La situazione della depurazione in Italia: qualche considerazione.

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Mauro Icardi

Il depuratore di Paestum- Capaccio è stato protagonista, nel febbraio 2018, di un incidente che ha causato uno dei più gravi fenomeni di inquinamento marino degli ultimi anni nel Mediterraneo. Dall’impianto fuoriuscirono circa 132 milioni di dischetti in plastica(in inglese carrier) che erano utilizzati come supporti per la crescita di biomassa adesa. La biomassa adesa, così come il fango di ossidazione, è la comunità microbiologica costituita da batteri e protozoi che depura le acque reflue. Nei mesi successivi a questo incidente i dischetti furono ritrovati, sospinti dalle correnti, fin sulle coste della Francia e della Spagna, oltre che nel Lazio, in Toscana, in Liguria, in Sicilia e sugli arenili campani.

Per questo incidente otto persone sono state rinviate a giudizio, con l’accusa di disastro ambientale e inquinamento doloso.

Da quanto ho potuto reperire facendo ricerche in rete, ho desunto che la vasca di ossidazione dove erano contenuti i rack con i dischetti, abbia subito un cedimento strutturale. In qualche caso ho letto che i responsabili della gestione avrebbero sovraccaricato questa vasca, che già presentava segni di ammaloramento, e questo aumento di portata sarebbe stato il fattore scatenante del cedimento.

Posto che l’inchiesta ed il processo (che mi risulta siano ancora in corso), dovranno appurare le responsabilità, ci sono alcune considerazioni che vorrei fare. La prima, piuttosto semplice, è che questo è probabilmente stato il più eclatante incidente occorso ad un impianto di depurazione. Nel momento in cui si verifica un cedimento strutturale, la mente corre al crollo del ponte Morandi, e alle altre decine di situazioni simili che si sono verificate in molte zone d’Italia. E qui la parola andrebbe data a chi è esperto di costruzioni. Si sa che i manufatti in cemento armato possono degradarsi con il tempo. Esiste quindi un problema di insufficiente o mancata manutenzione di questo tipo di costruzioni, che deve essere monitorato e risolto.

Quando si tratta di una vasca di ossidazione, il problema deve essere anche analizzato da un altro punto di vista, cioè quello progettuale. Ovvero un depuratore dovrebbe essere progettato in maniera modulare. Avere cioè delle vasche di equalizzazione, delle vasche di raccolta di maggior volume (chiamate in gergo vasche volano) che possano raccogliere eventuali sversamenti.

Se la portata di acque reflue è molto elevata e il depuratore è al servizio di una grande città, (penso agli impianti di Milano, Torino, Roma per fare un esempio) è usuale avere più linee di trattamento. In questo modo in caso di necessità di manutenzione di queste sezioni, (vasche di ossidazione, sedimentatori, ispessitori), una di esse può essere svuotata per effettuare gli interventi di riparazione o manutenzione, senza che le acque reflue confluiscano senza trattamento direttamente nel corpo idrico ricettore.

Ma a cosa servono i dischetti che sono fuoriusciti dal depuratore di Capaccio?

Un impianto di depurazione in condizioni normali di funzionamento riesce a garantire il rispetto dei limiti su BOD, COD e solidi sospesi senza particolari difficoltà. Diverso è invece il caso dei nutrienti per scarichi in aree sensibili. Le quali non rappresentano più solo i laghi, ma per esempio anche l’area del bacino del Po e che quindi vanno ad interessare impianti che precedentemente non sottostavano a limiti così restrittivi (per esempio per quanto riguarda il fosforo totale).
In generale, quindi, si prospetta la necessità di intervenire su un gran numero di impianti di depurazione per far fronte a due diverse esigenze: incrementarne la potenzialità (come carico trattabile), e migliorare le rese depurative (abbattimento in particolare dei nutrienti).

Nel caso in cui le caratteristiche del liquame influente non rappresentino un fattore inibente, (ad esempio in termini di pH, rapporto BOD/Azoto totale, presenza di sostanze tossiche, ecc.), le condizioni richieste, per conseguire la nitrificazione (ovvero la trasformazione dell’ammoniaca in un composto meno inquinante come il nitrato), sono essenzialmente un adeguato contenuto di ossigeno nel comparto di ossidazione e una biomassa ben strutturata nella quale esista una buona percentuale di batteri nitrificanti.
L’aggiunta di un sistema di coltura a biomassa adesa permette di migliorare la fase di nitrificazione.
Vi sono due distinte possibilità: un sistema ibrido che viene inserito nel preesistente bacino di ossidazione a fanghi attivi, ed un sistema separato che viene di solito inserito a valle della fase di sedimentazione finale per incrementare le rese di nitrificazione e quindi di abbattimento dell’ammonio.
Si tratta in pratica di fissare la biomassa nitrificante su supporti fissi aventi elevata superfice specifica (per esempio supporti in polietilene o in matrici di gel). Mi interessava precisare questa cosa. Può forse sembrare eccessivamente tecnica, ma gli articoli trovati in rete si limitavano a definire i dischetti dei filtri, e la definizione non è esatta, pur avendo un qualche fondamento.

Per una corretta progettazione dei depuratori è necessario effettuare diversi prelievi delle acque che saranno da sottoporre al trattamento, monitorando principalmente COD, BOD5 ,Composti azotati, Fosforo totale, tensioattivi. Una volta conosciuta la concentrazione media di questi parametri, occorre considerare i volumi di acque da trattare.

L’impianto dovrà essere in grado di fare fronte alle variazioni dovute alle precipitazioni. La condizione ideale per ottenere una gestione migliore sarebbe quella di separare le acque nere da quelle meteoriche. Questo per evitare repentine variazioni di portata che possono provocare eccessive diluizioni delle acque reflue, malfunzionamenti e allagamenti. Episodi a cui ho assistito personalmente. La modifica del regime delle piogge è ormai una situazione critica, per i depuratori e per le reti fognarie.  Oppure come già detto in precedenza dotare gli impianti di depurazione di adatte vasche di equalizzazione, per smorzare non solo le variazioni repentine di portata, ma anche per stoccare gli eventuali scarichi anomali costituiti da composti tossici o non biodegradabili.

Data l’ormai ubiqua e di fatto incontrollabile dispersione nell’ambiente di inquinanti emergenti, è di fatto indifferibile la necessità di adeguare gli impianti di depurazione più vecchi, dotandoli di un’efficiente sezione di trattamento terziario, oltre che a potenziare la sezione di ossidazione, non solo con un sistema per la crescita di biomassa adesa, ma anche con sistemi di depurazione più moderni.  Il sistema MBR (Membrane Bio Reactor) è un sistema di depurazione biologica delle acque che consiste nella combinazione del processo tradizionale di depurazione a fanghi attivi e di un sistema di separazione a membrana (generalmente microfiltrazione o ultrafiltrazione) che sostituisce il normale sedimentatore secondario.

Nel 2018 il servizio pubblico di depurazione delle acque reflue urbane, garantito da 18.140 impianti in esercizio, ha trattato un carico inquinante medio annuo di circa 68 milioni di abitanti equivalenti. Il 65,5% del carico inquinante civile e industriale è depurato in impianti con trattamento di tipo avanzato, il 29,5% in impianti di tipo secondario, il restante 5,0% in impianti di tipo primario e vasche Imhoff.

Sin dal 1991, attraverso una specifica Direttiva CEE, l’Europa chiede agli Stati membri l’adeguamento degliimpianti di trattamento delle acque reflue e del sistema fognario.  L’Italia è stata sanzionata con una procedura d’infrazione costata 25 milioni di euro per mancato adeguamento di 74 agglomerati urbani difformi. E altre procedure di infrazione sono in corso.

Se si considerano questi dati e si guarda alle disparità tra Nord e Sud, è evidente che la situazione dell’Italia è complessa e necessita di azioni integrate, coese, coerenti, non solo per garantire gli standard di depurazione su tutto il territorio. È necessaria una concreta politica del ciclo integrato delle acque, con investimenti adeguati sia del settore pubblico che di quello privato.

In quasi tutte le regioni d’Italia il percorso per arrivare alla definizione di un gestore unico a livello provinciale per la gestione del ciclo idrico integrato, è stato lungo ed estenuante.

La gestione unica che molte persone temono serve a razionalizzare gli investimenti. La realizzazione di un depuratore consortile di dimensioni più grandi, rispetto a dieci di piccola taglia semplifica la gestione e la conduzione. Queste sono cose che non tutti possono conoscere, io mi sento di dirle semplicemente perché ho sperimentato queste criticità lavorando sul campo. Chi legge queste righe non me ne voglia, ma ricordando il referendum del 2011 mi sono accorto che spesso intorno al tema acqua si fa molta confusione, e in qualche caso troppa demagogia. Non discuto il diritto all’acqua, e mi sono impegnato in prima persona contro la privatizzazione.

Ma vorrei ricordare che l’acqua non si trasporta, potabilizza, e infine si depura senza adeguati investimenti, programmazioni e senza ricerca. Ho concluso decine di volte i miei post con queste considerazioni e questi auspici. In Italia ci sono molti progetti di ricerca. Il tema acqua e soprattutto il tema fanghi è molto sentito dall’opinione pubblica. Ma mi preoccupa il fatto che troppo spesso l’informazione sia carente.  So che nelle scuole superiori ad indirizzo chimico, con il nuovo ordinamento si studia la depurazione delle acque. Mi piacerebbe anche ci fossero cittadini consapevoli e informati sul tema, che provassero a capire come funziona un depuratore. Ma non solo, anche come funziona questo pianeta.

Quindi mi permetto di dare i miei suggerimenti di lettura. Una bibliografia minima essenziale per avere le idee più chiare.

Ingegneria sanitaria ambientale. 

               D’Antonio Giuseppe Edizioni Hoepli

              Eugene P Odum Edizioni Piccin Nuova Libraria

  • Il grande bisogno

Rose George Edizioni Bompiani

  • I limiti alla crescita

D H Meadows – D L Meadows – J Randers – WW Behrens III Edizioni LU CE

Riutilizzo di acque reflue depurate.

Mauro Icardi

 Le risorse idriche disponibili stanno diventando scarse sia per la diminuzione di precipitazioni, sia a causa dell’aumento delle pressioni antropiche e del conseguente inquinamento ambientale. Negli ultimi anni sta crescendo l’interesse per il riutilizzo delle acque reflue depurate nei programmi di pianificazione delle risorse idriche, con particolare interesse per l’irrigazione.

In passato, in virtù dell’abbondanza delle risorse idriche, soprattutto confrontando le disponibilità con quelle del resto del mondo, l’Unione Europea non aveva investito in maniera consistente sul riuso delle acque sebbene, in generale, si potesse notare un diverso approccio nei Paesi Nord-Europei rispetto a quelli Mediterranei. In generale quando le risorse idriche sono abbondanti non sempre si è portati ad avere una pianificazione rigorosa ed attenta. Oltre a questo  in passato esistevano perplessità sulla qualità delle acque reflue in uscita dagli impianti di depurazione, situazione che negli ultimi vent’anni è decisamente mutata in positivo con l’adozione di nuove tecniche di trattamento (impianti a membrana), e con il generale miglioramento delle tecniche di trattamento terziario (filtrazione e disinfezione tramite acido peracetico o raggi uv).

Nell’Unione Europea diversi paesi hanno definito norme e linee guida per il riuso delle acque reflue in agricoltura, come ad esempio Francia, Spagna, Cipro e Italia.

Dal punto di vista legislativo in Italia è vigente Il D.M. 185/03 che regolamenta il riutilizzo delle acque reflue, ai fini della tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche, limitando il prelievo delle acque superficiali e sotterranee, riducendo l’impatto degli scarichi sui fiumi e favorendo il risparmio idrico, mediante l’utilizzo multiplo delle acque di depurazione. Secondo il Decreto il riutilizzo deve avvenire in condizioni di sicurezza per l’ambiente, evitando alterazioni agli ecosistemi, al suolo ed alle colture, nonché rischi igienico-sanitari per la popolazione. Inoltre, il riutilizzo irriguo deve essere realizzato con modalità che assicurino il risparmio idrico. Nel riutilizzo sono considerate ammissibili le seguenti destinazioni d’uso:  

Uso irriguo: per l’irrigazione di colture destinate sia alla produzione di alimenti per il consumo umano ed animale sia a fini non alimentari, nonché per l’irrigazione di aree destinate al verde o ad attività ricreative o sportive.

 Uso civile: per il lavaggio delle strade nei centri urbani; per l’alimentazione dei sistemi di riscaldamento o raffreddamento; per l’alimentazione di reti duali di adduzione, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione dell’utilizzazione diretta dell’acqua negli edifici a uso civile, ad eccezione degli impianti di scarico nei servizi igienici.

Uso industriale: come acqua antincendio, di processo, di lavaggio e per i cicli termici dei processi industriali, con l’esclusione degli usi che comportano un contatto tra le acque reflue recuperate e gli alimenti o i prodotti farmaceutici e cosmetici.

Il prossimo anno entrerà in vigore il regolamento europeo 2020/741 che prevede  per gli Stati membri il riutilizzo delle acque reflue depurate, sostituendo il DM 185. La data prevista è fissata per il Giugno 2023.

Attualmente in Italia sono già in funzione 79 impianti per la produzione di acque di riuso, ma rappresentano solo il 5% della potenzialità, che è stimata in un volume di circa 9 miliardi di m3/anno.

I dati provengono dall’indagine di Utilitalia “Il riutilizzo delle acque reflue in Italia”, presentata a Napoli nel corso del convegno “Climate change e servizio idrico: la sfida del PNRR per un sistema efficiente e resiliente” organizzato dalla Federazione in collaborazione con l’Università degli Studi Federico II e con l’Associazione Idrotecnica Italiana.

Esistono in Italia già da diversi anni esempi di riuso delle acque reflue, sia per l’irrigazione che per fini industriali. Il quadro complessivo presenta nette differenze tra regione e regione. Si può però fare la seguente osservazione di carattere generale: il ricorso alle acque reflue per scopi irrigui o industriali è avvenuto quasi esclusivamente in situazioni di “emergenza idrica”, che si possono sostanzialmente distinguere in due tipologie distinte: carenza di disponibilità idrica; elevata esigenza di acqua in porzioni del territorio limitate. Due esempi tipici sono i distretti industriali con elevate necessità e consumi di acqua, e la presenza di vaste aree destinate all’agricoltura intensiva. Solo negli ultimi anni si è iniziato a programmare il riuso delle acque reflue con una visione più ampia, tenendo conto dei vantaggi indiretti di questa pratica, quali il beneficio ambientale del “non scarico” nel corpo idrico ricettore e la possibilità di non fare ricorso ad acque qualitativamente migliori, soprattutto acque di falda preservandone la disponibilità.

La situazione di assoluta emergenza di questi giorni potrebbe però aggiungere due nuove destinazioni d’uso. Il ricarico di acque di faldae l’aiuto per aumentare i flussi di portata nel caso di secche persistenti destinando le acque di scarico su corsi d’acqua in particolare sofferenza. Occorre far notare che la realizzazione di queste due ultime destinazioni d’uso necessita della realizzazione di infrastrutture al momento mancanti (condotte e canalizzazioni). Per altro come avevo già scritto in precedenti articoli, occorre rendersi conto che la secca di molti fiumi anche piuttosto importanti, come ad esempio il Lambro o il Brenta che in questi giorni sono completamente asciutti devono spingere ad adottare provvedimenti lungimiranti e non rimandabili. Da attuarsi con una programmazione il più possibile condivisa.

Se un fiume della lunghezza di 130 km come il Lambro si trasforma in una fiumara, o per volgere lo sguardo fuori dai nostri confini, il Colorado non riesce più ad arrivare al mare per eccessivo prelievo di acqua non è più possibile né sottovalutare, né minimizzare il fatto che ci troviamo di fronte ad un problema reale.

Le nuove regole aiuteranno l’Europa ad adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Il regolamento migliorerà la disponibilità di acqua e ne incoraggerà un uso efficiente. Infatti garantire la disponibilità di acqua sufficiente per l’irrigazione dei campi, in particolare durante ondate di calore e siccità gravi, può aiutare a prevenire la carenza di colture e la carenza di cibo. Dato che le condizioni geografiche e climatiche variano notevolmente tra gli Stati, uno Stato membro potrà decidere che non è appropriato utilizzare l’acqua di recupero per l’irrigazione agricola in parte o in tutto il suo territorio.

Gli Stati membri avranno piena autonomia per poter decidere l’utilizzo più appropriato delle acque destinate al riuso (civile, irriguo, industriale, ricreativo).

Il regolamento contiene requisiti rigorosi per la qualità delle acque di recupero e il relativo monitoraggio per garantire la protezione della salute umana e animale nonché dell’ambiente.

Il fattore chiave nel determinare la possibilità concreta del riuso di acque reflue è la certezza di rigorosi controlli sulla qualità degli effluenti impiegati e di una continua azione di monitoraggio sull’evoluzione qualitativa dei vari comparti coinvolti (acqua, suolo, piante). I limiti di qualità per le acque riutilizzabili in irrigazione, ad esempio, richiedono non solo di salvaguardare gli aspetti sanitari, ma di contrastare tutti i problemi che si potrebbero manifestare sulle colture e nel terreno, nonché sulla stessa funzionalità degli impianti irrigui.

La filosofia di approccio deve identificare certamente dei limiti di sostanze inquinanti, ma nello stesso tempo adattarsi alle condizioni locali. In aggiunta alla mitigazione dei possibili effetti sulla salute, l’uso delle acque reflue depurate per esempio in agricoltura deve assicurare produzioni agricole comparabili con quelle ottenute normalmente e impatti accettabili sull’ambiente.

Le pratiche agricole dovrebbero tenere presenti alcuni fattori tra i quali:

• quantità d’acqua utilizzata

• caratteristiche del suolo (infiltrazione, drenaggio)

• sistemi di irrigazione;

• tipo di coltivazione e pratiche di utilizzo.

I parametri da tenere monitorati per l’utilizzo di acque reflue depurate in agricoltura sono di varia tipologia.

I nutrienti, azoto, fosforo, potassio, zinco, boro e zolfo, devono essere presenti nell’acqua reflua depurata nelle corrette concentrazioni altrimenti possono danneggiare sia le coltivazioni che l’ambiente. Ad esempio il quantitativo di nitrati necessario varia nei diversi stadi di sviluppo delle piante, mentre durante la crescita sono necessarie alte quantità di nitrati, queste si riducono durante la fase di fioritura. Il controllo sulle concentrazioni dei nitrati è fondamentale per ridurre la lisciviazione negli acquiferi che rappresenta un potenziale rischio di inquinamento delle acque destinate al consumo umano. Le concentrazioni di sodio, cloruri, boro e selenio dovrebbero essere attentamente controllate a causa della sensibilità di molte piante a queste sostanze. Il selenio risulta tossico anche a basse concentrazioni e il boro si ritrova in alte concentrazioni per la presenza di detergenti nelle acque di scarico. La qualità delle acque rappresenta anche un aspetto da considerare nella scelta del sistema di irrigazione. In condizioni di alte temperature e bassa umidità, quando è favorita l’evapotraspirazione, è sconsigliato l’utilizzo dell’irrigazione a pioggia se le acque contengono alte concentrazioni di sodio e cloruri in quanto possono arrecare danni alle foglie.

Come si può vedere il concetto di gestione dell’acqua rimane un tema multidisciplinare. E soprattutto uno dei temi tra i più importanti da affrontare (ma non è il solo). Serviranno risorse, conoscenza e soprattutto collaborazione. Occorre ribaltare il concetto che l’acqua non sia un diritto, ma occorre anche avere una formazione di base. Bisogna superare la tendenza a guardare l’orticello di casa, ridare senso al bene comune che non è patrimonio di una mentalità liberista e miope che vorrebbe mercificare ogni risorsa planetaria.  E in ultimo mi sento di fare una piccola tirata d’orecchie a chi di professione si occupa di scegliere i titoli dei pezzi sui giornali. Ad Assago l’acqua depurata viene utilizzata per rifornire le spazzatrici municipali che lavano le strade. Questo avviene dal 2019. Il dato di fatto è che si risparmiano circa 8000 litri anno di acqua potabile. Ma la stampa locale diede la notizia con questo titolo: “Assago, le strade della città si lavano con l’acqua di fogna” Un titolo inopportuno, quando sarebbe stato molto meglio scrivere “Assago, le strade della città si lavano con l’acqua trattata dai depuratori”. Questo può fare molta differenza nella percezione di quello che è stato realizzato. Non è un dettaglio trascurabile.

Fotochimica per la depurazione dell’acqua.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

La fotochimica sta vivendo una fase molto proficua con il numero sia dei lavori che dei team coinvolti in continua crescita.

Un settore che in particolare si fa continuamente leggere nei giornali scientifici e nei siti web di scienza e ricerca è quello della fotodegradazione applicata per rimuovere dalle matrici ambientali alcuni pericolosi composti smaltiti impropriamente.

Recenti esempi di queste applicazioni riguardano la fotodegradazione dei residui di farmaci dalle acque reflue. L’abuso di farmaci da parte dei cittadini ha comportato che con uno smaltimento improprio le acque di tutti i grandi fiumi europei hanno moltiplicato per 50 (in 30-40 anni) la loro concentrazione in residui di farmaci obbligando ad interventi correttivi anche in relazione alle raccomandazioni che in questo senso vengono dall’UE, visto che questi residui sfuggono agli impianti di depurazione e si riversano nei sistemi idrici.

 Un’altra classe di inquinanti a cui la fotodegradazione viene applicata con successo per rimuoverli è rappresentata dai composti fenolici, tossici per la salute umana ed animale, interferenti endocrini e cancerogeni persistenti, provenienti dalle acque reflue delle industrie chimiche che operano nei settori farmaceutico, agro-chimico, petrolchimico e cartario. La rimozione dei composti fenolici mediante fotodegradazione è considerata una tecnica ecofriendly per la generazione di acqua pulita. Una recente ricerca, per sperimentare nuovi e più efficienti catalizzatori, ha messo a punto un materiale a base di nano fibre composite contenenti poliacrilonitrile, nanotubi di carbonio e biossido di titanio ed ottenute mediante processi di elettrofilatura, attivo con luce UV.

Al di là dell’efficienza di valore competitivo, se non superiore, il nuovo sistema presenta il grande vantaggio che, al contrario dei catalizzatori, sotto forma di polvere micrometrica, alla fine del processo può essere recuperato, trattandosi di fibra, e riutilizzato.

La concorrenza più significativa alla fotodegradazione per la rimozione di composti indesiderati è probabilmente rappresentata dall’impiego di enzimi immobilizzati in un materiale simile alla sabbia descritto in due progetti europei PFS e De Pharm.

L’enzima può essere scelto di volta in volta in funzione del composto da degradare con i vantaggi che non viene richiesta energia supplementare e che, essendo gli enzimi catene amminoacidiche, si tratta di composti stabili e degradabili, rispettosi dell’ambiente ed a ridotto impatto ambientale, se confrontati ad altre installazioni per scopi simili.

Il risvolto negativo della medaglia di questi progressi è rappresentato dalle emissioni di gas serra che caratterizzano gli impianti di trattamento delle acque, in particolare metano e protossido di azoto, quest’ultimo è il terzo gas ad effetto serra come importanza dopo CO2 e  CH4. Si tratta di un gas che può persistere in atmosfera per 100 anni e più e che contribuisce per il 7% al riscaldamento climatico. I recenti accordi di Parigi hanno stabilito che queste emissioni da parte degli impianti di trattamento delle acque debbano essere ridotti e questa richiesta non ha una facile risposta per la mancanza di tecnologie capaci di risolvere un problema di per sé complesso. Recenti ricerche hanno evidenziato come la fase di aerazione sia quella cruciale richiedendo, ai fini della riduzione di protossido emesso, una gestione molto efficace. In effetti anche la fase anossica può dare il suo contributo: regolando la fonte esterna di carbonio si possono ottenere buoni risultati, da qui l’aggiunta intermittente delle acque reflue in entrata nel corso delle fasi anossiche consigliata ai fini della riduzione delle emissioni dall’impianto.

Water 2021, 13, 210. https://doi.org/10.3390/w13020210  Minimization of N2O Emission through Intermittent Aeration in a Sequencing Batch Reactor (SBR): Main Behavior and Mechanism

https://doi.org/10.1016/j.jenvman.2020.111563

Riflessioni amare, in un’Italia immobile e immodificabile.

Mauro Icardi

Ho voluto aspettare qualche giorno, prima di scrivere questa mia riflessione. Una che parte da una grande sensazione di sbigottimento, e termina in una grande amarezza. Personale e civile. Nell’Italia della terra dei fuochi, dei rifiuti smaltiti sotto le autostrade, dei capannoni di rifiuti incendiati, si apre un’altra triste pagina.

https://www.ansa.it/toscana/notizie/2021/04/15/ndrangheta-in-toscana23-arresti-drogastradeconcerie_db09b762-f795-4f55-8607-3538436f8dd3.html

La vicenda è l’ennesima cui assistiamo. E probabilmente seguirà la solita trama: sarà detto di non emettere giudizi prima di una pronuncia definitiva delle autorità giudiziarie. Seguiranno diversi commenti  (tra cui anche questo mio), stupore, indignazione e poi, come ciliegina sulla torta, la convinzione in fondo nemmeno troppo priva di fondamento, che in Italia tutto quello che riguarda la gestione ambientale, sia destinato a svolgersi con queste modalità.  Negli anni 70 ho iniziato ad approfondire i temi di cui sentivo spesso parlare. Dalle sofisticazioni alimentari, all’inquinamento. Sono stati gli anni in cui si sono svolte le vicende dell’incidente di Seveso, dell’epidemia di colera a Napoli. Le mie prime riflessioni, istintive e mosse da una curiosità che faticavo a placare. Ho scelto di fare della chimica lo strumento per la mia crescita personale, e con la convinzione che fosse uno strumento utile per l’accesso al mondo del lavoro, e la sua conoscenza utile per la risoluzione dei problemi ambientali, anche se a molti poteva sembrare paradossale.

Ho seguito e cercato di capire le tantissime vicende legate alla questione ambientale in Italia. Molti forse le hanno dimenticate, ma io ancora le ricordo. Vicende storiche, dall’ACNA di Cengio narrata anche da Beppe Fenoglio in “Un giorno di fuoco”. Fenoglio scrive un brano che forse conoscono in pochi, ma che merita una rilettura: “Hai mai visto il Bormida. Ha l’acqua colore del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle sue rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più porca e avvelenata, che ti mette freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna.” E l’elenco non finisce qui: Caffaro a Brescia, e tante altre realtà locali che sfuggono. Trissino e PFAS una delle più recenti.

Questa vicenda Toscana poi mi lascia perplesso anche per un’altra ragione, molto personale. Vede coinvolta anche l’associazione dei conciatori di Santa Croce sull’Arno. L’associazione che ha costruito e gestisce il depuratore che si occupa della depurazione dei reflui conciari. Ho scritto un resoconto della visita effettuata nel Settembre 2019.

Ho voluto rileggerlo. Mi è sembrato un articolo corretto ed equilibrato. Che però si ferma al trattamento delle acque, perché quello fu l’oggetto della visita. Dei fanghi ci fu detto che venivano trattati in un altro sito. Che venivano anche recuperati i bagni di cromo esausti.

In questo momento mi domando quale sarà l’effetto immediato di quest’ultima vicenda. Perché la sensazione che provo fatico quasi a descriverla. Questo impianto è (o era) un fiore all’occhiello. Ha avuto un risonanza tale che è assurto agli onori non solo di questo blog, ma anche della televisione nazionale.

In questo servizio televisivo si parla del sito, come di un modello moderno e funzionale di economia circolare.

Nel frattempo anche le organizzazioni sindacali della zona, si dichiarano preoccupate delle ricadute che la vicenda potrà avere sul comparto conciario, sui lavoratori e sulla salute delle persone.

I residui della depurazione delle acque provenienti dal trattamento conciario, circa 8000 tonnellate sono state smaltite non nei siti autorizzati ma utilizzati come fondo di base di strade in costruzione. Pratica non nuova, perché è stata già utilizzata altrove.

https://tg24.sky.it/cronaca/2014/02/11/a4_autostrada_dei_veleni_rifiuti_tossici__cromo_esavalente

In questo momento vorrei cercare di essere razionale. Non ci riesco. Vicende come queste hanno il potere di farmi davvero arrabbiare.

Perché in Italia, e lo dico con molta amarezza la gestione dei beni comuni non interessa di fatto quasi a nessuno, oppure è mal compresa. E così si dalla sindrome Nimby (Not In My Back Yard, ossia non nel mio giardino) si passa alla sindrome Nimto (‘not in my terms of office’ cioè ‘non durante il mio mandato elettorale’).

Se le soluzioni non si trovano, o non si vogliono trovare, non c’è da stupirsi che poi sia la criminalità organizzata a gestire lo smaltimento dei rifiuti.

Questo blog ha come suo scopo, quello di fare informazione, di comunicare che possono esistere soluzioni tecniche praticabili.  Ogni vicenda di questo genere azzera, o diminuisce di molto la fiducia della pubblica opinione, di suo già troppo spesso disorientata.

Ora non rimane che aspettare la conclusione dell’inchiesta. L’ennesima di questo genere. L’ennesima vicenda in cui un albero che cade fragorosamente, fa più rumore di una foresta che cresce. E dove l’assuefazione rende quasi inutili gli sforzi di chi si applica con correttezza a cercare di gestire le questioni ambientali. Io personalmente penso che serva una rivoluzione morale ed etica. Che serva il ritrovare la nostra funzione di cittadini consapevoli. Perché a mio parere un paese disattento e superficiale, non può che esprimere una classe dirigente affine. I tempi per la soluzione dei problemi ambientali non sono maturi. Sono in fase di marcescenza. C’è molto da mettere in discussione.  Credo che in questo caso non siano le questioni tecniche quelle da mettere sotto la lente d’ingrandimento. Ma quelle etiche, morali, educative. Diversamente non ci saranno soluzioni. Né per noi, con le nostre specificità italiche, né per il resto di questo pianeta malato.

Lavorare sull’acqua.

Mauro Icardi

Mi è successo ancora. Dopo quanto avevo raccontato nel post intitolato “L’acqua percepita”, un altro collega mi ha visto riempire di acqua del rubinetto, non più la borraccia della bici, ma un thermos in acciaio che tengo nell’ufficio in laboratorio : “Bevi l’acqua del rubinetto, ma è buona?” Aggiungendo poi, che si sarebbe fidato a berla solo se avessi in qualche modo garantito della qualità. La cosa che poi mi ha fatto veramente sorridere è questa. Il nuovo collega è stato aggregato al laboratorio, con l’incarico di recuperare i campioni da analizzare e trasportarli in laboratorio. La realizzazione di un gestore unico è finalmente partita anche in provincia di Varese. Ottima notizia, che per altro attendevo da decenni Questo significa prima di tutto che arriveranno più campioni, che conosceremo nuovi colleghi. Il nostro “fattorino” è di origine siciliana, precisamente di Palermo. In questi giorni, in cui si sta preparando il calendario dei campionamenti per il prossimo anno, si parla e ci si conosce meglio. Io sono molto attratto dalla Sicilia regione che mi affascina, e che ho potuto visitare solo in parte. Ma che ho conosciuto attraverso le parole di molti scrittori. Da Sciascia, a Pirandello, fino a Camilleri.  Dino mi consiglia di visitare Palermo, cosa che vorrei fare, appena la situazione della pandemia lo consentirà. Mi racconta anche di una escursione che lui ha fatto. Raggiungendo una spiaggia situata nella zona del golfo di Castellammare, e raggiungibile solo a piedi. In quella occasione la compagnia con cui lui si trovava, aveva pensato a tutto. Cibo, ombrelloni, costumi da bagno. Ma si era distrattamente dimenticata proprio delle bottiglie d’acqua. Per non morire di sete nella calda estate siciliana, avevano richiamato l’attenzione di un battello che navigava lungo costa. Battello che vendeva gelati e bibite. E mi dice che finì per pagare 5000 delle vecchie lire, per una bottiglietta di acqua.

L’aneddoto in sé, mi fa sorridere. Ma mi fa anche riflettere su un tema che mi sta molto a cuore. Cioè quello delle percezioni. Delle dissonanze cognitive e percettive appunto. La realizzazione di un’azienda unica di maggiori dimensioni ha comportato operazioni di cessioni di ramo d’azienda. Ognuno di noi dovrà integrarsi in una realtà di lavoro differente. Una delle prime richieste che alcuni colleghi hanno suggerito di portare al tavolo, nelle trattative di armonizzazione, è stata una richiesta che ho trovato davvero incongruente. Cioè di mantenere come benefit aziendale la possibilità che l’azienda fornisse acqua in bottiglia per le mense aziendali.

Questa consuetudine, di cui si sono perse le origini è stata ovviamente eliminata. Ma mi fa riflettere. Perché diversi colleghi, nonostante tutto la rimpiangono. E che il rimpianto coinvolga anche persone che lavorano in laboratorio, mi porta ad ulteriori riflessioni.

Non è semplice modificare le abitudini, le scienze umane, la psicologia in particolare ce lo ricordano.

Le suggestioni di media, pubblicità, commenti sui social, sono sirene che ancora hanno un forte potere di persuasione subliminale e occulta.  E mi preoccupa molto che possano avere influenza anche su chi dovrebbe invece usare maggiore senso critico e discriminazione. C’è ancora molto lavoro da fare, per contrastarne gli effetti.

Giorno di ferie

Mauro Icardi

Oggi sono in ferie. Un giorno solo, ma la mia destinazione per trascorrere la giornata è particolare. Me ne vado in biblioteca. Sono sempre stato un topo di biblioteca. Proprio ieri, io Dario ed Emanuele eravamo a fare il nostro solito briefing alla trattoria Campigli. Sono ormai passati quasi sei mesi, da quando abbiamo cominciato a lavorare su un progetto. Forse troppo ambizioso, ma insomma ci crediamo. Ci siamo messi in testa di lavorare sugli inquinanti emergenti. E magari di trovare il modo per eliminarli. O per meglio dire per cercare di ridurne gli effetti nocivi. Dario ed Emanuele sono due amici. In gamba. Sono anni che mi chiamano, per avere consigli e informazioni. Mi chiamano il Professore. Il Professore della depurazione. E la cosa mi fa invariabilmente sorridere. Abbiamo discusso davanti ad un piatto di pasta al pomodoro, e ad un bicchiere di bianco, su quali saranno le nostre prossime mosse. Utilizzare un sistema di ossidazione avanzata. Se l’ossigeno liquido ad alte pressioni, seguito dalla cavitazione idrodinamica non ci darà i risultati sperati, passeremo all’ozono, magari in combinazione col perossido di idrogeno. Insomma l’acqua ossigenata. Loro sono Ingegneri. Io il loro chimico di riferimento. In fondo l’esame di stato per l’iscrizione all’ordine l’ho dato anche per questo. Per fare il consulente. Per approfondire. Per placare le mie inesauste curiosità. Loro qualche anno fa si sono trovati in una situazione critica. Lo studio di Ingegneria che li aveva assunti viveva delle iniziative del titolare e fondatore. Alla sua morte, il figlio li aveva rassicurati: “Niente paura, l’attività la mandiamo avanti, con il vostro aiuto”. Due mesi dopo invece lo stop. Brusco e inaspettato. E nemmeno per una ragione di crisi, finanziaria o di ordinativi. Gli impianti di trattamento di reflui rognosi, come quelli zootecnici o tessili erano disseminati non solo in Italia, ma in buona parte del mondo. Anche nella rampante ed emergente Cina. Ma il figlio e gli altri fratelli avevano semplicemente deciso di dedicarsi al marketing pubblicitario. Emanuele dopo qualche insistenza, ma con molta caparbietà era riuscito a convincere Dario. Lo studio alla fine lo avevano rilevato loro. E piano piano avevano rassicurato i vecchi clienti, che avevano necessità di essere seguiti nella manutenzione e nell’addestramento per la gestione degli impianti installati. Ma non si erano fermati, e ne avevano costruiti e progettati di nuovi. Ormai sono una decina di anni che collaboro con loro. Sono in gamba e se lo meritano.

Io però devo chiarirmi le idee su come eventualmente procedere. Servirebbe un protocollo per le prove sull’impianto pilota, e uno per le analisi da fare. E per questa seconda attività ci serve un laboratorio molto attrezzato. Ed è per questo che voglio andare in biblioteca. A Varese nella sala studio ci sono almeno tre monumentali enciclopedie di chimica industriale. Non sono oggetti di modernariato, come qualcuno potrebbe pensare. Sono invece un tesoro di informazioni preziose. E io ancora provo quella inebriante sensazione che attiene al sentimento, più che alla razionalità, del piacere di sfogliare le pagine di un libro. Di prendere appunti (non sottolineare, ovvio i libri della biblioteca vanno rispettati), e di immergermi nello studio.

Le previsioni meteo mi hanno avvisato. Farà caldo. L’ennesima ondata di caldo africano. Il nuovo che avanza a livello climatico. Oggi non posso usare la bici, seppure a malincuore. Userò il treno che mi è sempre stato amico. Una passione per i mezzi che viaggiano su rotaia che risale all’infanzia. E molti mi prendono benevolmente in giro, citando una battuta di Renato Pozzetto: “Eh, il treno è sempre il treno”. Ma non è un gran tragitto. Sono pochi chilometri, ed in soli sette minuti arrivo a Varese. E l’auto resta a casa. Chi mi conosce bene lo sa. Io cerco di fare la mia parte, come il colibrì della favola che cercava di spegnere l’incendio della foresta con una goccia d’acqua che portava nel becco, mentre tutti gli animali fuggivano dalle fiamme.

Sono davanti all’ingresso della biblioteca in anticipo di quindici minuti. Controllo le mail sullo smartphone. Ho resistito per anni. Non volevo comprarne uno, ero irremovibile. Mi venivano sempre in mente i bambini del Congo infilati in piccoli e terrificanti pozzi, a scavare per estrarre il Coltan. Per permetterci di buttare via il modello funzionante e utilizzabile, ma ormai fuori moda. Ho ceduto le armi perché la banca mi ha volontariamente obbligato a procurarmene uno. Altrimenti mi sarei scordato l’internet banking. Ho borbottato parecchio, ma ho placato i sensi di colpa. Lo smartphone era quello di Alessia, la mia bambina. Vent’anni compiuti da pochissimi, ma è sempre la mia bambina. Lo smartphone è stato riutilizzato. Magari in futuro lo riciclerò. Piccola economia circolare domestica.

Mi sento chiamare: “Signore, scusi signore”. Alzo la testa. Di fronte ho un uomo di mezza età. Nemmeno troppo male in arnese. “Mi offrirebbe un caffè?”. Sono sorpreso, penso di alzarmi e accompagnarlo al bar più vicino, ma cambio idea. Estraggo due euro dal portamonete. Lui li prende, mi ringrazia, e se ne va borbottando. Mi dice che qualcuno glieli ha rifiutati con scortesia. Si chiede perché, forse perché sono persone cattive. Ci penso anche io, forse è vero. Ma non trovo una risposta. Nel frattempo la biblioteca ha aperto le porte. Mi infilo e salgo in sala consultazione.

Non c’è molta gente. Mi siedo in un tavolo d’angolo. L’enciclopedia di chimica industriale, mi assorbe per un paio d’ore. Mi immergo nello studio e mi si crea intorno come una bolla. Non c’è il solito rumore, il solito caos dell’emeroteca, dove alcuni arzilli pensionati ignorano i cartelli che invitano a non disturbare. Discutono di tasse, di calcio, di donne. Come fossero al bar. Sono un gruppo di quattro o cinque frequentatori abituali. Non mi sono mai permesso di dirgli di abbassare il tono di voce. Né io, né gli addetti della biblioteca. Ma in sala consultazione trascorro due ore di pace. Riesco a studiare con profitto. Oggi leggere è complicato. Non si riesce più a farlo in santa pace per esempio nei viaggi in treno. La babele cacofonica delle telefonate insulse lo rende impossibile. Leggere in treno è ormai un’attività piacevole, ma di fatto ormai impossibile. I lettori sono pochi, dispersi nella massa dei messaggiatori compulsivi, e dei chiacchieroni instancabili. Ma qui una strategia per le prossime prove l’ho trovata. Partiremo con l’ossigeno ad alta pressione. Poi con l’ozono, modificando l’impianto pilota e magari recuperando un generatore che lo produca. Si, direi che sono soddisfatto. Anche di aver ripreso in mano i libri che avevo consumato mentre preparavo l’esame per iscrivermi all’Ordine. E la memoria mi porta anche più indietro. Fino a farmi ricordare che ho perso, e che vorrei ritrovare i normografi che usavo per il disegno di impianti chimici. Indimenticabili. Le mitiche mascherine Unichim. Altro che CAD-CAM. Il fascino di disegnare impianti col normografo in pochi lo conoscono. Normografi con i simboli di pompe, serbatoi e valvole. Mi viene quasi la malinconia…

Mi accingo ad uscire, ma varcata la porta il caldo esterno mi mozza quasi il fiato. Siamo a Varese, a pochi metri ci sono i giardini estensi. Ma se chiudessi gli occhi potrei pensare di essere in Africa.

Ho deciso di mangiare nel solito self service, dove vado in pausa pranzo quando lavoro. Ci arrivo in autobus. Il parcheggio è pieno di auto ed è assolato. Ci sono pochi alberi che da anni crescono molto stentatamente. Entro nell’atrio del centro commerciale, mentre ne sta uscendo, piuttosto trafelato un signore che spinge un condizionatore portatile. La temperatura sta salendo verso i 35° C. Cerca di uguagliare il record di 37 della fine di Giugno. Andando verso la fermata dell’autobus ho capito anche perfettamente, sulla mia pelle, cosa sia l’isola di calore urbana. Lo scopro anche quando pedalo, e i camion mi regalano il caldo degli scappamenti mentre pedalo, e cerco anche di non farmi investire.

Ritorno verso il centro della città. Ho una sete tremenda. Vengo avvicinato da un altro questuante, anche lui simile a quello precedente. Non me la sento di fare distinzione. E due euro ci sono anche per lui. Arrivo alla mia fontanella, quella dei giardini estensi. Bevo, mi bagno i polsi e i capelli. Che meraviglia! Mi siedo su una panchina vicina e lascio andare i pensieri. Osservo le persone intorno a me con la mentalità del chimico. Mi chiedo che cosa potrebbe succedere se cominciassi a rivolgere la parola a qualcuno di loro. Sono persone le più diverse. Mamme o nonni con i bambini. Impiegati, netturbini che lavorano sotto un caldo che toglie il fiato. Le mamme che si lamentano del caldo. Chissà se cominciassi a parlar loro di CO2, magari a raccontare che già Svanthe Arrhenius aveva capito che bruciando i combustibili fossili ci saremmo trovati nei guai. Se provassi ad accennare all’impossibilità di sfuggire alle leggi fisiche. Probabilmente mi troverei in difficoltà. Forse isolato. Destino di chi cerca di guardare la realtà con gli strumenti della sua professione e della sua formazione. Non solo quelli di laboratorio, ma anche quelli della filosofia della professione. Probabilmente sarei isolato due volte. Sono un chimico, quello a cui i colleghi chiedono di mettersi a produrre la metanfetamina.

Quello a cui continuano a chiedere quando bisogna buttare il sale nella pasta. E nonostante continui a ripetere che si deve buttare dopo, e non prima dell’ebollizione, quando si fa una spaghettata tra amici continuano imperterriti a fare il contrario. Se mi mettessi a far lezione per strada, quasi un filosofo nell’agorà forse rischierei non dico il linciaggio, ma forse un certo ostracismo. Alla fontanella sono stato l’unico a bere. Intorno a me vedo bottigliette di ogni tipo di liquido. Gassose, tè, energy drynk, qualche birra e molte bottigliette di acqua che ha fatto molta strada per arrivare fin qui, a Varese. Ha viaggiato in autostrada. Potrei spiegare che si impiega dell’energia per trasportare l’acqua, e che qui la fontanella è disponibile per placare la sete. Potrei tentare di far capire che è un controsenso bruciare petrolio per bere l’acqua di montagna imbottigliata nel PET. Che c’è dell’energia dispersa che va in entropia e caos, e del petrolio bruciato che produce la CO2 che contribuisce alla nostra sofferenza odierna. Sospiro e rinuncio. Mi alzo dalla panchina per dirigermi in stazione. Sentendomi un poco escluso. Una cassandra come mi sono definito. Vado a casa bisogna che metta giù una procedura per le nostre prove. Poi ne parlerò con Dario ed Emanuele. Per il resto so che fare il colibrì è faticoso. Ma sono nato tondo, e non morirò quadrato. Domani torno al lavoro, e la bici mi sta aspettando.

Invito all’educazione idrica.

Mauro Icardi

L’approssimarsi dell’estate si può ormai riconoscere da due fenomeni ricorrenti. Il primo sono gli incendi boschivi. Piaga che sembra quasi da considerarsi come una maledizione, ma dipende invece da un disinteresse per il rispetto ambientale. E anche da disturbi comportamentali. Il piromane è attirato dagli effetti del fuoco, e può appiccarli per vandalismo, profitto personale o vendetta. Non sono né psicologo ne psicoterapeuta. Tocca a loro studiare il problema.

Il secondo fenomeno che si sta invece verificando negli ultimi anni, e con un peggioramento significativo è quello dei fenomeni ricorrenti di siccità. Il modificarsi del regime delle piogge, i sempre più evidenti fenomeni estremi sia di siccità prolungate che di scarso innevamento invernale si ripercuotono in maniera evidente nel comparto delle gestione del ciclo idrico integrato.

Già nel 2011 l’organizzazione mondiale della sanità si è preoccupata di emanare linee guida per la fornitura idrica ed il trattamento di potabilizzazione durante il verificarsi di eventi meteorologici estremi.

(WHO Guidance in water supply and sanitation in extreme weather events).

Eventi di questo genere mettono sotto pressione le strutture di distribuzione e di depurazione. Quindi occorre dotare le aziende di efficaci piani di intervento. Allo stesso tempo, ad eventi violenti e concentrati di precipitazioni piovose fanno spesso seguito periodi piuttosto lunghi di assenza di precipitazioni. Quindi occorre predisporre usi razionali dell’acqua. E questo non deve essere impegno solo delle aziende fornitrici, ma dovrebbe esserlo di ogni singolo utente. Per quanto attiene al settore depurativo che patisce maggiormente le repentine variazioni dei flussi idraulici vale comunque l’invito a non gettare nei wc materiali estranei e non biodegradabili. Questa è una regola ancora troppo spesso sottovalutata. Interventi straordinari di manutenzione e di pulizia sono necessari per liberare le sezioni di trattamento da materiali estranei che oltrepassano la sezione di grigliatura. Spesso il trattamento di depurazione è conosciuto da non molte persone. Questo è un invito a non buttare tutto giù nl wc alla rinfusa.

Per quanto riguarda invece l’acqua potabile l’invito è sempre quello di risparmiarla e di non sprecarla. Destinandola agli usi principali, cioè per bere e cucinare, e per l’igiene personale.

In questo grafico viene suggerito come l’acqua piovana possa sostituire quella potabile per utilizzi diversi. Ma non solo l’acqua potabile, anche l’acqua depurata potrebbe avere utilizzi diversi, primo fra tutti quello irriguo. Non sono pochi gli ostacoli di carattere più burocratico che tecnico. Ma occorre essere molto attenti, e rendersi conto che dovremmo inserire tra le materie di studio anche quella dell’educazione idrica. Educarci a risparmiare e rispettare l’acqua. Da subito. Da ora. Vincendo inutili resistenze, rinunciando alla piscina gonfiabile in giardino, e del rito settimanale di lavaggio dell’auto.

Non è a mio parere una regressione, bensì il primo passo dell’educazione idrica . Fondamentale e indispensabile.

(Cogliamo l’occasione per ricordare il nostro collega di Unife Francesco Dondi che anche su questi temi ha speso la sua vita accademica; Francesco continuiamo la tua attività).

 

Un tema emergente: depuratori come bioraffinerie.

Mauro Icardi

Con una certa ricorrente periodicità si leggono sui giornali notizie che parlano in maniera molto generica del potenziale energetico della FORSU, ovverosia della frazione umida dei rifiuti solidi urbani, e più in generale dei reflui fognari. Ho seguito, a livello di esperienze in scala di laboratorio questo tipo di sperimentazioni, e posso dire che funzionano. Ma occorre fare immediatamente alcune considerazioni e sgombrare il campo da possibili obiezioni o fraintendimenti. Questo tipo di tecnica, cioè la codigestione di frazione umida dei rifiuti, o di diverse tipologie di residui di origine organica, di sottoprodotti di lavorazioni agroindustriali insieme ai fanghi originati dalla depurazione a fanghi attivi tradizionale, non è da confondersi con la produzione di biogas da biomasse eventualmente coltivate o importate esclusivamente a questo scopo.

Si tratta di una possibilità diversa. La digestione anaerobica è circondata troppo spesso dalla solita confusione che si fa quando si parla di questioni tecniche. I fanghi di risulta dei depuratori vengono mandati al trattamento di digestione anaerobica sostanzialmente per ridurne il potenziale di putrescibilità e per essere parzialmente igienizzati. La riduzione della percentuale di sostanza organica permette successivamente un trattamento più agevole dei fanghi destinati ad essere resi palabili e smaltibili con un trattamento di disidratazione meccanica.

La possibilità di trattare insieme ai fanghi la frazione umida dei rifiuti solidi aumenta considerevolmente la produzione di metano. Il principio della codigestione si adatta al trattamento anaerobico della FORSU; infatti, la combinazione di biomasse eterogenee permette di ottenere una matrice da digerire che risponda meglio alle caratteristiche chimico-fisiche desiderate. Ad esempio, una corretta ed attenta miscelazione di matrici differenti può aiutare a risolvere problemi relativi al pH e al corretto rapporto acidi volatili/alcalinità.

La codigestione è pratica standard in diversi paesi europei, quali Francia e Norvegia.

Le matrici attualmente più utilizzate nella codigestione sono gli effluenti zootecnici, gli scarti organici agroindustriali e le colture energetiche. Gli scarti organici da utilizzare come co-substrati provengono dalle più svariate fonti e possiedono quindi forti differenze nella composizione chimica e nella biodegradibiltà. Alcune sostanze (quali percolati, acque reflue, fanghi, oli, grassi e siero) sono facilmente degradabili mediante digestione anaerobica senza richiedere particolari pretrattamenti, mentre altre (scarti di macellazione e altre biomasse ad elevato tenore proteico) necessitano di essere fortemente diluite con il substrato base, in quanto possono formare metaboliti inibitori del processo (ad esempio l’ammoniaca). Una vasta gamma di matrici richiede step vari di pretrattamento quali, ad esempio, il rifiuto organico da raccolta differenziata, gli alimenti avanzati e/o scaduti, gli scarti mercatali, i residui agricoli e gli scarti di macellazione. La codigestione, se gestita correttamente, è una buona pratica per migliorare la gestione e le rese di un impianto di digestione anaerobica.

Le modifiche impiantistiche dei digestori esistenti potrebbero riguardare la realizzazione di agitatori interni al comparto di digestione, e nel caso del trattamento di frazioni organiche solide di trituratori e coclee per il caricamento dei reflui nel comparto di digestione.

Oltre a problemi di tipo impiantistico e di gestione di processo occorre anche citare problemi di carattere autorizzativo e burocratico. Che permettano di agevolare l’eventuale uso di residui che da rifiuti si trasformino in materie prime secondarie.

Un ultima considerazione. Mediamente la produzione specifica di biogas dai soli fanghi di depurazione desunta da dati di letteratura e sperimentali è di circa sui 10 m3/t. Quella della FORSU raggiunge i 140 m3/t.

La sinergia è quindi ampiamente auspicabile.

Questo filmato mostra una prova di infiammabilità eseguita insieme a studenti dell’Università di Varese durante una delle sperimentazioni lab scale di codigestione.

Una piccola dedica ed un ricordo di anni proficui sia professionalmente che umanamente. Una piccola dedica ai ragazzi che ho seguito con affetto e passione.

Fatta questa lunga premessa, in questi giorni ho notato che la pubblicità di una nota industria petrolifera parla di sperimentazioni volte ad ottenere “tramite lo studio della decomposizione anaerobica dei primi organismi viventi” lo sviluppo di un processo che permette “di ottenere un bio olio da impiegare direttamente come combustibile o da inviare successivamente ad un secondo stadio di raffinazione per ottenere biocarburante da usare nelle nostre automobili”.

Questa affermazione mi lascia sinceramente perplesso. Il tema dell’ottenimento di petrolio dai rifiuti ricorda la vicenda ormai nota della Petrol Dragon.

E’ noto che per convertire sostanza organica in idrocarburi si debba lavorare ad alte pressioni e temperature. Uno studio sperimentale per convertire alghe in biocarburante identifica i parametri di processo in una temperatura di 350°C e pressione di 3000 psi.

Questo il link dello studio.

http://www.smithsonianmag.com/innovation/scientists-turn-algae-into-crude-oil-in-less-than-an-hour-180948282/?no-ist

Questo processo convertirebbe dal 50 al 70% della mistura di acqua e alghe in “una specie di petrolio greggio in meno di un’ora” .

Da quel che si deduce fino ad ora lo studio è fermo alla fase di realizzazione in scala impianto pilota.

Allo stesso modo un processo che volesse ottenere combustibili liquidi utilizzando come materia prima la FORSU e che dovrebbe subire lo stesso tipo di trattamento, da adito a diverse perplessità, vista l’eterogeneità del materiale di partenza.

La FORSU che sappiamo essere facilmente gassificabile dovrebbe produrre biogas che si dovrebbe convertire in gas di sintesi, se la quantità di metano fosse sufficientemente elevata, e successivamente tramite reazioni quali quella di Fischer Trops in carburante sintetico. Probabilmente troppi passaggi. E visto il prezzo ancora relativamente basso del petrolio probabilmente anche antieconomico.

Nuove tecnologie e sperimentazioni per il recupero energetico nella depurazione.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Mauro Icardi

Il recupero di energia negli impianti di depurazione si utilizza da tempo. Negli impianti centralizzati di medie-grandi dimensioni (indicativamente dai 50.000 fino ai 100.000 abitanti equivalenti) che solitamente effettuano il trattamento dei fanghi con il processo di digestione anaerobica, si effettuava un recupero del biogas per il riscaldamento dello stesso digestore, dopo avere filtrato il gas dalle impurezze, in particolare l’acido solfidrico, particolarmente aggressivo per le strutture metalliche, e la deumidificazione.

Questa non si può in senso stretto definire un’operazione completa di recupero energetico. In seguito si sono utilizzati per la combustione del biogas e la produzione di energia elettrica anche dei motori ciclo diesel opportunamente modificati. Per il loro funzionamento, è necessario fino al 10% di diesel o di olio combustibile per l’accensione, che viene iniettato direttamente nella camera di combustione, mentre il biogas viene iniettato insieme all’aria. Generalmente i motori possono funzionare anche solo con gasolio o petrolio.

Il vantaggio principale di questo tipo di motori consisteva nel fatto che potevano funzionare anche con basse percentuali di metano nel biogas (< 30-45%) quindi anche con biogas di scarsa qualità. Necessitano però di frequenti manutenzioni, oltre alla necessità del combustibile supplementare. Hanno anche una elevata emissione di NOx allo scarico.

Per il recupero energetico del biogas prodotto dagli impianti di trattamento dei fanghi residui si possono utilizzare anche sistemi anche sistemi cogenerativi a microturbina. Questo tipo di soluzione permette l’utilizzo del biogas anche senza necessità di installare nessun sistema di filtraggio degli inquinanti emessi.

Le emissioni di una microturbina risultano significativamente più basse di quelle di un motore alternativo che riesce ad ottenere il rispetto dei limiti di legge sulle emissioni con l’ausilio di un sistema catalitico sullo scarico fumi. Alcune microturbine in commercio hanno emissioni di NOx dell’ordine dei 10 mg/Nm3 contro un limite di legge che è pari a 20 mg/Nm3.

Lo svantaggio è da ricercarsi nel maggior costo di investimento iniziale. Altro limite per l’utilizzo di queste macchine è il rendimento elettrico inferiore, quindi l’utilizzo e la progettazione di un sistema di questo tipo deve prevedere lo sfruttamento del calore prodotto. Al contrario, i motori a combustione interna sono più adatti dove non ci sia elevato bisogno di sfruttare energia termica.

Ma nel tempo i gestori degli impianti, spesso in sinergia con le università, hanno sviluppato ulteriori progetti volti a migliorare ulteriormente il recupero energetico non solo di calore e di energia elettrica, ma anche di sottoprodotti utili dai reflui. In altre parole di mettere al lavoro i batteri che sono responsabili della depurazione delle acque reflue. Due sperimentazioni si sono avviate recentemente in due tra i più grandi impianti del nord Italia: quello del depuratore di Milano Nosedo, e quello del Po Sangone di Torino.

A Nosedo è stata effettuata una sperimentazione effettuata da RSE (Ricerca Sistema Energetico), Università di Milano. Il progetto è stato promosso da Regione Lombardia e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca con l’utilizzo di fondi europei.

L’idea è quella di sfruttare la capacità dei batteri di fermentare la sostanza organica e di trasferire gli elettroni derivanti dal processo di ossidazione tramite una corto circuitazione tra metallo e componente biologica. Questo permette di realizzare una pila a combustibile batterico. I batteri catalizzano le reazioni di ossidazione del combustibile e quindi il passaggio di elettroni dall’anodo al catodo. La pila microbiologica è costituita da due compartimenti, ciascuno contenente un elettrodo, l’anodo e il catodo. Le due camere, una in assenza e l’altra in presenza di ossigeno, sono separate da una membrana semipermeabile che consente lo scambio di protoni.

Normalmente i batteri presenti nelle acque nere trasferiscono gli elettroni prodotti durante il consumo del loro cibo (le sostanze organiche) all’ossigeno. Ma posti nel comparto dell’anodo, che si trova in assenza di ossigeno, sono costretti a cedere gli elettroni prodotti direttamente all’elettrodo, che li trasferisce al catodo. La differenza di potenziale tra un elettrodo e l’altro produce energia. Nella camera del catodo, gli elettroni si riuniscono ai protoni passati attraverso la membrana e combinandosi insieme all’ossigeno producono acqua come sottoprodotto.

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http://www.focus.it/scienza/scienze/energia-pulita-dall-acqua-sporca Credit: Bruce Logan Pennsylvania State University

La fase sperimentale iniziata nella primavera del 2014 è terminata L’industrializzazione del processo secondo i responsabili della sperimentazione potrebbe avvenire nel medio periodo. In questo modo dalle biomasse si potrebbero ottenere non solo biogas o biocarburanti, ma anche energia elettrica.

Lo scorso marzo partecipando ad un convegno presso il depuratore in questione ho scoperto che non solo è stata effettuata questa sperimentazione, ma anche che l’impianto già effettua riscaldamento e raffrescamento degli edifici sfruttando il calore presente nelle acque reflue utilizzando le pompe di calore.

Nell’ottica di aumentare l’efficienza energetica e di ridurre l’utilizzo di combustibili fossili queste iniziative sono assolutamente lodevoli.

Anche al depuratore Po Sangone di Torino si è dato il via nel novembre del 2011 ad un progetto tendente a massimizzare il recupero energetico. Il progetto denominato Sofcom che significa  Solid Oxide Fuel Cell, una tecnologia di celle a combustibile ad ossidi solidi che funzionano alla temperatura di 800 ° C e sono alimentate a biogas. Il prototipo messo a punto presso l’impianto di Torino trasforma il biogas prodotto dal trattamento del fango attraverso il processo elettrochimico che avviene negli elettrodi di cella. Il biogas come per ogni altra sua applicazione viene depurato dallo zolfo e dagli altri contaminanti. Questa tecnologia permette di ottenere rendimenti di produzione di energia elettrica con un rendimento che può arrivare al 50% mentre le macchine termiche (di dimensioni analoghe) si attestano intorno al 30-35%. Gli esausti anodici del processo sono già privi di azoto, mentre la CO2 viene fatta passare in un fotobioreattore dove avviene la crescita di colture algali che si nutrono di essa. Questo passaggio completa il processo che parte dal biogas, produce energia elettrica e utilizza la CO2 nel fotobioreattore dove possono essere trattate anche parte delle acque reflue ricche di nitrati e fosfati. Per esempio per effettuare un trattamento terziario di finissaggio delle acque già trattate con il processo convenzionale a fanghi attivi.

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Anche in questo caso la sperimentazione è terminata ma il politecnico di Torino si è aggiudicato un finanziamento per il progetto denominato Demosofc che dovrebbe occuparsi di realizzare la versione industriale del prototipo.

I due progetti sono indubbiamente il fiore all’occhiello di queste due grandi realtà impiantistiche, cioè uno dei tre depuratori di Milano (Nosedo), ed uno “storico” come quello del Po Sangone che come scritto in altri miei articoli è stato descritto in un libro non tecnico, bensì un romanzo di Piero Bianucci.

Questo è il futuro della depurazione. Ed è incoraggiante che queste sperimentazioni si siano iniziate finalmente anche in Italia. In paesi come Norvegia, Francia, Danimarca e Germania sono usuali.

Con la conclusione di queste sperimentazioni si intravede per i depuratori una vocazione “produttiva”.

Nello stesso tempo il sistema depurativo in Italia deve provvedere anche a massicci investimenti per l’adeguamento degli impianti ormai obsoleti, alla chiusura di quelli la cui gestione risulta antieconomica e che non riescono per limiti strutturali a garantire un’efficienza depurativa adeguata (i tantissimi piccoli impianti di potenzialità inferiore a 5000 abitanti equivalenti).

Ma questi studi dimostrano come si possa e si debba coniugare l’efficienza depurativa con quella energetica. Un bel segnale per il futuro.

Trattamento e recupero dei fanghi di depurazione

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Mauro Icardi

Il trattamento dei fanghi residui dal trattamento di depurazione delle acque reflue è dal punto di vista organizzativo, tecnico, e di pianificazione quello che più impegna da decenni tecnici ed operatori del settore.

Gli inquinanti che vengono rimossi dai trattamenti depurativi si concentrano nei fanghi. Negli impianti di depurazione municipali o negli impianti di trattamento delle aziende il corretto trattamento dei fanghi rappresenta la soluzione a due problemi.

Uno economico e l’altro ambientale.

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Cioè rendere il fango idoneo ad uno smaltimento finale ad un costo il più possibile contenuto e nel contempo non provocare problemi di carattere sanitario o di inquinamento. I nuovi limiti più restrittivi imposti dalle norme europee (direttiva comunitaria 91/271/EEC) hanno fatto crescere la quantità dei fanghi prodotti dagli impianti a seguito del miglioramento e potenziamento degli impianti esistenti e alla realizzazione di nuovi.

Attualmente la produzione di fanghi nell’unione europea ammonta a circa 10 milioni di tonnellate di sostanza secca. L’Italia ne produce circa un milione di tonnellate.

La regione Lombardia produce circa 800.000 tonnellate di fanghi di depurazione tal quali ( 120.000 tonnellate di sostanza secca). Il 50% proviene da impianti di trattamento da impianti di depurazione municipali. Il 30% da impianti di trattamento di acque industriali, ed il restante 20% da impianti dell’industria agroalimentare.

La regione Lombardia ha emanato un deliberazione risalente al Luglio 2014 (deliberazione X/2031 01/07/2014) nella quale consente ancora l’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura, riservandosi di introdurre nuovi criteri sulla qualità dei fanghi da destinare al riutilizzo in agricoltura se dovessero essere emanate modifiche alla normativa statale vigente.

Nel contempo rivestono sempre maggior interesse le tecniche applicabili agli impianti di trattamento che hanno lo scopo di ridurne la produzione.

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Per quanto riguarda lo smaltimento dei fanghi per il riutilizzo in agricoltura sono da considerare con molta attenzione i valori limite per i metalli pesanti e le caratteristiche agronomiche dei fanghi. In particolare la composizione in carbonio organico, fosforo, azoto totale.

Queste le concentrazioni ammesse per i metalli nella deliberazione della Regione Lombardia

Metalli pesanti

Cadmio (Cd) mg/kg ss ≤ 22

Rame (Cu) mg/kg ss ≤ 1200

Nichel (Ni) mg/kg ss ≤ 330

Piombo (Pb) mg/kg ss ≤ 900

Zinco (Zn) mg/kg ss ≤ 3000

Cromo (Crtot) mg/kg ss ≤ 900

Mercurio (Hg) mg/kg ss ≤ 11

Nutrienti

Carbonio organico % SS > 10

Azoto totale % SS > 1,0

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L’utilizzo in agricoltura può essere una soluzione al progressivo impoverimento dell’humus dei terreni dovuta all’umidità e al riscaldamento. I fanghi non devono contenere sostanze persistenti e bioaccumulabili, e rimane comunque aperto il problema dei microinquinanti organici e degli inquinanti emergenti, tema che riguarda anche le acque reflue. Le analisi da effettuare per i microinquinanti organici sono quelle per la determinazione degli IPA;PCB;PCDD/F*. Queste analisi sono effettuate in fase di ammissibilità annuale per impianti di depurazione con potenzialità superiore ai 100.000 abitanti equivalenti. Questi i limiti ammessi

IPA mg/kg ss < 6

PCB mg/kg ss < 0,8

PCDD/F ng TEQ/kg ss < 50

I fanghi che possono essere ritirati sono di provenienza molto varia, per quanto riguarda quelli derivanti da processi di lavorazione dell’industria. Spaziano dall’industria alimentare fino alla produzione di grassi saponi e detergenti, che devono comunque rispettare i limiti precedenti.

I trattamenti di stabilizzazione e di igienizzazione consistono in digestione anaerobica mesofila a 35°C o termofila a 55° C con tempi di ritenzione minimi di trenta e venti giorni rispettivamente.

Anche la stabilizzazione aerobica prevede un tempo di ritenzione di venti giorni.

Altri trattamenti da che si effettuano sono la stabilizzazione con ossido di calcio e, se necessario, con acqua. Al termine dell’addizione del reagente, il fango è ammassato in apposita area per l’ultimazione del processo, conseguendo, contemporaneamente, un’adeguata igienizzazione. Durante tale periodo (qualche ora) si instaurano delle reazioni esotermiche che portano la temperatura della massa di fanghi fino a circa 50°-70° C. Terminata tale fase il fango ha raggiunto un pH alcalino almeno pari a 12.

Nel trattamento con ammoniaca Il fango, scaricato nell’area di messa in riserva, è immesso in apposito reattore/vasca chiusa in cui avviene il trattamento con il dosaggio di ammoniaca o soluzioni contenenti ammoniaca. Durante tale fase avviene un leggero innalzamento di pH ed un arricchimento di azoto. Il risultato è un fango igienizzato. Il processo avviene in ambiente liquido e pertanto è necessario che i fanghi miscelati raggiungano percentuali di sostanza secca con valori di circa 8 – 12%. In alcuni casi, per garantire condizioni di fluidità della miscela di fanghi, è aggiunta acqua.

Sono ammessi anche processi di trattamento termico (ad esempio trattamento termico del fango liquido per un minimo di 30 min a 70 °C) eventualmente combinati con processi di digestione anaerobica. Tali processi assicurano l’igienizzazione del fango.

Per ottenere un fango di maggiore qualità sarebbe consigliabile un trattamento ulteriore di compostaggio per migliorare la qualità agronomica.

I fanghi che non sono idonei al recupero agricolo possono essere destinati a trattamenti quali:

Co-Combustione dei fanghi tal quali (o previa disidratazione) presso inceneritori di rifiuti urbani, combustione presso inceneritori “dedicati” (previo essiccamento termico o disidratazione meccanica “spinta” per raggiungere la percentuale di secco sufficiente all’autonomia termica): una tipologia indicata di combustione appare in questo caso quella a “letto fluido”, utilizzo quale combustibile presso cementifici previa essicazione termica, combustione con produzione di vapore e produzione di energia utilizzabile per l’impianto, gassificazione, pirolisi, termocatalisi, etc.

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TRATTAMENTI DI MINIMIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE

Sono trattamenti che si possono effettuare sia nella linea acque, che nella linea fanghi.   Le tecniche innovative applicabili sulla linea acque possono essere di tipo biologico (idrolisi enzimatica, trattamento alternato ossidazione aerobico-anaerobico) e quelli chimici (ozonolisi e termochimico). Sono trattamenti più “rischiosi” che richiedono un controllo molto attento della gestione.

Più sicuri quelli sulla linea fanghi (idrolisi termica nella fase di digestione anaerobica), ultrasuoni, digestione anaerobica termofila. Quest’ultima risulterebbe molto agevolata dalla codigestione di residui di lavorazione agricoli e industriali quali scarti della produzione lattiero casearia o frazione umida dei rifiuti solidi negli esistenti digestori anaerobici degli impianti municipali e consortili.

Vediamo alcuni di questi trattamenti:

Idrolisi termica: Solubilizzazione del fango ⇒ miglioramento delle rese di digestione anaerobica ⇒incremento della produzione di biogas.

Consiste nella scissione delle cellule e delle lunghe catene di molecole in presenza di acqua grazie all’applicazione di calore (termica) e/o di un reattivo che ne altera il pH. I vantaggi di questo trattamento nella minor produzione di fango, nella maggior produzione di biogas, e nella migliore igienizzazione del fango.

Ultrasuoni: Utilizzo di ultrasuoni (onde sonore con frequenza 20 ÷ 40 KHz) per il trattamento di fanghi (primari e secondari) che generano pulsazioni all’interno della massa di fango costituita da bolle o cavità; queste bolle o cavità aumentano di diametro fino a raggiungere uno stato critico, in corrispondenza del quale implodono

Il risultato finale è la distruzione delle strutture solide contenute nel fanghi. Si incrementa il COD rapidamente biodegradabile o rapidamente idrolizzabile a spese dei solidi sospesi.

Questo tipo di trattamento migliora la successiva disidratabilità del fango riducendo il consumo di polielettrolita organico. Lo svantaggio consiste nell’elevato consumo energetico.

http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/manuali-e-linee-guida/digestione-anaerobica-della-frazione-organica-dei

http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/l2019ottimizzazione-del-servizio-di-depurazione