Donne e scienza nel Covid

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Abbiamo più volte parlato in questo blog del ruolo fondamentale della donna nel progresso scientifico. A queste preziose figure a cui ci siamo riferiti è da sempre andato il nostro augurio di conquistare la visibilità e lo spazio che meritano. Ormai i grandi giornali scientifici da Nature a Science come anche i mass media tornano spesso a parlare della donna nella scienza e sempre più si consolida l’idea che se quantitativamente ancora la distanza da coprire per l’equiparazione, a partire dalle iscrizioni alle facoltà universitarie STEM è lunga, qualitativamente il gap si sta saldando con preziosi contributi nei campi più disparati delle Scienze dallo Spazio all’Immunologia, dalla Robotica all’Ambiente.

Oggi, in questa prospettiva, mi fa piacere parlare di una scienziata meno nota al grande pubblico, ma che con riferimento alla pandemia merita la massima attenzione. Parlo della vincitrice 2021 dell’Ambrogino d’Oro Valentina Massa prof.ass.to di Biologia Applicata all’Università di Milano e biologa dell’Ospedale Sacco che ha contribuito a risolvere un problema del nostro tempo correlato alla pandemia, quello della diagnosi sicura, di massa e non invasiva.

https://lastatalenews.unimi.it/covid-19-maggio-test-salivare-statale-per-screening-scolastici

http://www.diss.unimi.it/ecm/home/aggiornamenti-e-archivi/tutte-le-notizie/content/ambrogino-doro-a-valentina-massa.0000.UNIMIDIRE-95026

Queste caratteristiche non sono presenti insieme e la proposta del test salivare messa a punto dalla prof.ssa Massa appare particolarmente interessante anche in relazione al coinvolgimento nella procedura vaccinale della fascia di età più bassa, a partire dai bambini di 5 anni.

Il test consiste nel tenere in bocca un cotton-fioc che funziona come un tampone, ma con l’affidabilità del molecolare (95% di accuratezza) maggiore del genetico, ed oggi utilizzato da ragazzi e bambini nelle scuole sentinelle di tutta Italia.

Il test ribattezzato “dei lecca-lecca” ha dovuto aspettare alcuni mesi prima di essere inserito nei protocolli nazionali e regionali.

Il test molecolare su campione nasofaringeo e orofaringeo rappresenta il gold-standard internazionale per la diagnosi di COVID-19 in termini di sensibilità e specificità. La metodica di real-time RT-PCR (Reverse-Transcription-Polymerase-Chain-Reaction), che è quella più diffusa fra i test molecolari, permette, attraverso l’amplificazione dei geni virali maggiormente espressi, di rilevare la presenza del genoma virale oltre che in soggetti sintomatici, anche in presenza di bassa carica virale, spesso presintomatici o asintomatici. Il campione di saliva può essere considerato un’opzione per il rilevamento dell’infezione da SARS-CoV-2 qualora non sia possibile ottenere tamponi oro/nasofaringei: nei sintomatici il test deve essere eseguito entro i primi 5 giorni dall’inizio dei sintomi. Negli asintomatici il test può essere considerato un’opzione al tampone nasofaringeo, per chi è sottoposto ripetutamente a screening per motivi professionali.

Il test può anche essere utilizzato per aumentare l’accettabilità di test ripetuti come nel caso di anziani e disabili. L’uso della saliva per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 prevede un metodo di raccolta non invasivo, tuttavia per ottenere un campione adeguato sono necessarie alcune accortezze: la saliva deve essere raccolta a digiuno, senza aver fumato, lavato i denti, bevuto, usato gomma da masticare e preferibilmente di mattina.

Big data e covid19

Luigi Campanella, già Presidente SCI

La drammatica esperienza che stiamo vivendo ci sta insegnando tante cose: mi é capitato di dirlo più volte!  

Saremo stati buoni scolari?

Uno degli argomenti che più mi hanno affascinato riguarda il patrimonio dati. Quando ero studente disporre di dati era un privilegio di pochi, i computer personali praticamente non esistevano, le banche dati erano appena in formazione.

Eppure oggi il patrimonio di informazione che dietro questi dati si cela è una ricchezza; ma come è vero che il denaro spesso non fa la felicità anche i dati spesso restano informazione, non diventano conoscenza, assumono il ruolo di barriere fra addetti e cittadini, diventano pericolosi superamenti del giusto diritto alla privacy.

Ecco allora che come per i soldi la felicità così per i dati la conoscenza: si possono ottenere ma se si è capaci di gestire il prezioso patrimonio con attenzione ed etica. Questa é la scienza del comportamento, quello di ognuno, che per rispondere a criteri etici deve essere rispettoso della dignità della persona, come singolo e come comunità.

In questi giorni credo non ci sia cittadino che non presti attenzione ai comunicati, alle reprimende, alle raccomandazioni, all’elenco di imposizioni e limitazioni da parte dei vari Comitati Tecnici preposti a regolare la libertà dei cittadini durante la pandemia. Questi esperti svolgono un lavoro prezioso, cercano di giustificare ai cittadini le necessarie riduzioni di libertà. Il problema è che entrano in dialogo diretto con i cittadini senza mediazione politica.

Questo stile di comunicazione è inappropriato: come diceva Weber “la scienza è come una mappa, non ci dice dove andare, ma come andarci“.

Invece circa il dove andare spesso sentiamo critiche alle scelte di governo, per influenzare e governare sulla base di dati che però risultano filtrati. I big data proprio per la loro natura per produrre conoscenza devono essere interpretati, ma la chiave di interpretazione diviene uno strumento selettivo fra conoscenza e chi la può acquisire e non-conoscenza. I politici hanno certamente il dovere di utilizzare la migliore conoscenza che i dati disponibili offrono, ma il bilanciamento fra conoscenza scientifica e altri valori, quali costi psicologici, economici, sociali, disomogeneità di carico fra le differenti situazioni geopolitiche sociali, industriali spettano alla politica.

Un altro punto che prima ricordavo riguarda la privacy. Ogni giorno sui mass media vengono pubblicate notizie di diffusione illecita di dati personali che riguardano anche le Amministrazioni ed i Ministeri. La pandemia ha accelerato il processo di digitalizzazione. Ma questa rivoluzione, in sé preziosa, non può prescindere da quella della ciber-sicurezza e della protezione dati.

D’altra parte fra i due c’è stretta relazione: si pensi alle frodi bancarie, ai furti di account, alla vendita di prodotti inesistenti. Esistono normative importanti a livello europeo e figure obbligatorie in ambito sia pubblico che privato: il responsabile della protezione dati DPO  esiste formalmente dal maggio 2018, ma purtroppo trattasi di figura difficile ad essere formata. Questo ci riporta ad un altro tema più volte sollevato sul blog, cioè alla corrispondenza fra offerta didattica ed esigenze/richieste del mercato. La tradizionale articolazione dell’università a volte fatica a rendersi conto della richiesta di figure che la scavalcano per il taglio interdisciplinare e la combinazione di discipline tecniche con altre più amministrative.

Il DPO può rappresentare uno stimolo a riconsiderare da parte degli atenei queste figure realizzando progetti didattici integrati. La chimica credo sia fra le discipline più interessate ad un approccio olistico verso la conoscenza

Sicurezza, normativa e Covid-19

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Dinnanzi alle emergenze, e di certo covid-19 lo è, si è a volte portati o costretti ad adottare iniziative che possono non corrispondere alle direttive ufficiali: poco male in alcuni casi, molto peggio in altri, quando il mancato rispetto di norme comporta danni ed incidenti. Ecco perchè proprio in corrispondenza di contingenze critiche la normazione  diviene attività di sicurezza per tutti ed i relativi Enti fondamentali garanti della responsabilità  sociale che deve presiedere alla gestione di questi periodi drammatici.

Cosi l’Ente Europeo di normazione ed i nazionali UNI ed ACCREDIA hanno in questo frangente operato per fungere da supporto delle diverse misure di contenimento e gestione dell’emergenza, anche intercettando aspetti di carattere organizzativo e gestionale. Tale supporto vuole trasformare la gestione di un’emergenza in quella di un cambiamento, non programmato, di uno scenario noto, strutturato, gestito secondo flussi, relazioni responsabilità, autorità, ruoli definiti e secondo schemi consolidati che inevitabilmente vengono reinvestiti.I problemi pratici che richiedono l’attenzione dei normatori sono tantissimi e di natura diversa. Le norme sono fondamentali per orientare e portare nel mercato l’innovazione nel settore delle mascherine, dei camici, dei guanti, ma anche del ricambio dell’aria, della disinfezione e sanificazione, delle strumentazioni idonee.

Due punti particolarmente discussi e di rilievo riguardano i rifiuti di nuova generazione legati alla pandemia e la didattica a distanza.

Per quanto riguarda il primo l’elevato consumo di mascherine ne ha fatto un rifiuto quantitativamente molto significativo e per questo molto pericoloso in caso di smaltimento selvaggio (nelle discariche,in mare): di qui la necessità di norme per la gestione di questo rifiuto e di altri ad esso collegati come guanti, camici, residui di gel disinfettanti.

Per quanto riguarda il secondo si tratta di esperienza relativamente nuova e da applicare improvvisamente e su larga scala: sono necessarie norme che garantiscano tutte insieme sicurezza, sostenibilità, qualità dell’insegnamento. Con riferimento all’Ente Nazionale durante l’emergenza UNI è stato un punto di riferimento a livello nazionale, non soltanto in quanto depositario attraverso le norme delle conoscenze tecniche necessarie alla riconversione, ma anche  come snodo di conoscenze e competenze di esperti (funzionari tecnici, industria, università, laboratori di prova, ordini professionali) e per lo sviluppo tempestivo di nuovi riferimenti normativi per colmare le lacune evidenziate dall’emergenza stessa.

L’UNI, Ente italiano di normazione, ha reso liberamente scaricabili le norme tecniche che definiscono i requisiti di sicurezza, di qualità e i metodi di prova dei prodotti indispensabili per la prevenzione del contagio da Covid-19.

Si tratta, in particolare, di maschere filtranti, guanti e occhiali protettivi, indumenti e teli chirurgici le cui caratteristiche tecniche ora sono liberamente accessibili in modo da facilitare le scelte di acquisto da parte delle pubbliche amministrazioni e la riconversione produttiva da parte delle imprese. Ma non solo UNI, anche gli inglesi si sono mossi e l’English Standard Institute BSI con la sua sezione Italia ha ora  resta disponibile una nuova versione delle linee guida “Il lavoro in sicurezza durante la pandemia da COVID-19”.

Il documento offre un approccio completo e pratico, applicabile a tutte le organizzazioni, indipendentemente dal loro settore o dimensioni. Le Linee guida forniscono raccomandazioni, basate sull’esperienza dei lavoratori e sul contributo di esperti, per lavorare in sicurezza durante la fase di ripresa dalla pandemia. La prima versione è stata migliorata ed estesa, sulla base delle informazioni più approfondite e più recenti, per aiutare a prevenire una seconda ondata. Le principali nuove clausole aggiunte sono:

  • Lavorare in sicurezza anche da casa
  • Gestione di casi sospetti o confermati di COVID-19
  • Luoghi di lavoro multipli e postazioni mobili
  • Uso sicuro dei servizi igienici
  • Segnalazione a soggetti esterni
  • Inclusività e accessibilità
  • Salute e benessere psicologico
  • Un aspetto che ancora fa fatica ad imporsi e che è più vicino a noi chimici riguarda i materiali: si preferisce normare e certificare la funzione, ma chi ha vissuto negli anni 80 la rivoluzione della REFERENZIAZIONE Analitica sa che questa scelta può non essere la migliore a garanzia dell’utenza

Bufale di……scoglio.

Claudio Della Volpe

Quando ero ragazzo ricordo che le triglie di scoglio erano a Napoli un ricercato tipo di pesce; al momento non saprei dove trovarle, ma in compenso posso proporvi quattro “risate” ed un po’ di ironia sul caso delle bufale di ….scoglio.

In un recente post Luigi Campanella faceva notare come i laboratori medici sono raramente accreditati dal punto di vista della qualità, tanto che il numero di quelli dotati della ISO 15189 rimane costante a livello internazionale, circa 10mila.

Questa carenza di controllo di qualità su laboratori, che usano tanta chimica, può forse contribuire a spiegare certe posizioni che sono state recentemente al centro di discussioni e anche di azioni legali promosse da quella che potremmo chiamare la “cultura”(?!?)  no-vax.

Nell’ottobre un medico di Ardea, tale Amici firma insieme ad altri noti “scienziati alternativi” i cui nomi ritornano spesso in queste faccende  (Scoglio, Franchi e Gatti e Montanari, proprio loro i nano-scienziati, (nel senso scienziati delle nanoparticelle)) un ricorso al TAR del Lazio contro la decisione del Presidente della Regione , Zingaretti, che aveva disposto la vaccinazione anticovid obbligatoria. Tutto il ragionamento era basato sulla presunta inconsistenza dei test di rilevazione del Covid-19, definiti come incapaci nell’85% dei casi di rilevare la malattia.

La richiesta si fondava sugli esperimenti condotti da alcuni dei firmatari in un laboratorio medico (presumibilmente NON dotato di ISO15189 visti i risultati) e che sono perfino documentati su ……Youtube (nota videorivista di chimica analitica).

Non vi metto il link per ridurre la facilità di accesso a questi documenti, veramente pietosi dal punto di vista scientifico e tecnico, ma li trovate facilmente se cercate i nomi di Scoglio e Amici su Youtube.

Stefano Scoglio è un dottore, si, ma in ………giurisprudenza, altresì naturopata (definizione che non richiede in Italia alcuna laurea) e autodichiarato professore e candidato al premio Nobel, che studia le alghe e ha pubblicato alcuni lavori sull’uso medico delle alghe proposte contro malattie importanti (alghe vendute da lui medesimo); trovate un commento sul personaggio qui.

E’ arrivato sui giornali nazionali per aver sostenuto che il virus della Covid non è mai stato isolato.

Cosa fanno in queste prove filmate della inconsistenza dei test per rilevare il covid?

Testano le strip che si usano per il test rapido usando come materiale del test non i campioni di muco estratti ai pazienti, ma fette di kiwi, pera, mela ed altro tipo di frutta appositamente rovinate per questo geniale e ridicolo scopo. Dall’ovvio e prevedibile fallimento del test che, travolto dal diverso pH e forza ionica, rileva l’infezione o meno, traggono la conclusione che il test è fallimentare.

Il test viene eseguito da un perito chimico (Domenico D’Angelo) il quale esegue  la raccolta dei campioni sul supporto, l’immersione nella soluzione tamponante e l’immissione del liquido così ottenuto sullo stick che contiene il reagente per la reazione vera e propria (non sappiamo se le lame usate siano sterilizzate o meno).

Da sin. Scoglio, Amici e D’Angelo.

L’immunocromatografia su membrana, questo il nome tecnico del test usato, comunemente detto test rapido è basato sulle specifiche non solo di quel che si vuole testare (virus, batterio, proteina di qualche tipo, ormone ma anche della tipologia di campione usato; ogni test è progettato per una specifica tipologia di campione; ce ne sono per le feci, per le urine, il sangue, etc); questa specificità avrebbe dovuto far scattare un qualche dubbio nei volenterosi analisti, ma nulla. Sono troppo esperti per preoccuparsi di queste quisquilie.

Scoglio è addirittura convinto che il virus non sia mai stato individuato e separato, cosa totalmente falsa e al contrario ottenuta in numerosi laboratori nel mondo, ma tutti si sono sbagliati: le foto al SEM, i dati RNA, le strutture di cui abbiamo ripetutamente parlato per il nostro futuro Nobel non esistono.

Lo schema della reazione immunochimica è individuata nella immagine sotto e una review opensource sui problemi di questo tipo di test è per esempio la seguente:

Anal Bioanal Chem (2009) 393:569–582 Geertruida A. Posthuma-Trumpie & Jakob Korf & Aart van Amerongen   DOI 10.1007/s00216-008-2287-2 Lateral flow (immuno)assay: its strengths, weaknesses, opportunities and threats. A literature survey

Ma si vedano anche:

https://nanocomposix.com/pages/lateral-flow-tips-tricks-and-frequently-asked-questions-faq#target

Immagine tratta da http://www.dstunisannio.it/sites/default/files/2019-11/8.Tecniche%20immunologiche.pdf

Ovviamente se uno usa campioni con pH, concentrazione, forza ionica differenti da quelle attese provoca delle reazioni impreviste che falsano completamente il risultato; la diffusione dei complessi antigene-anticorpo sui letti capillari dipende dal sottile bilancio di forze chimico-fisiche che controllano la viscosità e dunque la formazione, il numero, il deflusso degli immunocomplessi stessi o almeno la loro velocità.

Si può definire questo effetto globale come effetto matrice anche se qualche esperto dell’analisi chimica potrebbe dire che si tratta di una vera e propria interferenza realizzata usando campioni non previsti dalle specifiche del test.

Provo a darvi una semplice descrizione che sta alla base di eventuali risultati falsi positivi/negativi come in questo caso. I test rapidi prevedono l’utilizzo di particolari nanoparticelle (solitamente oro colloidale) che, una volta “coniugate” con anticorpi, vengono collocate su delle membrane adatte alla loro disidratazione. Il complesso con cui le nanoparticelle e gli anticorpi vengono stabilizzati è particolarmente suscettibile a variazioni chimico/fisiche (pH estremi, concentrazioni elevate di sali etc…). Quando il complesso, dopo essere venuto a contatto con un campione contenente l’antigene ricercato, in questo caso proteine di SARS-CoV-2, viene fatto fluire su apposite membrane (spesso trattate per renderle compatibili con la matrice in oggetto, come sangue, urina, oppure in questo caso tamponi nasali o nasofaringei), occorre che la “corsa” del coniugato con le nanoparticelle mantenga queste condizioni chimico/fisiche stabili, utilizzando come tampone di corsa un buffer appositamente studiato per impedire fenomeni di destabilizzazione, perché altrimenti avviene un fenomeno che in maniera semplicistica viene definito di “aggregazione”: ovvero le nanoparticelle si aggregano e cambiano di aspetto (da rosso/viola diventano di un brutto grigio scuro) e si fermano ai primi ostacoli che incontrano, per esempio anticorpi/antigeni/buffers posti sulle membrane in cui il complesso fluisce. Questa aggregazione causa un risultato falso positivo. Lo stesso può facilmente avvenire facendo correre delle soluzioni acide o ricche di sali su un test di gravidanza per esempio o su un qualsiasi altro lateral flow a meno che le membrane non siano trattate per tamponare tutte queste variazioni. Chiaramente, nello sviluppo di un test rapido e nella stabilità dei coniugati con nanoparticelle, non vengono considerati gli effetti che una macedonia di frutta o altri bizzarri tessuti avrebbero sui complessi, perciò non è strano che ponendo del succo di kiwi, o di arancia acido e salino, questo causi precipitazione di nanoparticelle e quindi falsi positivi (o negativi).

La cosa che meraviglia di più in queste storie è la numerosissima congerie di persone che  scrive commenti positivi a questi campioni di sciocchezze assolute; si tratta di migliaia di persone che rifiutano la voce dell’esperto ufficiale che considerano non affidabile e a cui preferiscono chi gli dice quel che vogliono sentire. Nessuna scienza, ma solo fake news insomma. Come contrastare queste cose?

Abbiamo visto gli effetti di questi meccanismi nella invasione del Parlamento americano da parte di estremisti di destra americani opportunamente disinformati sugli inesistenti imbrogli elettorali da chi poteva trarne vantaggio, l’ex-presidente Trump, che continua ancora oggi a negare di aver perso le elezioni. Anche lì le informazioni ufficiali ripetute da tutti i giornali, confermati dalla magistratura americana sono state considerate false e le persone hanno creduto a quello a cui già credevano; inutili le spiegazioni.

Interessante notare che un esperimento simile è stato fatto dal Presidente della Tanzania John Pombe Joseph Magufuli, già a maggio scorso usando vari tipi di tessuto animali, vegetali ed inerti e dimostrando una analoga ignoranza in materia; il presidente tanzaniano si è autodichiarato ingegnere chimico e dotato delle conoscenze adeguate (in effetti sembra abbia ricevuto un PhD in chimica dall’Università di Dar-es-Salaam). Magufuli ha interrotto il conteggio dei casi a maggio e un mese dopo ha dichiarato che la nazione aveva eliminato il virus dopo tre giorni di digiuno e preghiere. Inutile dire che tutti i paesi attorno hanno centinaia o migliaia di morti da Covid-19. In questo modo la Tanzania sta cercando di intercettare il residuo flusso turistico mondiale. Magufuli è stato ahimè rieletto fino al 2025. Nel frattempo la Tanzania ha ordinato non il vaccino ma un tonico alle erbe usato anche in Madagascar per combattere il covid-19. Vedremo a fine pandemia. Nel frattempo il nostro ministero degli esteri sconsiglia viaggi in Tanzania.

Vedi anche: https://www.fanpage.it/esteri/zanzibar-lo-strano-caso-dellisola-senza-covid-da-maggio-che-cura-il-virus-con-preghiere-ed-erbe/

Dunque cosa possiamo fare per contrastare le sciocchezze messe in giro da questi interessati ed ignorantissimi pseudoesperti?

Direi anzitutto essere presenti nell’agone mediatico, fare da punto di riferimento, mantenere una propria autonomia ed autorevolezza; non mancano gli argomenti su cui lo scontro non è con migliaia di ignorantoni, ma con poche sottili menti pagate da grandi multinazionali e che cercano di alterare le informazioni sull’energia o sulle rinnovabili o sul cambiamento climatico.

I nostri lettori conoscono bene le polemiche fra Vincenzo Balzani e Nicola Armaroli e le balle mediatiche dell’ENI o del Sole-24 ore per esempio sulla sua strategia energetica o le decisioni governative sul nuovo  piano energetico nazionale; i contrasti del passato sul nucleare o l’acqua pubblica.

Su tutti questi argomenti occorre mantenere la barra dritta, avere una faccia sola non condizionata né dalla ricerca dell’assenso popolare né dalla  ricerca dell’alleanza con le forze economiche guidate da fortissimi interessi e poca visione del futuro, ma casomai interessanti come finanziatori o anche solo tradizionalmente e storicamente vicine a noi.

L’opinione pubblica fa presto a confondere la scienza e la tecnica con la sua applicazione interessata. Come società scientifica, come ricercatori   dovremmo essere presenti costantemente nella controinformazione con spirito di servizio per acquisire SUL CAMPO la necessaria autorevolezza e il riconoscimento popolare.

Solo conservando questa base di oggettività, spesso scomoda per noi, potremmo poi essere credibili quando la descrizione oggettiva dei fenomeni contrasta con gli interessi di chi ci ascolta.

Altrimenti diventiamo parte dell’establishment, diventiamo una delle tante voci interessate o perfino la controparte e basta e veniamo accusati di fare gli interessi di entità vere o fantomatiche, ma “altre”, insomma un complotto!

(Ringrazio il collega e biologo Luca Forte conosciuto su AIRI-FB per la sua efficace descrizione della procedura.)

Disinfettanti per le mani contro il coronavirus.

Rinaldo Cervellati

Sui disinfettanti per le mani e sulla loro efficacia ha scritto Laura Howes su Chemistry & Engineering news del 23 marzo scorso (What is hand sanitizer, and does it keep your hands germ-free? C&EN news). Qui ne riporto una traduzione adattata.

Nei primissimi mesi del 2020, con la diffusione del nuovo coronavirus, SARS-CoV-2, le vendite di disinfettanti per le mani hanno iniziato a crescere. L’11 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ufficialmente dichiarato l’epidemia una pandemia globale. Le Organizzazioni Sanitarie di tutto il globo hanno raccomandato alle persone di astenersi dal toccarsi il viso e di pulirsi le mani dopo aver toccato le superfici pubbliche come maniglie, corrimano, ecc.

Il primo caso statunitense di COVID-19, la malattia causata da SARS-CoV-2, è stato rilevato il 20 gennaio scorso. Secondo la società di ricerche di mercato Nielsen, le vendite di disinfettanti per le mani negli Stati Uniti sono cresciute del 73% a fine febbraio.

Sulle porte dei negozi in tutto il pianeta sono comparsi avvisi per avvertire che i disinfettanti per le mani erano esauriti. Di conseguenza le grandi ditte, come ad esempio il gigante chimico BASF, ma anche studenti di chimica di diverse università, stanno cercando di produrre nuovi disinfettanti.

Ma la popolarità dei disinfettanti per le mani è giustificata? Anche se la maggior parte dei funzionari sanitari afferma che il sapone e l’acqua sono il modo migliore per pulire le mani da eventuali contaminazioni, quando questo non è possibile, gli esperti affermano che i disinfettanti per le mani sono il presidio migliore. Per ottenere il massimo beneficio da questi, le istituzioni sanitarie raccomandano di utilizzare un prodotto che contenga almeno il 60% di alcol, coprire tutta la superficie delle mani e strofinarle insieme fino ad asciugarle.

Ancor prima che gli scienziati sapessero che esistevano i germi, i medici stabilirono il legame tra lavaggio delle mani e salute. Il riformatore medico americano Oliver Wendell Holmes[1] e l’ungherese, Ignaz Philipp Semmelweis (detto “Salvatore delle madri”)[2], collegarono la scarsa igiene delle mani con un aumento dei tassi di infezione postpartum nel 1840, quasi 20 anni prima che il famoso biologo francese Louis Pasteur pubblicasse le sue prime scoperte sulla teoria dei batteri.

Nel 1966, mentre era ancora una studentessa di infermieristica, Lupe Hernandez (1941-2017) brevettò, per gli ospedali, un gel disinfettante per le mani contenente alcol.

Lupe Hernandez

Nel 1988, l’azienda Gojo[3] ha introdotto Purell®, il primo disinfettante in gel contenente alcol.

Sebbene alcuni dei disinfettanti per le mani venduti non contengano alcol, esso è l’ingrediente principale nella maggior parte dei prodotti che attualmente vengono letteralmente strappati dagli scaffali di negozi e supermercati. Questo perché l’alcol è un disinfettante molto efficace e sicuro da applicare sulla pelle.

La caratteristica dell’alcol è di rompere i rivestimenti esterni di batteri e virus.

Il coronavirus SARS-CoV-2 è noto come un “virus avvolto”. Alcuni virus si proteggono solo con una gabbia costituita da proteine. Ma quando i virus avvolti lasciano le cellule che hanno infettato, si avvolgono in una membrana composta di pareti a base lipidica delle cellule e di alcune delle loro stesse proteine. Secondo il chimico Pall Thordarson dell’Università del Nuovo Galles del Sud (Australia), i doppi strati lipidici che circondano virus avvolti, come SARS-CoV-2, sono tenuti insieme da una combinazione di legami a idrogeno e interazioni idrofobiche. Come i lipidi che proteggono questi microrganismi, gli alcoli hanno una regione polare e una non polare, quindi afferma Thordarson: “l’etanolo (alcol etilico) e altri alcoli interrompono queste combinazioni di legami, dissolvendo efficacemente le membrane lipidiche”. Tuttavia, aggiunge, è necessaria una concentrazione abbastanza elevata di alcol per rompere velocemente il rivestimento protettivo degli organismi, motivo per cui l’americano Center for Disease Control (CDC) consiglia di utilizzare disinfettanti per le mani con almeno il 60% di alcol.

Pall Thordarson

Tuttavia strofinare alte concentrazioni di alcol sulla pelle non è piacevole. L’alcool può rendere rapidamente la pelle secca perché distrugge anche il suo strato protettivo untuoso. Ecco perché i disinfettanti per le mani contengono normalmente anche un agente idratante che contrasta la secchezza.

L’OMS offre due semplici formulazioni per produrre in proprio liquidi disinfettanti per le mani in aree remote o con risorse limitate, in cui i lavoratori non hanno accesso a lavandini o altre strutture per la pulizia delle mani. Una di queste formulazioni utilizza l’80% di etanolo e l’altra il 75% di alcol isopropilico. Entrambe le ricette contengono una piccola quantità di perossido di idrogeno per prevenire la crescita di batteri nel disinfettante e un po’ di glicerolo per aiutare a idratare la pelle e prevenire eventuali dermatiti. Altri composti idratanti che si possono trovare nei disinfettanti liquidi per mani includono glicole polietilenico o glicole propilenico. Quando un disinfettante per le mani a base alcolica viene strofinato sulla pelle, l’etanolo evapora, lasciando dietro di sé i composti lenitivi.

Nelle cliniche, liquidi disinfettanti per le mani come quelli che si possono fare con le ricette dell’OMS vengono facilmente trasferiti nelle mani di pazienti, medici, infermieri e visitatori da distributori a parete.

Per i consumatori, i gel disinfettanti in flacone sono molto più comodi da trasportare e utilizzare anche in viaggio perché è semplice spremere il gel senza versarlo ovunque. I gel rallentano anche l’evaporazione dell’alcool, garantendo che si abbia il tempo di coprire le mani e lavorare contro i microrganismi che potrebbero essere presenti.

Le persone che provano a produrre in proprio disinfettanti per le mani a base di gel dovrebbero sapere che i classici agenti gelificanti come la gelatina o l’agar non formano un gel stabile alle alte concentrazioni di alcol necessarie per uccidere virus e batteri, perché i gruppi alcolici polari interrompono i legami intermolecolari. I produttori aggirano questo ostacolo usando polimeri acrilici ad alto peso molecolare. I legami crociati covalenti aiutano a creare un gel viscoso resistente all’alcol.

Mentre la maggior parte dei disinfettanti per le mani contengono alcol etilico o isopropilico, sono anche in vendita disinfettanti per le mani senza alcool. Questi di solito contengono composti antimicrobici come il benzalconio cloruro che forniscono una protezione duratura contro i batteri. Ma i prodotti senza alcool non sono raccomandati dalle Istituzioni Sanitarie per combattere il nuovo coronavirus SARS-CoV-2, in quanto non è ancora stabilito che possano essere usati con successo contro esso.

Secondo Rachel McCloy, esperta di scienze comportamentali all’Università di Reading, UK, l’acquisto massiccio di disinfettanti, dovuto al panico, consente alle persone di avere una sensazione di controllo, ma quando le persone hanno paura, spesso non prendono decisioni razionali o proporzionate ai rischi. “È fondamentale ascoltare gli esperti di salute pubblica sulle azioni più efficaci da intraprendere in qualsiasi momento”, afferma McCloy. E l’opzione migliore è ancora lavarsi le mani.

Rachel McCloy

Acqua e sapone sono ancora l’opzione migliore per l’igiene delle mani, sottolinea Thordarson. Le molecole di sapone non solo interrompono le interazioni non covalenti che tengono insieme virus e pareti cellulari batteriche ma possono anche circoscrivere ed eliminare i batteri dalla pelle. I disinfettanti per le mani non possono rimuovere i microbi dalla pelle e non sono efficaci contro tutti i microrganismi. Ad esempio, i norovirus non hanno un rivestimento di membrana lipidica che può essere spezzato dall’alcol e le spore del Clostridium difficile hanno un rivestimento duro di cheratina che può proteggerli per anni. Inoltre, l’alcool non funziona in modo efficace su mani sporche o unte.

Infine, sostiene Thordarson: “I prodotti a base di alcol funzionano”, ma niente batte il sapone”.

Credit: Flashpop/Getty

[1] Oliver Wendell Holmes (1809-1894), statunitense, è stato medico, insegnante poeta e scrittore, vissuto a Boston.

[2] Ignaz Philipp Semmelweis (1818-1865) è stato un medico e scienziato ungherese, noto come uno dei primi pionieri delle procedure antisettiche.

[3] La GOJO Industries, Inc., è un’azienda privata di prodotti per l’igiene delle mani e la cura della pelle fondata nel 1946, in Ohio, USA.

Spillover, antropocene e mascherine.

Claudio Della Volpe

La grande paura del contagio rende tutti noi poco capaci di riflettere sui tempi lunghi e sulle cause lontane dei fenomeni che stiamo vivendo.

E invece dobbiamo sforzarci di riflettere proprio su questo; non si tratta di un “cigno nero” un fenomeno non prevedibile e misterioso. Al contrario!
Questa pandemia era stata prevista ampiamente; ho letto in questi giorni un libro scritto da un grande giornalista scientifico, David Quammen: Spillover, (grazie a Oca Sapiens del suggerimento) che scriveva nel 2012 proprio che un coronavirus era uno dei più probabili candidati al “Big One” un salto di specie in grado di infettare l’intera umanità con una infezione potenzialmente dannosa.

L’avevo citato in un post precedente , ma non l’avevo ancora letto tutto; l’ho fatto e vi dico che vale la pena che tutti noi lo leggiamo; è la storia dei numerosi spillover, ossia salti di specie, che hanno caratterizzato buona parte dell’Antropocene, del periodo che non sappiamo bene quando inizia ma che ci vede protagonisti.

Qui sotto vedete quel che ragionevolmente è accaduto per la SARS-COV-2.covid1

I virus, in particolare quelli a RNA, ma non solo, sono una entità che abbiamo scoperto da poco più di cento anni; infatti fu solo nel 1892 che Dmitri Iosifovich Ivanovski, un botanico russo ne ipotizzò l’esistenza (il virus del mosaico del tabacco). Ma si rintracciano fin quasi all’origine della vita.

I virus si riproducono con fantastica velocità sfruttando i meccanismi delle cellule batteriche ed animali; nel fare questo, come i batteri, sono in grado di mutare velocemente; nella maggior parte dei casi le mutazioni, ossia gli errori che sopravvivono al controllo enzimatico, non sono granchè utili, ma a volte lo sono. Si stabilisce una storia dunque di mutazioni e reciproci adattamenti fra i virus e le cellule, le cui leggi non sono banali affatto.

Noi uomini siamo un ottimo terreno di coltura virale, devono solo stare attenti a non ammazzarci troppo velocemente; se lo facessero non riuscirebbero a diffondersi bene; un esempio è la rabbia, una zoonosi che uccide il 100% degli infettati umani se non curata in tempo; malattia pericolosa ma di poco successo come pandemia. (ovvio non ci sono progetti virali è solo casualità).

covid2David Quammen, Spillover Adelphi, 11.90 o ebook 5.90

Siamo l’unico animale vertebrato che è stato in grado, sulle terre emerse, di raggiungere il numero strabiliante di quasi 8 miliardi di esemplari; la nostra biomassa è ormai (insieme a quella dei nostri animali) la più appetibile sorgente di cellule da riproduzione virale.

Il nostro outbreak, ossia la nostra esplosiva crescita che in poche decine di mila anni ci ha portati dai mille individui all’epoca dell’esplosione catastrofica di Toba ad 8 miliardi, ci ha anche reso un ottimo terreno di coltura per i virus.

Come abbiamo scritto altrove la massa nostra e dei nostri animali copre il 98% (il novantotto per cento) della massa dei vertebrati terrestri; da quando ci siamo noi Sapiens Sapiens (sapienti al quadrato, ma saggi affatto, la sapienza non è saggezza!) la biomassa terrestre complessiva si è dimezzata.

Se fossimo un insetto sarebbe una invasione, una piaga biblica, ma dato che siamo “i padroni del creato” nessuno o quasi si lamenta.

Ora attenzione non è che gli spillover non ci siano stati in passato; ce ne sono stati sicuro anche preistorici, ce ne sono stati che ci hanno lasciato ricordini che sono ancora in corso (molte importanti malattie moderne come il morbillo ci sono venute per salto di specie dagli animali e casomai alcune si sono adattate a noi, senza conservare alcun serbatoio di riserva, il vaiolo che abbiamo appena eliminato proprio e solo per questo); ogni tanto qualche virus o batterio fa il salto e se gli offriamo le condizioni opportune il salto riesce e diventa epidemia o pandemia.

Negli ultimi 100 anni per esempio il salto è avvenuto per il virus dell’immunodeficienza degli scimpanze (SID) che si è trasformato in uno dei virus dell’AIDS, l’HIV-1, questo salto è avvenuto nel 1908, ma solo grazie ai mutamenti del nostro modo di vivere si è poi trasformato in una pandemia globale ed inarrestabile, risalendo da una sconosciuta valle africana verso Leopoldville e poi aiutata dalle pratiche scorrette delle prime vaccinazioni (che venivano fatte senza sterilizzare gli aghi) fino ad esplodere in Centro Africa e di lì al resto del mondo.

Quammen elenca tutti gli ultimi casi importanti in un crescendo formidabile; e nell’elenco non ci sono solo paesi lontani come il centro Africa e le residue foreste dell’Asia, ma anche i moderni capannoni per l’allevamento delle capre in Olanda (Brabante) (il caso della C. Burnetii, la febbre Q, 2007, un particolare batterio) o gli allevamenti di cavalli in Australia (virus Hendra, dai pipistrelli ai cavalli e agli uomini).

Noi uomini invadiamo senza sosta ogni lembo di Natura incontaminata, per esempio entriamo a centinaia nelle caverne occupate dai grandi pipistrelli  africani, sapete il turismo è una “necessità” e la conseguenza di un contatto con feci contaminate sono febbri incurabili; oppure raccogliamo senza alcun tipo di controllo igienico la linfa delle palme di cui sono ghiotti sempre alcuni giganteschi pipistrelli o altri animali, o ancora alleviamo in uno strato di deiezioni le caprette anche nei paesi più “moderni” e la conseguenza è un infezione batterica che dalla placenta secca delle caprette si trasmette per via aerea in zone tecnologicamente avanzate d’Europa.

Oh! perché i pipistrelli?  i pipistrelli sono mammiferi come noi, chirotteri antichi che volano anche per decine di chilometri, ricercati come cibo se abbastanza grandi; sono il secondo più numeroso gruppo di specie nell’ambito dei mammiferi dopo i roditori; dunque non è che ci sia alcuna maledizione se sono un comune e ottimo serbatoio di lancio per i virus verso altri mammiferi.

Ora non sempre la situazione è così drammatica come il SARS-COV-2, ma che i virus ad RNA (singolo filamento, dotati della maggiore velocità di mutazione) fossero i candidati perfetti ad uno spillover tragico era nelle cose; dopo tutto questa è la terza ondata di SARS, mica la prima.

Concludendo il libro merita e apre la mente.

SARS-CoV-2  è il settimo coronavirus capace di infettare esseri umani; SARS-CoV, MERS- CoV and SARS-CoV-2 possono causare malattie severe, mentre HKU1, NL63, OC43 and 229E sono associate con sintomi lievi.

Ma la storia del coronavirus ha altri addentellati interessanti.

Le scelte iperefficienti di un modo di produrre in cui tutto è merce diventano tombe: le mascherine le fanno solo alcuni paesi, (sapete è il just in time) dunque adesso ci servono ma non le abbiamo, le fanno altrove non più qua; oppure la maledetta sanità pubblica, così costosa che molti paesi ne fanno a meno proprio; è così “efficiente” la sanità privata con i suoi posti letto ridotti al minimo indispensabile per ridurre i costi di quegli scialacquatori di medici ed infermieri e dei troppi vecchiotti che si ammalano. Lei è assicurato signore? No e allora mi spiace i tamponi costano, sa e se no il PIL non cresce e il deficit pubblico cresce. E adesso siamo senza terapie di urgenza.

Non basta.

Le mascherine, i guanti, le sovrascarpe, le tute sono tutte di plastica (odiata plastica!) e per giunta usa-e-getta e per noi tutti reduci da una stagione di lotta all’usa e getta sembra questa un vendetta di Montezuma della plastica!

L’usa e getta non è sostenibile, lo abbiamo scritto e ripetuto, ma In tempi di emergenza come questi l’usa e getta è indispensabile; pensare di riciclare le mascherine disinfettandole in forno o in alcool è una pia illusione; in forno il trattamento superficiale che rende così efficace il tessuto-non tessuto del filtro si danneggia irreparabilmente, perché l’adsorbimento non è una questione meccanica ma di forze di adesione di cui abbiamo parlato di recente. Ci ho lavorato parecchio sulle superfici dei materiali e vi assicuro che se andate sopra la Tg del polimero (di solito PET o PBT) il suo trattamento superficiale va a farsi friggere.

E’ vero che alcuni filtri (ma sono i meno performanti) sono basati su un meccanismo “elettretico”, ossia su un materiale polimerico in cui sono “congelati” al momento della produzione dei blocchi dipolari che rendono la superficie del materiale una sorta di condensatore; in questo caso il materiale è fatto di PES-BaTiO3, dove il titanato di bario ha una elevatissima costante dielettrica o di stearato. Ma anche qui occorre capire che “ripulire” il filtro non è banale e probabilmente non si può fare adeguatamente anche se la carenza di mascherine stimola l’ingegno (e le fregature).

La vendetta dell’usa e getta dicevo; ma è come per altri settori; non ci sono soluzioni tecniche e basta che conservino un modo di produrre insensato.covid3

https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9.pdf   

Faccio un parallelo: dobbiamo passare alle rinnovabili certo, alla mobilità elettrica, è ovvio; ma non possiamo conservare i livelli di spreco attuali; un miliardo o più di auto elettriche PRIVATE è solo poco meno devastante che un miliardo di auto fossili PRIVATE, altera altri cicli degli elementi finora quasi intatti.

Così come pensare che dato che abbiamo la tecnologia degli antibiotici o degli antivirali, possiamo non preoccuparci: non ci salvaguardano dagli spillover o dalle malattie infettive resistenti.

La tecnologia da sola non può vincere; la Scienza lo può, ma solo nel senso che essa riconosce alla Natura che siamo una sua costola, non i suoi dominatori, che non si tratta di “vincere” ma di adattarsi.

L’arma del sapone, uno dei primi prodotti di sintesi di massa rivela in queste circostanze tutto il suo enorme potenziale igienico di civiltà; sapone comune ottenuto dalle nostre nonne dal grasso di maiale e dalla lisciva delle ceneri del legno; ovvio che poi sono venuti decine di altri prodotti chimici di sintesi o meno che sono potentissimi disinfettanti: alcol etilico, ipoclorito di sodio, sali di alchilammonio, acqua ossigenata (robe che i chemofobi odiano, ma senza di essi oggi non si vive).

Senza l’apporto della Chimica la medicina è oggi ridotta all’osso: distanziamento sociale stare da soli, violare la nostra natura profonda di esseri sociali, che diventa l’unica arma disponibile in attesa di un vaccino. Si capisce allora la ricerca spasmodica di una nuova pallottola magica, un antivirale che consenta di controllare le conseguenze più drammatiche del virus.

Questa pallottola arriverà certamente nelle prossime settimane grazie al lavoro combinato (e sottolineo combinato) di chimici, fisici, biologi e medici.

Ma ricordiamo che la questione base è quella che possiamo esprimere come “one health”; la salute dell’uomo dipende dal vivere in ambienti sani, che siano in equilibrio, un uomo in reciproco adattamento con gli ambienti naturali e che dunque si minimizzino gli effetti dell’evoluzione virale, dei salti di specie, l’opposto dell’attuale continua aggressione ad ogni foresta, ogni lembo di natura, ogni selvatico, sulla terra e sul mare. L’opposto anche della continua crescita di velocità in ogni contatto, ritrovare la lentezza che è tipica dell’adattamento; i tempi umani e i tempi biologici devono ritrovarsi. Ricordiamo l’ammonimento di Enzo Tiezzi.

Mentre con lo schiudersi del nuovo millennio la scienza celebra i fasti di risultati fino a ieri semplicemente inimmaginabili, è nello stesso tempo davanti agli occhi di tutti una crisi radicale nel nostro rapporto con la natura. C’è il rischio concreto di un abbassamento della qualità della vita, di una distruzione irreversibile di fondamentali risorse naturali, di una crescita economica e tecnologica che produce disoccupazione e disadattamento»(Tempi storici e tempi biologici, Donzelli editore, 1987!!! lo trovate solo usato; guardate questa è quasi preveggenza, certo è saggezza)

La Natura non è estranea a noi che pensiamo di dominarla, noi siamo parte della Natura stessa e dobbiamo comprenderla e salvaguardarla NON assoggettarla a meccanismi economici insensati: crescere SEMPRE, la crescita infinita di popolazione e ricchezze è IMPOSSIBILE in un mondo finito, la nostra piccola astronave Terra, come l’hanno chiamata Vincenzo Balzani e Nicola Armaroli.

Le nostre discariche atmosferiche di gas da combustione sono sature e ci hanno portato al global warming; abbiamo violato ogni ciclo presesistente (carbonio, azoto, fosforo, zolfo) e, per rimediare, ci avviamo a fare lo stesso con gli altri elementi della tavola periodica (le tecnologie rinnovabili usano molti elementi mai usati prima, dunque il riciclo spinto è indispensabile, ma è sufficiente?); ma anche la Natura violata ed “affettata” delle grandi foreste tropicali ai margini di enormi città da milioni di uomini, per il fatto stesso di avere dimensioni ridotte diventa un appoggio, una interfaccia per ogni salto di specie virale o batterico: ricordate che i virus non rimarranno rispettosamente confinati nel “loro” fazzoletto di foresta.  A questo danno una mano

-la caccia ai residui animali selvatici (il 2%) che spesso nei paesi poveri è l’unico modo di procurarsi proteine o soldi vendendo peni di prede vietate a qualche ricco impotente,

-l’allevamento intensivo condotto in modo inumano dappertutto, il consumo di carne che deve crescere ogni anno e che ingloba sempre nuove specie, sulla terra e nel mare;

-il commercio dei wet market, i negozi della tradizione asiatica dove animali, piante e persone si ammassano in modo insensato, scambiandosi ogni tipo di tessuti, fluidi e (ovviamente) virus e batteri.

– la distruzione del tessuto forestale che secondo le associazioni ambientaliste viaggia a centinaia o migliaia di metri quadri al secondo

Ci sono limiti da non superare. Ma la nostra hubris non ha tema. Noi siamo i dominatori del mondo, crescete e moltiplicatevi.  OK, andava bene 5-6000 anni fa ma al momento non c’è più spazio.

Ovviamente sono importanti e vanno bene le tecnologie delle rinnovabili e del riciclo, ma, ATTENZIONE, non sono un toccasana; lo sono sempre e SOLO se condite e accompagnate dal rispetto; servono se riconoscono il nostro far parte di una rete naturale di cui siamo uno dei nodi non l’unico né il dominante. Non sono garanzia di crescita ulteriore. Servono solo se sono lo strumento di una vita più SOBRIA!

La Natura è l’unica a sapere il fatto suo e l’intelligenza dopo tutto non è che UNA delle strategie naturali e invece di esser un punto di arrivo potrebbe non essere quella vincente (specie se condita di mercato), potrebbe essere un vicolo cieco

 

da leggere:

https://ilmanifesto.it/david-quammen-questo-virus-e-piu-pericoloso-di-ebola-e-sars/

Coronavirus e limiti della crescita

Claudio Della Volpe

(ringrazio tutti gli amici di Climalteranti, di Risorse Globali e della redazione di questo blog con cui ho discusso di questo post (non sempre in armonia); ringrazio in particolare Sylvie Coyaud (Oca Sapiens) per gli utili suggerimenti)

Parlare di coronavirus su questo blog sembra fuori tema, ma vedremo che non è così. Inoltre trattandosi di un argomento non strettamente chimico, qualche dettaglio potrebbe essere impreciso; me ne scuso con gli specialisti.

Il SARS-Cov-2 è un virus ad RNA responsabile della Covid-19, una EID (Emerging infectious disease) a volte definita anche come zoonosi (meno correttamente).

Il termine zoonosi si usa correttamente solo per malattie trasmesse da uomo ad animale e viceversa; qua stiamo parlando di malattie che invece sono presenti nelle specie umane ed animali e si pensa abbiano fatto il cosiddetto “salto di specie”. In sostanza hanno come serbatoio un animale ma possono essere trasmesse tramite fluidi corporei vari (sangue, muco, feci) anche all’uomo e in alcuni casi diventano capaci di trasmettersi direttamente da uomo a uomo.

Covid-19 è l’ultima di una lunga serie di malattie che abbiamo ricevuto in dono dagli animali negli ultimi 50 anni: AIDS dagli scimpanzé, SARS dallo zibetto (civet-cat), MERS dai cammelli, Ebola dai pipistrelli come Covid-19, probabilmente attraverso un ospite intermedio. Senza dimenticare altri nomi che non sono assurti a fama globale: Virus del Nilo Occidentale (zanzare come vettori ed uccelli come serbatoio), Nipah Virus, virus di Marburg ed altre.

3888–3892 | PNAS | February 25, 2020 | vol. 117 | no. 8 http://www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.2001655117

Non è che questo tipo di malattie (le zoonosi o le EIDs) fossero prima sconosciute; in realtà morbillo, vaiolo, influenza, difterite, peste bubbonica, tubercolosi sono considerate comunemente tutte malattie “zoonotiche” in origine e poi diventate umane. Ma esse hanno origini molto più lontane e sono in qualche modo parte della nostra storia millenaria di contatto ed invasione della natura, parte della nostra storia di cacciatori-raccoglitori e poi agricoltori.

E’ pur vero che oggi abbiamo i mezzi per rivelare casi che una volta sarebbero passati sottosilenzio, ma negli ultimi anni mi pare che il loro numero si sia incrementato ed è sempre più frequente trovarci di fronte a virus o microorganismi “nuovi” con cui non eravamo ancora entrati a contatto e che proprio per questo non trovano difese nel nostro patrimonio immunitario. In questi casi può svilupparsi una pandemia, ossia una potente epidemia che interessa tutta l’umanità prima o poi. Ogni evento locale di “spillover” (termine con cui i microbiologi indicano il passaggio di un patogeno da una specie ospite all’altra) catalizzato, è vero, dalla normale evoluzione dei virus ma anche dall’espansione senza soste della presenza nostra e dei nostri animali domestici, rischia di diventare globale.

(Lo spillover decisivo del SARS-Cov-2 si sarebbe verificato a fine novembre scorso.)

L’umanità primitiva che viveva in gruppi piccoli e sparsi, in un rapporto limitato al proprio habitat aveva scarse probabilità di incontrare microrganismi nuovi; era relativamente ben adattata al proprio territorio o agli habitat in cui si muoveva e gli scambi di agenti patogeni fra i vari gruppi erano probabilmente meno frequenti (anche se non si possono escudere spillover preistorici). L’umanità attuale che vive in un mondo che ha raggiunto quella che è stata definita “l’unificazione microbica” (e anche virale) è soggetta frequentemente a questi incontri man mano che sistematicamente continua a distruggere ed invadere i residui di foreste ed ecoambienti rimasti finora relativamente isolati e a cacciare nella maggior parte dei casi INUTILMENTE gli animali selvatici; man mano che la pressione agricola e di allevamento cresce, che gli ambienti naturali vengono aggrediti, gli ospiti naturali degli animali di quelle zone hanno la possibilità di scambiarsi con altre specie; dopo tutto la loro capacità di mutazione è enorme data la loro altissima velocità di riproduzione. Possono adattarsi, mutare e moltiplicarsi ovunque viviamo noi.

Quando si viene in contatto con nuove malattie che non fanno parte del nostro patrimonio immunitario l’effetto è devastante; dopo la cosiddetta “scoperta dell’America” (ossia lo sbarco di Colombo) lo scambio colombiano di cui abbiamo parlato altrove fornì all’Europa la sifilide (per maggiori informazioni si veda anche la teoria di Crosby), ma all’America tante di quelle malattie “da bambini” (come il morbillo) ma anche il vaiolo, da decimarne la popolazione con effetti terribili e perfino con una ricaduta climatica poderosa (ed opposta a quella attuale: riduzione di CO2 in atmosfera).

Un esempio di zoonosi locali indotte dalle variazioni dell’agricoltura di montagna è l’espansione delle malattie da zecca; queste sono vere e proprie zoonosi, nel senso non si trasmettono di solito da uomo a uomo. La zecca è un abitante della media montagna, di una media montagna tradizionalmente antropizzata, probabilmente in relativo equilibrio. Fin quando la media montagna è stata un ambiente regolarmente coltivato e le stagioni invernali sono state sufficientemente rigide le zecche erano in numero limitato e gli ospiti delle zecche erano al massimo pericolosi per gli animali domestici come i cani- Oggi, con la montagna abbandonata, qualunque ignaro turista si avventuri nella media montagna rimboschita, rinselvatichita e senza nemmeno la conoscenza del rischio zecca (si è persa la nozione di come si tolgono le zecche senza pericoli, come facevano i nostri vecchi) può rimanere vittima delle malattie trasmesse dalle zecche in buona parte delle nostre Alpi.

Frontiers in Microbiology | http://www.frontiersin.org 1 April 2018 | Volume 9 | Article 702

Le zoonosi e/o EID che si stanno sviluppando negli ultimi anni vengono tutte da zone cosiddette in “via di sviluppo”: Africa, Cina, Malaysia, India, zone dove la rapida espansione della popolazione e l’introduzione di metodi produttivi nuovi soprattutto in agricoltura distrugge equilibri ecologici millenari. (anche perché la sanità pubblica e l’educazione  all’igiene possono esservi più carenti)

Nelle zone di espansione gli animali selvatici e quelli addomesticati e, tramite loro, gli umani entrano in esteso contatto; gli animali più comuni o che si muovono più facilmente (specie se dotati di ali come gli uccelli, i pipistrelli che sono pure mammiferi, non dimentichiamolo, e dunque non tanto dissimili da noi) diventano il serbatoio per lo scambio di virus e microorganismi, casomai tramite ospiti per noi importanti come i maiali o le galline. Il risultato è reciprocamente svantaggioso: per loro è la distruzione dell’habitat e per noi l’acquisizione di nuovi ed indesiderati ospiti. Ci sono anche effetti ulteriori: dopo la SARS del 2002 gli zibetti sono stati decimati nella zona interessata, come se fosse colpa loro.

Dunque ecco che il coronavirus ci appare non come un caso, ma come un effetto necessario dell’invasione che operiamo costantemente degli ultimi ambienti ecologicamente indipendenti, delle reti naturali che strappiamo più o meno inconsapevolmente. Dei limiti insuperabili che tentiamo di superare con una crescita “infinita” (ed anche di una caccia diventata nella maggior parte dei casi gioco crudele).

Una nota finale è sui farmaci antivirali che sono in studio oltre al vaccino; mentre per il vaccino si parla di mesi (ma più ragionevolmente di anni) per il suo ottenimento ci sono alcuni farmaci che potrebbero rivelarsi utili secondo alcuni.

il fosfato di clorochina o la clorochina

imbrevettabile e ultra-collaudato contro la malaria. Da solo o combinato con il ritonavir avrebbe un effetto inibitorio sul Covid-19. I due farmaci, somministrati insieme potrebbero bloccare alcune proteine che non permettono al farmaco di penetrare nei tessuti. La clorochina ha ucciso il Sars-CoV-2 in vitro. Le ricerche più importanti sulla clorochina – iniziate con il coronavirus della SARS – sono quelle di Andrea Savarino all’ISS di Roma.

https://hivforum.info/forum/viewtopic.php?t=2786&start=120

Fare ricerca su questo tipo di farmaci imbrevettabili e collaudati potrebbe essere meglio che cercarne altri che costano troppo per i sistemi sanitari (quando esistono) dei paesi poveri (le trattative per abbassare i prezzi durano anni e intanto la gente muore, i volontari per primi)

Il ritonavir (ABT-538) è un farmaco antiretrovirale appartenente alla classe degli inibitori della proteasi, utilizzato nel trattamento della infezione del virus HIV.

Fra gli altri farmaci antivirali che sono in studio il remdesivir, GS-5734

che funziona ingannando la polimerasi virale dell’RNA; il farmaco ha trovato già resistenze, ma queste resistenze sono prodotte solo attraverso un indebolimento del meccanismo di replicazione del virus e dunque non sono stabili; in pratica il suo uso potrebbe essere comunque vantaggioso.

Anche se è da dire che è stato il meno efficace dei tre provati contro Ebola. I risultati erano positivi solo nei topi.

https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT03719586

Queste difficoltà fanno capire che la lotta alle zoonosi non può passare solo attraverso lo sviluppo di sempre più potenti antivirali, che inseguano le zoonosi e le loro resistenze, ma prima di tutto attraverso un diverso rapporto fra noi e la Natura che ci circonda.

Ovviamente non possiamo fare a meno dei vaccini, di medici esperti, di eroici volontari (anche i rapporti tra umani fanno parte della Natura).

Ma per non imitare la corsa, sempre in bilico, fra antibiotici e batteri, la Natura deve essere rispettata, non violentata. Dobbiamo smettere di distruggerla, fermare la crescita della popolazione, raggiungere un equilibrio con essa. Insieme con l’equilibrio climatico dobbiamo assolutamente raggiungere un equilibrio alimentare (e ovviamente degli altri nostri bisogni di specie.) con il resto della biosfera, un problema complessivo da cui dipende il nostro futuro.

Una umanità sana può essere e rimanere tale solo in un ambiente sano; è il concetto di “one health” ossia della necessità di preservare gli equilibri e la “salute” dell’ambiente per preservare la nostra salute come specie (il che non vuol dire eliminare le zoonosi, ma certo limitarle).

Non siamo indipendenti dalla Natura.

La gara costante a sopravanzare virus e batteri tramite la chimica di sintesi non può essere l’unica strategia del futuro. Gli antivirali e gli antibiotici vanno usati con saggezza, principalmente per avere il tempo di adattarci ad un diverso modo di convivere con la Natura.

Le quattro leggi ecologiche di Barry Commoner:

  • Ogni cosa è connessa con qualsiasi altra.“L’ambiente costituisce una macchina vivente, immensa ed estremamente complessa, che forma un sottile strato dinamico sulla superficie terrestre. Ogni specie vivente è collegata con molte altre. Questi legami stupiscono per la loro varietà e per le loro sottili interrelazioni.” Questa legge indica la interconnessione tra tutte le specie viventi, in natura non esistono rifiuti:es. ciò che l’uomo produce come rifiuto ossia l’anidride carbonica è utilizzata dalle piante come risorsa. L’uomo col suo inquinamento altera ogni giorno il ciclo naturale degli eventi. 

2) Ogni cosa deve finire da qualche parte. “In ogni sistema naturale, ciò che viene eliminato da un organismo, come rifiuto, viene utilizzato da un altro come cibo.” Niente scompare. Si ha semplicemente un trasferimento della sostanza da un luogo all’altro, una variazione di forma molecolare che agisce sui processi vitali dell’organismo del quale viene a fare parte per un certo tempo. 

3) La natura è l’unica a sapere il fatto suo. “Sono quasi sicuro che questo principio incontrerà notevole resistenza, poiché sembra contraddire la fede universale nella competenza assoluta del genere umano.” Questo indica esplicitamente l’uomo a non essere così pieno di sé e a usare la natura come se potesse renderla a suo indiscriminato servizio. Se la natura si ribella l’uomo crolla. 

4) Non si distribuiscono pasti gratuiti.“In ecologia, come in economia, non c’è guadagno che possa essere ottenuto senza un certo costo. In pratica, questa quarta legge non fa che sintetizzare le tre precedenti. Non si può evitare il pagamento di questo prezzo, lo si può solo rimandare nel tempo. Ogni cosa che l’uomo sottrae a questo sistema deve essere restituita. L’attuale crisi ambientale ci ammonisce che abbiamo rimandato troppo a lungo.”

Barry Commoner – Il cerchio da chiudere.

Da leggere: https://www.who.int/zoonoses/en/

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2002106?query=TOC

As the late Nobel laureate Joshua Lederberg famously lamented about emerging infectious diseases, “It’s our wits versus their genes.” Right now, their genes are outwitting us by adapting to infectivity in humans and to sometimes silent spread, without — so far — revealing all their secrets.

per il merito dell’infezione si veda qui:

https://www.fnovi.it/node/48433

“Spillover”, il magnifico libro di David Quammen, è esaurito, il consiglio è di farselo prestare… e di restituirlo. In alternativa: Genesis.

Spillover: Animal Infections and the Next Human Pandemic

https://www.adelphi.it/libro/9788845929298

 

(D. Quammen 2014. Spillover. Ed. Adelphi ) “la dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie… i virus, soprattutto quelli di un certo tipo, il cui genoma consiste in RNA (e non DNA) si adattano bene e velocemente alle nuove condizioni create dall’uomo”

SI veda anche: https://d24qi7hsckwe9l.cloudfront.net/downloads/dossier_foreste.pdf

In ecosistemi vitali, poco disturbati, è infatti più facile che un patogeno, come un virus o un batterio, non disturbi il proprio ospite. Ma qualunque squilibrio o alterazione può essere interpretato come un’ottima occasione per percorrere nuove strade, magari di successo, proprio come la diffusione dell’HIV.In definitiva malattie pericolose, come alcune zoonosi, possono diffondersi con maggior probabilità in ecosistemi minacciati e frammentati rispetto ad altri intatti e pieni di biodiversità (Ostfeld R. Et Al. 2008, Infectious disease ecology: the effects of ecosystems on disease and of disease on ecosystems, Princeton University Press).Questo significa che certi cambiamenti dell’equilibrio ecologico – proprio come la deforestazione o il degrado delle foreste – possono far uscire allo scoperto malattie, vecchie e nuove, creando dei veri disastri sanitari nelle comunità umane.Ecco quindi che ancora una volta il fattore deforestazione si trasforma in un micidiale ingrediente dei disastri che impattano sulla salute e sul benessere umano, come nel caso del virus HIV uscito dalla giungla africana per uccidere ad oggi 30 milioni di persone e contaminarne un numero assai più grande, oppure di Ebola che ha recentemente sconvolto il mondo per il suo micidiale outbreak. Le nuove malattie – le cosiddette malattie emergenti – come Ebola, AIDS, SARS, influenza aviaria e influenza suina e altre meno note – non sono catastrofi naturali e accadimenti del tutto casuali, sono la conseguenza del nostro intervento maldestro sugli ecosistemi.

https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/20_marzo_04/dai-pipistrelli-all-uomo-origini-coronavirus-e80e2708-5e0d-11ea-8e26-25d9a5210d01.shtml