Microparticelle nei cosmetici.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Ecobiocontrol è il portale che da quasi due decenni ha un ruolo di orientamento verso acquisti di detergenti e di cosmetici rispettosi del principio di sostenibilità, un vero proprio punto di riferimento (su base scientifica ovviamente). E’ un luogo di discussione e con il quale confrontare le formulazioni di detergenti per la casa e cosmetici, tramite l’Ecobiocontrol dizionario.
L‘Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) non sembra impegnarsi troppo sull’argomento….; in effetti ha elaborato una proposta rivolta alle tecnologie di produzione ed impiego di microparticelle solide solubili ed insolubili per cosmetici e detergenti come anche alle regole transitorie verso soluzioni migliori delle attuali. L’associazione della piccole e media impresa europea con il sostegno di alcuni ricercatori ha commentato criticamente attraverso il portale suddetto questa proposta giudicandola asservita ad interessi economici e causa di un vistoso rallentamento dei processi innovativi in atto, giustificando attraverso il rischio accettabile atteggiamenti in contrasto con una politica amica dell’ambiente che nelle ultime decadi ha trovato anche il supporto di soluzioni tecnico-scientifiche.https://tg24.sky.it/ambiente/2018/01/22/cosmetici-microplastiche.html

La posizione che emerge non è aprioristicamente contraria all’utilizzo di micro particelle applicate a cosmetici e detergenti, ben consapevole che da questro utilizzo possono derivare funzionalità e convenienza. La convinzione espressa è che è sicuramente possibile sostituire i materiali esistenti largamente irrispettosi dell’ambiente con altri più rispondenti alle esigenze degli ecosistemi, ma per remare a favore, e non contro, delle correnti raccomandazioni e direttive con soluzioni reali è richiesto che il metabolismo dei sistemi naturali sia sempre considerato il punto di partenza.

Da questo si possono dedurre quali tipi di materiali, in quali forme e di quanto di essi possa essere fatto uso senza sfidare e compromettere i processi biotici ed abiotici del nostro pianeta.

Ciò premesso cosa ECHA intende per microplastiche? Si tratta di particelle con una dimensione minore di 5 mm di plastica macromolecolare insolubile ottenuta per polimerizzazione, modificazione chimica di macromolecole naturali o sintetiche, fermentazione microbica. C’è subito da osservare nella forma che, al di là della completezza, tale definizione adottata dall’ECHA è solo valida per prodotti volontariamente sottomessi ai suoi criteri, non per ogni prodotto introdotto sul mercato. Nel merito poi della sostanza vengono esclusi da essere considerate microplastiche i polimeri naturali non modificati, tranne che per idrolisi ed i polimeri biodegradabili. Con riferimento allo smaltimento non si può non notare che la raccomandazione alle 3R contenuta nella proposta (ridurre,riusare,riciclare) mal si adatta a sostanze come cosmetici e detergenti per la presenza in essi di numerosi eccipienti non riciclabili: solo una stretta selezione degli ingredienti e delle materie prime nelle fasi di sviluppo e produzione ed un’attenta sorveglianza e guida del consumatore possono implementare i criteri di protezione ambientale. Come conseguenza delle precedenti carenze rifiuti insufficientemente degradati raggiungono i mari e gli oceani in tempi variabili in dipendenza dalle situazioni diverse dei fiumi, ma mediamente valutabili per i fiumi europei in un paio di giorni. Passando alla composizione nel Mediterraneo le particelle di dimensione maggiore di 700 micron sono costituite per oltre la metà da polietilene e per un quinto da polipropilene; si ritrova ancora relativamente poco polivinilalcool, ma la sua presenza è crescente e questo deve preoccupare perché con le nuove tecnologie applicate ai polimeri naturali rinnovabili questo composto è fortemente lucrativo a causa del suo carattere di biodegradabilità in certe condizioni microbiche. Il punto più debole della proposta ECHA è nei test di biodegradazione che riproducono quelli ufficialmente riconosciuti ma estendendone i cicli a 90-120 giorni in luogo dei 28 previsti usualmente ed innalzandone le temperature sperimentali fino a più di 30°C. I test sono stati sviluppati per biodegradare tensioattivi solubili, non microplastiche insolubili. Con le microplastiche solubili è la stessa solubilità un segno di degradabilità. Le microplastiche, sia solubili che insolubili, dovrebbero essere testate con metodi appropriati. La microplastica media attuale non può essere degradata in condizioni aerobiche ed anaerobiche in tempi talmente brevi da mantenere l’ambiente in buone condizioni. Non ha quindi senso puntare a cicli di degradazione lunghi e per di più in condizioni di temperatura irrealistiche. In più l’attuale trattamento delle acque reflue non consente la separazione fra microplastiche solubili ed insolubili prima del rilascio dell’effluente nel sistema acquatico collettore ed i tempi di ritenzione negli impianti di trattamento delle acque reflue sono troppo brevi per consentire la degradazione.

Il documento conclude chiedendo che, secondo una scelta che pare ovvia e di buon senso comune, venga proibito il rilascio nell’ambiente di materiali aggiunti intenzionalmente, incluse le micro particelle, sia in forma solubile che insolubile, quando questi non soddisfano stretti criterihttps://tg24.sky.it/ambiente/2018/01/22/cosmetici-microplastiche.html

-provenienza da fonti rinnovabili

-trasformazione per via fisica o chimica,ma secondo i criteri della Green Chemistry

-assenza di addittivi indesiderati o dannosi

– bassa tossicità acquatica

-pronta degradabilità in condizioni aerobiche ed anaerobiche o compostabili

-assenza di rilascio di metaboliti stabili dopo la degradazione o il compostaggio

Questi criteri sono focalizzati sulla prevenzione e rispondono al primo e più importante principio della Green Chemistry: prevenire il rifiuto è meglio che trattarlo o eliminarlo dall’effluente. Esistono ormai in commercio parecchie molecole che soddisfano questo profilo. I costi sono spesso maggiori, ma nelle valutazioni economiche ci si dimentica sempre dei costi ambientali. La piccola e media impresa in questo senso viene spesso frenata nell’adozione di innovazioni dagli interessi dei grossi produttori generalmente più conservatori.

La Scuola di Specializzazione, REACH, ECHA.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Gianfranco Scorrano, già Presidente SCI

Nei primi mesi di quest’anno sono stati annunciate due scuole di Specializzazione in Valutazione e Gestione del Rischio Chimico (VGRG): dal titolo si capisce solo in parte il contenuto ma niente della loro storia che è quella delle prime scuole di specializzazione promosse dai chimici e dalla Società Chimica Italiana.

Nel dicembre 2006 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato il regolamento “REACH” (acronimo di “Registration, Evaluation, Authorisation and restriction of CHemicals“), che prevede la registrazione di tutte le sostanze chimiche prodotte o importate nell’Unione europea in quantità maggiori di una tonnellata per anno, nonché l’istituzione dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA, localizzata a Helsinki).

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Il regolamento REACH si prefigge, tra l’altro, i seguenti obiettivi: 1) migliorare la conoscenza dei pericoli e dei rischi derivanti da prodotti chimici in modo da assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente; 2) promuovere lo sviluppo di metodi alternativi a quelli che richiedono l’utilizzo di animali vertebrati per la valutazione dei pericoli delle sostanze; 3) mantenere e rafforzare la competitività e le capacità innovative dell’industria chimica dell’UE. I fabbricanti o gli importatori hanno l’obbligo di registrare i prodotti, in particolare quelli commercializzati per 1 tonnellata o più, presentando all’ECHA alcune informazioni di base sulle sue caratteristiche e, in mancanza di dati disponibili, con l’esecuzione di test sperimentali per caratterizzare le relative proprietà fisico-chimiche, tossicologiche e ambientali. Sulla base di tali dati l’ECHA valuta se i rischi di ciascuna sostanza per la salute umana e l’ambiente siano adeguatamente controllati. In questo caso l’ECHA da la sua autorizzazione ovvero classifica le sostanze “estremamente preoccupanti”, come le sostanze Cancerogene, Mutagene e tossiche per la Riproduzione (CMR), le sostanze Persistenti, Bioaccumulabili e Tossiche (PBT), le sostanze molto Persistenti e molto Bioaccumulabili (vPvB) e gli Interferenti Endocrini (IE) il cui uso è ristretto o vietato.

L’ECHA promuove anche le attività volte a garantire la sostituzione delle sostanze estremamente preoccupanti con sostanze o tecnologie meno pericolose.

Subito dopo l’entrata in vigore del REACH abbiamo cominciato ad interessarci come Società Chimica Italiana di appoggiare le iniziative che stavano nascendo da varie parti per poter fornire ai laureati chimici quelle informazioni che non sempre venivano dai corsi di laurea, in particolare rilevanti per il regolamento REACH. E’ stata una utile coincidenza avere come Presidente della SCI Luigi Campanella, da sempre interessato a queste problematiche. Creò una commissione nel 2008 che si allargò subito dopo l’incontro con il dott. Pietro Pistolese, chimico del Ministero della Sanità, nominato come rappresentante Italiano nel Member State Committee dell’ECHA, il quale ricordava il grave disagio delle aziende italiane, non solo chimiche ma anche fruitrici di prodotti chimici nel momento in cui dovranno attivarsi per giustificare di fronte al REACH l’uso di prodotti chimici pure necessari per le loro produzioni.echa3

Una attenta riflessione, ripassando tutti i corsi di laurea approvati dal CUN nei miei circa nove anni di rappresentanza dei chimici in quell’organismo, ci condusse facilmente a pensare che i corsi di chimica non fornivano quelle conoscenze tossicologiche e legali necessarie per operare con successo nell’ambito delle normative REACH, e spesso erano anche carenti dal lato ambientale. Era necessario inventarsi un corso post-laurea. L’esame di quanto era presente nelle Università italiane mostrò che erano partiti alcuni corsi master espressamente dedicati al REACH: per esempio a Padova-Venezia, ma anche a Napoli, Pavia e Genova. I corsi master sono “liberi” nel senso che non vengono modellati su schemi approvati dal ministero, ma lasciati alla libera iniziativa delle università e, per questo, privi di un valore legale. Diversa era la situazione delle Scuole di specializzazione: però non esisteva nessuna scuola di specializzazione chimica e sembrava difficile riuscire in tempi brevi a farne approvare una.

Decidemmo allora di optare per un master approvato dal ministero e procedemmo a studiare una bozza “Master in REACH” che fu trasmessa (nell’ottobre del 2009) al ministero dalla Società Chimica Italiana perché venisse inviata al Consiglio Nazionale Universitario(CUN) per essere approvato. Purtroppo, i rapporti interministeriali tra il Ministero della Salute (dr. Pistolese) e il Ministero dell’Università, MIUR) (Dr.ssa Teresa Cuomo, Dirigente Ufficio IX) furono piuttosto competitivi, credo per ragioni di competenza.

Si cercò di aggiustare la situazione ottenendo, dopo avere avuto l’approvazione del CUN (5-11-2009), con l’aiuto del nostro rappresentante allora prof. Ettore Novellino, anche l’approvazione del Consiglio Superiore di Sanità (4-5-2010) e finalmente la firma dei due ministri Mariastella Gelmini (MIUR) e Ferruccio Fazio (Salute) il 16 giugno 2010.

Nel frattempo erano apparse alcune scuole di specializzazione non mediche e, d’altra parte, si era visto che nei master, il tempo di insegnamento era limitato per fare un corso veramente di specializzazione. Ancora, era diventato anche più pesante la difficoltà che vedevano molti chimici, che operavano nelle ASL, Arpa, INAIL e altre comunità statali e regionali, che non riuscivano a raggiungere posizioni dirigenziali per la mancanza del requisito richiesto di essere in possesso di una Specializzazione.

Ripartimmo così con l’idea della Scuola di Specializzazione, ancora appoggiati dal nuovo presidente SCI, Prof. Vincenzo Barone, con l’aiuto della stessa commissione e di quella creata nel Ministero Sanità, preparammo una bozza di Scuola di specializzazione che venne ampiamente discussa e in particolare ebbe problemi alla Sanità, che desiderava forse seguire una strada come quella seguita per il master, ma di cui il MIUR non voleva sentire parlare, essendo le scuole di specializzazione di competenza, esclusivamente, del MIUR. Passò del tempo. Ma infine il CUN approvò (13-4-2012) la Scuola di Specializzazione in “Valutazione e Gestione del Rischio Chimico” e il relativo DM del 19-6-2013 fu firmato da Maria Chiara Carrozza e appare nella GU148 del 26/6/2013.

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Qualche tempo di maturazione e dopo circa 6 anni (due soli ministri MIUR) siamo arrivati al traguardo: auguri al Prof. Andrea Tapparo, che è stato per tutto il tempo nelle varie commissioni di cui sopra, che ora dirige la Scuola di Specializzazione di Padova e al prof. Bruno Botta, che dirige quella di Roma, La Sapienza. Buon lavoro! E auguri a coloro che faranno l’esame di ammissione nel mese di marzo.

Naturalmente lo schema della scuola di specializzazione è dedicato a problemi che ricadono sul REACH ma anche a tutti i problemi che la chimica deve affrontare quando decide di mettere “sul mercato” prodotti ancora non esistenti, utili per tante attività umane, ma che certamente debbono essere opportunamente provati per la sicurezza ambientale.echa5

Per saperne di più:
http://www.chimica.unipd.it/ssvgrc

http://www.uniroma1.it/didattica/offerta-formativa/corsi-di-specializzazione/elenco-dei-corsi

Innovazione in Italia.

a cura di Luigi Campanella, ex presidente SCI

La scelta di una politica di maggiore o minore autonomia tecnologica è legata al livello di sviluppo economico e scientifico del paese e cioè alla qualità ed al costo delle innovazioni disponibili. Tenuto conto – sia pure con la difficoltà di aggregare rigorosamente alcuni dati disponibili – che il tasso di crescita delle spese per ricerca e sviluppo (R.S.) è maggiore di quello della dipendenza nei confronti dell’estero, misurata dalla Bilancia dei pagamenti tecnologici (B.P.T.) (circa 150% contro 100%) si potrebbe affermare che l’industria italiana è orientata verso scelte di autonomia tecnologica. In effetti le cose stanno in modo diverso: la dipendenza dall’estero è effettivamente scarsa nei settori a tecnologia intermedia (auto, elettrodomestici, navale), ma è tuttora fortissima e crescente nei settori nuovi dove essa si manifesta attraverso le licenze, ma soprattutto attraverso gli investimenti diretti delle imprese straniere.
Generalmente le aziende che “innovano” sostanzialmente ricorrono o a Know how e licenze straniere o a ricerca aziendale: il fatto preoccupante è che mentre i settori “intermedi” cercano di sviluppare il secondo strumento, le imprese italiane dei settori “nuovi” usano massicciamente il primo, ricorrendo agli acquisti dall’estero; si pensi poi che ove si considerino i settori a più alto contenuto tecnologico (elettronico professionale e telecomunicazioni, componenti elettronici, elettronica di consumo, calcolatori elettronici, aeronautica, strumentazione, materie plastiche, fibre chimiche, farmaceutici) la percentuale di aziende che ricorrono all’importazione di licenze e know how supera il 50% con punte del 75% nei calcolatori e nell’elettronica professionale.
Le quote di esportazioni sul fatturato è sempre maggiore per le imprese che producono innovazioni per mezzo di R e S rispetto a quelle che ricorrono ai brevetti.
Quali le cause delle differenze nel ritmo delle innovazioni? Difficile certamente un individuazione completa, ma certe carenze presenti sono da individuare nell’attuale stato dell’entità dello sforzo di ricerca, della diffusione delle informazioni scientifiche e tecniche, della dimensione qualitativa e dinamica del mercato, della capacità imprenditoriale di trasferimento delle invenzioni e delle tecnologie. In tale contesto emergono altre linee di intervento pubblico in favore dell’innovazione industriale: la previsione tecnologica, la ricerca scientifica, l’informazione scientifica.
Collegato al problema della innovazione tecnologica è quello dell’occupazione nei suoi vari aspetti: produzione e produttività, rapporto uomo macchina, organizzazione del lavoro, orario Se da un lato il processo innovativo avvicina la macchina all’uomo dall’altro finisce per isolarlo – proprio con la “sua macchina” – dagli altri uomini.
Se a ciò si aggiunge l’aspetto del rumore, della monotonia e della continuità del lavoro da un lato e quello della valorizzazione delle conoscenze tecniche e della qualificazione delle mansioni dell’altro, si comprende come il rapporto occupazione/produzione non possa essere liquidato senza tenere conto di tutti i parametri e delle cosiddette “condizioni al contorno”.

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Un aspetto di particolare interesse è quello relativo agli interventi dello Stato soprattutto nel settore avanzato: tenuto conto che il grado di internazionalizzazione è per esso più elevato che per gli altri settori, che il mercato nazionale non può assolutamente assicurare una autonomia significativa di crescita ad esso, che per le spese di investimento per il R.S. sono in questo settore particolarmente elevate (dal 3 al 20% del fatturato), che una domanda crescente ad alti tassi dei settori avanzati non avrebbe mercato interno remunerativo, lo sviluppo di tali settori richiede l’azione diretta dello Stato non tanto attraverso una politica di incentivi, rivelatasi non sempre trainante nei confronti del capitale privato, ma soprattutto attraverso una nuova politica che tenda ad abbassare i livelli di burocratizzazione,a rendere più economico il costo dell’energia, a creare un sistema infrastrutturale di servizio alle piccole e medie imprese. Il recente caso dell’applicazione del REACH è un esempio calzante:la piccola impresa, quella familiare per intenderci, così presente nel nostro Paese, potrà sopravvivere, senza l’aiuto di adeguate infrastrutture, al rispetto di un regolamento sacrosanto nelle sue motivazioni,.ma discriminante nel mercato internazionale ?

per approfondire:

http://www.chimici.info/chimica-ruolo-di-punta-per-l-39-innovazione-in-italia_news_x_6176.html

Il punto sul REACH

a cura di Luigi Campanella, ex presidente SCI

La proposta della Commissione Europea del Regolamento “R.E.A.Ch.” prevede la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e l’eventuale restrizione di oltre 30.000 sostanze chimiche. La sua implementazione coinvolge in Italia oltre 2.000 Imprese Chimiche e della Distruzione Chimica e oltre 500.000 imprese di trasformazione industriale: la sua applicazione richiede l’effettuazione di test previsti dalle procedure del R.E.A.Ch. Particolare attenzione è quindi data ai test alternativi il cui utilizzo è richiamato dal regolamento stesso e fortemente sostenuto in Unione Europea.

reachDunque il R.E.A.Ch. è ormai alle porte! Prepararsi per tempo è quindi un obiettivo prioritario delle Imprese, che dovranno sin da ora confrontarsi sulle analisi necessarie, sui meccanismi decisionali da prendere e sulle procedure da adottare, per affrontare con successo il R.E.A.Ch. nei prossimi anni e mantenere la Competitività Sostenibile del Sistema Industriale Operante in Italia.

Al fine di verificare le sostanze che saranno soggette a registrazione si deve effettuare un primo screening per escludere quelle che possono già essere esentate dalla registrazione in base ad alcuni criteri generali descritti nella proposta finale del regolamento:

–       sostanze prodotte/importate a meno di 1 t/anno;

–       verifica dell’art. 2, scopi;

–       sostanze già notificate secondo EEC 67/548 (EEC 92/32, D.Lgs. no. 52/97);

–       sostanze contenute negli allegati II, III;

–    sostanze contenute in articoli ma non rilasciate e/o non considerate capaci di provocare un rischio;

–       sostanze contenute in preparati secondo criteri specifici;

–       polimeri;

–       particolari classi di intermedi (non isolati);

–       sostanze in regime di esenzione finalizzata al processo R&D.

Una volta ottenuta questa prima scrematura, che prevede un’argomentazione specifica per ogni sostanza si può ottenere la lista delle sostanze soggette a registrazione. Queste sostanze sono quindi soggette a pre-registrazione da parte delle aziende.

Il secondo momento prevede la creazione di una banca dati per ciascuna sostanza al fine di verificare sulla base dei dati disponibili il programma sperimentale ancora da affrontare. La finalità è altresì quella di identificare, se possibile, le sostanze che procederanno nella fase di autorizzazione.

È un punto molto importante per le eventuali strategie da adottare nel caso di restrizione di uso, di autorizzazioni per un periodo limitato e soprattutto al fine di costruire un badget di spesa da distribuire nel periodo di registrazione

Per ogni sostanza quindi si deve:

–       verificare il tonnellaggio di commercializzazione (1 – 10 – 100 – 1.000 t/anno) per organizzare i tempi di registrazione;

–       verificare i dati di sicurezza in possesso (tossicologici, eco-tossicologici, chimico-fisici) e la loro validità (GLP, pubblicazioni scientifiche, dati epidemiologici ecc.); stabilire il loro valore regolatorio ed economico; procedere eventualmente con ricerche su banche dati;

–       verificare come la sostanza possa essere connotata e quindi soggetta a fase si autorizzazione;

–       verificare se la sostanza possa avere effetti specifici e quindi essere soggetta a fase di autorizzazione;

–       verificare gli usi della sostanza presso gli utilizzatori finali e gli scenari specifici di esposizione (uomo, ambiente). È una fase molto importante per la definizione del relativo Risk Assessment;

–        verificare per ogni sostanza se la propria azienda è fornitrice (lista dei clienti) o utilizzatore finale (lista dei fornitori); se la ditta di connota come utilizzatore finale verificare se si proceda con usi diversi da quelli previsti dal fornitore, condizioni che presuppone una registrazione propria della sostanza;

–       verificare la completezza delle schede di sicurezza e l’eventuale presenza di una valutazione del rischio già effettuata.

In particolar modo la valutazione dei dati disponibili sarà fondamentale per le seguenti finalità:

–       i dati servono nella pre-registrazione;

–       i dati possono divenire un valore economico se devono essere condivisi nei consorzi;

–       i dati possono servire ad identificare le sostanze sospette;

–       i dati possono servire per identificare alcune sostanze con effetti specifici.

In generale si  procede con una sorta di lista di pericolosità delle sostanze sulla base della quale programmare gli ulteriori studi.

reachIl sistema R.E.A.Ch. si basa su quattro elementi:

–       Registrazione

–       Valutazione

–       Autorizzazione

–       Restrizioni.

La procedura delle restrizioni offre una garanzia di sicurezza supplementare in quanto, prescindendo dal limite quantitativo di 1 ton/anno, consente di far fronte ai rischi che non siano stati presi in sufficiente considerazione dagli altri elementi del sistema R.E.A.Ch. Essa rappresenta la trasposizione nel R.E.A.Ch. delle disposizioni della Direttiva 76/7 69/CEE. La restrizione può essere emanata con procedura rapida, ma può anche dipendere dalle conclusioni della valutazione.

Le sostanze che non figurano nel registro non potranno essere commercializzate nell’Unione una volta scaduto il termine previsto dalla normativa. È stato adottato il principio si sostituzione delle sostanze a rischio (es. cancerogene e mutagene) con alternative “più sicure, se disponibili”: in caso contrario occorrerà controllarne l’uso.

È chiaro che l’uscita dal mercato di un composto e di tutti i prodotti che lo contengono è un fatto industrialmente traumatico in quanto presuppone non soltanto il ritiro dal mercato dei pezzi venduti, ma anche l’interruzione del ciclo produttivo e la ricerca di prodotti sostituenti mutuabili per proprietà a quelli ritirati.

Ciò suggerisce di dare assoluta priorità alla individuazione, se possibile, di questi composti per avere più tempo davanti per pensare alla loro sostituzione.

La valutazione della sicurezza di un prodotto chimico deve tenere conto dei seguenti effetti della sua produzione o del suo utilizzo:

1)     sulla salute umana (tossicità acuta, sensibilità, cancerogenicità, mutagenicità, e tossicità per la riproduzione);

2)     sull’uomo dei rischi potenziali delle sostanze chimiche (esplosività, infiammabilità r potere comburente);

3)     sull’ambiente (sul sistema acquatico, terrestre, atmosferico ed anche su sedimenti), sull’attività microbiologica, sui sistemi di trattamento delle acque e sul potenziale di accumulo nella catena alimentare;

4)     di bioaccumulo e di persistenza nell’ambiente di sostanze tossiche;

5)     il meccanismo ed il livello di valutazione dell’esposizione (deve essere esaminato ogni scenario di dispersione dei prodotti chimici e per ognuno di questi occorre stimare le emissioni, il destino chimico e la natura dei prodotti di trasformazione e di degradazione);

6)     la valutazione dei rischi (chemical risk assessment and management).

Analisi del rischio vuol dire non solo valutare tossicità, ecotossicità e bioaccumulo, ma anche le potenziali esposizioni a seconda del diverso uso dei prodotti.

Per un’analisi del rischio è necessario quindi conoscere le seguenti informazioni:

1)    le categorie di uso (se il prodotto sarà utilizzato in ambito industriale, professionale o da consumatore) e se sarà usato in sistemi chiusi, inglobato in matrici o usato in maniera dispersiva o non dispersiva;

2)    le categorie d’esposizione: umana (per inalazione, cutanea e orale) ed ambientale (acqua, suolo e aria);

3)    le durate di esposizione (accidentali, occasionali, ripetute e frequenti).

Altri effetti nocivi che è necessario conoscere sono gli effetti sulla riduzione dell’ozono, sulla creazione fotochimica di ozono, sulla distruzione del sistema endocrino e sull’effetto serra.

È necessario che le aziende descrivano quali siano le misure da prendere per proteggere gli uomini e l’ambiente dall’uso di determinati prodotti. Inoltre per ogni sostanza occorre conoscere tutte le informazioni che usualmente sono riportate nelle schede di sicurezza che sono, oltre a quelle tossicologiche, quelle di ecotossicità ed i dati chimico-fisici, la conoscenza delle misure da prendere nel caso di incendi, nel caso di rilasci accidentali, nella manipolazione e nello stoccaggio, le informazioni sul trasporto e sullo smaltimento, di pronto soccorso, di protezione individuale contro l’esposizione ed infine i dati di stabilità e reattività.

Il progetto europeo R.E.A.Ch. comporta la messa a punto e l’applicazione di analisi e determinazioni finalizzate a tale regolamentazione.

I recenti esiti della ricerca scientifica spingono verso metodi alternativi, efficaci ed economici, che consentirebbero di portare a termine il progetto R.E.A.Ch. in tempi brevi e a costi di gran lunga più bassi rispetto a quelli previsti nel caso si adottassero i metodi di sperimentazione animale (alcune cifre sui costi previsti della sperimentazione che provengono dal National Toxicology Programme statunitense mostrano che testare una sola sostanza costa tra i 2 e i 4 milioni di dollari e richiede un tempo medio di almeno tre anni), per di più salvando migliaia si animali/cavie.

Quali sono questi test alternativi?

Quelli basati sulla tossicogenomica, capaci di misurare l’impatto dei progetti di sequenza di interi genomi sullo studio dell’interazione tra geni e risposta a tossici: Clonaggio posizionale e sottrattivo, tecniche di sequenza genetica, tecniche ad alta risoluzione per lo studio dei polimorfismi (SNP); associazione tra polimorfismi genetici, espressione genetica e predizione di suscettibilità; riferimento a organismi modello nello studio dei meccanismi di risposta a tossici; nuove tecniche di genomica funzionale applicate allo studio dei meccanismi cellulari di azione e resistenza a sostanze tossiche: DNA microarrays, chip a DNA, Analisi Seriale dell’Espressione Genica (SAGE).

Microarray2il DNA MICROARRAY applicato per stabilire se un agente chimico sia in grado di danneggiare l’organismo, al fine di rispondere alla seguente domanda: “l’agente altera l’attività dei geni nelle cellule in modo tale da causare o riflettere un danno cellulare?” utilizza un protocollo che disponendo di un microarray o chip, contenete DNA a singolo filamento, ne misura l’alterazione per esposizione a tossici quantificando ogni variazione di attività genica indotta dal composto.

L’inaffidabilità e le incertezze che ai fini di R.E.A.Ch. possono accompagnare i risultati di test basati su sperimentazione animale, a causa dell’influenza genetica che è alla base della risposta, suggeriscono anche altre alternative.

Il test di citotossicità – ad esempio – permette di valutare il danno arrecato dall’esposizione ad un agente chimico alla capacità replicativa delle cellule. I delicati meccanismi che presiedono la replicazione cellulare rispondono in modo assai più fine di test che basano la valutazione della tossicità di un composto su un danno strutturale della cellula, che è una risposta al danno di tipo “on-off”.

Un altro aspetto che vale la pena di ricordare riguarda il fatto che la maggior parte dei test in vitro analizza l’attività genotossica dei composti chimici: questi saggi, però, possono essere utilizzati con successo solo nell’analisi di quei composti chimici in grado di indurre un danno evidente al DNA, così da agire come inizianti nel processo multifasico di cancerogenesi.

Nell’ambiente appare significativo il contributo delle sostanze promoventi, sostanze cioè in grado di contribuire al processo di cancerogenesi mediante meccanismi non genotossici (detti EPIGENETICI). Una sostanza promovente è in grado di selezionare singole cellule o piccoli foci di cellule la cui struttura genica risulti in qualche modo alterata (cellule iniziate) inducendo dapprima la proliferazione di aree focali di cellule trasformate e quindi innescando nel tempo un processo di “progressione” tumorale che diventa nel tempo irreversibile.

Il test di trasformazione cellulare in vitro su cellule è in grado di discriminare tra sostanze inizianti e promoventi. È quindi possibile indagare l’attività di una sostanza ritenuta promovente esponendo cellule “iniziate” da dosi sub-trasformanti di un cancerogeno noto alla presunta azione promovente di un agente chimico.

IMG_LP5_AZ3Il test di trasformazione utilizzato da anni come test di screening per le sostanze a presunta attività cancerogena, particolarmente duttile ed idoneo ad identificare il potenziale cancerogeno di miscele complesse, come quelle ambientali.

Dotato di una elevata concordanza con i test di cancerogenesi nell’animale, il test di trasformazione rende anche possibile la valutazione delle capacità inizianti e/o promoventi di agenti chimici.

Il test di crescita in soft-agar indaga la capacità delle cellule di formare colonie in assenza di adesione al substrato: la capacità di formare colonie in terreno semi-solido è generalmente utilizzata come indice di trasformazione neoplastica connessa alla tumorigenicità.

La chimica può contribuire significativamente alla messa a punto di test affidabili ed al tempo stesso che non richiedano tempi tanto lunghi da dilazionare molto in avanti l’applicazione dei contenuti del R.E.A.Ch.. La chimica offre l’opportunità di metodi che attraverso una preliminare fase di screening ed una successiva fase di test, con la individuazione di indici marker significativi consentano – anche attraverso l’impiego di composti di riferimento per modulare le scale per l’ordine di classificazione dei composti testati – di potere assegnare ad ogni composto una sorta di coefficiente di probabilità ad essere sostituito, che faccia emergere le urgenze più significative. La ecotossicità, la bioaccumolabilità e la ecopermanenza sembrano criteri marker significativi finalizzati alla definizione di tali graduatorie. In questo senso strumenti operativi messi a punto dal proponente e finalizzati allo scopo indicato sono:

1)    biosensori respirometrici e fotosintetici che valutano la tossicità sulla base dell’effetto del composto testato sulle capacità respiratorie di cellule aerobiche (lieviti, ad esempio) e quelle fotosintetiche di cellule algali;

2)    i test di bioaccumulazione su tessuti vegetali diversi;

3)    i fotosensori di ecopermanenza basti sulla misura ai fini della valutazione di questa, della recalcitranza a processi fotodegradativi catalizzati da TiO2 e monitorati in continuo attraverso la misura del potenziale superficiale.

L’ECHA ha inaugurato la piattaforma della classificazione e dell’etichettatura

a cura di Ferruccio Trifirò

Il 31 gennaio scorso è arrivata la notizia che l’ECHA* ha inaugurato la piattaforma   C&L che è l’inventario delle classificazioni e delle etichettature delle sostanze  chimiche e degli articoli che le contengono, ossia una banca dati che conterrà informazioni di base sulla classificazione e l’etichettatura di sostanze notificate e registrate trasmesse dai fabbricanti e dagli importatori. L’inventario sarà istituito e gestito dall’ECHA nel programma di attuazione del regolamento “CLP, Classification Labelling and Packaging “ (CLP). L’ECHA è il motore dell’attuazione dell’innovativa legislazione dell’UE sulle sostanze chimiche attraverso la gestione di due regolamenti: il Reach e il CLP. Il Reach ha l’obiettivo di migliorare la protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente dai rischi delle sostanze chimiche, stimolando nello stesso tempo la competitività dell’industria chimica europea. Il CLP ha l’obiettivo di garantire che i rischi presentati dalle sostanze chimiche siano chiaramente comunicati ai lavoratori e ai consumatori nell’Unione europea attraverso la classificazione e l’etichettatura delle sostanze chimiche. Il regolamento relativo alle sostanze e alle miscele (CLP) è entrato in vigore nel gennaio 2009 ed è il metodo di classificazione e di etichettatura delle sostanze chimiche basato sul sistema mondiale armonizzato delle Nazioni Unite (GHS).

Il regolamento sostituirà nel tempo due precedenti atti legislativi, ossia la direttiva relativa alle sostanze pericolose e la direttiva relativa ai preparati pericolosi, con un periodo di transizione fino al 2015. Per adesso sono state registrate 90.000 sostanze. Prima di immettere sostanze chimiche sul mercato, gli operatori del settore devono stabilire quali siano i rischi per la salute umana e per l’ambiente che possono derivare da sostanze e miscele. Inoltre, le sostanze chimiche pericolose devono essere etichettate in base a un sistema standardizzato in modo che i lavoratori e i consumatori possano conoscerne gli effetti prima di utilizzarle. I rischi che le sostanze chimiche comportano vengono comunicati attraverso indicazioni e pittogrammi standard riportati sulle etichette e nelle schede di dati di sicurezza ed i fornitori devono decidere essi stessi in merito alla classificazione di una sostanza o miscela. I fabbricanti, gli importatori e gli utilizzatori a valle devono tenere conto dei nuovi sviluppi tecnici o scientifici e verificare se deve essere effettuata una nuova valutazione della classificazione della sostanza o della miscela che immettono sul mercato. I fornitori sono tenuti a etichettare una sostanza o miscela contenuta in un imballaggio ai sensi del regolamento CLP prima di immetterla sul mercato quando una sostanza è classificata come pericolosa o è una miscela che contiene una o più sostanze classificate come pericolose al di sopra di una determinata soglia. L’etichetta include: nome, indirizzo e numero di telefono del fornitore; quantità nominale di una sostanza o miscela contenuta nell’imballaggio messo a disposizione del pubblico, salvo che tale quantità sia specificata altrove sull’imballaggio; identificatori del prodotto; ove applicabile, pittogrammi di pericolo, avvertenze, indicazioni di pericolo, consigli di prudenza e informazioni supplementari previste da altre normative. Le schede di dati di sicurezza sono il principale strumento per garantire che i fabbricanti e gli importatori comunichino in tutta la catena d’approvvigionamento informazioni sufficienti per consentire un uso sicuro delle loro sostanze e miscele. I fornitori devono consegnare una scheda di dati di sicurezza in caso si tratti di una sostanza  o miscela classificata come cancerogena, mutagena,  con effetti sul sistema riproduttivo  e con altri effetti sull’uomo, o una sostanza persistente, bioaccumulabile e tossica (PBT) o molto persistente e molto bioaccumulabile (vPvB), ai sensi del regolamento REACH.

immagini di percolo

L’ECHA propone, a supporto di tale attività, un forum di discussione on line in cui i notificanti e coloro che hanno registrato la stessa sostanza, con classificazioni diverse, possano concordare una classificazione e un’etichettatura comune. La classificazione e l’etichettatura di certe sostanze chimiche pericolose devono essere armonizzate per assicurare un’adeguata gestione del rischio in tutta la Comunità europea. Gli Stati membri, i fabbricanti, gli importatori e gli utilizzatori a valle possono formulare una proposta di classificazione ed etichettatura armonizzate per una sostanza. Inoltre, gli Stati membri possono proporre la revisione di un’armonizzazione esistente. I fornitori sono tenuti a provvedere alla classificazione ed etichettatura armonizzate delle rispettive sostanze. In tal modo, gli utilizzatori possono essere meglio informati riguardo ai potenziali effetti pericolosi e al modo più adeguato per assicurare un uso sicuro. Il processo di classificazione ed etichettatura armonizzate comprende un periodo di consultazione pubblica.

Chiunque può formulare osservazioni su una proposta di armonizzazione. I soggetti più suscettibili di essere interessati sono aziende, organizzazioni che rappresentano l’industria o la società civile e singoli esperti. La durata della consultazione pubblica è di 45 giorni Alcune situazioni rendono necessaria l’armonizzazione della classificazione di una sostanza e obbligatorio a livello europeo garantire un’adeguata gestione dei rischi in tutta l’Unione europea.

Il fascicolo relativo all’armonizzazione della classificazione include informazioni sulla fabbricazione, gli usi e i pericoli delle sostanze e una giustificazione della necessità di un’azione a livello europeo. La relazione deve contenere informazioni sufficienti per effettuare una valutazione indipendente dei vari pericoli fisici, tossicologici ed ecotossicologici sulla base delle informazioni presentate.

La proposta, le osservazioni e i pareri di chi ha inviato il fascicolo vengono trasmessi al Comitato per la valutazione dei rischi dell’ECHA. Il Comitato, di cui fanno parte esperti degli Stati membri, esprime un parere scientifico sulla proposta e l’ECHA lo trasmette alla Commissione europea.

La Commissione, con l’assistenza del Comitato di regolamentazione dell’ECHA, che comprende rappresentanti degli Stati membri, deciderà quindi in merito alla proposta di classificazione e di etichettatura della sostanza interessata. http://echa.europa.eu/it/view-article/-/journal_content/title/echa-launches-the-classification-and-labellingplatform;jsessionid=07CED263627DBD7679DE2E612C0F0363.live1

Riesame delle classificazioni

In alcuni casi, la decisione relativa alla classificazione di una sostanza è adottata a livello di Unione europea. I fornitori della rispettiva sostanza o miscela hanno l’obbligo di applicare la classificazione e l’etichettatura armonizzate.

Spesso questa procedura riguarda le sostanze più pericolose, ossia, di norma, quelle cancerogene, mutagene, tossiche per la riproduzione o sensibilizzanti delle vie respiratorie.

L’armonizzazione delle classificazioni ha lo scopo di proteggere la salute umana e l’ambiente e di rafforzare la competitività e l’innovazione.

Tutte le classificazioni delle sostanze armonizzate in base alla normativa precedente (direttiva relativa alle sostanze pericolose) sono state convertite in classificazioni armonizzate a norma del regolamento CLP.

Stati membri, fabbricanti, importatori e utilizzatori a valle possono richiedere l’armonizzazione della classificazione e dell’etichettatura di una sostanza. Possono essere presentate proposte in tal senso soltanto per le sostanze e non per le miscele.

Consultazioni attuali

 La notifica può essere trasmessa soltanto per via elettronica tramite il portale REACH-IT sul sito web dell’ECHA. Per poter trasmettere la notifica, è necessario innanzitutto registrarsi in REACH-IT e creare un account. I notificanti possono anche formare un gruppo di fabbricanti e/o di importatori e notificare la classificazione e l’etichettatura concordate per l’inventario. Questa fase non è obbligatoria È possibile inserire manualmente i dati richiesti in REACH-IT. Lo strumento online consente di confermare una classificazione ed etichettatura già notificata o registrata da un’altra societa  Dopo aver preparato il file del fascicolo di notifica, è possibile trasmetterlo all’ECHA tramite REACH-IT. programma nel quale si viene guidati alla trasmissione della notifica attraverso pagine appositamente dedicate a tale scopo.

Comitato per la valutazione dei rischi

La proposta, le osservazioni e i pareri di chi ha inviato il fascicolo vengono trasmessi al Comitato per la valutazione dei rischi dell’ECHA. Il Comitato, di cui fanno parte esperti degli Stati membri, esprime un parere scientifico sulla proposta e l’ECHA lo trasmette alla Commissione europea.

DeciSione

La Commissione, con l’assistenza del Comitato di regolamentazione dell’ECHA, che comprende rappresentanti degli Stati membri, decide quindi in merito alla proposta di classificazione e di etichettatura della sostanza interessata.

*European Chemicals Agency, <http://echa.europa.eu>http://echa.europa.eu, con sede a Helsinki

Altre 54 sostanze molto problematiche secondo l’ECHA.

Nota del blogmaster:ospitiamo un breve articolo del direttore de “La Chimica e l’Industria”, Ferruccio Trifirò, prof. di Chimica Industriale pressi UniBo che ci aggiorna sulla situazione delle sostanze di interesse industriale su cui l’ECHA sta lavorando alacremente.

a cura di Ferruccio Trifirò

L’Agenzia europea per la chimica (ECHA) il 19 Dicembre scorso ha identificato altre 54 sostanze come molto problematiche (1), ossia Substances with very high concern (SVHC). Queste sostanze sono state inserite nella Candidate List e sono attualmente 138(2). Una sostanza viene definita molto problematica per uno dei seguenti motivi:

1) se cancerogena, mutagena e influenzante il sistema riproduttivo (CMR) di categoria 1 o 2 (1A o 1B, secondo la nuova regolamentazione);

2) o persistente, bioaccumulante e tossica (PBT) o molto persistente e bioaccumulante  (vPvB);

3) o pericolosa per l’uomo e per l’ambiente dello stesso livello delle precedenti, come per esempio le sostanze influenzanti il sistema endocrino o che provocano allergie.

L’inclusione di una sostanza nella Candidate List crea obblighi giuridici per le aziende che fabbricano, importano o utilizzano queste sostanze come tali, in preparati o in articoli, in particolare devono informare i loro clienti del livello di pericolo di queste sostanze. Inoltre queste sostanze che hanno proprietà intrinseche di pericolosità, se sono prodotte o consumate in grande quantità e se hanno una tipologia d’uso che le può fare immettere nell’ambiente e ad andare a contatto con l’uomo durante il loro ciclo di vita, dalla produzione alla messa in discarica, distruzione o riciclo, devono essere considerate ad alto rischio. Queste sostanze ad alto rischio in futuro avranno bisogno di un’autorizzazione per essere utilizzate o potranno essere eliminate dal mercato. Quindi, la conoscenza delle sostanze molto problematiche presenti nella Candidate List è importane per i ricercatori industriali e accademici perché da un’indicazione in anticipo su quali saranno le sostanze e i loro usi che saranno eliminati dal mercato nel prossimo futuro e quindi occorre trovare delle alternative e quali saranno i processi che dovranno assolutamente essere ottimizzati o modificati per mantenere le sostanze prodotte pericolose sul mercato. Fra queste nuove sostanze problematiche ci sono additivi per polimeri intermedi, solventi, coloranti, modificatori di superfici metalliche e polimeriche. Di queste 54 sostanze 44 sono MCR, 5 sono PBT o vPvB, 3 provocano effetti di sensibilità al sistema respiratorio e 2 influenzano il sistema endocrino. Fra queste 54 sostanze ci sono 21 composti organici e inorganici del piombo, 3 composti organici fluorurati, due bromurati e il rimanente sono composti organici generici. La conoscenza di queste sostanze non solo è importante per iniziare una ricerca sulle alternative, ma spinge a conoscere a fondo l’uso delle diverse sostanze e la loro interazione con l’uomo e con l’ambiente in tutto il loro ciclo di vita. Gli intermedi problematici, ossia con proprietà intrinseche di pericolo, possono essere a basso rischio se sono trasformati in situ, in processi ben controllati e minimizzando la loro concentrazione nel prodotto finale. Le stessa considerazioni sono valide per i solventi problematici, ma in aggiunta occorre trattare anche i rifiuti che li contengono e che si ottengono sempre nella loro purificazione prima del riciclo e questo rende costoso il loro utilizzo  e quindi può essere utile trovare un’alternativa. Gli additivi problematici sono sempre ad alto rischio, perché potrebbero essere immessi nell’ambiente durante il loro uso e/o a fine vita e quindi occorre assolutamente trovare alternative. Per le industrie italiane di queste 54 nuove sostanze problematiche quelle che possono avere una forte ricaduta sono i composti contenenti piombo ed i derivati della formammide.  I composti del piombo hanno diversi impieghi come per esempio: in batterie  al piombo, come intermedi per pigmenti e inchiostri, in pigmenti per gomme, essiccanti per vernici, stabilizzanti per materie plastiche, produzione di vetro al piombo e vernici. La. N, N-dimetilformammide e la dietilformammide presenti entrambe nella Candidate List sono utilizzati principalmente come solventi nella sintesi di prodotti farmaceutici e agrochimici e come solventi di processo per la produzione di polimeri utilizzati nella plastica, nella produzione di pelli artificiali, in rivestimenti e resine.

1)    http://echa.europa.eu/proposals-to-identify-substances-of-very-high-concern

2)    M.Livi, La Chimica e l’Industria, 2012 Ottobre , 134.

L’elenco completo delle sostanze presenti nella Candidate List:

  http://echa.europa.eu/web/guest/candidate-list-table