a cura di Luigi Campanella, ex presidente SCI
La proposta della Commissione Europea del Regolamento “R.E.A.Ch.” prevede la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e l’eventuale restrizione di oltre 30.000 sostanze chimiche. La sua implementazione coinvolge in Italia oltre 2.000 Imprese Chimiche e della Distruzione Chimica e oltre 500.000 imprese di trasformazione industriale: la sua applicazione richiede l’effettuazione di test previsti dalle procedure del R.E.A.Ch. Particolare attenzione è quindi data ai test alternativi il cui utilizzo è richiamato dal regolamento stesso e fortemente sostenuto in Unione Europea.
Dunque il R.E.A.Ch. è ormai alle porte! Prepararsi per tempo è quindi un obiettivo prioritario delle Imprese, che dovranno sin da ora confrontarsi sulle analisi necessarie, sui meccanismi decisionali da prendere e sulle procedure da adottare, per affrontare con successo il R.E.A.Ch. nei prossimi anni e mantenere la Competitività Sostenibile del Sistema Industriale Operante in Italia.
Al fine di verificare le sostanze che saranno soggette a registrazione si deve effettuare un primo screening per escludere quelle che possono già essere esentate dalla registrazione in base ad alcuni criteri generali descritti nella proposta finale del regolamento:
– sostanze prodotte/importate a meno di 1 t/anno;
– verifica dell’art. 2, scopi;
– sostanze già notificate secondo EEC 67/548 (EEC 92/32, D.Lgs. no. 52/97);
– sostanze contenute negli allegati II, III;
– sostanze contenute in articoli ma non rilasciate e/o non considerate capaci di provocare un rischio;
– sostanze contenute in preparati secondo criteri specifici;
– polimeri;
– particolari classi di intermedi (non isolati);
– sostanze in regime di esenzione finalizzata al processo R&D.
Una volta ottenuta questa prima scrematura, che prevede un’argomentazione specifica per ogni sostanza si può ottenere la lista delle sostanze soggette a registrazione. Queste sostanze sono quindi soggette a pre-registrazione da parte delle aziende.
Il secondo momento prevede la creazione di una banca dati per ciascuna sostanza al fine di verificare sulla base dei dati disponibili il programma sperimentale ancora da affrontare. La finalità è altresì quella di identificare, se possibile, le sostanze che procederanno nella fase di autorizzazione.
È un punto molto importante per le eventuali strategie da adottare nel caso di restrizione di uso, di autorizzazioni per un periodo limitato e soprattutto al fine di costruire un badget di spesa da distribuire nel periodo di registrazione
Per ogni sostanza quindi si deve:
– verificare il tonnellaggio di commercializzazione (1 – 10 – 100 – 1.000 t/anno) per organizzare i tempi di registrazione;
– verificare i dati di sicurezza in possesso (tossicologici, eco-tossicologici, chimico-fisici) e la loro validità (GLP, pubblicazioni scientifiche, dati epidemiologici ecc.); stabilire il loro valore regolatorio ed economico; procedere eventualmente con ricerche su banche dati;
– verificare come la sostanza possa essere connotata e quindi soggetta a fase si autorizzazione;
– verificare se la sostanza possa avere effetti specifici e quindi essere soggetta a fase di autorizzazione;
– verificare gli usi della sostanza presso gli utilizzatori finali e gli scenari specifici di esposizione (uomo, ambiente). È una fase molto importante per la definizione del relativo Risk Assessment;
– verificare per ogni sostanza se la propria azienda è fornitrice (lista dei clienti) o utilizzatore finale (lista dei fornitori); se la ditta di connota come utilizzatore finale verificare se si proceda con usi diversi da quelli previsti dal fornitore, condizioni che presuppone una registrazione propria della sostanza;
– verificare la completezza delle schede di sicurezza e l’eventuale presenza di una valutazione del rischio già effettuata.
In particolar modo la valutazione dei dati disponibili sarà fondamentale per le seguenti finalità:
– i dati servono nella pre-registrazione;
– i dati possono divenire un valore economico se devono essere condivisi nei consorzi;
– i dati possono servire ad identificare le sostanze sospette;
– i dati possono servire per identificare alcune sostanze con effetti specifici.
In generale si procede con una sorta di lista di pericolosità delle sostanze sulla base della quale programmare gli ulteriori studi.
Il sistema R.E.A.Ch. si basa su quattro elementi:
– Registrazione
– Valutazione
– Autorizzazione
– Restrizioni.
La procedura delle restrizioni offre una garanzia di sicurezza supplementare in quanto, prescindendo dal limite quantitativo di 1 ton/anno, consente di far fronte ai rischi che non siano stati presi in sufficiente considerazione dagli altri elementi del sistema R.E.A.Ch. Essa rappresenta la trasposizione nel R.E.A.Ch. delle disposizioni della Direttiva 76/7 69/CEE. La restrizione può essere emanata con procedura rapida, ma può anche dipendere dalle conclusioni della valutazione.
Le sostanze che non figurano nel registro non potranno essere commercializzate nell’Unione una volta scaduto il termine previsto dalla normativa. È stato adottato il principio si sostituzione delle sostanze a rischio (es. cancerogene e mutagene) con alternative “più sicure, se disponibili”: in caso contrario occorrerà controllarne l’uso.
È chiaro che l’uscita dal mercato di un composto e di tutti i prodotti che lo contengono è un fatto industrialmente traumatico in quanto presuppone non soltanto il ritiro dal mercato dei pezzi venduti, ma anche l’interruzione del ciclo produttivo e la ricerca di prodotti sostituenti mutuabili per proprietà a quelli ritirati.
Ciò suggerisce di dare assoluta priorità alla individuazione, se possibile, di questi composti per avere più tempo davanti per pensare alla loro sostituzione.
La valutazione della sicurezza di un prodotto chimico deve tenere conto dei seguenti effetti della sua produzione o del suo utilizzo:
1) sulla salute umana (tossicità acuta, sensibilità, cancerogenicità, mutagenicità, e tossicità per la riproduzione);
2) sull’uomo dei rischi potenziali delle sostanze chimiche (esplosività, infiammabilità r potere comburente);
3) sull’ambiente (sul sistema acquatico, terrestre, atmosferico ed anche su sedimenti), sull’attività microbiologica, sui sistemi di trattamento delle acque e sul potenziale di accumulo nella catena alimentare;
4) di bioaccumulo e di persistenza nell’ambiente di sostanze tossiche;
5) il meccanismo ed il livello di valutazione dell’esposizione (deve essere esaminato ogni scenario di dispersione dei prodotti chimici e per ognuno di questi occorre stimare le emissioni, il destino chimico e la natura dei prodotti di trasformazione e di degradazione);
6) la valutazione dei rischi (chemical risk assessment and management).
Analisi del rischio vuol dire non solo valutare tossicità, ecotossicità e bioaccumulo, ma anche le potenziali esposizioni a seconda del diverso uso dei prodotti.
Per un’analisi del rischio è necessario quindi conoscere le seguenti informazioni:
1) le categorie di uso (se il prodotto sarà utilizzato in ambito industriale, professionale o da consumatore) e se sarà usato in sistemi chiusi, inglobato in matrici o usato in maniera dispersiva o non dispersiva;
2) le categorie d’esposizione: umana (per inalazione, cutanea e orale) ed ambientale (acqua, suolo e aria);
3) le durate di esposizione (accidentali, occasionali, ripetute e frequenti).
Altri effetti nocivi che è necessario conoscere sono gli effetti sulla riduzione dell’ozono, sulla creazione fotochimica di ozono, sulla distruzione del sistema endocrino e sull’effetto serra.
È necessario che le aziende descrivano quali siano le misure da prendere per proteggere gli uomini e l’ambiente dall’uso di determinati prodotti. Inoltre per ogni sostanza occorre conoscere tutte le informazioni che usualmente sono riportate nelle schede di sicurezza che sono, oltre a quelle tossicologiche, quelle di ecotossicità ed i dati chimico-fisici, la conoscenza delle misure da prendere nel caso di incendi, nel caso di rilasci accidentali, nella manipolazione e nello stoccaggio, le informazioni sul trasporto e sullo smaltimento, di pronto soccorso, di protezione individuale contro l’esposizione ed infine i dati di stabilità e reattività.
Il progetto europeo R.E.A.Ch. comporta la messa a punto e l’applicazione di analisi e determinazioni finalizzate a tale regolamentazione.
I recenti esiti della ricerca scientifica spingono verso metodi alternativi, efficaci ed economici, che consentirebbero di portare a termine il progetto R.E.A.Ch. in tempi brevi e a costi di gran lunga più bassi rispetto a quelli previsti nel caso si adottassero i metodi di sperimentazione animale (alcune cifre sui costi previsti della sperimentazione che provengono dal National Toxicology Programme statunitense mostrano che testare una sola sostanza costa tra i 2 e i 4 milioni di dollari e richiede un tempo medio di almeno tre anni), per di più salvando migliaia si animali/cavie.
Quali sono questi test alternativi?
Quelli basati sulla tossicogenomica, capaci di misurare l’impatto dei progetti di sequenza di interi genomi sullo studio dell’interazione tra geni e risposta a tossici: Clonaggio posizionale e sottrattivo, tecniche di sequenza genetica, tecniche ad alta risoluzione per lo studio dei polimorfismi (SNP); associazione tra polimorfismi genetici, espressione genetica e predizione di suscettibilità; riferimento a organismi modello nello studio dei meccanismi di risposta a tossici; nuove tecniche di genomica funzionale applicate allo studio dei meccanismi cellulari di azione e resistenza a sostanze tossiche: DNA microarrays, chip a DNA, Analisi Seriale dell’Espressione Genica (SAGE).
il DNA MICROARRAY applicato per stabilire se un agente chimico sia in grado di danneggiare l’organismo, al fine di rispondere alla seguente domanda: “l’agente altera l’attività dei geni nelle cellule in modo tale da causare o riflettere un danno cellulare?” utilizza un protocollo che disponendo di un microarray o chip, contenete DNA a singolo filamento, ne misura l’alterazione per esposizione a tossici quantificando ogni variazione di attività genica indotta dal composto.
L’inaffidabilità e le incertezze che ai fini di R.E.A.Ch. possono accompagnare i risultati di test basati su sperimentazione animale, a causa dell’influenza genetica che è alla base della risposta, suggeriscono anche altre alternative.
Il test di citotossicità – ad esempio – permette di valutare il danno arrecato dall’esposizione ad un agente chimico alla capacità replicativa delle cellule. I delicati meccanismi che presiedono la replicazione cellulare rispondono in modo assai più fine di test che basano la valutazione della tossicità di un composto su un danno strutturale della cellula, che è una risposta al danno di tipo “on-off”.
Un altro aspetto che vale la pena di ricordare riguarda il fatto che la maggior parte dei test in vitro analizza l’attività genotossica dei composti chimici: questi saggi, però, possono essere utilizzati con successo solo nell’analisi di quei composti chimici in grado di indurre un danno evidente al DNA, così da agire come inizianti nel processo multifasico di cancerogenesi.
Nell’ambiente appare significativo il contributo delle sostanze promoventi, sostanze cioè in grado di contribuire al processo di cancerogenesi mediante meccanismi non genotossici (detti EPIGENETICI). Una sostanza promovente è in grado di selezionare singole cellule o piccoli foci di cellule la cui struttura genica risulti in qualche modo alterata (cellule iniziate) inducendo dapprima la proliferazione di aree focali di cellule trasformate e quindi innescando nel tempo un processo di “progressione” tumorale che diventa nel tempo irreversibile.
Il test di trasformazione cellulare in vitro su cellule è in grado di discriminare tra sostanze inizianti e promoventi. È quindi possibile indagare l’attività di una sostanza ritenuta promovente esponendo cellule “iniziate” da dosi sub-trasformanti di un cancerogeno noto alla presunta azione promovente di un agente chimico.
Il test di trasformazione utilizzato da anni come test di screening per le sostanze a presunta attività cancerogena, particolarmente duttile ed idoneo ad identificare il potenziale cancerogeno di miscele complesse, come quelle ambientali.
Dotato di una elevata concordanza con i test di cancerogenesi nell’animale, il test di trasformazione rende anche possibile la valutazione delle capacità inizianti e/o promoventi di agenti chimici.
Il test di crescita in soft-agar indaga la capacità delle cellule di formare colonie in assenza di adesione al substrato: la capacità di formare colonie in terreno semi-solido è generalmente utilizzata come indice di trasformazione neoplastica connessa alla tumorigenicità.
La chimica può contribuire significativamente alla messa a punto di test affidabili ed al tempo stesso che non richiedano tempi tanto lunghi da dilazionare molto in avanti l’applicazione dei contenuti del R.E.A.Ch.. La chimica offre l’opportunità di metodi che attraverso una preliminare fase di screening ed una successiva fase di test, con la individuazione di indici marker significativi consentano – anche attraverso l’impiego di composti di riferimento per modulare le scale per l’ordine di classificazione dei composti testati – di potere assegnare ad ogni composto una sorta di coefficiente di probabilità ad essere sostituito, che faccia emergere le urgenze più significative. La ecotossicità, la bioaccumolabilità e la ecopermanenza sembrano criteri marker significativi finalizzati alla definizione di tali graduatorie. In questo senso strumenti operativi messi a punto dal proponente e finalizzati allo scopo indicato sono:
1) biosensori respirometrici e fotosintetici che valutano la tossicità sulla base dell’effetto del composto testato sulle capacità respiratorie di cellule aerobiche (lieviti, ad esempio) e quelle fotosintetiche di cellule algali;
2) i test di bioaccumulazione su tessuti vegetali diversi;
3) i fotosensori di ecopermanenza basti sulla misura ai fini della valutazione di questa, della recalcitranza a processi fotodegradativi catalizzati da TiO2 e monitorati in continuo attraverso la misura del potenziale superficiale.