E’ possibile la vita sulla superficie di Marte?

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Diego Tesauro

E’ possibile la vita sulla superficie di Marte? A questa domanda potrebbe rispondere il rover  Rosalind Franklin della missione ExoMars (Figura 1) quando verrà lanciato. La missione, essendo una cooperazione congiunta dell’ Esa con la Roscosmos, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, è stata bloccata dovendo partire dal cosmodromo di Baikonur lanciata dal razzo Proton. A questa missione è stata affidato l’esperimento Bottle (Brine Observation Transition To Liquid Experiment). Questo esperimento ha come obiettivo di generare acqua liquida sulla superficie di Marte mediante la deliquescenza, un processo in cui un sale igroscopico assorbendo vapore d’acqua dall’atmosfera, genera una soluzione salina. Inoltre si indagherà l’eventuale abitabilità di queste salamoie. La vita, almeno per come la conosciamo, oltre la presenza di carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, fosforo e zolfo, indicati con l’acronimo CHNOPS, necessita anche di altri oligoelementi e soprattutto dell’acqua liquida e di energia. Ora su Marte, l’energia potrebbe essere fornita dalla luce solare o da processi chimici. Il carbonio è disponibile nella sottile atmosfera sotto forma di biossido di carbonio, gli oligoelementi sono largamente presenti nella regolite, lo strato di polvere fine che ne ricopre la superficie.

Il fattore fortemente limitante è la presenza acqua liquida a causa della bassa pressione atmosferica (da 7 a 4 millibar contro i circa mille millibar terrestri) e delle temperature prevalentemente sotto lo zero Celsius. In queste condizioni, come ben sappiamo fin dai nostri primi studi di Chimica Fisica l’unica possibilità perché l’acqua sia liquida, in base alla legge di Raoult e dell’abbassamento crioscopico, è la presenza in soluzioni ad alta concentrazione salina. Sulla superficie del pianeta rosso sono stati rilevati negli ultimi decenni sali igroscopici in grado di formare salamoie che potrebbero rendere l’acqua liquida, fra cui i perclorati. Queste considerazioni hanno negli ultimi anni spinto la ricerca a trovare dei potenziali microorganismi in grado di vivere in queste condizioni drastiche, che chiaramente presentano varie problematiche. In primo luogo l’elevata salinità, che avrebbe quest’acqua, sarebbe in grado di modificare l’equilibrio osmotico delle cellule. Inoltre i perclorati hanno un effetto caotropico promuovendo la denaturazione delle macromolecole, il danno al DNA e lo stress ossidativo dovuto all’elevato potere ossidante del cloro nello stato di ossidazione +7.

Fra i potenziali microorganismi che potrebbero adattarsi a queste condizioni si annoverano gli archaea alofili (famiglia Halobacteriaceae). Queste specie si sono adattate alla vita agli estremi di salinità sulla Terra, pertanto potrebbero risultare dei buoni candidati per la vita anche su Marte. Molte specie resistono a livelli elevati di radiazioni UV e gamma; una specie è sopravvissuta all’esposizione al vuoto e alle radiazioni durante un volo spaziale; e c’è almeno una specie psicrotollerante (specie che crescono a 0°C, ma hanno un optimum di temperatura di 20-40 °C),. Gli archaea alofili possono sopravvivere per milioni di anni all’interno delle inclusioni di salamoia nei cristalli di sale. Molte specie hanno diverse modalità di metabolismo anaerobico e alcune possono utilizzare la luce come fonte di energia utilizzando la batteriorodopsina della pompa protonica guidata dalla luce. Inoltre la presenza dei caratteristici pigmenti carotenoidi (α-bacterioruberina e derivati) rende le Halobacteriaceae facilmente identificabili mediante spettroscopia Raman [1]. Pertanto, se presenti su Marte, tali organismi possono essere rilevati dalla strumentazione Raman pianificata per l’esplorazione EXoMars.

Per verificare la possibilità di vita sul suolo marziano per alcune specie batteriche metanogene, un gruppo di ricercatori della Technische Universität (TU) di Berlino hanno testato l’attività di tre archaea metanogenici: Methanosarcina mazei, M. barkeri e M. soligelidi (Figura 2)[2]. Le cellule microbiche sono state bagnate in un sistema di deliquescenza chiuso (CDS) costituito da una miscela di substrato essiccato Martian Regolith Analog (MRA) e sali. Il metano prodotto tramite attività metabolica è stato misurato dopo averli esposti a tre diversi substrati MRA utilizzando NaCl o NaClO4 come sale igroscopico. Gli esperimenti hanno mostrato che i M. soligelidi e i M. barkeri producevano metano rispettivamente a 4 °C e a 28 °C mentre i M. mazei non venivano riattivati metabolicamente attraverso la deliquescenza. Nessuna però delle specie produceva metano in presenza di perclorato mentre tutte le specie erano metabolicamente più attive nell’MRA contenente fillosilicati. Questi risultati sottolineano l’importanza del substrato, delle specie microbiche, del sale e della temperatura utilizzati negli esperimenti. Inoltre, quest’esperimento per la prima volta dimostra che l’acqua fornita dalla sola deliquescenza è sufficiente per reidratare gli archei metanogenici e riattivare il loro metabolismo in condizioni approssimativamente analoghe all’ambiente marziano vicino al sottosuolo

Lo stesso gruppo berlinese, più recentemente, ha condotto una prima indagine proteomica sulle risposte allo stress specifiche del perclorato del lievito alotollerante Debaryomyces hansenii e lo ha confrontato con gli adattamenti allo stress salino generalmente noti [3]. Le risposte agli stress indotti da NaCl e NaClO4 condividono molte caratteristiche metaboliche comuni, ad esempio vie di segnalazione, metabolismo energetico elevato o biosintesi degli osmoliti. I risultati di questo studio hanno rivelato risposte allo stress microbico specifiche del perclorato mai descritte prima in questo contesto. Anche se le risposte allo stress indotte in D. hansenii condividono diverse caratteristiche metaboliche, è stata identificata una glicosilazione proteica potenziata, il ripiegamento tramite il ciclo della calnexina e la biosintesi o rimodulazione della parete cellulare come misura contraria allo stress caotropico indotto dal perclorato, che generalmente destabilizza le biomacromolecole. Allo stesso tempo, i processi di traduzione mitocondriale sono sottoregolati sotto stress specifico del perclorato. Lo stress ossidativo indotto specificamente dal perclorato sembra giocare solo un ruolo minore rispetto allo stress caotropico. Una possibile spiegazione di questo fenomeno è che il perclorato è sorprendentemente stabile in soluzione a temperatura ambiente a causa del trasferimento di atomi di ossigeno che limita la velocità di riduzione. Per cui, quando si applicano questi adattamenti fisiologici, le cellule possono aumentare sostanzialmente la loro tolleranza al perclorato rispetto all’esposizione allo shock del sale. Questi risultati rendono probabile che i presunti microrganismi su Marte possano attingere a meccanismi di adattamento simili che consentano la sopravvivenza nelle salamoie del sottosuolo ricche di perclorato.

Lo scopo di questa attività di ricerca consiste quindi nel dimostrare come gli organismi estremofili potrebbero tutt’oggi essere presenti su Marte. Un qualunque esperimento da condurre sulla superficie del pianeta rosso alla ricerca della vita, è suffragato da ipotesi già validate sulla Terra. In astrobiologia infatti sono determinanti, per l’approvazione di missioni spaziali, dei risultati promettenti ottenuti in laboratorio. Questi poi potranno essere quindi verificati quando la missione Exomars potrà avere luogo, sembra comunque non prima del 2028. Inoltre la conoscenza di organismi in grado di vivere in condizioni estreme, che riteniamo improbabili, dimostrano come la vita possa svilupparsi anche in ambienti ostili ed avere eventualmente delle ricadute nello studio di processi biotecnologici.

References

1) J Jehlička, H G M Edwards, A Oren Bacterioruberin and salinixanthin carotenoids of extremely halophilic Archaea and Bacteria: a Raman spectroscopic study Spectrochim Acta A Mol Biomol Spectrosc 2013, 106, 99-103. https://doi.org/10.1016/j.saa.2012.12.081

2) D. Maus, et al. Methanogenic Archaea Can Produce Methane in Deliquescence-Driven Mars Analog Environments. Sci Rep  2020, 10, 6. https://doi.org/10.1038/s41598-019-56267-4

3) J. Heinz et al. Perchlorate-specific proteomic stress responses of Debaryomyces hansenii could enable microbial survival in Martian brines Environ Microbiol. 2022, 24, 5051–5065. https://doi.org/10.1111/1462-2920.16152

Figura 1 Il rover di ExoMars è intitolato a Rosalind Franklin i cui studi di cristallografia a raggi X. Sono stati fondamentali per risolvere la struttura del DNA e del RNA. Esplorerà il Pianeta Rosso. . Copyright: ESA/ATG medialab

Figura 2 Methanosarcina barkeri (sopra) e Methanosarcina soligelidi (sotto). Questi ceppi appartengono agli  euryarchaeotearchaea che producono metano usando tutti I pathways metabolici per la metanogenesi

Origine di molecole organiche in meteoriti provenienti da Marte

Diego Tesauro

Molte missioni sono attualmente in corso per l’esplorazione del pianeta Marte. Diversi robot sono sulla superficie del pianeta rosso per conoscerne la superficie. La Mars Science Lab dal 2011 con il rover Curiosity sta esplorando il suolo marziano, la missione successiva Mars 2020 con il rover Perseverance ha come obiettivi primari studiare l’abitabilità di Marte, investigare il suo passato e cercare tracce di eventuale vita biologica. Anche la Cina è presente con gli stessi scopi con la missione Tianwen-1. A queste missioni sono demandate molte delle risposte per organizzare una missione umana su Marte, ma anche per conoscere se in passato sia mai esistita qualche forma di vita e come essa si sia sviluppata. Eppure per avere maggiori conoscenze si affiancano ancora l’analisi dei campioni di meteoriti arrivati sulla Terra a seguito di impatti su Marte. Fra tutte le migliaia di meteoriti trovate sulla Terra ad oggi ne sono stati identificati 323 secondo la International Society of Meteoritics and Planetary Science [1]. I meteoriti sono raggruppati in 3 sottogruppi: shergottitinakhliti e chassigniti. Gli shergottiti sono rocce magmatiche di formazione recente (circa 180 milioni di anni) che, in base ai minerali che contengono e alla dimensioni dei cristalli, sono basaltiche, olivino-Phyric e Lherzolitiche. Le nakhliti sono anche esse rocce magmatiche ricche di augite, minerale della famiglia dei pirosseni, con cristalli di olivina formatesi a partire da magma basaltico circa 1,3 miliardi di anni fa. Simile età hanno anche le chassigniti . A questa classificazione sfugge il più famoso dei meteoriti ALH 84001 (Figura 1)., il quale presenta un tipo di roccia diverso dagli altri meteoriti marziani, composto prevalentemente da ortopirosseni del gruppo degli inosilicati.

Questo meteorite fu ritrovato in Antartide nel 1984 da ricercatori statunitensi impegnati nel progetto ANSMET. Si suppone che, in base alle ipotesi sull’origine di rocce extraterrestri, il frammento si sia formato a seguito di un catastrofico impatto meteorico su Marte durante il periodo Archeano, circa 4 miliardi di anni fa. Circa 15 milioni di anni fa, in conseguenza di un altro impatto meteorico, il frammento è fuggito alla gravità marziana per arrivare sulla Terra, approssimativamente 13’000 anni fa. Le datazioni sono state individuate mediante tecniche radiometriche basate sul decadimento del Samario in Neodimio (147Sm decade nell’isotopo radiogenico 143Nd messo in relazione con 144 Nd), sul decadimento del Rubidio in Stronzio (87Rb decade nel  87Sr la cui abbondanza è messa in relazione con l’isotopo 86Sr di origine nucleosintetica stellare), del Potassio in Argon (40K decade in 40Ar) e con il metodo del 14C. Al momento della scoperta pesava 1931 g [2].

Figura 1. IL meteorite ALH84001

Dal 1996 questo meteorite è al centro dell’attenzione mediatica poiché, come fu riportato in un articolo pubblicato da David McKay della NASA su Science, sembrava che potesse contenere tracce di vita marziana [3]. In particolare le possibili tracce di vita antica in ALH 84001 potevano essere in globuli carbonati arrotondati brunastri e chiari costituiti dai minerali carbonatici: siderite (carbonato di ferro, brunastro) e magnesite (carbonato di magnesio, trasparente), formati dopo la solidificazione del meteorite. Tre prove furono addotte: (1) la somiglianza dei grani minerali con alcuni prodotti dai batteri della Terra; (2) idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che sarebbero potuti provenire da organismi decomposti; e (3) alcune formazioni che, per la loro morfologia, si riteneva potessero essere batteri fossili (Figura 2). Queste strutture, con un diametro compreso tra i 20 e 100 nanometri, erano simili a quelle dei nanobatteri terrestri, ma un ordine di grandezza più piccole di qualsiasi forma di vita cellulare conosciuta.  La notizia trovò vasta eco sui mass media di tutto il mondo; fu persino annunciata ufficialmente dal presidente degli USA dell’epoca  Bill Clinton che parlò di “una scoperta potenzialmente epocale”.

Figura 2 Immagine di microscopia elettronica dei globuli che mostrano una struttura a catena morfologicamente simile ad organismi di natura biologica (Immagine NASA)

Ma già l’anno seguente Becker et al. esaminarono gli IPA in un altro meteorite di origine marziana uno shergottite antartico EETA79001 [4]. Molti degli stessi IPA, rilevati nei globuli di carbonato di ALH84001, sono presenti sia nelle condriti carboniose delle Colline Antartiche di Allan, sia nella matrice che nella componente carbonatica di EETA79001.  Gli scienziati conclusero che Il carbonato è un efficace spazzino di IPA nell’acqua di disgelo del ghiaccio antartico.  La presenza segnalata di L-aminoacidi, di apparente origine terrestre, nel materiale EETA79001 suggerisce che questo meteorite sia contaminato con sostanze organiche terrestri probabilmente anche esse derivate dall’acqua di disgelo che era filtrata attraverso il meteorite. Quindi gli IPA osservati sia in ALH84001 che in EETA79001 derivano da un delivery esogeno di sostanze organiche su Marte o da IPA extraterrestri e terrestri presenti nell’acqua di disgelo o, più probabilmente, da un mix di queste fonti. Pertanto conclusero che gli IPA non siano biomarcatori utili nella ricerca di vita estinta o esistente su Marte.

Inoltre lo stesso gruppo ritrovò tracce di glicina, serina ed alanina successivamente, anche se non uniformemente distribuite [5]. Questi amminoacidi sembrarono essere di origine terrestre e simili a quelli del ghiaccio nella zona dell’Antartide di Allan Hills, anche se non si può escludere la possibilità che piccole quantità di alcuni amminoacidi come la D-alanina si siano conservate nel meteorite.

Il dibattito e gli studi su questo meteorite sono proseguiti negli anni e quasi 200 lavori in 25 anni dal 1994 al 2017 sono stati pubblicati sull’origine e la composizione chimica di ALH84001.  

Una recentissima pubblicazione nei giorni scorsi sembra concludere definitamente questa vicenda dimostrando la formazione delle molecole organiche ritrovate a seguito di reazioni di Serpentinizzazione e Carbonatazione avvenuta su Marte [6].  La Serpentinizzazione è un sintesi abiotica organica nella quale una roccia basaltica come l’olivina (ortosilicato di magnesio e ferro), reagisce con una soluzione acquosa producendo minerali del serpentino, magnetite, e idrogeno secondo le due reazioni:

3Fe2SiO4+2H2O → 2Fe3O4+3SiO2+2H2

3Mg2SiO4+ SiO2 +2H2O → 2Mg3Si2O5(OH)4

L’idrogeno prodotto in questa reazione è poi disponibile per ridurre gli ossidi di carbonio acquosi in metano (via reazione di Sabatier o via reazione reverse water-shift) come pure in altri composti organici come acido formico e formaldeide. Il monossido di carbonio e l’idrogeno possono anche reagire via reazioni Fischer-Tropsch per produrre alcani ed altre molecole organiche, includendo composti organici azotati. I composti organici si trovano nella porzione di campione nella quale la magnetite coesiste con la fase talc-like, indicando che le reazioni della serpentinizzazione marziana è responsabile della reazione di formazione dei composti organici. Inoltre mostrano la presenza di magnetite in un’area contenente solo silicio amorfo, carbonati e carbonio organico indice di formazione della sostanza organica a seguito della reazione di carbonizzazione. Inoltre non è stato rilevato materiale organico in fessure o fessure al di fuori di tali assemblaggi minerali; pertanto, vengono scartate fonti esterne di materiale organico formato o trasportato nel campione da altre zone su Marte. Si può concludere che le molecole organiche si sono formate in situ durante le interazioni dell’acqua sulla roccia. Quindi questi due meccanismi potenzialmente distinti di sintesi organica abiotica operavano sul primo Marte durante il tardo periodo noachiano. Vengono scartate precedenti ipotesi, come processi biogenici, e decomposizione termica di siderite. Questi risultati fanno luce sulla formazione dei composti organici su Marte e forniscono elementi sulle prime reazioni di formazioni di composti organici anche per quanto riguarda la Terra.

Bibliografia

1) https://www.lpi.usra.edu/meteor/metbull.php

2)  https://www.lpi.usra.edu/lpi/meteorites/The_Meteorite.shtml

3) David S. Mckay et al.  Search for Past Life on Mars: Possible Relic Biogenic Activity in Martian Meteorite ALH84001 Science 1996, 273(5277), 924-930. DOI: 10.1126/science.273.5277.924.

2) Becker L., et al. Polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) in Antarctic Martian meteorites, carbonaceous chondrites, and polar ice. Geochimica et Cosmochimica Acta, 1997, 61, 475-481. https://doi.org/10.1016/S0016-7037(96)00400-0

3) J. L.  Bada et al. A Search for Endogenous Amino Acids in Martian Meteorite ALH84001. Science 1998, 279, 362-365. DOI:10.1126/science.279.5349.362

4) A. Steele,  et. al “Organic synthesis associated with serpentinization and carbonation on early Mars” Science 2022, 375(6577), 172-177.  DOI: 10.1126/science.abg7905

Origine e presenza del cloro nell’universo e nel sistema solare

Diego Tesauro

Il cloro, elemento numero 17, ha molteplici funzioni nella società tecnologica assolvendo a diversi ruoli, formando sia legami ionici che covalenti con gli altri elementi della tavola periodica. E’ inoltre un elemento essenziale per la vita essendo, come ione cloruro, presente nel sangue, di cui è il principale anione e come acido cloridrico nello stomaco, certamente retaggio della vita terrestre generatasi nel mare. Negli oceani infatti è il terzo elemento per abbondanza in massa dopo naturalmente l’ossigeno e l’idrogeno. Sulla crosta terrestre è invece meno abbondante essendo la maggior parte dei composti di natura ionica e per la maggior parte solubili in acqua per cui troviamo i suoi sali in zone aride. Due sono gli isotopi stabili il 35Cl e il 37Cl nel rapporto 3:1. In questo stesso rapporto è presente in tutto il sistema solare dal Sole, alla Luna a Marte. Questo rapporto è sicuramente stato ubiquitario nella formazione del sistema solare. La conferma è venuta dalle osservazioni e dalle analisi svolte durante la missione Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko (Figura 1) [1].

Figura 1 La Cometa Churyumov-Gerasimenko è una cometa periodica del nostro Sistema solare, dal periodo orbitale di 6,45 anni terrestri. La cometa è stata oggetto della missione Rosetta

A livello della via Lattea, invece, la presenza del cloro è stata poco studiata e solo negli ultimi decenni sono effettuate osservazioni per verificarne l’effettiva esistenza, e rilevarne, negli spazi interstellari, la formazione di composti. Nelle stelle è difficile evidenziare il cloro per la sua bassa abbondanza e per non accessibilità delle transizioni atomiche. Solo di recente mediante spettrometri infrarossi è stato osservato in 15 giganti rosse ed in una stella nana rossa. Avendo una massa atomica inferiore a 56, ma essendo un elemento relativamente pesante, il cloro si forma, secondo l’attuale teoria della nucleosintesi, certamente nelle stelle massicce con massa intorno alle 8 masse solari. In queste stelle, nelle fasi finali dell’evoluzione stellare, avviene la sintesi di elementi pesanti a partire dall’acquisizione di nuclei di elio da parte del neon. A seguito di questi processi di sintesi, essendo un elemento con numero atomico dispari, non dovrebbe essere particolarmente abbondante secondo calcoli teorici sull’evoluzione chimica. Invece un osservazione recente dimostra che il rapporto fra entrambi gli isotopi del cloro ed il ferro è più alto di quello atteso, anche in relazione al rapporto con altri elementi quali il silicio e il calcio. Pertanto si può suppore che l’isotopo 35Cl può essere prodotto dalla frammentazione indotta dai neutrini mentre l’isotopo 37Cl può essere generato nelle stelle giganti rosse del ramo AGB. Questo dato, però successive osservazioni, su un gruppo di stelle più ampio, non è stato confermato e il rapporto isotopico tra i due nuclei si è dimostrato coerente con i modelli, senza dover introdurre ulteriori vie nella sintesi di entrambi gli isotopi. Il cloro prodotto in queste fasi terminali viene poi espulso a seguito dell’esplosione di supernova contaminando le nebulose molecolari. In questo contesto gli atomi di cloro subiscono una ionizzazione da parte della radiazione UV alla lunghezza d’onda di 91.2 and 95.6 nm [2] formando la specie Cl+. Lo ione risultante reagisce esotermicamente con l’idrogeno molecolare, che come è noto, è la forma elementare più abbondante in queste nebulose, formando, attraverso una serie di intermedi, al termine del processo, HCl. Pertanto il cloro nelle nebulose è presente essenzialmente in questa forma [3]. L’osservazione di HCl è stata limitata a lungo, per gli strumenti basati sulla Terra, in quanto è difficile rilevare la lunghezza d’onda 625.9187 GHz nel dominio submillimetrico del lontano infrarosso, a cui emette l’acido cloridrico a causa del piccolo momento di inerzia, essendo questa frequenza troppo vicina a quella dell’assorbimento dell’acqua dell’atmosfera. Pertanto la molecola è stata osservata dallo spazio negli anni ottanta con lo osservatorio Kuiper Airborne (KAO) della NASA e solo nel 1995 da Terra nella regione di formazione stellare verso il centro della nostra galassia nella nebulosa Sagittarius B2 (Figura 2).

Figura 2 La nebulosa Sagittarius B2 di gas e polveri è situata a 390 anni luce dal centro della Via Lattea con una massa di 3 milioni di volte superiore alla massa del Sole

Successivamente si è avuta conferma della sua presenza in zone occupate da stelle evolute e in zone attive di formazione stellare grazie allo strumento Heterodyne (HIFI) a bordo dell’osservatorio spaziale Herschel che ha fornito dati sui composti presenti nella via Lattea e nel gruppo locale (ammasso di galassie al quale appartiene la via Lattea). La presenza di questa molecola nella nebulosa, da cui si è formato il sistema solare, è stato dimostrata dalla citata missione Rosetta [1]. Le comete infatti sono un laboratorio temporale fossile capace di conservare le molecole presenti nelle prime fasi di formazione del sistema solare. In queste condizioni il 90% del cloro era infatti legato all’idrogeno, incorporato nelle particelle di polvere gelata, di cui è costituita la cometa. Un discorso completamente diverso riguarda, invece, la presenza di composti clorurati su altri corpi del sistema solare, come ad esempio Marte. Fin dalle prima missioni Viking nel 1976 era sta rilevata una grande abbondanza di ione perclorato, inizialmente attribuito ad una contaminazione terrestre da parte del veicolo spaziale.

Figura 3 Phoenix Mars Lander è una sonda automatica sviluppata dalla NASA per l’esplorazione del pianeta Marte. E’ stata lanciata il 4 agosto 2007 ed è atterrata su Marte il 25 maggio 2008 (ACS Earth Space Chem copyright)

Successive osservazioni e la missione Phoenix giunta su Marte nel 2008 (Figura 3) hanno fornito evidenze sulla distribuzione dell’anione nel sito di atterraggio in una miscela composta per il 60% da Ca(ClO4)2 e per il 40% di Mg(ClO4)2 [4]. La presenza del perclorato permette, in alcune zone del pianeta, la presenza di acqua allo stato liquido grazie all’elevata salinità delle pozze, che abbassano la tensione di vapore dell’acqua impendendone l’ebollizione, nonostante i soli 4 millibar di pressione dell’atmosfera del pianeta rosso. La formazione del perclorato e del clorato nonché di cloruro di metile è stata ottenuta di recente in laboratorio riproducendo le condizioni presenti su Marte come processo di ossidazione dell’acido cloridrico a carico del biossido di carbonio catalizzato da biossido di titanio, i minerali anatasio, rutilo (a base di biossido di titanio), montmorillonite (un silicato di formula (Na,Ca)0,33(Al,Mg)2(Si4O10)(OH)2.n H2O), e il meteorite marziano Nakhla (Figura 4) [5].

Figura 4 Pathways di reazione e prodotti intermedi per la produzione di ClO4 nelle condizioni dell’ambiente marziano.

Come quindi è possibile constatare da queste osservazioni, l’indagine su questo elemento, a livello della ricerca astronomica, sarà ancora lunga e complessa per poter dare delle risposte che possano chiarire il ruolo di questo elemento e dei suoi composti nelle nebulose e sui pianeti rocciosi.

Riferimenti

1 Frederik Dhooghe et al. Halogens as tracers of protosolar nebula material in comet 67P/Churyumov–Gerasimenko MNRAS 2017, 472, 1336–1345. doi:10.1093/mnras/stx1911

2 M. Jura, Chlorine-bearing molecules in interstellar clouds The Astrophysical Journal 1974, 190, L33.

3 R. R. Monje et al. Hydrogen Chloride In Diffuse Interstellar Clouds along the Line of Sight to W31C (G10.6-0.4) The Astrophysical Journal 2013, 767:81 (8pp). doi:10.1088/0004-637X/767/1/81

4 Selby C. Cull Concentrated perchlorate at the Mars Phoenix landing site: Evidence for thin film liquid water on Mars Geophysical Research Letters 2010, 37, L22203. doi:10.1029/2010GL045269,

5 Svatopluk Civiš et al. Formation of Methane and (Per)Chlorates on Mars ACS Earth Space Chem. 2019, 3, 221−232. doi :10.1021/acsearthspacechem.8b00104 http://pubs.acs.org/journal/aesccq

 

Acqua su Marte.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

L’acqua è di certo il composto più studiato.

Non c’è branca della Scienza che non abbia fatto i conti con questa piccola molecola,importante per la vita,essenziale per l’alimentazione,fortemente correlata con storia,archeologia,clima. Dal punto di vista strettamente chimico si caratterizza per la presenza contemporanea di diversi tipi di legame fra l’idrogeno e l’ossigeno, ma è soprattutto il suo ruolo nei processi alla base della vita che da un lato affascina e dall’altro ne esalta il valore economico a danno dei più deboli meno ricchi di risorse. La presenza dell’acqua per quanto detto è da sempre stata correlata alla possibilità di vita nei sistemi che la contengono. La recente conclusione di una ricerca in atto da tempo circa la presenza di questo composto su Marte ha rappresentato una definitiva conferma di quanto in altre occasioni e sedi è stato ripetutamente ipotizzato.

In questo ultimo caso la ricerca si deve a Giovanni Picardi scomparso 3 anni fa ed alla collaborazione fra CNR, INAF, ASI e Università. Rispetto a precedenti contributi questo contiene una importante novità: il bacino idrico (assimilabile ad un lago terrestre) su Marte si trova ad una profondità di 1500 metri (sotto i ghiacci di CO2 del polo Sud) quindi al riparo dalle radiazioni e, soprattutto, in ambiente compatibile con la vita dei batteri che potrebbero funzionare da preziosi testimoni di una vita che al suolo si è estinta.

La scoperta è stata resa possibile utilizzando l’eco delle onde lanciate dal radar MARSIS che equipaggia la sonda europea MARS Express decollata da Bajkonur ben 15 anni fa, in volo orbitale fino a 250 km di altezza dalla terra di Marte. Marsis è dotato di due antenne che grazie allo spettro di frequenze disponibili sono in grado di raccogliere segnali che provengono da una profondità massima di 5 km. Le temperature dovrebbero fare ipotizzare che l’acqua fosse allo stato solido,contrariamente ai dati della ricerca che invece la definiscono allo stato liquido, quindi caratterizzata da un abbassamento crioscopico dovuto alla presenza nell’acqua di sali (forse clorato di potassio).

Parlando di acqua su Marte non si può omettere un ricordo di Giovanni Schiaparelli che credette di individuare canali scavati un tempo dall’acqua su Marte e della missione Exomars che permise di trapanare il suolo di Marte fino alla profondità di 2 m anche in quell’occasione con lo scopo primario di evidenziare la presenza di acqua e,correlata ad essa,di vita sul pianeta Marte. Queste accresciute conoscenze sono la base per programmare ulteriori spedizioni spaziali,ma anche per collegare il presente di Marte con il futuro della nostra Terra,se non sapremo rispettare le sue risorse.

Polo Sud di Marte nel 2000; è costituito di strati di CO2

La Metanogenesi catalitica sui pianeti rocciosi

Diego Tesauro.

La maggior parte dell’opinione pubblica conosce il metano come fonte energetica, ma nell’universo sicuramente ha una funzione ancora più importante.

E’ infatti il più semplice composto organico sul quale sono basate diverse ipotesi di meccanismi di reazione per la formazione di molecole organiche complesse e delle biomolecole.

Inoltre Il metano è uno dei composti più diffusi dell’universo, come intuitivamente è logico supporre, considerando che la maggior parte dell’universo è costituito da idrogeno (attualmente circa il 74%) ed il carbonio, prodotto nei nuclei delle stelle giganti rosse per fusione sintetica di 3 nuclei di elio, è il quarto elemento per abbondanza (4.6 %) dopo elio ed ossigeno.

Si forma nelle zone periferiche dei sistemi planetari e infatti lo ritroviamo nei giganti gassosi del sistema solare da Giove a Saturno, ma è particolarmente abbondante nelle atmosfere di Urano e Nettuno. Non è presente invece nelle atmosfere dei pianeti terrestri per la loro vicinanza al sole in quanto la radiazione solare, nelle prime fasi dell’evoluzione del sistema planetario, ha energia sufficiente per rompere i legami chimici come il legame C-H. Allora dove e perché lo ritroviamo nelle zone interne del nostro sistema planetario?

Cratere Gale dove opera il rover Curiosity dal 2012

Sulla Terra attualmente il metano ha pressoché totale origine biologica derivando da processi di digestione anaerobica delle sostanze organiche da parte dei batteri. Ma sugli altri pianeti rocciosi e in particolare su Marte, attualmente c’è metano? Recenti misurazioni in situ di CH4 su Marte nel cratere Gale1 da parte del rover della NASA Curiosity ne ha rilevato una concentrazione di fondo di ~ 0,7 parti per miliardo (ppb) ma ha anche riportato variazioni significative nella sua concentrazione, con picchi dieci volte superiori rilevati in quattro occasioni per un periodo di due mesi legata alla stagionalità (Marte a causa dell’inclinazione dell’asse di rotazione sul piano orbitale di 25° presenta l’alternanza delle stagioni nei due emisferi come la Terra).

Questa scoperta induce ad ipotizzare una possibile sintesi abiotica di CH4 come gas riducente in un’atmosfera ricca di CO2 naturale, come è l’attuale atmosfera marziana e come lo era la Terra in passato. Quindi processi attualmente in corso su Marte potrebbero essere stati attivi sulla Terra primordiale.

Entrambi i pianeti hanno la possibilità di utilizzare acqua come fonte di idrogeno e furono esposti nelle prime fasi ad un significativo flusso di radiazione ultravioletta. Basandosi su modelli fotochimici e sull’attuale comprensione della composizione dell’atmosfera marziana, il metano ha una vita chimica di 300-600 anni, che è, su scala geologica, un periodo molto, ma molto breve. Ciò implica che ci deve essere una fonte attualmente attiva su Marte. Hu et al.2 hanno formulato tre ipotesi sull’origine del metano su Marte:

  • La regolite nel cratere Gale assorbe CH4 quando è secca e rilascia CH4 nella deliquescenza durante l’inverno.
  • I microrganismi convertono la materia organica nel terreno in CH4. Tuttavia, questo scenario suppone l’esistenza di una vita esistente su Marte, e fino ad oggi non è stata trovato alcun indizio.
  • Le falde acquifere sotterranee profonde generano emissioni esplosive di CH4.

A queste ipotesi si è aggiunta una quarta formulata da Shkrob et al. 3 basata su una complessa chimica del carbonio governata dalla radiazione ultravioletta che porta alla formazione di metano e monossido di carbonio dalla riduzione del biossido di carbonio. Questa ipotesi è stata ulteriormente sviluppata recentemente in un articolo pubblicato su Nature Astronomy4 mediante esperimenti condotti in laboratorio simulando condizioni presenti su Marte o sulla Terra primordiale.

Il rover Curiosity su Marte. Lanciato da Cape Canaveral il 26 novembre 2011 è « ammartato » il 6 agosto 2012

Pertanto Marte potrebbe essere contemporaneamente un “fotoreattore” di dimensioni planetarie che decompone molecole di materia prima carbossilata che producono CH4 e un pianeta “fotosintetico”, in cui il metano viene generato dal biossido di carbonio su superfici catalitiche.
La sintesi di CH4 da CO2 è influenzata dalle quantità di H2O e di CO2 adsorbite sulle superficie fotocataliche del catalizzatore minerale in presenza di una sufficiente insolazione. Questo modello può essere valido anche per la Terra primordiale, per Titano, il più grande satellite di Saturno ed unico ad essere dotato di un’atmosfera ampiamente costituita da metano (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/01/25/chimica-da-titano/ed per altri pianeti di tipo roccioso presenti nell’universo.

Marte infatti attualmente non è schermato come la Terra contro la radiazione ultravioletta (come è noto il nostro pianeta possiede lo schermo dello strato dell’ozono, non presente su Marte) e quindi può essere considerato un laboratorio per questo tipo di reazioni. Questi studi hanno permesso di stabilire due importanti aspetti: il ruolo catalitico del minerale anatasio (un minerale costituito da TiO2) e della montmorillonite (un silicato di formula (Na,Ca)0,33(Al,Mg)2(Si4O10)(OH)2.n H2O), entrambi presenti su Marte, anche se al momento non è stata ancora determinata la loro quantità, ma anche sulla Terra. In particolare il biossido di titanio presente nell’anatasio svolge il ruolo di fotocatalizzatore ed un meccanismo di reazione attraverso il gliossale dimostrerebbe la contemporanea formazione in uguale quantità di CO e CH4 mentre per l’altro catalizzatore, non riscontrando la stessa quantità dei due gas, potrebbe intervenire un diverso meccanismo o un effetto dei radicali ossidrilici provenienti nell’acqua intrinsecamente in esso contenuta oppure una fotolisi del metano sulla sua superficie.

La montmorillonite è un minerale, un fillosilicato di alluminio e magnesio. Il nome deriva dalla località di Montmorillon, dipartimento della Vienne, in Francia, dove fu per la prima volta identificato.

Ma anche l’adsorbimento dell’acqua gioca un ruolo decisivo e spiegherebbe la stagionalità delle emissioni di metano che aumentano dalla primavera marziana fino alla fine dell’autunno. Altro aspetto fondamentale per questa ipotesi sintetica è il pH. In ambiente basico o neutro sulla superficie del minerale vengono legati degli ioni ossidrili (OH), mentre l’ambiente acido è in grado piuttosto di permettere l’adesione del biossido di carbonio e dell’acqua per cui la riduzione catalitica dei due minerali è indotta dall’acido cloridrico. L’acido cloridrico è effettivamente presente su Marte sul quale è attivo attualmente un ciclo del cloro proposto di recente da Catling et al. e confermato dalla presenza di ione perclorato5.

Questo modello pertanto oltre a spiegare l’attuale presenza di metano co-generato con il monossido di carbonio su Marte osservata da Curiosity, ha il pregio di interpretare la sua stagionalità. Inoltre può essere anche adattato alle condizioni iniziali della Terra. In questo caso è possibile anche dimostrare la formazione a partire da un’atmosfera riducente di CO2, N2, CH4 e CO di HCN, da cui, a seguito della sua polimerizzazione indotta dal bombardamento meteorico simulato dai laser, la formazioni delle nucleobasi del RNA (adenina, guanina, citosina e uracile) e del più semplice degli amminoacidi la glicina.

  • Webster, C. R. et al. Mars methane detection and variability at Gale crater. Science 347, 415–417 (2015).
  • Hu, R., Bloom, A. A., Gao, P., Miller, C. E. & Yung, Y. L. Hypotheses for near-surface exchange of methane on Mars. Astrobiology 16, 539–550 (2016).
  • Shkrob, I. A., et al. Photocatalytic decomposition of carboxylated molecules on light-exposed Martian regolith and its relation to methane production on Mars. Astrobiology 10, 425–436 (2010).
  • Civiš S. et al. The origin of methane and biomolecules from a CO2 cycle on terrestrial planets Nature Astronomy 1 721–726 (2017).
  • Catling, D. C. et al. Atmospheric origins of perchlorate on Mars and in the Atacama. Geophys. Res. Planets 115, E00E11 (2010).

Astrochimica: individuato ghiaccio sotto la superficie del pianeta nano Cerere

Rinaldo Cervellati

Il pianeta nano Cerere[1], che orbita nella fascia degli asteroidi tra Marte e Giove, ospita una grande quantità di ghiaccio sotto la superficie, afferma un team di scienziati guidati dal Dr. T.H. Prettyman del Science Planetary Institute nel corso del Convegno dell’American Geophysical Union il 15 dicembre scorso.[1]

fig-1-cerereIl ghiaccio, che probabilmente riempie i pori nel sottosuolo di roccia, si trova lì da miliardi di anni, confermando le previsioni fatte da alcuni astronomi 30 anni fa.

Thomas Prettyman

Thomas Prettyman

Gli scienziati hanno riferito questi e altri risultati raccolti dal veicolo spaziale Dawn[2] della National Aeronautics and Space Administration, in orbita attorno a Cerere, in una conferenza stampa il 15 dicembre scorso al convegno dell’American Geophysical Union a San Francisco.

Il veicolo spaziale è munito di uno spettrometro a neutroni e raggi gamma che fornisce informazioni sugli elementi che costituiscono la crosta del pianeta, tale strumento è stato già utilizzato nella missione Messenger che ha fornito informazioni su Mercurio. Uno schema semplificato del funzionamento dello spettrometro è mostrato in figura. In breve lo strumento misura il numero e l’energia dei neutroni e dei raggi gamma che raggiungono la sonda quando passa vicino al pianeta.

fig-3-spettrometro-a-neutroniI dati raccolti da Down nell’arco di cinque mesi hanno permesso una mappatura della composizione di Cerere rilevando la presenza di idrogeno anche alla profondità di appena un metro sotto la superficie del pianeta nano. Il ghiaccio è più concentrato ai poli di Ceres.

Norbert Schörghofer, uno scienziato della missione Dawn e astronomo presso l’Università delle Hawaii, ha infatti riferito che la sonda ha rilevato sacche di ghiaccio nei crateri permanentemente in ombra ai poli di Ceres, fenomeno che esiste anche su Mercurio e Luna [2].

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Norbert Schörghofer

Tutte le evidenze raccolte da Down stanno a indicare che un tempo Cerere aveva un oceano e che tracce di esso rimangono probabilmente ancora sotto la sua superficie ha detto Carol Raymond del Jet Propulsion Lab, vice ricercatore principale della missione.

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Carol Raymond

Gli scienziati sono particolarmente interessati a corpi del sistema solare che possono contenere acqua allo stato liquido perché potrebbero essere ambienti in grado di ospitare la vita. Cerere, ha sostenuto Raymond, è probabilmente simile a Europa, una luna di Giove, o a Encelado, luna di Saturno, in termini di potenziale abitabilità.

Al convegno dell’American Geophysical Union è stata presentata un’altra ricerca, focalizzata su un corpo del sistema solare più vicino al nostro pianeta: Marte. Gli scienziati del Los Alamos National Laboratory hanno annunciato per la prima volta la scoperta di boro sulla superficie del pianeta rosso. La NASA ha individuato l’elemento in vene minerali di solfato di calcio. Se questo minerale è confrontabile con quello che si trova sulla Terra, ciò indicherebbe che molto tempo fa le temperature superficiali del pianeta erano 0-60 ° C, e che il terreno aveva un pH neutro-alcalino, in altre parole un ambiente abitabile.

Fonte: c&en Newsletters 21-12-2016

[1] T. Prettyman et al., Extensive water ice within Ceres’ aqueously altered regolith: Evidence from nuclear spectroscopy, Science  15 Dec 2016, DOI: 10.1126/science.aah6765

[2] T. Platz et al., Surface water-ice deposits in the northern shadowed regions of Ceres,

Nature Astronomy, 15 Dec 2016, DOI: 10.1038/s41550-016-0007

[1] Cerere è l’asteroide più grande della fascia principale del sistema solare, scoperto nel 1801, per mezzo secolo è stato considerato l’ottavo pianeta. Dal 2006 Cerere è l’unico asteroide del sistema solare interno considerato un pianeta nano, alla stregua di Plutone.

[2] La Missione Dawn è una missione basata su una sonda senza equipaggio sviluppata dalla NASA per raggiungere ed esaminare il pianeta nano Cerere e l’asteroide Vesta . Dawn è stata lanciata in settembre 2007 e ha raggiunto Cerere in marzo 2015.