Prima dell’incendio. Ricordi del Museo di Chimica di Liebig.

In evidenza

Roberto Poeti

Ho visitato il Museo di Justus von Liebig a Giessen nel 2012. Fui fortunato, perché quella mattina i visitatori erano quasi assenti e il Prof. Manfred Kroeger, membro del C.d.A. della società Justus Liebig di Giessen, che si trovava lì in quel momento, fu tanto gentile da farmi da guida per l’intero complesso del Museo. Fu una occasione unica per apprezzare la ricchezza del museo che solo un chimico come il Prof. Kroeger sapeva far esaltare. La notizia dell’incendio che è scoppiato nell’ala “nuova” del complesso mi è apparsa in tutta la su tragicità quando è stata pubblicata la prima foto scattata, dopo che l’incendio è stato domato, martedì mattina del  6 dicembre 2022.  

La parte frontale dell’aula magna, dove era collocato il grande bancone per le lezioni dimostrative, gli arredi della parete, nonché parte dei banchi sono andati distrutti. Possiamo avere un’idea del danno se confrontiamo l’immagine con le foto da me scattate durante la visita.

Come possiamo vedere dalla pianta del complesso museale, riportata di seguito, l’aula magna è in comunicazione con il laboratorio di analisi, che a sua volta è messo in comunicazione con il laboratorio farmaceutico, la biblioteca e la sala delle bilance. Questi ambienti, soprattutto il laboratorio di analisi, sono stati danneggiati dalla fuliggine, dalle alte temperature e non da escludere dall’acqua. Se c’è un luogo che rappresenta il cuore di tutto quanto il museo, questo è il laboratorio di analisi. La sua costruzione risale al 1839. Si aggiungeva al vecchio laboratorio dove Liebig lavorava dal 1824. L’Università di San Pietroburgo aveva offerto una cattedra di chimica a Liebig con un salario che era più del doppio di quello percepito a Giessen.  Liebig rimase a Giessen ma ottenne in cambio che venisse ampliato l’istituto con una nuova ala che comprendeva anche il nuovo laboratorio di analisi.    

Il nuovo laboratorio venne costruito secondo le indicazioni di Liebig. Occupava un ampio spazio, era dotato di un sistema di cappe aspiranti e di banchi da laboratorio distribuiti in modo che si potesse svolgere sia un intenso lavoro di analisi, sia quello di insegnamento. Divenne un modello di laboratorio che August Wilhelm von Hofmann, che aveva studiato chimica con Liebig, definì “la madre di tutti gli istituti chimici del mondo intero”. Liebig perfezionò in questo laboratorio un metodo di analisi elementare delle sostanze organiche, inventando l’ingegnoso sistema a cinque bolle per assorbire la CO2, chiamato anche “Kaliapparat”, che oggi è rappresentato nel logo della Società Chimica Americana. L’importanza di questo piccolo apparato può essere compresa da un semplice confronto: Berzelius, che Liebig stesso aveva elogiato come il più abile sperimentatore del tempo, era riuscito ad analizzare 7 sostanze in 18 mesi, usando il vecchio metodo. Liebig analizzò 70 sostanze in 4 mesi. Era come se un pedone cercasse di competere con una automobile molto veloce.

 L’aula magna con il laboratorio adiacente sono ripresi in questo film che ho montato e pubblicato su YouTube:

Veduta interna del laboratorio chimico di Justus Liebig

Il laboratorio chimico di Justus Liebig nell’Università tedesca di Giessen fu uno dei più importanti e famosi di tutto il secolo XIX, divenne così famoso il suo laboratorio che non solo vi fecero pratica chimici di tutta Europa, ma accolse anche chimici dall’America. Il dipinto del 1840, che appartiene alla quadreria del museo, è una delle illustrazioni più famose della chimica classica, mostra in modo efficace l’attività che si svolgeva, era un’immersione in un ambiente internazionale, orientato alla ricerca pura, ma non alieno da applicazioni pratiche.  Vi sono rappresentati in modo realistico diversi chimici: in posa all’estrema sinistra è il messicano Ortigosa, le cui analisi avevano corretto certe ricerche dello stesso Liebig, nella  mano stringe il “Kaliapparat”; in piedi intorno al tavolo di sinistra stanno discutendo W. Keller, poi farmacista a Filadelfia, e Heinrich Will, che sarà il successore di Liebig a Giessen; all’estrema destra E. Boeckmann sta scaldando il fondo di una provetta sotto gli occhi di August Hofmann: il primo diventerà direttore di una fabbrica di coloranti inorganici, il secondo fonderà due scuole di chimica importanti, prima a Londra e poi a Berlino.

Dalla Enciclopedia Treccani ho tratto questo significativo passaggio di Marco Beretta alla voce “L’Ottocento:  Chimica e istituzioni”:

« Una cittadina provinciale [Giessen] di poco più di 5000 abitanti la cui unica risorsa erano gli studenti, per di più situata in uno Stato relativamente periferico nella galassia degli Stati tedeschi, non sembrava promettere un grande avvenire alle ambizioni di Liebig di creare una scuola e un laboratorio di chimica quantomeno dignitosi. Le cose, come è noto, andarono diversamente e in pochi anni il suo laboratorio divenne la capitale della chimica mondiale, sottraendo prestigio e autorità alle più celebri scuole di Berzelius, Gay-Lussac e Davy. Studenti di tutti i paesi e di tutti i continenti furono attratti dalla capacità sperimentale e dai metodi innovativi di insegnamento adottati da Liebig. Vi studiarono infatti i francesi Wurtz, Charles Frédéric Gerhardt e Henri-Victor Regnault, i britannici Alexander W. Williamson, Lyon Playfair e James Muspratt, il messicano J.V. Ortigosa e i tedeschi Wöhler, Kopp, August Wilhelm von Hofmann, Volhard, Friedrich August Kekulé per non  citare che i nomi più noti [  Furono allievi di Liebig anche diversi chimici italiani. Ascanio Sobrero frequentò il laboratorio di Giessen nel 1843 dove isolò allo stato puro il guaiacolo ] . Cosa può aver indotto 194 studenti ‒ tanti furono gli stranieri che a vario titolo frequentarono il laboratorio di Liebig tra il 1830 e il 1850 ‒ a spingersi fino a Giessen quando, standosene a Londra o a Parigi, avrebbero potuto disporre di sedi ben più attrezzate e moderne, lo spiega lo stesso Liebig: gli ingredienti principali del successo erano il rapporto di stretta collaborazione che egli era capace di instaurare con ciascuno studente, e la libertà, sia pur guidata, dei loro programmi di ricerca sperimentale. Per completare il quadro si può aggiungere la totale mancanza di distrazioni che offriva Giessen.»

Come si può vedere dall’immagine, il laboratorio si è conservato integralmente. Non c’era il camice da lavoro, si vestiva in tait, come usava anche Liebig. Non c’è da meravigliarsi se si pensa che in tait operavano all’epoca i chirurghi durante le esercitazione con gli studenti nelle aule anatomiche.

Nel complesso museale si è conservato il vecchio laboratorio, indicato con il n°1 nella pianta, che venne colpito da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, per poi essere ripristinato. Non è stato toccato questa volta dall’incendio. È interessante un confronto tra nuovo (1839) e il vecchio laboratorio (1824) per capire il salto compiuto nella organizzazione del laboratorio chimico da Liebig.

Liebig lavorò in questo laboratorio all’inizio con 9 e più tardi 12 studenti. Qui è dove ha posto le  fondamenta della chimica organica. Nel mezzo della stanza è collocata un forno, ricostruito secondo la vecchia pianta, dotato di apparecchiatura del periodo. Il fuoco nel forno era alimentato con carbone; la fiamma di “spirito”, o alcol, era riservata per i lavori più importanti. Non c’erano cappe aspiranti. Se necessario le finestre e le porte esterne erano aperte per creare ventilazione. Si può immaginare che questo veniva fatto di rado durante l’inverno. Già a quel tempo gli esperimenti erano fatti usando sostanze più o meno pericolose, ma impiegando generalmente una larga quantità di sostanza rispetto a quella che sarebbe necessaria oggi. Una difficoltà aggiuntiva era che a quel tempo i chimici dovevano produrre tutti i necessari reagenti da loro stessi o isolarli da prodotti commerciali disponibili grezzi. Questa procedura, per esempio la distillazione di acidi, era eseguita nel piccolo forno, il quale era equipaggiato da una cappa aperta ai lati. È comprensibile che questa mancanza di condizioni igieniche chimiche erano dannose alla salute dei chimici, molti dei quali soffrivano inevitabilmente di problemi di salute cronici.  Lettere dai chimici in quel periodo confermano che essi stessi consideravano i loro frequenti problemi di salute come “malattie professionali”.

Parlano di malattie della pelle, condizioni asmatiche (Liebig), disturbi di stomaco e altre. Anche il sistema nervoso soffriva. Sono descritte fasi di profonda depressione, e generalmente una irritabilità costante viene documentata, per la quale Wohler conia il nome “isteria dei chimici”.

Con il nuovo laboratorio si sanano molte situazioni igieniche e i disturbi associati all’attività del chimico in gran parte scompaiono. È un altro grande merito di Liebig.

Conclusione

Il Museo di Liebig   è una testimonianza storica, per tutto quello che abbiamo visto, di enorme valore. Non a caso è stato candidato per essere dichiarato Patrimonio dell’umanità. Ci auguriamo che possa essere recuperato e restituito ai chimici, e non solo, di tutto il mondo.

Cos’è lo strano oggetto al centro del logo dell’American Chemical Society?

Roberto Poeti

Al centro del logo della Società Chimica Americana, sotto l’aquila, c’è uno strano oggetto fatto da cinque palline unite tra loro. Ma cosa rappresenta? E perché è così importante da essere inserito nel logo di una delle più prestigiose e antiche Società Chimiche ? ( La sua fondazione è del 1876 )

Ancora più sorprendente è la scoperta che nella parete dello Sterling Chemistry Laboratory ( 1923 ) dell’università di Yale (USA) è inserita l’immagine in pietra dello stesso oggetto .

Chi ha avuto l’idea di inserirlo nel logo della ACS? La Società Americana di Chimica venne fondata nel 1876 da trentacinque chimici riuniti a New York City. J. L. Smith, uno dei fondatori, suggerì di inserire nel logo della Società il nostro oggetto. Ma dove aveva visto e soprattutto usato questo oggetto? J. L. Smith era stato, come molti altri chimici europei e americani, nel laboratorio di Justus von Liebig a Giessen in Germania, come studente, nel 1842 per apprendere le tecniche di laboratorio, in particolare la tecnica per l’analisi elementare delle sostanze organiche .

Visitiamo il laboratorio nell’Istituto di Chimica di Liebig

E’ uno dei laboratori dell’800 che si sono meglio conservati fino ad oggi. Oggi è un museo di chimica tra i più interessanti al mondo. Vale proprio la pena di visitarlo .

La sede dell’Istituto di Chimica di Liebig a Giessen in Germania . Venne ricavato da una caserma militare nel 1819 . Nel 1825 Liebig sostituì il Prof. Zimmermann alla guida dell’Istituto . Lo diresse fino al 1852 , quando si trasferì all’Università di Monaco di Baviera .

Il museo è costituito da molti ambienti, tra cui lo studio di Liebig. Una sala più grande fu destinata ad essere, per quel tempo, un moderno laboratorio, progettato dallo stesso Liebig ( 1834 ), che venne frequentato dai chimici provenienti da tutta Europa e perfino dell’America. 

Il nuovo laboratorio era munito di cappe aspiranti, una novità in quel periodo, che eliminavano la gran parte dei problemi di salute. L’ambiente dei laboratori, prima dell’istallazione delle cappe, era così insalubre che sottoponeva a forte stress i chimici che vi lavoravano. L’“isteria del chimico”, una patologia a sé, era la diagnosi che veniva più di frequente diagnosticata .

In uno dei due banchi centrali del laboratorio si trovano due apparecchi utilizzati per l’analisi delle sostanze organiche. In entrambi vediamo il nostro oggetto in vetro (vedi immagine seguente ).

L’oggetto faceva parte dell’apparecchio per l’analisi elementare. Fu disegnato dallo stesso Liebig ( 1831). La sua posizione rispetto all’apparato è evidenziata nell’immagine seguente tratta dalla Enciclopedia di Chimica Vol. II del 1868 curata dal Prof. Francesco Selmi .L’apparecchio è simile al primo esemplare apparso nel laboratorio di Liebig verso la fine degli anni trenta dell’800.

Come funzionava l’apparato per l’analisi elementare

Osserviamo la figura precedente. Nel fornetto di metallo F veniva collocato, su uno strato di carbone, un tubo di vetro chiuso ad una estremità E, contenente la sostanza organica da analizzare e ossido rameoso. La temperatura raggiunta nel fornetto decomponeva l’ossido rameoso in rame e ossigeno. Era quest’ultimo che alimentava la combustione della sostanza organica. Non veniva usata aria, l’ossidazione risultava più completa, e la velocità della reazione controllata dal grado di riscaldamento del fornetto. L’apparecchio, così come è rappresentato, veniva utilizzato per l’analisi di composti quali aldeidi, alcoli, chetoni ecc. Erano esclusi i composti azotati .

I prodotti della combustione CO2 e H2O uscivano dall’estremità A , passavano nel tubo riempito di cloruro di calcio C che tratteneva l’acqua, mentre il biossido di carbonio gorgogliava nel nostro strumento di vetro a cinque bolle contenente una soluzione di idrossido di potassio, e per questo chiamato “ Kaliapparat”, dove veniva assorbito. Il disegno di quest’ultimo era pensato per favorire l’assorbimento del biossido di carbonio aumentando la superficie assorbente e il percorso del gas.

                             Il Kaliapparat   –   Nella grossa bolla gorgogliavano i gas provenienti dalla combustione della sostanza organica mentre la più piccola era collegata con la parte finale dell’ apparato .

Terminata la combustione veniva rotta la punta B del tubo F, l’aria entrava, dopo averla prima essiccata, fluiva attraverso l’apparato, aspirata attraverso il boccale E (operazione che non era priva di rischi ). L’operazione serviva a rimuovere dall’apparecchio le ultime tracce di acqua e biossido di carbonio. Da notare che una bolla di vetro H era inserita dopo lo strumento a cinque bolle. Era riempita di idrossido di potassio solido. La sua funzione era quella di trattenere le tracce di gas CO2 che potevano sfuggire al Kaliapparat e/o le gocce d’acqua che da quest’ultimo potevano essere trasportate dalla corrente d’aria finale. Terminata l’operazione l’aumento di peso del tubo C forniva la quantità di acqua prodotta con la combustione e quindi la quantità dell’elemento idrogeno del campione .

L’aumento di peso che si registrava nel Kaliapparat D più quello eventuale nella bolla H dava la quantità di CO2 prodotta con la combustione da cui si ricavava il peso dell’elemento carbonio del campione. La differenza tra il peso del campione e quello degli elementi carbonio e idrogeno trovati, forniva il peso dell’ossigeno contenuto nel campione .

Il contributo del Kaliapparat

Il procedimento per l’esecuzione di una analisi era in realtà molto minuzioso, fatto da tanti trucchi, per esempio le bolle del Kaliapparat erano inclinate durante l’analisi con la bolla più grossa in basso, e accorgimenti, tra cui la verifica della tenuta dell’apparecchio poiché lavorava in depressione. A Liebig occorsero sei anni per perfezionare il suo metodo di analisi. La difficoltà più grande fu quella di ottenere un assorbimento quantitativo della CO2. Un risultato che raggiunse con il suo ingegnoso strumento a cinque bolle, il   “ Kaliapparat “ che rimase in uso per tre quarti di secolo. Una analisi veniva compiuta in meno di un’ora. Quell’abile sperimentatore quale era Berzelius impiegava nell’analisi di una sostanza organica un tempo non inferiore ai due giorni .

(Nella bibliografia sono riportati i riferimenti in cui viene descritto il funzionamento dell’apparecchio e dell’assorbitore Kaliapparat )

Una bilancia su misura

Poiché gli elementi si ottenevano per via gravimetrica era necessario avere bilance sensibili e accurate. Nella stanza delle bilance, adiacente al laboratorio di Liebig, si conserva ancora la bilancia che Liebig si fece costruire su suo disegno da un locale ebanista. Aveva una portata di cento grammi e una accuratezza di 0.3 mg. Per esempio la combustione di un campione di 0.5 g produceva qualcosa come un grammo di CO2 con una accuratezza migliore dello 0.1 % . Una nota curiosa, ad ogni pesata, i lunghi bracci della bilancia oscillavano lentamente avanti e indietro molte volte prima di fermarsi . L’operazione risultava così noiosa che era chiamata “ il martirio della pesata “ . Liebig la rese più sopportabile per se stesso da fumatore , coniando il motto “ un sigaro per ogni pesata “ .

Una lunga storia

Per oltre 150 anni dall’epoca di Lavoisier fino alla seconda guerra mondiale, l’analisi per combustione fu lo strumento principale per il progredire della chimica organica. Molte delle nostre attuali conoscenze furono possibili utilizzando questo strumento. I principali miglioramenti nel corso di questo lungo periodo sono consistiti nel migliorare la convenienza del metodo e nel ridurre la dimensione del campione necessario per analisi su molecole di origine biologica. Le analisi di Lavoisier (anni 1780) potevano consumare più di 50 g di oli vegetali, richiedevano una squadra di operatori e un apparecchio molto costoso ( lo si può vedere al bellissimo Museo delle Arti e dei Mestieri di Parigi). Quaranta anni dopo Liebig, modificando l’approccio di Berzelius, ideava un apparato che richiedeva una quantità di campione che era soltanto 1% di quella usata da Lavoisier ( 0.5 g ). L’analisi poteva essere eseguita velocemente da un solo studente con una attrezzatura economica. Quasi cento anni dopo Liebig, Fritz Pregl ha ricevuto il Premio Nobel 1923 per avere miniaturizzato l’apparato che richiedeva un campione il cui peso era soltanto l’ 1% di quello impiegato da Liebig ( 5 mg o meno ).

Un ricordo

Ho visitato l’istituto di Chimica di Liebig a Giessen nel 2012, durante un soggiorno in Germania. Penso sia stata una delle visite più interessanti e coinvolgenti fatte nei luoghi della chimica. Il Prof. Manfred Kroeger dell’Università di Giessen, uno dei curatori del museo, ci ha accompagnato nella visita spiegandoci in dettaglio e con pazienza la storia e gli ambienti del museo. Erano in vendita presso il negozio del museo modelli in scala reale del Kaliapparat costruiti dagli studenti di chimica .

Il materiale filmico

Nella visita a Giessen scattai molte fotografie e girai dei filmini che ho trasferito su You Tube. Nel primo filmino è ripreso il laboratorio di Liebig a Giessen. Liebig si trasferì all’Università di Monaco di Baviera nel 1852. Al Deutsches Museum, il Museo della Scienza e della Tecnica di Monaco, si può vedere una parziale ricostruzione del laboratorio di Giessen. Il museo è un altro luogo di eccezionale valore per la storia della scienza e della tecnica ( in specie per la chimica ). Nel secondo filmino è ripreso il laboratorio al Museo di Monaco .

https://www.youtube.com/watch?v=MLFNKonPSzs&t=29s

https://www.youtube.com/watch?v=Hr2Qq3QzwVM

Nel mio blog

http://www.robertopoetichimica.it/la-composizione-delle-sostanze-la-combustione/

Bibliografia