. R. Monje et al. Hydrogen Chloride In Diffuse Interstellar Clouds along the Line of Sight to W31C (G10.6-0.4) The Astrophysical Journal 2013, 767:81 (8pp). doi:10.1088/0004-637X/767/1/81

4 Selby C. Cull Concentrated perchlorate at the Mars Phoenix landing site: Evidence for thin film liquid water on Mars Geophysical Research Letters 2010, 37, L22203. doi:10.1029/2010GL045269,

5 Svatopluk Civiš et al. Formation of Methane and (Per)Chlorates on Mars ACS Earth Space Chem. 2019, 3, 221−232. doi :10.1021/acsearthspacechem.8b00104 http://pubs.acs.org/journal/aesccq

 

Elementi della tavola periodica: Cloro, Cl.

Mauro Icardi

Il cloro venne ottenuto nel 1774 da Carl Wilhelm Scheele , che lo produsse facendo reagire l’acido cloridrico con il biossido di manganese e ne descrisse le principali proprietà. Non ne riconobbe però la natura di elemento. Venne chiamato cloro nel 1810 da Humphry Davy, che insistette sul fatto che si trattasse a tutti gli effetti di un elemento.

Simbolo Cl, numero atomico 17, peso atomico 35,457; sono noti due isotopi stabili 35Cl e 37Cl presenti in natura nel rapporto all’incirca di 3:1.

Allo stato elementare il cloro è un gas di colore giallo-verde (il nome deriva dal greco chloròs che significa verde).

Data la sua elevata reattività, il cloro si rinviene libero in natura solo eccezionalmente e in tracce nelle esalazioni di alcuni vulcani. La maggior parte del cloro in natura è presente sotto forma di cloruro, in particolare di cloruro di sodio, che costituisce lo 0,045% in peso della litosfera. Nelle acque marine invece la percentuale è mediamente del 30%, anche se nei bacini più piccoli può essere leggermente variabile, mentre negli oceani è di fatto costante.

Il cloro ha moltissimi usi legati al suo alto potere ossidante. Il cloro viene usato per sbiancare la polpa del legno nella produzione della carta, ed anche per rimuovere l’inchiostro nella carta destinata a trattamenti di recupero.

A proposito della sbianca dei tessuti, occorre ricordare che anche il carbonato di sodio veniva usato per questo scopo, tanto che ancora oggi viene conosciuto con il nome di soda da bucato. Nel 1792 Il chimico Nicolas Leblanc sviluppò il primo processo sintetico per la sua produzione , secondo le due reazioni:

2NaCl + H2SO4 → 2HCl + Na2SO4

Na2SO4 + CaCO3 + 4C → Na2CO3 + CaS + 4CO

Il processo di fabbricazione Leblanc aveva però un grave problema di impatto ambientale.  Infatti per ogni 100 Kg di cloruro sodico, trattato per ottenere il solfato, si liberavano 60 kg di acido cloridrico che veniva disperso in atmosfera. In Inghilterra, precisamente a Liverpool, nel 1824 era stata creata una grande fabbrica che produceva carbonato di sodio utilizzando il metodo Leblanc. Nelle zone limitrofe allo stabilimento presto la situazione divenne intollerabile. Nel 1863 con l’emanazione dell’Alkali Act fu imposto per legge il recupero dell’acido. Ai sensi di questa legge britannica un ispettore degli alcali e quattro collaboratori erano incaricati di ispezionare le aziende, e impedire lo scarico nell’aria dell’acido muriatico (acido cloridrico gassoso) proveniente dagli impianti di produzione.  Il recupero provocò sul mercato un’esuberanza di acido cloridrico che obbligò i fabbricanti a trovare nuovi impieghi per quello che era diventato un sottoprodotto. L’uso dell’acido cloridrico come materia prima per ottenere cloro ed ipocloriti fu la risposta dei chimici, che se ne servirono per il candeggio del cotone e della carta.  Nasce in questo modo l’industria del cloro. Per dovere di cronaca occorre aggiungere che molto presto il processo Leblanc sostituito da quello Solvay, dal nome del chimico belga Ernest Solvay, che già nel 1860 si impose con il processo di fabbricazione del carbonato di sodio che da lui ha preso il nome. Il processo Solvay prevede una prima reazione tra ammoniaca e anidride carbonica il cui prodotto, fatto reagire con cloruro sodico, da poi un bicarbonato di sodio che è trasformato per riscaldamento in carbonato neutro di sodio con liberazione di anidride carbonica.  L’anidride è posta in riciclo facendola reagire con l’ammoniaca del primo passaggio.

Per quanto riguarda invece la produzione del cloro odierna, il cloro viene principalmente prodotto per elettrolisi. Si parla propriamente di processo cloro-soda.

Il processo industriale è applicato a soluzioni acquose di cloruro di sodio (NaCl) o del cloruro di potassio (KCl). Questa tecnologia viene utilizzata per produrre cloro (Cl2), idrossido di sodio (NaOH, soda caustica) o idrossido di potassio (KOH, potassa caustica) e idrogeno (H2).

Anche per il cloro si verificarono problemi di eccedenza sul mercato. Ma la situazione si modificò sostanzialmente a partire dagli anni 40. Il cloro divenne importante tecnicamente e commercialmente, trovando largo impiego nell’industria dei composti organici clorurati e delle materie plastiche.

L’utilizzo del cloro è importante nell’industria chimica organica, in quanto quando sostituisce un idrogeno in un composto organico, ne migliora le proprietà generali, come nel caso della gomma sintetica.

Purtroppo il cloro venne usato anche come componente di uno dei gas utilizzati a scopo bellico nella Prima guerra mondiale: il fosgene.

Il fosgene (o cloruro di carbonile) venne inventato nel 1812 da un chimico inglese, John Davy, che lo utilizzò inizialmente per la colorazione chimica dei tessuti. Si trattava di un composto formato da cloro e ossido di carbonio che se respirato poteva provocare la morte in quanto andava ad attaccare le vie respiratorie.

Il fosgene venne impiegato la prima volta nel 1915 dall’esercito tedesco contro le truppe francesi attraverso il lancio di apposite bombe. L’anno successivo toccò agli italiani che, sul Monte San Michele, subirono per la prima volta un attacco chimico da parte dell’esercito austro- ungarico il 29 Giugno 2016. In questo caso però le bombole di gas non furono lanciate, ma vennero aperte creando così una nube tossica che venne poi sospinta dal vento.

Con la comparsa dei gas nei campi di battaglia gli eserciti si adoperarono anche per prevenirne gli effetti, distribuendo ai soldati delle rudimentali maschere antigas. Non essendo però conosciuta la composizione chimica del gas, molte non funzionavano. L’esercito italiano (ma anche altri) ne distribuì un esemplare che non fu in grado di contrastare né il fosgene né l’yprite. D’altronde la stessa conoscenza sulla chimica era talmente bassa che i soldati furono istruiti, in caso di mancanza di maschere durante un attacco chimico, ad infilarsi un pezzo di pane bagnato in bocca (che simulava il filtro) coprendo poi il viso con un fazzoletto.

Il cloro ed i prodotti derivati come l’ipoclorito di sodio (meglio conosciuto come candeggina), trovano largo impiego nella depurazione delle acque per il loro riconosciuto potere battericida.
La clorazione delle acque si può effettuare sia su acque destinate al consumo umano, che su acque reflue al termine del trattamento depurativo, prima dello scarico nel corpo idrico ricettore.

Può essere realizzata in vari modi; nella clorazione comunemente intesa (quella dei piccoli/medi impianti) viene semplicemente aggiunta una soluzione di ipoclorito di sodio (varechina, candeggina) all’acqua.
L’ipoclorito di sodio è un composto antimicrobico liquido, limpido, di colore paglierino, con una densità relativa di 1,2 g/cm3.

Il prodotto presente in commercio che viene normalmente utilizzato per la clorazione delle acque è una soluzione di ipoclorito di sodio al 12-14% in volume, pari a circa il 10% in peso di cloro attivo (la candeggina domestica contiene circa il 5 per cento di ipoclorito di sodio).

L’aggiunta di cloro nell’acqua produce acido cloridrico e ipocloroso: questi composti sono noti come cloro libero. Il pH e la temperatura incidono in modo rilevante sulla efficacia della disinfezione.

Sia che il cloro venga immesso direttamente nella rete idrica, sia in un serbatoio, dovrebbe essere assicurato prima dell’utilizzo un “tempo di contatto” fra acqua e cloro di almeno 30 minuti, affinchè il cloro possa svolgere la sua azione battericida.
In realtà poiché le soluzioni di ipoclorito di sodio perdono spontaneamente (con il tempo, la luce, la temperatura, l’azione di altre sostanze presenti nell’acqua) il titolo in cloro attivo, per assicurare “al rubinetto” la misura richiesta (es. 0,2 mg/l), negli acquedotti si applicano dosaggi progressivamente superiori (es. 0,4 mg/l).

I valori di cloro sia libero che totale vengono evidenziati con appositi reagenti, e prevalentemente misurati con il colorimetro portatile.
Il Colorimetro Digitale (detto anche fotometro) permette di determinare la concentrazione di cloro libero o totale con un metodo colorimetrico: la reazione tra cloro e reagente conferisce una particolare colorazione all’acqua che opportunamente elaborata dalla fotocellula interna allo strumento permette all’operatore, anche non specializzato, di leggere direttamente nel display il valore in mg/l, con una precisione da laboratorio.

Dopo molti anni di ricerche ci si è accorti che il cloro svolge un ruolo fondamentale, in un ciclo biogeochimico piuttosto complesso. Il cloro è presente in natura sotto forma di composti organici nel mare, nei fiumi, nelle piante e negli animali.

La produzione naturale di composti organici del cloro in realtà supera quella dell’industria ed è essenziale per molte forme di tutela della salute degli esseri viventi.

E’ importante individuare il modo in cui la natura ricicla il cloro e lo utilizza per creare nuovi composti affinché l’industria possa imparare dalla natura e implementare così i propri processi produttivi.

Il cloro e i suoi composti sono componenti naturali della Terra: come ogni elemento, anche il cloro ha un proprio posto nella biosintesi. Perciò non stupisce il fatto che quasi il 2% del cloro contenuto negli oceani, analogamente al bromo e allo iodio, sia utilizzato da numerosi organismi marini (alghe, erbe marine, microbi e molluschi). In questo modo si stima si producano circa 5 milioni di tonnellate di cloruro di metile, 0,3 milioni di tonnellate di bromuro di metile e 1,3 milioni di tonnellate di ioduro di metile che si formano tramite process naturali ogni anno nel mare, oltre a grandi quantità di svariati altri derivati del metano tra cui cloroformio e tetracloruro di carbonio. Inoltre, il cloro viene prodotto dagli aerosol oceanici, dai vulcani, e anche sul terreno è prodotto e utilizzato da numerosi microbi, vermi e dalle piante nella sintesi dei composti organo-clorurati. Finora sono state identificate almeno 1500 sostanze chimiche organoalogenate di origine naturale e attualmente sono centinaia i nuovi composti in via di identificazione.

Oltre a strutture semplici quali il cloruro di metile, la natura produce molecole clorurate complesse che possono contenere alti quantitativi di cloro.

Persino composti organoclorurati “tipicamente industriali” come il pentaclorofenolo, i policloropirroli, i bifenili policloruratie la tetraclorodibenzodiossine sono state identificate come sostanze di origine naturale individuate anche in sedimenti vecchi di 8000 anni.

L’emissione globale di composti organoclorurati dalle fonti naturali è elevata. Grandi quantitativi di elementi contenenti cloro presenti naturalmente nell’humus sono componenti del terreno paludoso e dei fiumi allo stato naturale.

Va ricordato inoltre che il cloro è un microelemento indispensabile per la crescita delle piante ma che queste assorbono in quantità veramente minime e come ione Cl-. La funzione che il cloruro svolge è quella relativa alla fotolisi dell’acqua all’interno dei cloroplasti, durante il processo di fotosintesi, e agisce sulla regolazione dell’apertura degli stomi.

Tutto questo mi riporta alla mente un aforisma di Albert Einstein: “Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata”

-G. Öberg “The natural chlorine cycle – fitting the scattered pieces” Appl Microbiol Biotechnol (2002) 58:565–581

– T.E. GraedeP and W.C. Keeneb “The budget and cycle of Earth‘s natural chlorine” Pure & Appl. Chem., Vol. 68, No. 9, pp. 1689-1697, 1996.