Giacimenti di idrogeno

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Claudio Della Volpe

Quando si parla di idrogeno viene subito necessario chiarire che si tratta di un vettore di energia perché – si dice- non esistono giacimenti di idrogeno sul nostro pianeta; questo nonostante l’idrogeno sia l’elemento più diffuso dell’universo e anche il più antico degli elementi, quello che si è formato per primo e anche il motore basico dell’energia delle stelle.

Ma questa descrizione è del tutto vera e corretta? Abbiamo parlato ripetutamente del ciclo dell’idrogeno e delle sue peculiarità, per esempio qui  e qui. Ma mai dell’idrogeno naturale.

Lavori che mostravano l’esistenza di risorse “naturali” di idrogeno risalgono almeno al 1962 (World Oil, nov, pag 78), ma il dubbio esiste ufficialmente fin dal 1990, quando un ingegnere minerario, H.C. Petersen scriveva (Int. J. Hydrogen Energy,Vol. 15,No. 1,p. 55, 1990) in una lettera alla rivista, raccontando di aver cercato l’elio nei campioni di gas che gli provenivano da parecchi giacimenti americani, ma di aver trovato anche idrogeno in percentuali che erano significative; e rivelando che, a suo parere, in Kansas and Iowa erano stati perforati pozzi dalla Texaco alla ricerca specifica di idrogeno.,

Da allora sono stati pubblicati un piccolo numero di lavori riguardanti la ricerca di giacimenti di idrogeno; il più famoso dei quali si trova, al momento, in Mali, in Africa.

Nella prima di queste review (1) del 2005 gli autori scrivevano:

Nella medesima review si sosteneva che le risorse di idrogeno “naturale” erano prodotte in massima parte da processi di serpentinizzazione in rocce ultramafiche o ultrabasiche, rocce ignee con contenuto molto basso, meno del 45%, di silice (che esalta l’acidità), generalmente percentuale superiore al 18% di ossidi di magnesio, ossidi ferrosi elevati, basso contenuto in potassio, e sono composte principalmente da minerali femici (ossia contenenti ferro e magnesio).

Queste condizioni erano estranee a quelle dei comuni giacimenti di petrolio e necessitavano dunque di una ricerca specifica.

Per confronto il lavoro mostra la diversa composizione in idrogeno di un tipico deposito carbonifero e quella invece di depositi ultramafici ricchi di idrogeno.

La reazione principale per la formazione di idrogeno è proposta in questa forma:

In definitiva i depositi di ferro ferroso servono da riducenti dell’acqua geologica formando cospicue quantità di idrogeno e di ferro ferrico. Secondo un lavoro del 1979 (2) la quantità di idrogeno che viene ceduta all’intero oceano da questi processi assommerebbe a sole 70 ton al giorno, 25mila ton/anno; e come si sa la quantità di idrogeno presente in atmosfera è particolarmente limitata, dell’ordine di un paio di centinaia di Mton.

Una review più recente del 2019 (3) al contrario stima in circa 23Mton/anno il flusso geologico di idrogeno da tutte le sorgenti verso l’atmosfera, dunque dell’ordine del 10% del deposito atmosferico, che come abbiamo raccontato altrove si disperde nello spazio a causa della bassa gravità terrestre.

Nella review si dice:

“Da un punto di vista geologico, l’idrogeno è stato trascurato”. Questo è stato scritto da Nigel Smith e colleghi più di un decennio fa in un articolo del 2005, che sembra essere l’ultima iniziativa in una revisione dell’idrogeno naturale (Smith et al., 2005). Nel 2019 questa affermazione è ancora valida. Sospetto che ciò sia dovuto a un pregiudizio esistente secondo cui l’idrogeno libero in natura è raro, e le descrizioni delle poche scoperte conosciute sono aneddotiche e per qualche motivo raccolgono pochissima attenzione. Pertanto, se nessuno si aspetta di trovare idrogeno libero, nessuno lo campiona. Questo pregiudizio influenza il modo in cui i campioni di gas vengono analizzati e campionati, ma anche il modo in cui i sistemi di rilevamento sono progettati. L’approccio analitico standard per la gascromatografia utilizza spesso l’idrogeno come gas di trasporto (Angino et al., 1984). Per questo motivo, se c’è idrogeno in un campione di gas, non verrà rilevato. È stato riferito che anche nel 1990, molte indagini non erano attrezzate per analizzare l’idrogeno (Smith, 2002). È ancora vero, fino ad oggi, che solo pochi gas-analizzatori portatili moderni utilizzati nelle scienze naturali includono un sensore di idrogeno nel loro design. È difficile stimare quante volte l’idrogeno non è stato identificato in campioni ricchi di H2 a causa della mancanza di una tecnica di rilevamento adeguata per misurare le concentrazioni di idrogeno.

Questo spiega perché a tutt’oggi non abbiamo idea precisa delle effettive dimensioni degli eventuali giacimenti mondiali di idrogeno naturale.

Nella review del 2020 esiste tuttavia una mappa, dalla quale si potrebbe erroneamente pensare che ci sono più depositi in Europa e Russia, ma questo dipende solo dal maggior numero di analisi condotte:

Il giacimento più famoso e sfruttato al momento è quello scoperto in Mali. La sua scoperta è stata raccontata in un recente articolo su Science (17 FEBRUARY 2023 • VOL 379 ISSUE 6633 631 )

All’ombra di un albero di mango, Mamadou Ngulo Konaré ha raccontato l’evento leggendario della sua infanzia. Nel 1987, gli scavatori di pozzi erano venuti al suo villaggio di Bourakébougou, Mali, per trivellare l’acqua, ma avevano rinunciato a un pozzo asciutto a una profondità di 108 metri. “Nel frattempo, il vento stava uscendo dal buco”, ha detto Konaré. Denis Brière, petrophyfisico e vicepresidente di Chapman Petroleum Engineering, nel 2012. Quando un perforatore ha sbirciato nel buco mentre fumava una sigaretta, il vento gli è esploso in faccia. “Non è morto, ma è stato bruciato”, ha continuato Konaré. “E abbiamo avuto un enorme incendio. Il colore del fuoco durante il giorno era come l’acqua frizzante blu e non aveva inquinamento da fumo nero. Il colore del fuoco di notte era come oro splendente, e in tutti i campi potevamo vederci nella luce…. Avevamo molta paura che il nostro villaggio sarebbe stato distrutto”.

Un racconto ed una descrizione più tecnica si ha nella ref. (5)

Questo ci aiuta a capire che si tratta di riserve di idrogeno NON FOSSILI è bene confermarlo, non dipendenti da processi di trasformazione petrolifera e dunque non soggetti ai medesimi limiti, ma comunque limitati nel loro sviluppo complessivo; sono tecnicamente rinnovabili se non usate al di sopra della loro limitata velocità di riproduzione.

I serbatoi di idrogeno relativamente puri sono associati a tracce di metano, azoto ed elio. L’accumulo geologico stratigrafico di idrogeno è legato alla presenza di davanzali e falde acquifere doleritiche sovrapposte che sembrano svolgere un ruolo per disabilitare la migrazione e la dispersione di gas verso l’alto. Il verificarsi di una miscela di gas e acqua che agisce con un’attività artesiana conferma la presenza di fluidi sovra-pressati. Ciò si traduce in un fluido di superficie difasico eruttivo di tipo geyser in molti dei pozzi. Il sistema di “sollevamento del gas” e la presenza di tracce di monossido di carbonio altamente instabile è legato a una recente carica di idrogeno gassoso ai serbatoi dalle falde acquifere sotterranee, in eruzione con l’acqua associata. I pozzi del Mali sottolineano la fonte non fossile di idrogeno gassoso e presentano caratteristiche di un’energia sostenibile. L’attuale stima del suo prezzo di sfruttamento è molto più economica dell’idrogeno fabbricato, sia da combustibili fossili che dall’elettrolisi.

Al momento mi sembra di poter dire che dunque esistono giacimenti sia pur limitati di idrogeno abbastanza puro nella crosta terrestre, da sorgenti non fossili, nel senso non dipendenti da depositi di tipo petrolifero, o carbonifero, ma solo da processi puramente geochimici ed in potenza rinnovabili; tuttavia la loro presenza SEMBRA limitata e potrebbe dunque dare solo un limitato apporto ad un’economia rinnovabile, probabilmente significativa solo in certi luoghi. Rimane però che non esistono ancora precise descrizioni e  valutazioni delle dimensioni di queste riserve di idrogeno naturale e che il campo si svilupperà fortemente nei prossimi anni

Sono sicuro che torneremo sull’argomento; infatti proprio perché l’interesse per queste tematiche è enorme  serve chiarirne bene i contorni e l’importanza.

1 Hydrogen exploration: a review of global hydrogen accumulations and implications for prospective areas in NW Europe
SMITH, N. J. P. et al.
Geological Society, London, Petroleum Geology Conference Series (2005), 6 (1): 349
https://doi.org/10.1144/0060349

La sofferenza del chimico.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Da chimico soffro un po’ quando sento parlare di motore elettrico alternativo a quello ad idrogeno, soffro perché si tratta di due motori, elettrici entrambi, essendo diverso solo il serbatoio sostituito in un caso da batterie e in un altro da idrogeno gassoso. E’ questo che poi con una reazione elettrochimica con l’ossigeno dell’aria produce energia ed acqua: questo avviene nelle celle a combustibile.

La differenza quindi tra i due modelli non è nel tipo di motore, elettrico per entrambi, ma nel tipo di alimentazione. Ed allora può sorgere spontanea la domanda: quale delle 2 soluzioni è la migliore? In effetti come sempre nelle due facce di un problema ci sono per entrambe vantaggi e svantaggi. Oggi il mercato è decisamente orientato verso le batterie, ma non credo si possano escludere variazioni nei prossimi 10 anni, quando i vantaggi di una potrebbero divenire svantaggi e tutto l’opposto per l’altra. L’autonomia viene considerata confrontabile, la ricarica è ovviamente a favore dell’idrogeno con semplicità e tempi ridotti: questi sono gli stessi delle macchine a benzina, mentre malgrado i progressi negli accumulatori la ricarica delle batterie richiede circa 10 volte più tempo, addirittura molte ore se ci si serve della rete di casa. Il grande vantaggio del sistema a batterie sta nella difficoltà e negli alti costi per realizzare gli impianti a ricarica di idrogeno: l’elemento va stoccato a 700 atmosfere cosa difficile da fare tanto che in Italia c’è un solo distributore a Bolzano.

Il risultato è che benché macchine ad idrogeno già esistano, da noi non possono essere utilizzate perché non c’è modo di rifornirle. Stanno meglio altri Paesi Europei come Francia e Germania, ma più di tutti hanno scommesso su questi modelli giapponesi e coreani.

https://leganerd.com/2017/06/28/auto-elettriche-vs-auto-idrogeno/

Superato questo gap l’idrogeno potrebbe avere un vantaggio sul piano ambientale: non certo per le emissioni che sono a zero in tutti e due i casi, ma nella produzione e smaltimento in quanto gli accumulatori sono costosi e utilizzano materiali non tutti ecofriendly. Forse nella stessa logica di vantaggi e svantaggi alternativi nel tempo richiesto dall’idrogeno per installare la sua rete, le batterie aumenteranno la loro densità energetica, diverranno meno ingombranti, meno pesanti e meno costose. Il mercato ci dirà quale soluzione sarà più convincente per i cittadini. Oggi già si intravedono orientamenti di scelta: l’idrogeno è più adatto per i veicoli pesanti, le batterie per le vetture che offrono meno spazio disponibile.

Un’altra alternativa è rappresentata dalle hybrid con motore termico ed elettrico e quindi alimentazione a batterie ed idrocarburi. Rappresentano il top innovativo già in uso e rispondono ad una esigenza al tempo stesso ambientale e di resistenza ai cambiamenti bruschi.  Si tratta di una mediazione che riduce l’impatto ambientale ma non lo annulla:  le emissioni di CO2 e di altri gas è solo ridotta.

In effetti ci sono varie forme di ibridizzazione con costi e risultati molto diversi.La guidabilita e l’uso più conveniente sono legati alla velocità ed alle condizioni e caratteristiche della strada.Ci sono ibridi che non hanno alcun collegamento tra il propulsore elettrico e la trasmissione.La parte ibrida sta nello stoccaggio dell’energia poi utilizzata solo dal propulsore elettrico. C’e poi un altro ibrido: idrogeno e batteria su cui si accentuano le attenzioni scientifiche delle case automobilistiche. Sarà la soluzione? Difficile dirlo, ma da chimico mi permetto di trasferire a questo settore quanto vale in qualsiasi processo: quando si può arrivare con una sola reazione la semplicità diventa un elemento di preferenza, la doppia soluzione è sempre elemento di complessità.

La chimica del dirigibile.

Mauro Icardi

Il 6 maggio 1937, il dirigibile Hindenburg ( che è ancora oggi il più grande oggetto volante mai costruito al mondo), al termine del volo inaugurale  che prevede di sorvolare l’Oceano Atlantico per collegare la Germania agli Stati Uniti, si incendia pochi minuti prima della manovra di attracco al pilone situato nella base navale di Lakehurst nel New Jersey, destinazione finale della traversata aerea.

L’Hindenburg era partito da Francoforte  tre giorni prima.  In soli 34 secondi l’enorme dirigibile viene completamente distrutto. Nonostante la rapidità dello sprigionarsi delle fiamme, delle 97 persone presenti a bordo (tra passeggeri e membri dell’equipaggio), 62 riuscirono a sopravvivere, anche se alcune furono gravemente ustionate. Le vittime furono 36 (fu coinvolto anche un membro dell’equipaggio dislocato a terra).  La vicenda è, come quella del Titanic, rimasta nell’immaginario collettivo di molti. E nella ricostruzione di questo terribile incidente aereo ci sono anche molti riferimenti alla chimica e alla tecnologia costruttiva di questo gigante del cielo. E anche alla politica internazionale. Una storia quindi che è interessante, anche se termina con un epilogo tragico. E’ una storia che ha ispirato libri, film, e anche la copertina di un disco, quello dell’album d’esordio del gruppo rock inglese Led Zeppelin.

L’Hindenburg che venne così battezzato in onore del secondo presidente della Germania  Paul Von Hindenburg, aveva effettuato il primo volo inaugurale il 4 Marzo 1936 da Friedrichshafen, città sulla sponda settentrionale del lago di Costanza in Germania.

Dopo il primo volo di prova  effettuerà altri 62 voli raggiungendo varie destinazioni tra le quali  Rio de Janeiro. I dirigibili rigidi ideati da Ferdinand Von Zeppelin agli inizi del Novecento, erano stati inizialmente utilizzati a scopo  militare, soprattutto nella prima guerra mondiale. Prima della definitiva affermazione dell’aeroplano,  il dirigibile veniva ancora considerato superiore all’aereo per le capacità di carico e l’autonomia di volo. L’Hindenburg era stato immaginato come una nave da crociera aerea, e in ogni caso utilizzato anche come strumento di propaganda per il regime nazista. La tragedia di Lakehurst ridimensionerà di molto l’utilizzo e la costruzione dei dirigibili.  .

La struttura dei dirigibili Zeppelin era di fatto sempre la stessa, fatte salve le dimensioni. Uno scheletro di alluminio, rivestito esternamente di una tela trattata per renderla resistente e impermeabile.

All’interno di questa struttura erano inserite delle sacche  contenenti il gas di sostentamento degli aeromobili. I motori per muovere il dirigibile erano collocati esternamente all’involucro, la cabina di comando generalmente al di sotto della struttura nella parte anteriore. Una curiosità è che le parti anteriori e posteriori dei dirigibili erano denominate, analogamente a quanto avviene per le navi, con la denominazione di prua e poppa. Anche gli organi di comando per la variazione di rotta e di altitudine erano timoni molto simili a quelli navali.

Lo spazio per i passeggeri era ricavato inizialmente in una parte della gondola di comando. Ma nel caso dell’Hindenburg  si trovava nella parte inferiore dell’involucro.

La costruzione dell’Hindenburg richiese cinque anni di lavoro. I dirigibile era lungo 245 metri, e poteva contenere 200.000 m3 di gas contenuti in 16 sacche.

(Modello di struttura di dirigibile rigido, museo Zeppelin Friedrichshafen)

Analizziamo ora la chimica dell’Hindenburg. L’alluminio è l’elemento che caratterizza l’industria aeronautica ancora oggi. Per alleggerire al massimo la mastodontica struttura, come si può vedere in figura, le barre in alluminio che componevano la struttura erano traforate. Il rivestimento era in tela di cotone, impregnato con ossido di ferro e acetato di cellulosa, miscelato con ossido di alluminio. Questo conferiva all’aeromobile il suo caratteristico colore grigio argento (colore utilizzato negli anni 30 anche per le auto da corsa tedesche).  Il dirigibile pesava a vuoto 118 tonnellate. Poteva trasportare 72 passeggeri e 60 tonnellate di carico.

Il gas di sostentamento utilizzato nell’Hindenburg era idrogeno.

I tedeschi erano a conoscenza dei rischi che l’idrogeno avrebbe potuto provocare. E prendevano tutte le necessarie precauzioni, soprattutto  nei confronti dei passeggeri. Questi dovevano consegnare accendini e fiammiferi all’inizio del volo. Esisteva una speciale sala fumatori  pressurizzata ed isolata con una doppia porta dal resto dei locali del ponte passeggeri. I tedeschi non disponevano di elio, che invece era abbondante negli Stati Uniti, soprattutto quello che proveniva dai giacimenti di gas naturale di Amarillo in Texas. L’elio era già considerato un elemento strategico. Inizialmente proprio per l’industria legata alla costruzione dei dirigibili, ma anche per i successivi usi a cui sarà destinato (per esempio il raffreddamento dei magneti dei superconduttori , ma anche per quelli delle risonanze magnetiche negli ospedali). Per questo gli Stati Uniti proprio ad Amarillo realizzeranno, utilizzando una caverna sotterranea, il deposito federale di Elio.  Tra gli stati Uniti e le Germania di Hitler gli scambi commerciali continueranno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, e anche durante il conflitto. Emblematico a questo proposito il caso della fornitura di macchine calcolatrici da parte della IBM al regime nazista. Macchine usate per la registrazione e la catalogazione degli sventurati ebrei rastrellati e destinati alla deportazione nei lager. Una triste anagrafe dell’olocausto. Ma per l’elio non verrà fatta nessuna deroga o concessione. Nonostante le richieste dei tedeschi che volevano utilizzarlo proprio per far volare i dirigibili, esso non sarà mai esportato  dagli Stati Uniti in Germania.

La ricostruzione più plausibile della causa dell’incidente di Lakehurst è quella di una perdita di idrogeno da una della sacche posteriori del dirigibile, nelle vicinanze della pinna verticale dell’aeronave. La struttura del dirigibile oltre alle barre di alluminio, era completata da fili di spessore di circa tre millimetri in acciaio, che  completavano la struttura del rivestimento esterno. Questi complessivamente raggiungevano la lunghezza di 200 km, e potevano sopportare una tensione di rottura pari a 450 Kg. La rottura di uno di essi è stato ritenuto come la causa del danneggiamento di una delle sacche contenenti l’idrogeno che si è così diffuso all’interno dell’involucro dell’Hindenburg.

Poco prima dell’attracco presso la base di atterraggio, un cambiamento di direzione del vento ha spinto il capitano dell’Hindenburg ad ordinare una brusca virata verso sinistra. Poco dopo è stato impartito l’ordine al timoniere di virare velocemente verso destra, in maniera di allineare il dirigibile al pilone di ormeggio.

Il dirigibile non era adatto a compiere virate strette e ravvicinate nel tempo. Questo modo di governare l’aeronave rischiava di sottoporre ad una tensione troppo elevata la sua struttura interna. E risulta che ciò fosse assolutamente sconsigliato a piloti ed equipaggio durante il loro addestramento presso le officine della Zeppelin. La zona dove la possibile  rottura era ritenuta più probabile era appunto nella parte posteriore del dirigibile dove si trovava il timone di coda. Nei filmati che mostrano l’arrivo dell’Hindenburg a Lakehurst  si nota come il dirigibile fosse inclinato verso poppa. E alcuni testimoni oculari notarono come poco prima dello svilupparsi dell’incendio si notava un tremolio nel rivestimento, sempre vicino alla pinna posteriore. Probabilmente la perdita di idrogeno, che spingeva contro il rivestimento esterno. Oltre a questo sul punto di atterraggio era appena passato un temporale. Nessuno vide un fulmine colpire l’Hindenburg, ma era noto che un dirigibile in volo accumulava elettricità statica sul rivestimento esterno, e sull’intelaiatura. Ma fino a che l’aeromobile rimaneva in volo, questa elettricità non si scaricava a terra. Ma quando vennero mollate le cime di ormeggio dalla parte anteriore del dirigibile, le stesse bagnate dalla pioggia che stava continuando a cadere, permisero il passaggio della carica elettrica dall’intelaiatura verso il suolo. La differenza di potenziale elettrico di quest’ultima si azzerò, mentre il rivestimento esterno di cotone rimase carico di elettricità perché non conduttore. Questa era una condizione che poteva rendere possibile lo svilupparsi di una scintilla, analogamente a quella di un fulmine. Questa scintilla probabilmente incendiò l’idrogeno fuoriuscito, mescolato con l’aria presente nei camminamenti di ispezione dell’involucro del dirigibile. Ultima precisazione: l’idrogeno brucia con fiamma incolore. Le fiamme di colore arancione viste dai testimoni, e ricostruite in alcune immagini ricolorate da quelle originali in bianco e nero, sono quelle dovute alla combustione del rivestimento esterno.

Si chiudeva così l’epopea del mezzo aereo più leggero dell’aria.

Ma i nipoti dell’Hindenburg  solcano ancora i cieli. Più piccoli e tecnologici. Raccolgono l’eredità del loro sfortunato progenitore LZ 129. E finalmente sono stati gonfiati con elio.

Elementi della tavola periodica: Idrogeno, H.

Claudio Della Volpe

L’anno della tavola periodica degli elementi è passato e noi arriviamo per ultimo al primo di essi, in un ciclo di discussione e divulgazione che non ha mai fine.

L’idrogeno, il primo, il più semplice e diffuso degli elementi nell’Universo; prodotto dalla nucleogenesi partita con il big bang. La nucleogenesi dell’idrogeno iniziò poco dopo il big-bang, solo 380.000 anni dopo; la combinazione fra protoni e elettroni, resa possibile dalla riduzione di temperatura legata all’espansione dell’Universo, consentì il flusso di radiazione in un Universo che era opaco, la zuppa cosmica, ma diventato finalmente pervio alla luce, la radiazione di fondo, quella catturata da Arno Penzias.

In conseguenza di questo iniziò anche il processo di formazione delle prime gigantesche stelle biancazzurre, la cui radiazione portò alla re-ionizzazione dell’idrogeno elementare nell’Universo. Questa radiazione assorbita a 78MHz è stata rivelata da un recente esperimento (EDGES) pubblicato su Nature e riportato qui sotto.

Dunque l’idrogeno non è solo il più leggero ma anche il più antico atomo dell’Universo conosciuto e per il primo miliardo di anni la sua produzione prima le sue reazioni nucleari poi e la sua capacità di assorbimento determinano la forma della radiazione cosmica.

Esso è anche il più abbondante atomo dell’Universo, ma non sul nostro pianeta, dove comunque lo troviamo legato a praticamente tutto il resto, data la sua notevole reattività. Acqua, metano, ammoniaca, acido solfidrico e cloridrico sono le forme più comuni di questi prodotti di reazione dell’idrogeno, con gli altri atomi comuni del pianeta.

Tuttavia è molto raro trovarlo da solo; è pur vero che lo troviamo in atmosfera, ma in una percentuale corrispondente a meno di 200 Mton in tutta l’atmosfera; lo estraiamo da sorgenti fossili, ma perciò stesso finite; inoltre come abbiamo raccontato in un recente post , l’idrogeno (insieme all’elio) è in grado di sfuggire all’attrazione terrestre in ragione di alcuni kg al secondo. In conclusione l’idrogeno per essere usato deve essere estratto dalle molecole che lo contengono; quelle che lo cedono a costo minore come il metano fossile sono di fatto finite e dunque dal punto di vista energetico l’idrogeno è e sarà sempre un vettore non una sorgente; estrarlo costerà sempre un accidenti; questo è essenziale da capire. Non è diverso in questo, come vettore, da altri atomi come alcuni metalli (Al e Zn) che viceversa devono essere liberati dall’ossigeno, ma almeno sono a costo zero di accumulo (nel senso non devi comprimerli) e durano una eternità. Non è alla base di nessuna sorgente primaria; potrebbe diventarlo se riuscissimo a sviluppare reattori a fusione, ma al momento la cosa è di là a venire.

                                              Densità         e   densità energetica dell’idrogeno:

Liquido                                        0.07 kg/L , 35 mol/L, 10 MJ/L

Gassoso (700 atm, 20°C)         0.042kg/L, 21 mol/litro, 6MJ/L

Gassoso (1 atm, 20°C)    0.00009kg/L, 0.045moli/L, 0.013MJ/L

Olio combustibile                 0.85Kg/L,                             , 35.7MJ/L

La sua densità di energia in massa è alta (circa 146 MJ/kg, dunque oltre tre volte quello del petrolio, 42MJ/kg), ma non si può dire altrettanto della sua densità volumetrica. Dato che l’idrogeno liquido ha una densità di 0.07 rispetto a 0.85 del petrolio; ne segue che in termini di volume l’idrogeno è nettamente peggio: 1 litro di petrolio produce circa 36MJ termici mentre 1 litro di idrogeno liquido, molto più complesso da stoccare, produce solo meno di un terzo di questa cifra ed uno di idrogeno compresso un sesto circa.

Aggiungiamo a questo che l’idrogeno non può essere bruciato in un normale motore a combustione in quanto è capace di penetrare nella struttura metallica ed indebolirla; dunque occorrono motori a combustione opportunamente progettati per resistere a tale problema.

Ovviamente si può usare nelle famose celle a combustibile, ossia può essere bruciato per via elettrochimica; con una serie di distinguo che provengono dai meccanismi specifici.

Ovviamente si potrà usare per accumulare energia solare; tuttavia qua consideriamo una cosa; l’efficienza complessiva in impianti effettivi con una densità di corrente ragionevole, è di circa l’80-90%, ma di questo decantato valore buona parte è energia termica (stiamo parlando di cogenerazione insomma non di sola elettricità) e scende significativamente se teniamo conto dei costi di pompaggio (a circa 700 atm che è la pressione comune di stoccaggio i costi di lavoro di pompaggio e di raffreddamento sono superiori ad 11MJ/kg di idrogeno). I dati più recenti sono qua sotto:(Energy Environ. Sci., 2019, 12, 463 The role of hydrogen and fuel cells in the global energy system)

In genere la reazione fra ossigeno ed idrogeno è termodinamicamente favorita a bassa temperatura, ma cineticamente lo è ad alta, dunque come nella reazione di Bosch Haber abbiamo un conflitto fra cinetica e termodinamica.

Le celle a combustibile usabili a bassa temperatura sono dunque molto efficienti ma necessitano di catalizzatori molto efficienti, come il platino, che sono soggetti ad avvelenamento da monossido di carbonio (CO). Dunque le celle che furono usate per fornire energia durante l’ammarraggio lunare nel 1969 necessitavano di reagenti purissimi, che erano disponibili per caso nel senso che il razzo Saturn usava idrogeno ed ossigeno liquidi come sorgente di energia. Inoltre la soluzione elettrolitica basica che si usava era avvelenabile se si fosse usata aria, in quanto la CO2, che l’avrebbe acidificata, fa parte integrante dell’aria del pianeta. Occorre usare un elettrolita acido come acido solforico.

Conclusione quella cella storica, non molto dissimile dalla originale cella inventata nel lontano 1839 da Grove non è mai stata usata.

Viceversa sono state sviluppate celle a membrana protonica (il nafion, un polimero sintetico superacido fatto di gruppi solfonici attaccati ad una base perfluorurata e già usato nel processo cloro-soda) che lavorano fino a 100°C ma sempre con catalizzatori costosi basati sul platino; celle ad acido fosforico che lavorano fino a circa 200°C. Tutte queste celle sono costose, soggette ad avvelenamento del catalizzatore, ma molto efficienti; se alimentate con aria, in cui la pressione parziale di ossigeno che è solo 0.2 atm riduce l’efficienza termodinamica possono essere usate come generatori di energia elettrica ad alta efficienza, fino al 70-80% (dipende dalla corrente richiesta).

Aumentando la temperatura della reazione si può ridurre il costo dei catalizzatori o farne a meno proprio; l’ENEA ha sviluppato brevetti sulle celle a carbonati fusi, in cui l’elettrolita è un carbonato e dunque la CO2 non è un problema, ma si tratta di apparecchiature lente ad avviarsi e da tenere permanentemente sopra la temperatura di fusione del carbonato, dunque adatte a fare da generatori fissi più che mobili.

(si veda il bel volumetto della Ronchetti: http://old.enea.it/produzione_scientifica/pdf_volumi/V2008_02CelleCombustibile.pdf )

Stessa situazione per le celle a combustibile ad ossidi solidi in cui il conduttore è un ossido di cerio drogato con un altro ossido come l’ittrio; con la loro carica più bassa del cerio gli ioni droganti riducono il numero di ioni di ossigeno necessari e dunque liberano posti nel reticolo cristallino incrementando la conducibilità.

Questo avviene a temperature vicine ai 1000°C; i catalizzatori non sono più necessari ma sono pochi i materiali che sono in grado di resistere al catodo e all’anodo a queste drastiche condizioni; e comunque anche queste ottime celle prodotte per esempo dalla Solid Power qui a pochi km da Trento sono adatte come generatori fissi di elettricità e calore (cogenerazione); a quella temperatura possono usare perfino un idrocarburo semplice come il metano come sorgente di idrogeno.

Nessuna di queste applicazioni è entrata nel mercato massicciamente per vari motivi legati al costo e anche alla affidabilità dei dispositivi. Sono tutte strade in fieri (secondo i dati che si trovano in rete a tutt’oggi sono stati installati 225.000 impianti fissi e circa 10.000 auto a idrogeno, essenzialmente la Toyota Mirai, 78.600 euro, di cui una in Italia, in provincia di Bolzano dove esiste una serie di distributori lungo la A22; ci sono altri due o tre modelli come la Hyunday Nexo (70.000 euro), Honda Clarity Fuel (70.000 euro) e Mercedes GLC (800 euro al mese) ma non sono in vendita da noi).

Ci sono sette isotopi dell’idrogeno, ma solo i primi tre hanno una emivita ragionevolmente lunga, superiore diciamo al millesimo di secondo. Di questi tre isotopi sono stabili il primo e il secondo, il deuterio (un neutrone aggiuntivo nel nucleo) mentre il terzo, il trizio, che ha due neutroni aggiuntivi nel nucleo, è radioattivo, decadendo con emivita di circa 12 anni in 3He.

Sembra che l’idrogeno sia stato scoperto per primo da Paracelso, che però avendo fatto reagire metalli ed acidi forti non si rese conto di aver ottenuto un nuovo elemento. Fu riscoperto da Boyle mescolando ferro ed acidi; ed infine fu ufficialmente “scoperto” da Cavendish nel 1766; egli però caratterizzò il prodotto ottenendo acqua dalla sua combustione. Ma nemmeno stavolta le cose andarono lisce del tutto, in quanto Cavendish aveva usato come metallo il mercurio e ritenne erroneamente che era stato il mercurio e non l’acido ad emettere la nuova sostanza. Il fatto fu definitivamente acclarato da Lavoisier che ripetè gli esperimenti ma comprese che l’origine era l’acido Era il 1783, e dunque la scoperta dell’idrogeno necessitò di ben due secoli e mezzo! Lavoisier gli assegnò anche il nome con cui lo conosciamo adesso.

L’idrogeno puro si ottiene mediante reazione di acidi con metalli, oppure industrialmente mediante l’elettrolisi dell’acqua oppure il reforming del gas naturale, la gassificazione di residui della raffinazione del petrolio e queste sono al momento le sorgenti più economiche.

Una delle cose più curiose e meno conosciute è che l’idrogeno è in realtà la miscela di due diverse specie, entrambe di formula H2, ma con proprietà chimiche non identiche: ortoidrogeno e paraidrogeno.

Ne abbiamo parlato in un post di qualche tempo fa. Sono specie che differiscono per gli orientamenti dello spin del nucleo, ossia dei due protoni, il cui campo magnetico è orientato nella medesima direzione (orto) o in direzioni opposte (para); questo secondo stato corrisponde a uno stato energetico leggermente più basso. L’equilibrio fra le due specie dipende ovviamente dalla temperatura, spostandosi verso orto al crescere delle temperatura; si tratta però di un equilibrio a cinetica lenta. Dunque senza un opportuno catalizzatore la variazione di stato dell’idrogeno durante la liquefazione lascia invariato il rapporto, e l’equilibrio si ripristina lentamente, cedendo calore; ovviamente il calore ceduto consente ad una parte almeno dell’idrogeno di ripassare allo stato gassoso. Dunque un problema non indifferente per lo stoccaggio dell’idrogeno a bassa temperatura; risolubile usando un catalizzatore per esempio un economico ossido di ferro.

L’idrogeno ci appare come la specie più comune e semplice della Chimica, ma c’è qualche trucco; in un post di qualche anno fa avevo analizzato (fra l’altro) i due ioni più importanti che può produrre H+ ed H, due numeri di ossidazione diversi +1 e -1. Il primo di cui parliamo sempre con la più grande facilità in realtà NON ESISTE nella materia ordinaria, in quanto la sua densità di carica è così alta che esso immediatamente strappa elettroni o si lega ad altre specie; dunque in acqua per esempio avremo specie come H3O+, H5O2+ e così via, ma non avremo mai il protone libero.

Al contrario avremo il secondo, lo ione idruro che è stabile avendo saturato il suo orbitale 1s, ha una densità di carica ragionevole e si trova perfino in reticoli cristallini, insomma è una vera specie chimica anche se molto meno conosciuta e nominata. La sua esistenza e le sue proprietà sono importanti in molti processi come le idrogenazioni sia chimiche che elettrochimiche, con il meccanismo del famoso “diagramma vulcano”, di cui casomai parleremo un’altra volta.

Quali sono le principali reazioni in cui si usa l’idrogeno? Beh ovviamente le idrogenazioni, ossia le reazioni per trasformare molecole insature in molecole sature (come i grassi insaturi in margarina) oppure la regina delle reazioni con l’idrogeno, ossia la reazione che ha trasformato l’agricoltura e la produzione di esplosivi: la reazione di Haber-Bosch, di cui abbiamo parlato in vari post.

Si tratta di una reazione di idrogenazione che fa reagire azoto ed idrogeno. La molecola di azoto ha un triplo legame, dunque è estremamente stabile. Le elevate temperature che sarebbero necessarie per attuare tale scissione accelerando la cinetica di reazione non la favoriscono termodinamicamente perché essa diventa endoergonica ad alta temperatura. Fritz Haber e Carl Bosch scoprirono come usare dei catalizzatori per utilizzare temperature di reazione minori e dunque non andare incontro ad un ostacolo termodinamico.

In realtà si prospettano usi più intensivi dell’idrogeno, considerato come un combustibile “pulito”, ossia privo di effetti collaterali.

In realtà l’idrogeno è si privo di effetto serra, a differenza di altre molecole come il metano, per esempio, ma ha una serie di effetti collaterali indiretti sia di tipo climatico che di altro tipo per cui ha senso chiedersi quale è il suo ciclo biogeochimico globale e cosa succederebbe se lo usassimo massicciamente come pensano i supporters dell’idrogeno come vettore.

L’argomento è complesso e non ben conosciuto ed è solo dal 1989 che esistono dati precisi sulla presenza dell’idrogeno in atmosfera e della sua distribuzione isotopica con studi che sono stati supportati dall’amministrazione USA, NOAA.

Vi indico due lavori, uno è il classico di Novelli e altri che però risale al 1999, (in calce) mentre il più recente, basato su una tesi di dottorato, di Pieterse e altri è del 2013. I principali risultati sono riportati sotto da una tabella di Pieterse che riassume i principali lavori dedicati al tema del ciclo dell’idrogeno.

Per fare un paragone che abbia senso consideriamo che l’idrogeno usato per produrre ammoniaca ogni anno (176 Mton nel 2016) è pari ad oltre 30 Mton. Questa quantità è enorme come si può vedere dal confronto con i dati complessivi (che in questa tabella non ne tengono conto perché quell’idrogeno non entra DIRETTAMENTE nel ciclo). Dunque anche in questo ciclo siamo dei player importanti.

(I simboli denominati S1, S2 etc sono i vari scenari di consumo previsti nel lavoro di Pieterse ma non analizzati da noi)

La stima che avevo riportato nel post sul ciclo di elio e idrogeno come vedete è perfino ridotta, circa 150 Mton (o Tg, teragrammi, 1012 grammi) con un tempo di vita in troposfera molto breve di circa due anni. Ogni anno il flusso è circa dunque la metà di tale deposito troposferico e proviene essenzialmente dall’attività fotochimica (ossia dalla degradazione fotochimica di metano e altri idrocarburi) e dalle combustioni (che sono in gran parte di origine umana); l’assorbimento aviene ancora una volta per via fotochimica, tramite la reazione con il radicale OH e in prevalenza tramite la deposizione secca sul suolo.

Come si vede parecchie fonti e pozzi sono ancora incerte.

Gli effetti indiretti dell’idrogeno in atmosfera sono potenzialmente notevoli: esso può alterare il tempo di permanenza del metano perché reagisce con OH. radicale che ne regola la distruzione; inoltre l’incremento in stratosfera può aumentare l’acqua stratosferica aumentando la quantità di nubi stratosferiche che a loro volta regolano le reazioni del radicale Cl. E quest’ultimo influenza lo strato di ozono. Ed infine se aumenta la concentrazione di idrogeno in atmosfera aumenta la sua quantità persa nello spazio; il calcolo di questi effetti è ai suoi inizi, ma devono essere presi in considerazione come prova dell’effetto che un metabolismo antropocenico ha sulla biosfera, perfino nelle sue versioni considerate più sostenibili.

L’idrogeno è un gas che ha dominato l’atmosfera terrestre primordiale e il residuo di questa enorme importanza viene dalla ubiquitaria presenza di enzimi di idrogenazione nei tessuti biologici; questo ci rivela che il suo ciclo complessivo e la sua interazione con quello del carbonio probabilmente dovrebbe essere meglio studiato, soprattutto se pensiamo di mettere mano più a fondo al suo uso .

Piché-Choquette S, Constant P. 2019. Molecular hydrogen, a neglected key driver of soil biogeochemical processes. Appl Environ Microbiol 85:e02418-18. https://doi.org/10 .1128/AEM.02418-18.

Paul C. Novelli et al. Molecular hydrogen in the troosphere: global distribution and budget, JGR vol 104 NO. D23, pg. 30,427-30-444 1999

Pieterse et al. JOURNAL OF GEOPHYSICAL RESEARCH: ATMOSPHERES, VOL. 118, 3764–3780, doi:10.1002/jgrd.50204, 2013   Reassessing the variability in atmospheric H2 using the two-way nested TM5 model

 

Perché il ciclo biogeochimico di idrogeno ed elio è diverso dagli altri?

Claudio Della Volpe

Di questi due elementi, idrogeno ed elio, finora non abbiamo mostrato il ciclo biogeochimico, mi riprometto di farlo in seguito; mi piace parlarne perché sono due elementi un po’ diversi dagli altri, a causa della loro estrema leggerezza. Del caso elio, abbiamo discusso già e sappiamo che è un elemento che non bisogna sprecare, mentre invece ne facciamo palloncini! Ma da dove nasce la questione?

Nel grafico più sotto vedete il rapporto fra le masse dei pianeti e le molecole o gli atomi che sono trattenuti dalla forza del loro campo gravitazionale.In questo grafico la velocità di fuga dal pianeta è riportata contro la temperatura del pianeta; le striscie oblique individuano le zone relative alle varie specie; dai pianeti soprastanti la molecola è catturata, dai pianeti sottostanti sfugge. Dai pianeti pesanti non sfugge nulla; dagli altri invece…..; la Luna è in grado di cattturare solo lo xenon. Idrogeno ed elio sfuggono dal nostro pianeta, sia pur lentamente.

A causa della diversa massa degli atomi e delle molecole e della equipartizione dell’energia legata agli urti fra di essi, la velocità delle molecole e degli atomi (ad una certa temperatura) è inversamente proporzionale alla radice quadrata della massa; questa conclusione sperimentale si chiama anche legge di Graham.

Famoso l’esperimento che si fa mettendo un sottile tubo di vetro con all’estremità due batuffoli di ovatta imbevuti rispettivamente di HCl (a sin nella figura) e NH3; la loro reazione produce NH4Cl, un sale bianco. Dato che la massa molare dell’HCl è 36.5 e quella dell’ammoniaca è 17, meno della metà, ciascun gas diffonderà nel tubo per una distanza inversamente proporzionale alla radice quadrata della loro massa molare; se chiamiamo 1 la lunghezza del tubo e 1-x la quota percorsa da uno dei due, poniamo l’acido cloridrico

x/(1-x)=sqrt(36.5/17)

Dunque x= 0.59 ossia la lunghezza totale è divisa in due parti proporzionali a 0.41 e 0.59, (circa 40:60), la prima, più breve, percorsa dall’acido e la seconda, più lunga, dall’ammoniaca, posizione in cui si incontreranno i due gas e faranno la reazione espressa da un anello di colore chiaro.

 

Le velocità di diffusione sono correlate alle velocità medie istantanee delle singole molecole (che sono molto più alte però, fra i miliardi urti che le rallentano, un’idea che venne a Lord Kelvin solo dopo che il geografo Buys-Ballot ebbe criticato la prima versione della teoria che non teneva conto degli urti); a t ambiente la energia cinetica media di una molecola di idrogeno secondo la teoria cinetica è all’incirca uguale a 3/2RT; dunque 3/2RT=1/2 MV2.

V= sqrt(3RT/M)

Ne segue che la velocità per l’idrogeno molecolare sarà poco meno di 2 km/s a t ambiente, mentre per l’elio sarà di 1.4 km/s, e per l’idrogeno atomico sarà di 2.8km/s. A causa del fatto che la temperatura dell’atmosfera esterna è alta, attorno a 1000K circa, dunque 4 volte maggiore che a t ambiente circa la velocità sarà circa il doppio, attorno a 3km/s per l’elio, 4 per l’idrogeno e oltre 5 per gli atomi di idrogeno. La velocità di fuga dall’attrazione terrestre è superiore a 11km/s, ma ricordando che l’equipartizione corrisponde ad una distribuzione di velocità, detta maxwelliana, c’è una quota di molecole ed atomi di idrogeno ed elio che sono sono più veloci della media ed anche della velocità di fuga e dunque ogni secondo la Terra perde da miliardi di anni, 3kg di idrogeno e 50g di elio.

La distribuzione delle velocità di Maxwell-Boltzmann per l’idrogeno a tre temperature diverse.

Questo vuol dire che a stretto rigore i due cicli biogeochimici di elio ed idrogeno non sono chiusi ma una volta tanto per cause del tutto naturali.

Ora 3kg al secondo di idrogeno considerando che in un anno ci sono oltre 31milioni di secondi corrisponde a 3x31x109 g≈0.1Mton/anno.

Tenendo presente che nell’atmosfera c’è lo 0.000055% di idrogeno (in volume, in peso 15 volte di meno), ossia meno di 200 Mton, ogni anno perdiamo 1/2000 dell’idrogeno atmosferico, che viene ovviamente ricostituito dall’acqua, principalmente, considerando che solo gli oceani terrestri sono circa 1 miliardo di chilometri cubi, un pianeta di acqua più grande di Cerere, il maggiore dei pianetini, ne abbiamo ancora tanta da perdere.

Però, però!! Supponiamo adesso di passare ad una economia basata sull’idrogeno e sul suo uso come vettore energetico; dato che al momento usiamo l’equivalente di 12 Gton di petrolio e che la sua entalpia equivalente è di 1/3 di quellla dell’idrogeno ci basterebbero 4Gton di idrogeno all’anno.

Ora questo numero è ben 20 volte quello esistente in atmosfera; per cui dato che inevitabilmente ne perderemmo una parte, almeno qualche percento ossia una quantità dell’ordine di quello esistente in atmosfera, è credibile che questa variazione potrebbe essere significativa in vari aspetti , tra l’altro rispetto alla perdita annua di idrogeno da parte del pianeta, che potrebbe come minimo raddoppiare; ancora una volta nulla di irrimediabile, ma ci dà la misura di quanto la nostra economia, ossia il nostro metabolismo sociale possa alterare i cicli del pianeta anche se ci attenessimo a quelli che consideriamo i metodi più verdi possibile.

La distribuzione di M-B per vari gas a t ambiente.

Spammatori di idrogeno.

Vincenzo Balzani

Bologna, 11 aprile 2019

                                    Lettera aperta al Corriere della Sera

Gentile Direttore,

Sul Corriere del 2 aprile a pag. 35 nella rubrica “Sussurri & Grida” c’era un titolo in grande,  “Snam sperimenta il mix idrogeno-gas, prima in Europa”, e un breve articolo nel quale si elogia “la prima sperimentazione in Europa da parte della Snam di una miscela di idrogeno al 5% e gas naturale (H2HG) fornita a un pastificio  e a un’azienda di imbottigliamento di acque minerali”. L’articolo poi continua così: “Una prima volta che <proietta la Snam e il nostro Paese nel futuro dell’energia pulita>, ha detto il CEO di Snam Marco Alverà, che era a Contursi insieme al sottosegretario al ministero per lo sviluppo economico Andrea Cioffi”. L’articolo infine conclude  notando che “L’idrogeno avrà un ruolo cruciale nel raggiungimento degli obiettivi europei e globali di decarbonizzazione al 2050”.

Forse è giusto aver messo questa notizia nella rubrica “Sussurri & Grida”.  Faccio notare, però, che i primi “sussurri” riguardo la possibilità di utilizzare miscele di idrogeno e metano risalgono al 2006 in Emilia Romagna e al 2010  in Lombardia come combustibile per auto, apparentemente senza successo.  Wikipedia ci informa che dal 2009 al 2013 è stato attivo il “progetto MHyBus“, finanziato dalla Commissione Europea con l’obiettivo di indagare scientificamente sul comportamento di un autobus per trasporto urbano alimentato con una miscela di idrometano al 15% di idrogeno. La relazione finale su questo progetto, al quale hanno lavorato Regione Emilia-Romagna, ENEA, ATM Ravenna, SOL ed ASTER, è molto sintetica: “l’autobus portato in strada ha mostrato significativi risparmi di carburante e riduzioni delle emissioni di anidride carbonica rispetto a un veicolo a metano”. Poi non si è sentito più nulla.

La prima domanda è allora che senso ha “gridare”  che “Snam sperimenta il mix idrogeno-gas, prima in Europa”? Il dubbio che viene è che in Europa nessuno se ne sia interessato perché hanno subito capito che non è una strada utile per decarbonizzare il mondo.

D’altra parte, come potrebbe essere altrimenti? L’idrogeno (5-15%) che viene miscelato al metano e che viene ottenuto anch’esso dal metano, forse migliora un po’ combustione, ma non può ridurre significativamente le emissioni totali di anidride carbonica e non ci sono prove né motivi scientifici cha possa abbattere le emissioni di ossidi di azoto e di particolato ultrafine.

La seconda domanda, allora, è come si può “gridare” che l’esperimento del pastificio di Contursi  <proietta la Snam e il nostro Paese nel futuro dell’energia pulita>?

E’ bene anche ricordare che l’idrogeno, come l’energia elettrica, non è una fonte energetica primaria, semplicemente perché non esiste in natura (non ci sono pozzi di idrogeno!).  La scienza è riuscita a convertire la luce solare, fonte di energia primaria abbondante ed inesauribile, in energia elettrica con ottimi rendimenti mediante i pannelli fotovoltaici. Se anche la scienza riuscirà ad ottenere idrogeno (pulito) dall’acqua mediante la cosiddetta fotosintesi artificiale,  non sarà conveniente “bruciarlo” in un motore a combustione, ma piuttosto convertirlo in elettricità mediante pile a combustibile per alimentare un motore elettrico, che è 3-4 volte più efficiente di un motore a combustione. Ecco, quindi, che la terza  <grida> dell’articolo,  “L’idrogeno avrà un ruolo cruciale nel raggiungimento degli obiettivi europei e globali di decarbonizzazione al 2050”, andrebbe dedicata non all’idrogeno, ma all’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili.

D’altra parte, basta guardare a quello che accade nei paesi all’avanguardia nei trasporti pubblici. Mentre noi stiamo parlando di cose inutili come l’idrometano, un fantasma con cui le compagnie petrolifere tentano disperatamente di tenere in vita i motori a combustione, in Cina ogni cinque settimane vengono messi in strada 9.500 bus elettrici, un numero uguale a quello della intera flotta di bus di Londra. Gli autobus elettrici in funzione nel mondo sono già più di 300.000 e si prevede che dal prossimo anno costeranno meno di quelli convenzionali utilizzati nelle città. È probabile che nel 2040 l’80% di tutti gli autobus saranno elettrici.

Un discorso simile vale per le tratte non elettrificate delle linee ferroviarie. Mentre la Snam spinge per sostituire le motrici a gasolio con motrici a LNG (metano liquefatto), in altri paesi utilizzano treni elettrici alimentati da batterie.

Infine, sempre Snam è molto attiva per diffondere l’uso del biometano per autotrazione. Anche questo è un estremo tentativo per tener in vita il motore a combustione: fin che ci saranno opportunità per usare questi motori, una parte (anzi, la gran parte) di essi continuerà, infatti, ad usare metano fossile. Questo è anche ciò a cui mira la politica di Eni, che continua a trivellare in molte parti del mondo anche se è noto che le riserve di combustibili fossili già disponibili alle compagnie petrolifere sono superiori alle quantità di combustibili fossili che potremo utilizzare senza causare danni gravi al pianeta. Eni e Snam, aziende controllate dallo Stato, fanno quindi una politica in netta contraddizione con quella ufficiale del Governo che, almeno a parole, sostiene la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.

Cordiali saluti,

Vincenzo Balzani, Università di Bologna, Coordinatore del gruppo energiaperlitalia

 

Quest’anno sono Idrogeno!

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

Continuiamo la serie di post sugli elementi con il medesimo numero atomico dell’età di chi ne parla, da un’idea di Gianfranco Scorrano.

a cura di Giorgio Nebbia

In attesa che qualche neonato, figlio o nipote di chimici, rivendichi il suo diritto ad avere un elemento tutto per se, assicuriamo tale diritto ad un bambino di un anno parlandogli dell’elemento che gli spetta.

Hydrogen_Deuterium_Tritium_Nuclei_Schematic.svg

Nella città degli elementi chimici l’idrogeno è così pieno di superbia che abita in un villino per conto suo, all’ingresso delle strade principali. Ha peso atomico uno e convive con due fratelli, aventi numero di massa 2, il deuterio, e 3, il trizio. L’idrogeno rappresenta circa il 70 % di tutta la materia esistente nell’universo; era abbondante anche sulla Terra, naturalmente, 40 milioni di secoli fa, da solo o combinato con il carbonio sotto forma di metano H4C, con l’azoto sotto forma di ammoniaca H3N o con l’ossigeno sotto forma di acqua H2O. Dal momento che era il gas più leggero, a poco a poco come tale si è perso negli spazi interplanetari ed è stato spiazzato dall’ossigeno; i suoi composti se ne sono liberati trasformandosi in azoto gassoso, in ossido di carbonio e anidride carbonica e l’idrogeno è rimasto combinato nell’acqua e ha comunque continuato a dominare gli eventi terrestri.

L’idrogeno reagendo con altro ossigeno ha generato enormi quantità di acqua, liquida e vapore in un lungo gran diluvio; nel frattempo si è andato combinando con il carbonio, l’ossigeno e l’azoto formando carboidrati, grassi e proteine, le pietre costitutive della vita che senza idrogeno non potrebbe esistere; per questo si da tante arie. Di idrogeno ci sono riserve enormi sul pianeta: l’acqua ne contiene l’undici per cento; i prodotti petroliferi (benzina, gasolio, eccetera) ne contengono dal 10 al 15 percento; il metano (il principale costituente del gas naturale) ne contiene il 25 %.

Cavendish_hydrogen

L’idrogeno gassoso cominciò ad essere prodotto artificialmente già agli inizi del 16° secolo trattando i metalli con acidi forti. Henry Cavendish (1731-1810) è stato il primo a riconoscere che l’idrogeno era una sostanza unica e che, bruciando, produce acqua, una proprietà per la quale gli è stato dato il nome che in greco significa, appunto, generatore di acqua. Oggi l’idrogeno si ottiene, insieme all’ossido di carbonio, trattando il carbone ad alta temperatura con vapore d’acqua, o, più comunemente, per elettrolisi dell’acqua o di soluzioni saline (è un sottoprodotto dell’industria della soda caustica).

Nel combinarsi con l’ossigeno, l’idrogeno libera grandi quantità di calore, a parità di peso tre o quattro volte più del carbone o del petrolio e ci sono molti che pensano di poterlo utilizzare come combustibile nelle centrali e negli autoveicoli. E’ certo possibile e ci sono automobili che funzionano bruciando idrogeno anche se è scomodo e pericoloso da trattare e deve essere tenuto in pesanti serbatoi sotto pressione che dovrebbero essere caricati sugli autoveicoli e sui treni; 330px-Mazda_RX8_hydrogen_rotary_car_1

meglio sarebbe usare l’idrogeno per ottenere, con le “celle a combustibile”, direttamente elettricità per azionare i veicoli. Purtroppo se si vuole usare idrogeno al posto della benzina bisogna tenere conto che l’idrogeno deve essere estratto dall’acqua mediante elettrolisi, o dagli idrocarburi portando via il carbonio, con conseguente consumo di energia, anzi per ottenerlo ci vuole più energia di quella che l’idrogeno fornisce bruciando in un motore a scoppio. Una ”società dell’idrogeno” si potrebbe realizzare soltanto ricorrendo a fonti di elettricità rinnovabili, cioè all’energia idroelettrica, e a quella che si può ottenere dal Sole e dal vento, trasportata agli impianti di elettrolisi.

L’idrogeno ha molti usi industriali; è stato usato per alcuni anni per il riempimento dei dirigibili, fino al disastro del dirigibile Hindenburg che, nel 1937, esplose per l’incendio dell’idrogeno; oggi nei dirigibili al posto dell’idrogeno viene usato elio.

Hindenburg_burning

Il simbolo dell’idrogeno è “acca”, un nome purtroppo associato anche alle più terribili bombe nucleari, quelle termonucleari, che liberano grandissime quantità di energia esplosiva e devastante con una reazione basata sulla “fusione” di due nuclei di deuterio, l’isotopo 2 dell’idrogeno, la stessa reazione che avviene all’interno del Sole solea qualche milione di gradi di temperatura.