Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.
a cura di Marco Cosentino, marco.cosentino@uninsubria.it
Centro di Ricerca in Farmacologia Medica, Università degli Studi dell’Insubria, Varese

Marco Cosentino
Che significa “integrità nella ricerca”? E cosa si intende per scientific misconduct? Ma, soprattutto: perché sempre più università e enti di ricerca nel mondo sentono la necessità di dotarsi di Research Integrity Officers e di codici di condotta utili a promuovere la research integrity e a prevenire e eventualmente anche a reprimere la scientific misconduct? E come mai i National Institutes of Health statunitensi hanno istituito un Office for Research Integrity[1] e la Commissione Europea ha appena inserito nel programma “Science with and for Society“,[2] nell’ambito di Horizon 2020, un bando per la presentazione di proposte sul tema “Ethics in Research: Promoting Integrity”, prevedendo di finanziare un grande progetto europeo?
Potrebbe sembrare banale sostenere l’importanza di promuovere l’integrità nella ricerca scientifica la prevenzione della cattiva condotta scientifica (scientific misconduct) ricorrendo alle notizie di cronaca riportate dai principali quotidiani nazionali.[3] Esistono tuttavia motivazioni molto più profonde, di ordine generale e di natura contingente, che impongono a tutte le istituzioni impegnate nella ricerca scientifica di sviluppare e adottare al proprio interno iniziative utili a promuovere la qualità, la verificabilità e la riproducibilità dei risultati della ricerca scientifica (in particolar modo in ambito biomedico, ma anche in generale), tra l’altro attraverso lo sviluppo di un ambiente adeguato e garantendo che i giovani ricercatori in formazione possano ricevere un adeguato addestramento e un continuo sostegno.
Che cos’è l’etica nella ricerca e perché è importante?
Con l’espressione research misconduct (traducibile come “cattiva condotta nella ricerca”) si intende indicare una casistica di comportamenti che si discostano dagli standard etici e scientifici. Le principali forme di cattiva condotta sono il plagio, la falsificazione e la fabbricazione di risultati, sebbene molte altre forme di cattiva condotta possano verificarsi, in particolar modo (ma non soltanto) nella ricerca biomedica.[4] Ad esempio: la violazione degli standard etici nella ricerca su esseri umani e animali, il mancato riconoscimento del contributo di un ricercatore (negandogli l’inclusione tra gli autori oppure includendolo in posizione non adeguata) e – all’opposto – la cosiddetta guest authorship, ovvero l’inclusione tra gli autori di persone che non soddisfano i minimi requisiti per figurarvi. Può essere considerata violazione degli standard etici anche la citazione inappropriata di pubbicazioni unicamente allo scopo di migliorarne i parametri bibliometrici o, al contrario, la mancata citazione di pubblicazioni di rilievo allo scopo di mettere in ombra il contributo altrui a un determinato argomento.
David B. Resnik, bioeticista e presidente dell’Institutional Review Board al National Institute of Environmental Health Sciences, risponde a questa domanda con argomentazioni articolate e esaurienti.[5] In breve, in primo luogo l’adesione ai principi etici nella ricerca scientifica promuove gli scopi più generali della ricerca stessa, quali accrescere la conoscenza, perseguire la verità e evitare l’errore. Inoltre, dal momento che in particolare nella biomedicina la ricerca richiede un grado elevato di cooperazione, le norme etiche promuovono valori essenziali al lavoro collaborativo, quali la fiducia, la responsabilità, il rispetto reciproco e la correttezza (si pensi alle linee guida per la authorship, il copyright, i brevetti, la condivisione di dati, la segretezza).
Molte norme etiche contribuiscono poi a garantire che i ricercatori siano in grado di assumersi la responsabilità delle proprie ricerche, dandone al tempo stesso pubblica garanzia, nei confronti della società, delle agenzie regolatorie e dei finanziatori. La percezione di un adeguato rigore etico nella ricerca scientifica contribuisce poi a promuovere e consolidare il consenso pubblico nei confronti della ricerca scientifica. I finanziatori, pubblici e privati, sono orientati a finanziare una ricerca nella quale possano riporre fiducia e che siano in grado di percepire come responsabile, di qualità e integra sotto ogni aspetto.
Infine, l’adozione di norme etiche per la ricerca scientifica contribuisce a promuovere un insieme di importanti valori morali e sociali, quali la responsabilità sociale, i diritti umani, il benessere animale, il rispetto e l’aderenza alle leggi, la salute e la sicurezza. Complessivamente, sull’argomento si veda anche il seminario di Tony Mayer (Nanyang University, Singapore) tenuto lo scorso anno presso l’Università degli Studi dell’Insubria a Varese.[6]
Esiste un’emergenza etica nella ricerca scientifica?
Il mancato rispetto dei principi etici nella ricerca scientifica si riflette concretamente in approssimazioni e spesso in veri e propri errori metodologici, organizzativi, tecnici e pratici tali da determinare un rischio inaccettabile di danno ai soggetti umani e animali coinvolti nella ricerca, ai ricercatori e più in generale all’istituzione e alla società nel suo complesso. L’esempio già citato[7] documenta con disarmante chiarezza come dati fabbricati o falsificati in una sperimentazione clinica possano causare danni o anche uccidere pazienti. D’altra parte, il mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza nei laboratori di ricerca può compromettere direttamente la salute di chi in essi lavora (o eventualmente li frequenta, ad esempio per motivi di studio). Il recente caso dell’Università di Catania lo sta a dimostrare in maniera drammaticamente efficace.[8]
Il rischio non è tuttavia solo teorico, sebbene gli studi in tal senso siano ad oggi ancora troppo pochi. Ad esempio, è stato recentemente documentato come la maggior parte degli studi preclinici, anche pubblicati su riviste internazionali estremamente autorevoli, riporti di fatto risultati non replicabili e di conseguenza inutili e fuorvianti.[9] Stanno inoltre aumentando con preoccupante rapidità le ritrattazioni di articoli, in special modo da parte delle maggiori riviste scientifiche. Un recente studio indica che la principale ragione è proprio la cattiva condotta scientifica.[10] Negli ultimi anni si discute inoltre di fattori connessi al ricercatore (researcher bias) e al processo di pubblicazione (publication bias). I primi riguardano la pressione crescente subita dai ricercatori e che li forza a pubblicare sempre di più e sempre più rapidamente, per ragioni di carriera e/o per ottenere finanziamenti ulteriori. I secondi riguardano il desiderio delle maggiori riviste scientifiche di pubblicare risultati nuovi e inaspettati, mentre le conferme di risultati già pubblicati o i risultati negativi di solito non vengono considerati interessanti.[11] Il risultato è un inaccettabile aumento del rischio di ritrovarsi pubblicati risultati non adeguatamente verificati e di conseguenza spesso non replicabili.
Sebbene in fenomeno del publication bias sia stato descritto e tuttora sia associato essenzialmente alle sperimentazioni cliniche: è ampiamente noto e verificato e riprodotto in molteplici analisi che gli studi finanziati dall’industria farmaceutica riportino con maggiore probabilità risultati favorevoli rispetto a quelli indipendenti.[12] Più recentemente, varie indagini hanno mostrato come gli studi finanziati dall’industria farmaceutica vengano pubblicati in base alla convenienza e spesso le pubblicazioni forniscano un quadro più “favorevole” rispetto ai reali risultati delle sperimentazioni.[13] Raramente tuttavia si considera che nella ricerca biomedica di tipo clinico è molto più semplice identificare fenomeni di cattiva condotta scientifica, quali la falsificazione o la fabbricazione di risultati, dal momento che gli studi clinici devono essere sottoposti alla verifica preventiva dei Comitati Etici e da alcuni anni sono anche soggetti alla registrazione in appositi database (richiesta obbligatoriamente dalle maggiori riviste mediche internazionali che diversamente si rifiutano di pubblicarli).[14] Inoltre, i risultati dettagliati degli studi registrativi dei nuovi medicinali vengono depositati presso le agenzie regolatorie e sono di conseguenza almeno in teoria disponibili per essere verificati.[15] Nella ricerca di laboratorio, al contrario, non esistono per il momento standard di riferimento utili a garantire la verificabilità dei risultati pubblicati, e di conseguenza non è in alcun modo possibile verificare la qualità delle pubblicazioni al di là dei meri aspetti formali esaminati nel corso del processo di peer review (con la marginale eccezione della diffusione dei software per l’analisi d’immagine, in grado quanto meno di identificare eventuali grossolane manipolazioni di fotografie ad esempio da esperimenti di immunoistochimica, di PCR o di western blot). Gli studi citati in precedenza che documentano la non riproducibilità della maggior parte dei risultati degli studi biomedici di ambito preclinico[16] rappresentano di conseguenza un segnale d’allarme dalle implicazioni potenzialmente drammatiche, in grado di minare alla base la struttura stessa dell’attuale organizzazione della ricerca scientifica a livello globale.
Qual è la situazione italiana?
In Italia non esistono al momento dati a riguardo. Ci sono tuttavia motivi di preoccupazione estremamente gravi. Da un lato infatti l’Italia è tra i Paesi europei privi di linee guida e riferimenti su integrità scientifica e promozione e repressione della scientific misconduct.[17] Dall’altro, la recente revisione della normativa sui concorsi universitari, con l’adozione di parametri bibliometrici quantitativi nella maggior parte dei settori disciplinari e in particolare nell’ambito biomedico,[18] ha introdotto una inedita pressione a pubblicare “a qualsiasi costo”, che già sta manifestando i suoi effetti, e le cui conseguenze saranno da studiare con attenzione (Figura 1).
Esistono dunque molteplici motivazioni di carattere sia generale che contingente che inducono a concludere che ogni università e istituzione scientifica debba quanto prima farsi carico della responsabilità di prevenire la cattiva condotta scientifica, adottando tutte le misure necessarie a rendersi garante della qualità e della riproducibilità dei risultati dell’attività di ricerca scientifica dei propri ricercatori. In particolare, le iniziative più efficaci per la prevenzione della scientific misconduct devono prima di tutto prendere in considerazione la formazione dei giovani ricercatori. Studenti di dottorato e ricercatori post-dottorato dovrebbero ricevere un adeguato addestramento sulle metodologie e l’etica della ricerca scientifica, in modo da comprendere che evitare pratiche discutibili è la scelta migliore non solo per garantire la qualità dei risultati, bensì anche per promuovere in maniera efficace e corretta la propria carriera scientifica.[19]

Figura 1. Numero di pubblicazioni indicizzate in PubMed (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed) nel periodo 2004-2012, con affiliazione italiana degli autori (a sinistra). La linea tratteggiata verticale corrisponde all’introduzione degli indicatori bibliometrici nelle procedure per l’abilitazione a professore universitario (ASN). Si noti la brusca impennata nel 2012 (+10,2%). Per confronto (a destra), in Germania, Francia e UK nel medesimo anno l’aumento è stato in media di +5,3%. Il delta percentuale a favore dell’Italia è +4,9%, mentre negli anni precedenti era stato in media +1,0% (intervallo: -0,4%+2,7%).
Questo addestramento deve avvenire nel contesto di strategie appropriate implementate attraverso una esplicita politica dell’istituzione. Sfortunatamente, ad oggi le università sono prevalentemente preoccupate al massimo di attrezzarsi a reagire ad accuse di cattiva condotta. Ognuna di esse dovrebbe invece attrezzarsi a prevenire la cattiva condotta, anche considerando che la loro reputazione viene comunque danneggiata da eventuali casi che coinvolgano i propri ricercatori. La prevenzione della scientific misconduct e l’addestramento alla research integrity, indirizzato prima di tutto ai giovani ricercatori, dovrebbe essere una priorità per le università anche per tener fede ai vincoli e agli obblighi di natura etica e sociale di queste istituzioni.
[10] Fang FC, Steen RG, Casadevall A. Misconduct accounts for the majority of retracted scientific publications. Proc Natl Acad Sci USA 2012, 109: 17028-33. doi: 10.1073/pnas.1212247109
[11] Brembs B1, Button K, Munafò M. Deep impact: unintended consequences of journal rank. Front Hum Neurosci. 2013 Jun 24;7:291. doi: 10.3389/fnhum.2013.00291. eCollection 2013.
[17] Godecharle S, Nemery B, Dierickx K.Guidance on research integrity: no union in Europe. Lancet. 2013 Mar 30;381(9872):1097-8. doi: 10.1016/S0140-6736(13)60759-X.