W la CO2. Possiamo trasformare il piombo in oro? Recensione

Claudio Della Volpe

W la CO2. Possiamo trasformare il piombo in oro?

Ed. Il Mulino, pag. 208 15 euro – 2021

Il libro di Gianfranco Pacchioni che commento qui oggi potrebbe dare adito ad una ambiguità. Il motivo è che in giro si trovano numerosi “difensori” della CO2; anzi che l’aumento di questo gas serra sia da considerare un vantaggio è uno degli argomenti del peggiore negazionismo; purtroppo anche in Italia abbiamo avuto un libro con questo taglio e scritto da due ingegneri che non nomino per non fargli pubblicità.

Diciamo subito che il libro di Pacchioni NON si situa in questa classe di libri; al contrario è frutto dello sforzo complesso e non banale di un chimico che riflette da chimico di razza su questi temi.

Già il sottotitolo, d’altra parte, chiarisce che la CO2 è “il piombo”, insomma una specie chimica che può giocare un ruolo negativo (ricordiamoci che tutto può giocare un ruolo negativo, come diceva il mio mentore Guido Barone, ogni cosa ha due corni o se volete il mondo, la natura è dialettica, contraddittoria).

La prima parte del libro è dedicata a ricostruire la figura chimica della CO2 nei suoi innumerevoli ruoli.

Una cosa da sottolineare è la riscoperta, almeno per l’Italia, di Ebelmen, uno scienziato francese oggi dimenticato che fu il primo scopritore del meccanismo basilare del ciclo del carbonio geologico, il weathering dei silicati, la reazione mediante la quale l’acqua satura di CO2 degrada le rocce silicee assimilandosi come carbonato. Ebelmen scoprì questo processo nel 1845, ma il suo lavoro fu dimenticato e riscoperto solo dopo molti decenni e ancora oggi non è ben assimilato sebbene alcune delle sue conclusioni siano state riscoperte; ma per esempio Arrhenius non lesse mai quel lavoro. E se è per questo si riscopre anche il ruolo di una donna americana, una scienziata poco conosciuta che probabilmente anticipò varie idee sulla CO2 e il clima (ma vedrete voi stessi).

Nei primi tre capitoli il libro racconta la storia della CO2 come molecola. Chi l’ha scoperta, da dove viene, ossia quali processi geologici possono giustificarne l’esistenza, quali processi biologici o chimici la producono e così via. Nel far questo l’autore è costretto a raccontare (e lo fa con grande abilità) la storia geologica del nostro pianeta, che è un argomento affascinante.

Nei capitoli successivi esplora invece la fotosintesi e la storia della sua delucidazione scientifica. Questa parte è molto completa e mi sembra veramente un lavoro ben fatto.

Ovviamente a questo punto l’autore introduce la scoperta e l’approfondimento del global warming e presenta alcune delle numerose prove chimiche che si possono trovare in letteratura. Anche qui la trattazione sebbene non tecnica è completa e piacevole da leggere.

Infine presenta il quadro di cosa si possa fare per affrontare il problema a partire dalle tecnologie rinnovabili ma anche da quelle legate all’assorbimento della CO2 con reazioni “naturali” come la reazione di Sabatier.

Trovo che questa parte avrebbe dovuto essere più attenta alle questioni che nascono dalla applicazione massiva di tecnologie di assorbimento della CO2 dunque per esempio spiegare o introdurre almeno i concetti di EROEI (energy return on energy investment) o di LCA (Life cycle analysis) perché al momento i punti deboli delle rinnovabili e delle tecnologie di assorbimento sono proprio legati non alla loro possibilità, ma alla loro applicabilità estesa, industriale.

Comunque il testo di Pacchioni rimane un ottimo esercizio di lettura per lo studente di chimica o di ingegneria ambientale che volesse informarsi su questi temi, ma anche per il lettore evoluto che non si ferma alla prima difficoltà.

Fra l’altro i limiti generali dei vari approcci sono ben spiegati.

Il compendio di note, immagini e citazioni è sufficiente a fornire una base del tutto sufficiente non solo al lettore evoluto, ma generico, ma anche al lettore che sia specialista di altri settori e voglia farsi un’idea di questi problemi.

Ho avuto modo di partecipare in qualche modo alla formulazione del testo, fornendo dei consigli che l’autore ha, bontà sua, accettato ma questo non mi rende di parte nella valutazione, anche perché l’accettazione è stata parziale e l’autore conserva i suoi punti di vista originali.

Nelle conclusioni l’autore, in modo per me inaspettato scrive delle cose, relative alla storia umana (il ruolo ipotizzabile della grande eruzione di Toba nella storia della nostra specie) che personalmente mi trovano molto d’accordo e che anzi avevo riassunto in un testo che circolò più di dieci anni fa per qualche tempo in ambienti politicamente impegnati della mia zona e nell’associazione ASPO Italia di cui in quel momento facevo parte.

In conclusione trovo il libro di Gianfranco Pacchioni molto ben scritto e interessante e ve ne consiglio caldamente la lettura.

Il nostro blog ha recensito un altro bel libro di Pacchioni.

Alimentazione per fotosintesi di un microprocessore

Rinaldo Cervellati

Un microprocessore è un componente fondamentale dei computer, in cui la logica e il controllo dell’elaborazione dei dati sono inclusi in un singolo circuito integrato o in un loro piccolo numero. Il microprocessore contiene i circuiti aritmetici, logici e di controllo necessari per eseguire le funzioni dell’unità di elaborazione centrale (CPU) di un computer. Il circuito integrato è in grado di interpretare ed eseguire istruzioni di programma ed eseguire operazioni aritmetiche. Il microprocessore è costituito da un circuito integrato digitale multiuso, che accetta dati binari come input, li elabora secondo le istruzioni contenute nella sua memoria e fornisce risultati (anche in forma binaria) come output. I microprocessori contengono sia la logica combinatoria che la logica digitale sequenziale e operano su numeri e simboli rappresentati nel sistema numerico binario.

Secondo una nuova ricerca, i microprocessori possono essere alimentati utilizzando microrganismi fotosintetici alla luce ambientale senza la necessità di una fonte di alimentazione esterna.

Il gruppo internazionale di ricercatori inglesi, italiani e norvegesi, coordinati da Christopher Howe dell’Università di Cambridge (UK), ha introdotto i cianobatteri Synechocystis sp. PCC6803, in una batteria alluminio-aria per creare un dispositivo biofotovoltaico. Il dispositivo ha dimensioni simili a una batteria AA, è realizzato con materiali durevoli e molto riciclabili e non richiede una fonte di luce dedicata per funzionare. È il primo sistema bioelettrochimico segnalato in grado di alimentare continuamente un microprocessore al di fuori delle condizioni controllate di laboratorio [1].

Figura 1. Il sistema testato su un davanzale a Cambridge (UK). Credit: Christopher Howe (UC)

Commenta Paolo Bombelli, angloitaliano, uno dei ricercatori dell’Università di Cambridge: “Abbiamo deciso che non volevamo far funzionare il sistema con una fonte di energia dedicata. Avevamo bisogno di dimostrare che possiamo operare in condizioni di luce ambientale e siamo stati in grado di farlo”.

Il gruppo ha testato la stabilità e la biocompatibilità del substrato di alluminio e ha dimostrato che il sistema può alimentare continuamente un processore Arm Cortex-M0+[2] per sei mesi in diverse condizioni ambientali, entro l’intervallo di temperatura 13,8–30,7°C. Il processore ha eseguito 1,23 ×1011 cicli di 45 minuti di calcolo seguiti da un periodo di standby di 15 minuti. Alimentato interamente dalla cella biofotovoltaica, il processore assorbe una corrente media di 1,4μA con una tensione di 0,72V. Il sistema ha smesso di funzionare solo quando è stato utilizzato un impacco di ghiaccio per abbassare la temperatura a 5°C.

Il gruppo ha lasciato intenzionalmente aperto il sistema biofotovoltaico. Una volta stabilito il sistema, le specie Halomonas e Pseudomonas erano cresciute insieme alla specie iniziale Synechocystis, un battèrio di acqua dolce. Spiega Bombelli: “Abbiamo deliberatamente mantenuto il sistema in condizioni non sterili. Consentendo ai contaminanti di entrare nel sistema, permettiamo l’evoluzione di un bioma. Siamo stati molto lieti di scoprire questo complesso e intricato mix di colture che lavorano insieme, che è uno degli elementi chiave del buon funzionamento del sistema. Queste colture miste danno un bioma stabile e duraturo, ma aiutano anche il processo di trasporto degli elettroni”.

I ricercatori ipotizzano che il sistema biofotovoltaico operi sia in modalità elettrochimica che bioelettrochimica. Nella modalità elettrochimica, i microrganismi forniscono un ambiente favorevole per l’ossidazione elettrochimica dell’alluminio, che emette elettroni. Nella modalità bioelettrochimica, gli elettroni vengono trasferiti direttamente dai batteri, ad esempio dalla membrana cellulare esterna, e trasportati all’alluminio (fig. 2).

Figura 2. Meccanismi proposti per il trasporto degli elettroni all’interno del mix idrossido di alluminio e matrice extracellulare. Credit: Paolo Bombelli (UC)

Marin Sawa, esperta di bioelettronica basata sulla fotosintesi (Università di Newcastle, UK), afferma: “Il dispositivo biofotovoltaico riportato mostra la natura imprevedibile della biologia ma anche il suo lato adattabile e resiliente. L’alimentazione continua senza reintegrare il bioanodo per un massimo di sei mesi è notevole. Sembra essere molto più robusto e adattabile di quanto immaginassi per generare bioelettricità”.

Le applicazioni del sistema potrebbero includere l’alimentazione di piccoli dispositivi elettronici. Esiste un potenziale significativo per l’utilizzo della tecnologia in località remote in cui l’elettricità di rete non è un’opzione e dove l’utilizzo di batterie che richiedono la sostituzione regolare è scomodo.

Kevin Redding, un esperto di conversione di energia fotosintetica dell’Arizona State University (USA), è colpito dalla stabilità del sistema: “Questo studio serve come prova incoraggiante del concetto che una cellula microbica può utilizzare la fotosintesi per la produzione di energia a lungo termine sufficiente per alimentare una CPU. Ciò potrebbe convincere l’industria a prendere questa tecnologia abbastanza seriamente da investire il tempo e le risorse necessarie per trasformarla in una tecnologia utile. L’abbinamento di tali dispositivi di alimentazione con piccole CPU potrebbe spronare i produttori di chip a sviluppare nuovi chip efficienti dal punto di vista energetico progettati per funzionare con le celle biofotovotaiche in futuro”.

Nota. Questo post è stato scritto il 12 maggio. La notizia è stata poi riportata dal quotidiano La Repubblica il 28 maggio nella pagina Green and Blue: https://www.repubblica.it/green-and-blue/2022/05/27/news/batteria_alghe_energia-351167578/?ref=RHVS-VS-I271182744-P3-S3-T1&__vfz=medium%3Dsharebar

Bibliografia

[1] P. Bombelli et al., Powering a microprocessor by photosynthesis., Energy Environ. Sci., 2022, DOI: 10.1039/d2ee00233g


[1] Tradotto e adattato da: Ellis Wilde, Photosynthesis used to power a microprocessor for over six months, Chemistry World, 12 May 2022

[2] ARM Cortex è una famiglia di microprocessori della società High Tech ARM Holdings. Anche ricercatori della Arm Ltd. di Cambridge hanno partecipato alla ricerca.

Le 4R e il sogno di Luigi.

Luigi Campanella, già Presidente SCI.

Le 4R e il sogno di Luigi. L’Economia Circolare viene presentata anche attraverso il principio delle 4 R:

Ridurre: la base del concetto di circolarità è ridurre i consumi di materia prima, progettando prodotti con una obsolescenza a lungo termine e con una manutenzione semplice, con costi inferiori;

Riusare: il riutilizzo delle materie prime è il primo grande ciclo di vita dei prodotti, per perdere quell’energia spesa per generare quel prodotto;

Riciclare: recupero della materia;

Recuperare: il rifiuto è valorizzato sotto il profilo economico e diventa materia seconda o energia.

Si comprende da questo come il primo indicatore non può che essere il rapporto fra quantità totale di rifiuti conferiti in raccolta differenziata e quantità totale di rifiuti conferiti in indifferenziata. Il secondo indicatore fa riferimento al contenuto energetico della circolarizzazione distinguendo all’interno della raccolta differenziata fra prodotti a  contenuto energetico differente. Emblematico in questo senso è il caso degli scarti alimentari riproposto in un recente articolo dall’amico Vincenzo Balzani. La fotosintesi clorofillana consente di trasformare l’energia solare in energia chimica trasformando composti  a basso contenuto energetico in prodotti ad alto contenuto energetico che l’uomo utilizza quali alimenti. Chiaramente il rendimento di questa trasformazione varia da caso a caso ma in ogni caso per rendere commestibili i prodotti della fotosintesi l’uomo deve aggiungere altra energia (arare, seminare, mietere, trattare) e così facendo contribuisce ai cambiamenti climatici. Diventa allora importante scegliere un’alimentazione che richieda la minima quantità di energia aggiunta a quella solare, energia oggi in larga parte fornita dai combustibili fossili.

https://www.donnissima.it/attualita-tecnologia/tecnologia/Da-rifiuto-a-risorsa-le-4R/7270   Da questi due dati, contenuto energetico  ed energia aggiunta non solare per unità di peso o di volume deriva l’efficienza energetica di un alimento. È nostro compito educare a rispettare le esigenze energetiche della vita con alimenti che siano quanto più possibilmente efficienti energeticamente. In questo senso la ben nota dieta mediterranea rappresenta una buona guida rispetto ad un consumo elevato di carne da evitare: la carne è un alimento che richiede mediamente per kg prodotto 7 litri di petrolio e circa 10000 l di acqua. Le emissioni europee di gas serra imputabili alla produzione di carni alimentari hanno superato quelle di tutti gli autoveicoli circolanti nei 28 Stati membri. Anche la biologia mette a disposizione degli indicatori: in Italia vivono circa 12 miliardi di alberi che attraverso la fotosintesi crescono e producono. La quantità di CO2 prodotta in Italia in un anno attraverso tutte le attività è di 460 Milioni di tonnellate che potrebbero essere assorbite dai 12 miliardi di alberi la cui crescita media sarebbe indicatore di questo equilibrio influenzato positivamente da tutte le attività delle 4 R dell’economia circolare. Lo stesso dato della CO2 totale confrontato col parco macchine del nostro Paese (40 milioni di autovetture) , col.chilometraggio medio (12000 km) e con la  produzione media di CO2 per km del parco macchine (130 g)  dimostra, ai fini dell’assorbimento della CO2, che solo per una riduzione dei km annui percorsi del 10%, si raggiungerebbe a autosufficienza del verde. Indirizzando verso forme di assistenza alla sostenibile si  ridurrebbe anche il costo sociale del traffico di circa 150 euro a persona rispetto all’attuale costo valutato in 1400 euro (0,13 euro per km percorso). https://www.imdb.com/title/tt0306452/mediaviewer/rm3225431552/