Terra bruciata

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Mauro Icardi

James. G Ballard scrittore inglese, che sarebbe riduttivo definire unicamente autore di libri di fantascienza, nel 1964 pubblica un libro che viene tradotto in Italiano con il titolo di “Terra Bruciata”.

È il libro che sto leggendo in questi giorni, attirato sia dall’immagine di copertina di Karel Thole, il grafico olandese che disegnò le copertine della collana di fantascienza “Urania”, che dallo stile letterario di Ballard. Caustico, molto critico nei confronti della società contemporanea e delle sue palesi contraddizioni, che l’autore mette a nudo con racconti quasi surreali.

In questo libro l’autore immagina un pianeta terra piegato dalla siccità. Sono bastate pochissime righe per provare quella gradevole sensazione, quella specie di scossa elettrica che sento quando mi rendo conto di aver trovato un libro che ti incolla alla pagina, uno di quelli che ti fa restare alzato a leggere fino ad ora tarda.

Nelle prime pagine del libro un brano mi ha particolarmente colpito: “La pioggia! Al ricordo di quello che la parola significava un tempo, Ransom alzò lo sguardo al cielo. Completamente libero da nuvole o vapori, il sole incombeva sopra la sua testa come un genio perennemente vigile. Le strade e i campi adiacenti al fiume erano inondati dalla stessa invariabile luce, vitreo immobile baldacchino che imbalsamava ogni cosa nel suo calore”.

Personalmente queste poche righe mi hanno ricordato la situazione del Fiume Po la scorsa estate.

 Nella trama del romanzo si immagina una migrazione umana sulle rive dell’oceano dove si sono dissalati milioni di metri cubi di acqua marina, e dove le spiagge sono ormai ridotte a saline, ugualmente inospitali per la vita degli esseri umani, così come le zone interne,dove fiumi e laghi stanno lentamente prosciugandosi.

So molto bene che molte persone storcono il naso quando si parla di fantascienza ,senza probabilmente averne mai letto un solo libro,probabilmente per una sorta di snobismo preconcetto. La mia non vuole essere una critica, è solmente una mia personale constatazione. Ma non posso fare a meno di pubblicare su questo post un’altra foto,drammaticamente significativa.

L’immagine scattata dal satellite Copernicus, mostra la situazione del Po a nord di Voghera lo scorso 15 Febbraio. La foto è chiarissima. Rimane valido il motto che dice che un’immagine vale più di mille parole.

Ecco è proprio dalle parole che vorrei partire per chiarire alcuni concetti, porre degli interrogativi a me stesso, e a chi leggerà queste righe.

Parole. Quali parole possiamo ancora usare per convincere chi nemmeno davanti a queste immagini prende coscienza del problema siccità, continuando ostinatamente a negare l’evidenza, esprimendosi con dei triti e tristi luoghi comuni.

Uno fra i tanti, un messaggio inviato alla trasmissione di radio 3 “Prima pagina”. Quando la giornalista lo legge in diretta io rimango sbalordito. L’ascoltatore che lo ha inviato scrive testualmente. “Il riscaldamento globale è un falso problema, tra 100 anni saremo in grado di colonizzare altri pianeti e di sfruttare le loro risorse”. Giustamente la conduttrice risponde che non abbiamo cento anni di tempo. I problemi sono qui e adesso.

Il senso di sbigottimento rimane anche mentre sto terminando di scrivere questo post.  Uscendo in bicicletta nel pomeriggio ho potuto vedere palesemente la sofferenza dei corsi d’acqua in provincia di Varese: il Tresa e il Margorabbia ridotti a dei rigagnoli. Ho visto terreni aridi e molti torrenti della zona prealpina completamente asciutti.

Quali parole possiamo ancora usare, parole che facciano capire l’importanza dell’acqua? L’acqua è indispensabile alla vita penso di averlo letto nelle prefazioni praticamente di ogni libro che si occupasse del tema. Mentre scrivo, in un inverno dove non ho visto un fiocco di neve nella zona dove vivo, leggo l’intervista fatta a Massimiliano Pasqui, climatologo del CNR, che dichiara che ci servirebbero 50 giorni di pioggia per contenere il problema della siccità nel Nord Italia. Il deficit idrico del Nord Ovest ammonta a 500 mm. Le Alpi sono un territorio fragile, i ghiacciai arretrano. Lo speciale Tg1 dedica una puntata ai problemi dei territori dell’arco alpino. Ma buona parte delle persone intervistate sono preoccupate unicamente per il destino delle stazioni sciistiche. Solo una guida alpina valdostana suggerisce un nuovo modo per godere la montagna, uscendo dal pensiero unico che vuole che in montagna si vada unicamente per sciare. Una biologa che si occupa della microfauna dei torrenti alpini ricorda l’importanza della biodiversità e delle catene alimentari che la riduzione delle portate può compromettere.  Un sindaco della zona prealpina del comasco, difende l’idea di creare una pista di innevamento artificiale a 1400 metri di quota, quando ormai lo zero termico si sta situando intorno ai 3000. Non posso pensare ad altro se non ad una sorta di dipendenza. Non da gioco d’azzardo o da alcol, ma una dipendenza che ci offusca il ragionamento. Mi vengono in mente altre parole, le parole di un proverbio contadino: “Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame”. Ma anche di pioggia se ne sta vedendo poca nel Nord Italia, e la neve sembra essere un ricordo in molte zone.

Il Piemonte sta diventando arido. Mia cugina che vive nelle terre dei miei nonni, nel Monferrato, mi informa che alcuni contadini stanno pensando di piantare fichi d’india. Nei vigneti il legno delle piante è secco e asciutto e la pianta sembra essere in uno stato sicuramente non di piena salute. Ci si accorge di questo anche nel momento in cui si lega il tralcio al primo fil di ferro per indirizzare la crescita della pianta: si ha timore di spezzarlo.

Ritorno per un attimo al libro di Ballard. Nella prefazione trovo un passaggio interessante: nel libro l’autore ci parla della siccità che ha immaginato, non in maniera convenzionale. Ci sono nel libro descrizioni di siccità e arsura, ma quello che emerge dalla lettura è il fantasma dell’acqua. Ballard ha sempre evitato i temi della fantascienza classica, viaggi nello spazio e nel tempo, incontri con civiltà aliene.

Ha preferito narrare e immaginare le catastrofi e le decadenze del futuro prossimo. Ma sono catastrofi particolari. Sono cioè catastrofi che “piacciono” ai protagonisti.  Che quasi si compiacciono di quello che si sta svolgendo sotto i loro occhi. Vale per i protagonisti di “Deserto d’acqua e di “Condominium”. Il primo si compiace della spaventosa inondazione che ha sommerso Londra, il secondo racconta le vicende degli inquilini di un condominio di nuova generazione, dove una serie di black out e dissidi tra vicini fanno regredire tutti gli inquilini allo stato di uomini primitivi.

Terra bruciata invece ci mostra un’umanità che deve fare i conti con la mancanza ed il ricordo del composto linfa, H2O. La formula chimica probabilmente più conosciuta in assoluto. Conosciamo a memoria la formula, ma forse non conosciamo affatto l’acqua.  E a volte è uno scrittore come Ballard che riesce ad essere più diretto nel mostrarci quello che rischiamo non preservandola e dandola per scontata. L’indifferenza, la mercificazione indotta, le nostre percezioni errate, lo sfruttamento del composto indispensabile alla vita ci stanno rivelando come anche noi ci stiamo forse compiacendo o abituando a situazioni surreali. Sul web ho visto la pubblicità di una marca di borracce che ci ingannano. Borracce con sedicenti pod aromatizzati che ti danno la sensazione di stare bevendo acqua aromatizzata. Riporto dal sito, senza citare per ovvie ragioni la marca.

Tu bevi acqua allo stato puro. Ma i Pod aromatizzati fanno credere al tuo cervello che stai provando sapori diversi come Ciliegia, Pesca e molti altri.

Naturalmente gustosi. Tutti i nostri Pod contengono aromi naturali e sono vegetariani e vegani.

Idratazione sana. Prova il gusto senza zuccheri, calorie o additivi.

E ‘scienza (anche se ci piace pensare che sia anche un po’ magia). Il tuo centro olfattivo percepisce l’aroma come se fosse gusto, e fa credere al tuo cervello che tu stia bevendo acqua con un sapore specifico.”

Trovo questa pubblicità davvero agghiacciante.

Mi sto chiedendo ormai da diverso tempo come possiamo opporci a questa deriva. Ho letto diversi romanzi di fantascienza sociologica che immaginano società distopiche. Ma francamente mi sembra che non sia più necessario leggerla. In realtà mi sembra tristemente che siamo molto vicine a vivere in una società distopica. Sull’onnipresente rifiuto di bere acqua di rubinetto con la motivazione che “sa di cloro” o addirittura “che fa schifo”, qualcuno costruisce il business delle borracce ingannatrici. Ormai l’acqua non è più il composto vitale. E ‘un composto puro ma che deve essere migliorato. Qualcuno mette in commercio acqua aromatizzata, qualcun altro ci vuole vendere borracce che ci fanno credere che lo sia.

Mi chiedo davvero cosa sia andato storto, e quando recupereremo non dico la razionalità ma almeno il buon senso comune. E intanto possiamo aspettare fiduciosi la stagione estiva.

Recensione. Clima 2050.

In evidenza

Marco Taddia

La matematica e la fisica per il futuro del sistema Terra

di Annalisa Cerchi, Susanna Corti (Zanichelli, Bologna, 2022)

p. 168 euro 13

Un recente articolo di  Nature, datato 21 novembre 2022, dedicato agli aerosol atmosferici che rendono di cattiva qualità l’aria di alcuni tra i paesi più poveri e popolati della Terra (https://www.nature.com/articles/d41586-022-03763-9 e attribuisce loro una responsabilità precisa negli eventi estremi, aggiunge un’altra incognita ai temi climatici. Non si sa, purtroppo se tali aerosol sono destinati ad aumentare, diminuire o stabilizzarsi. L’incertezza a tale proposito, per quanto riguarda i prossimi 20-30 anni, è grande e non sappiamo se essi contribuiranno ad aumentare di 0,5°C la temperatura nel 2050. Se l’effetto degli aerosol si farà sentire è in dubbio, mentre per quanto riguarda il riscaldamento globale nel suo complesso le idee sembrano più chiare, anche dal punto di vista economico. Un report del Deloitte Center for Sustainable Progress diffuso durante il World Economic Forum di Davos (giugno 2022) ci ha informato https://www2.deloitte.com/xe/en/pages/about-deloitte/press-releases/deloitte-research-reveals-inaction-on-climate-change-could-cost-the-world-economy-usd-178-trillion-by-2070.html che senza intervenire sui cambiamenti climatici i costi sull’economia globale ammonterebbero nei prossimi 50 anni a ben 178 trilioni di dollari USA, ovvero un taglio del 7,6/ sul GDP nel 2070.

Le previsioni quindi non sono incoraggianti e lo sappiamo da anni. Alla fine di novembre dell’ormai lontano 2015, in vista dell’apertura della conferenza COP 21 (Parigi, 30 novembre-12 dicembre), commentando l’Annual Report della società DNV GL (https://www.dnv.com/Publications/dnv-gl-annual-report-2015-64621) , notoriamente uno dei più importanti enti di certificazione, i giornali ne traevano conclusioni piuttosto fosche prevedendo per il 2050 un mondo sotto pressione, con il 60% degli ecosistemi a rischio, temperature in aumento tra i 3 e i 6 gradi centigradi, mari più alti di un paio di metri, 200 milioni di ‘rifugiati climatici’, una domanda di energia elettrica aumentata del 57% e coperta ancora per l’81% dai combustibili fossili.  Tutto ciò per dire che vale veramente la pena interrogarsi, ricorrendo all’aiuto di chi conosce la scienza del clima, su un futuro che poi non è così lontano come sembra. Ci viene in aiuto questo libro, che giunge a proposito nella popolare collana ‘Chiavi di lettura’ dell’editore Zanichelli, a firma di Annalisa Cherchi e Susanna Corti che si intitola proprio ‘Clima 2050 – La matematica e la fisica per il futuro del sistema Terra’ (Bologna, 2022). I loro nomi sono una garanzia di competenza perché entrambe lavorano presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del CNR e, nel febbraio 2018, sono state selezionate come Lead Author per il sesto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change pubblicato ad agosto 2021. La Corti è anche Executive Editor di Climate Dynamics, rivista di Springer Nature. Il libro consta di sei capitoli che dopo aver chiarito la differenza fra meteo e clima, spiegato l’effetto serra e come si osserva il clima che cambia, si occupano nell’ordine del clima del prossimo futuro, di fisica e matematica del clima, di cambiamenti climatici e loro conseguenze e della collaborazione in atto a livello internazionale specialmente a livello IPCC.  Viene da dire, finalmente! Era ora che qualcuno che ci spiegasse in termini chiari e concisi, senza supponenza e con toni pacati, tutto ciò che può orientarci nella valutazione delle tante informazioni, talora contradditorie, che ci vengono fornite dai media. Sfogliando il libro, un paio di grafici che troviamo alle pp. 34 e 35 attirano subito l’attenzione del lettore. Il primo mostra l’andamento della temperatura media superficiale globale rispetto al periodo di riferimento, ovvero la differenza rispetto alla media 1850-1900. Si può notare che la tendenza al riscaldamento lineare negli ultimi cinquant’anni (0,15°C per decennio) è quasi il doppio di quella degli ultimi 150 anni. L’altro grafico mostra invece che le temperature osservate combaciano con quelle ottenute dai modelli solo se questi considerano le attività umane. In conclusione, gli elementi forzanti di origine naturale non sono sufficienti a spiegare il riscaldamento degli ultimi decenni. Le autrici ci spiegano che i modelli climatici completi si basano su leggi fisiche rappresentati da equazioni matematiche, qui riportate, che vengono risolte utilizzando una griglia tridimensionale del globo (fig. 7, p. 42). Nel cap. 5, relativamente alle conseguenze, aggiungono anche che il cambiamento climatico non riguarda tutte le parti del globo in modo uniforme ma piuttosto che è possibile identificare pattern caratteristici nel cambiamento di temperatura e precipitazioni.

    Il libro contiene anche un elenco delle fonti consultate, una parte intitolata ‘4 miti da sfatare’ e alcune pagine interessanti dal titolo ‘Forse non sapevi che’. Proprio tra i miti da sfatare, ad esempio che sia troppo tardi per agire contro il cambiamento climatico, le autrici lanciano un messaggio di speranza:   Non è assolutamente troppo tardi e non lo sarà per decenni. La nostra azione o inazione, determinerà quanto il mondo si scalda. A questo proposito ricordiamo che si è conclusa da poco la COP 27 di Sharm el-Sheikh con l’approvazione da parte dell’Assemblea Plenaria di un documento finale che presenta anche qualche aspetto positivo. Per quanto riguarda il riscaldamento globale l’obiettivo di contenerlo entro 1,5 gradi è stato mantenuto, così come è stata apprezzabile l’istituzione di un fondo per i ristori delle perdite e i danni dei cambiamenti climatici nei paesi più vulnerabili, mentre per altri aspetti i risultati sono stati deludenti. Si rimanda ad altri contributi apparsi sulla stampa per un esame più dettagliato dei risultati. Secondo Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea, essi non sono sufficienti a contrastare  i cambiamenti climatici e a mitigarne gli effetti. In particolare, il documento non dice niente sulla riduzione o eliminazione dei combustibili fossili. Si alternano quindi allarmi e speranze, studi e inchieste, previsioni e smentite con il risultato di confonderci talvolta le idee.

    Al termine della recensione di un libro denso di contenuti ma agile nella forma, che preferisce ai toni apocalittici e agli anatemi toni persuasivi, piace ricordare l’impegno, la passione e la  mobilitazione di tanti giovani tesa a sollecitare un’azione più decisa dei governi  in questo campo. Alcuni, lo hanno fatto anche con la musica e la poesia e, se volete ascoltare le loro voci, eccoli qui: https://www.youtube.com/playlist?list=PLNGYdFUDxjh0rpIwuhK3m1_p6vY1DxZDt.

Questa recensione è apparsa anche sul web journal del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica al quale l’Autore collabora con regolarità

http://www.scienzainrete.it/autori/taddia/371         

il-progresso-non-coincide-con-la-crescita

Vincenzo Balzani

Pubblicato il 4 agosto u.s. su Il Manifesto

https://ilmanifesto.it/il-progresso-non-coincide-con-la-crescita

“Per il bene del Paese è importante che la politica ascolti la scienza”. A dirlo è Vincenzo Balzani, professore emerito dell’Università di Bologna, socio dell’Accademia nazionale dei Lincei, in lizza per il Nobel per la Chimica nel 2006.

Professore, il manifesto del gruppo “Energia per l’Italia”, che lei coordina, è stato firmato da numerosi scienziati. Ha aderito anche il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi. Avete ricevuto risposte dal governo? Il ministro Cingolani lo ha letto?

Il documento non aveva come finalità ottenere risposte immediate ma spingere le forze politiche al ripensamento delle scelte compiute in merito alla crisi del gas seguita all’aggressione russa all’Ucraina. Questo ripensamento non c’è stato: l’azione di governo è schiacciata su una dimensione emergenziale ma la crisi energetica è strutturale. Manca una vera strategia climatica, ambientale e industriale, la sola che possa mettere in sicurezza il Paese.Non sappiamo se il ministro Cingolani abbia letto il nostro manifesto. Se ci sarà richiesto, ci renderemo disponibili ad illustrarlo. In vista delle elezioni, stiamo lavorando alla stesura di un “Decalogo” che verrà presentato e discusso con le forze politiche che vorranno ascoltarci, senza pregiudiziale alcuna.

L’indipendenza dalla Russia sembrerebbe possibile entro il prossimo inverno. Si passerà dalla dipendenza russa ad altre dipendenze. Ancora combustibili fossili. Cambiano gli scenari, ma la sostanza resta. Siamo affetti da gattopardismo?

Più che di gattopardismo parlerei di incapacità, di mancanza di una memoria storica condivisa e di una chiara visione strategica. Dal ‘73, anno della guerra del Kippur a cui seguì l’embargo petrolifero dei paesi Opec, abbiamo attraversato diverse crisi energetiche dovute all’instabilità delle aree in cui sono concentrate le principali riserve di gas e petrolio. Ciò nonostante abbiamo continuato a dipendere dalle fonti fossili: una scelta dannosa dal punto di vista climatico ed energetico che ha accresciuto la vulnerabilità del nostro Paese esposto al ricatto di regimi autoritari ed autocratici. Il governo dimissionario si è impegnato nel ricercare nuove fonti di approvvigionamento soprattutto in Africa, ottenendo in un colpo solo due risultati nefasti: incoraggiare lo sfruttamento di paesi poveri, anziché aiutarli ad investire nello sviluppo di energie rinnovabili, e mantenere il sistema energetico nazionale ancorato alle fonti fossili.

Con la crisi politica e le imminenti elezioni, c’è la possibilità che il Paese sia governato dai cosiddetti negazionisti climatici. Cosa manca ai nostri politici per compiere le scelte giuste?

Manca spesso la capacità di vedere nel futuro. Alcide De Gasperi diceva: “La differenza tra un politico e uno statista sta nel fatto che il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni”. In Italia abbondano i politici e scarseggiano i veri statisti. Molti non si sono ancora resi conto che il cambiamento climatico potrebbe portare gravi danni: estensione delle zone desertiche, diminuzione della produttività agricola, perdita di biodiversità, probabile diffusione di virus, aumento del livello del mare, inondazioni, siccità e riduzione del manto nevoso con conseguenti problemi per turismo estivo e invernale. Ancora più importante, l’aumento delle temperature e l’estensione di zone desertiche nella vicina Africa causerebbero un forte aumento dei migranti climatici. Altri politici, invece, sono preoccupati che l’attività di certi settori industriali, specie quelli estrattivi, subiranno un drastico ridimensionamento.

Voi escludete il ricorso al nucleare, ma qualche giorno fa il Parlamento europeo ha confermato la volontà di includerlo – insieme al gas – nella tassonomia green. Basterà un nome a cambiarne gli effetti?

Lo sviluppo del nucleare per combattere la crisi climatica non ha senso per molti motivi. Non è una fonte energetica rinnovabile, le scorte di combustibile sono limitate; non emettono CO2 mentre funzionano, ma ne generano moltissima per processare il combustibile e costruire la centrale. Ci sono poi ragioni di tempo, di costi e di sicurezza. Ad esempio la centrale di Olkiluoto 3 costruita dai francesi in Finlandia, progettata nel 2000, i cui lavori sono iniziati nel 2005, è entrata in funzione nel 2022, con un costo finale di circa 9 miliardi di euro contro i 3,2 stimati inizialmente; in Francia in questi mesi è stato necessario chiudere 12 reattori a causa di impreviste corrosioni; il problema delle scorie non ha soluzioni; la siccità rende problematico il raffreddamento dei reattori; gli incidenti di Chernobyl e Fukushima hanno dimostrato la pericolosità intrinseca degli impianti nucleari, che sono anche punti sensibili in caso di guerra. C’è poi una stretta connessione fra nucleare civile e armi nucleari.

In merito all’efficientamento energetico, proponete la coibentazione delle case. Con il decreto Rilancio è già stato approvato un super bonus del 110%. Ma è molto osteggiato. Secondo lei va eliminato o è efficace?

Il settore edile è fra i principali responsabili delle emissioni di gas serra e dei consumi energetici. Molto si può fare nell’efficientamento delle nostre case e di tutti gli edifici, pubblici e privati. Le nuove tecniche edilizie, i nuovi materiali e le tecnologie oggi ci danno l’opportunità di ottenere edifici a consumo energetico zero, migliorando il confort abitativo.  Il super bonus del 110% in linea di principio ha considerato il tema e ha, in parte, contribuito a quanto detto. Tuttavia, è stato gestito in modo inefficace, lasciando spazio a speculazioni e a comportamenti non corretti.

In merito ai trasporti, la Germania di recente ha promosso i mezzi pubblici con un abbonamento mensile di 9 euro. Potrebbe essere questa la scelta vincente anche nel nostro Paese?

Le tecnologie rinnovabili permettono di produrre energia elettrica in grande quantità. Parallelamente bisogna ridurre i consumi, prediligendo i mezzi pubblici alle automobili. Favorire stili di vita più sobri richiede però molto tempo e società ben organizzate. Il risultato dell’abbonamento mensile a 9 euro potrebbe essere vincente per aiutare le famiglie che fanno già uso dei mezzi pubblici. Il rincaro sui carburanti ha già spinto gli italiani ad utilizzare mezzi pubblici. L’Agi stima che già 16,3 milioni di italiani utilizzano ogni giorno un mezzo pubblico. Non abbiamo nulla da invidiare con i nostri 24,94 barili di petrolio, consumati ogni 1000 abitanti al giorno, ad altri Paesi che sono noti per una maggior organizzazione dei trasporti pubblici come la Germania che ne consuma 30,69 o la Norvegia o i Paesi Bassi rispettivamente 47,01 e 60,32.

Si attende che il ministro Cingolani firmi il decreto sulle comunità energetiche rinnovabili (Cer) e poi occorrerà l’ok del dicastero delle Politiche agricole e della Cultura in merito ai vincoli paesaggistici. Cosa pensa del modello di autoconsumo collettivo?

Le comunità energetiche sono lo strumento necessario per la gestione dell’energia rinnovabile prodotta e consumata nella rete di bassa tensione a cui sono collegati il 97% di tutte le utenze nazionali (famiglie, imprese, attività commerciali). Da sempre gli utenti che immettono energia elettrica dai loro impianti fotovoltaici la scambiano con gli utenti più prossimi così come definito dalla legge n. 8/2020 sulle comunità energetiche. Il 70% dell’energia che consumiamo è ubicato nelle nostre famiglie per cui se ogni famiglia producesse e consumasse la propria energia, allora cittadini e imprese elettrificandosi e producendo energia da fonte rinnovabile su scala locale potrebbero affrancarsi dai combustibili fossili. In questo momento è necessario che il 30% di rinnovabili centralizzate, parchi eolici, impianti fotovoltaici, idroelettrico e in piccola parte biomasse, venga realizzato quanto prima. Il restante 70% avrà certamente tempi più lunghi.

Ondate di calore anomale, incendi, siccità, inondazioni. La crisi climatica è sotto gli occhi di tutti. Secondo Greenpeace però se ne parla ancora poco in tv: i media italiani sarebbero condizionati dall’industria estrattiva. Cosa ne pensa?

Di clima si parla e si scrive troppo poco, abusando di termini non appropriati. Per “emergenza”, ad esempio, si intende una circostanza non prevista né prevedibile; ciò che invece sta accadendo è diretta conseguenza delle emissioni di gas climalteranti causate dalle attività antropiche, documentate dall’Ipcc già dall’88. I media si stanno occupando della crisi idrica e della siccità che sta mettendo a rischio fino al 30% della produzione agricola nazionale ma spesso non mettono in evidenza la relazione tra causa (utilizzo gas, petrolio e carbone) ed effetto (emissioni di CO2, surriscaldamento del pianeta, siccità e povertà alimentare). Ovviamente non si può generalizzare ma certi titoli negazionisti sono frutto dell’incultura scientifica e, pertanto, inaccettabili.

Il 28 luglio – secondo Global Footprint Network – ha segnato la fine delle risorse naturali per il 2022. L’overshoot day per l’Italia è arrivato ancora prima, il 15 maggio. Siamo in debito ecologico col Pianeta di 19 anni. I dati scientifici aumentano ma poco attecchiscano sulla politica. Come mai persiste questo scollamento?

Sono trascorsi più di  40 anni dalla pubblicazione del rapporto Charney sugli effetti delle attività umane sul clima. Da tempo gli scienziati hanno lanciato il grido d’allarme sul depauperamento, l’esaurimento e lo spreco delle risorse naturali. Purtroppo, sempre inascoltati. Molti studiosi, scienziati, filosofi hanno proposto modelli di sviluppo disaccoppiati dai consumi, proponendo la necessità e l’urgenza di un’accresciuta sobrietà, si tratta della sufficiency, la sufficienza, indicata come l’unica strada per un futuro sostenibile. Dobbiamo prevedere di utilizzare solo la quantità di risorse realmente sufficiente per garantire una qualità di vita dignitosa a tutti. La politica invece continua a mantenere un modello che noi definiamo vecchio e sorpassato: quello secondo cui lo sviluppo e il progresso devono coincidere con la crescita economica, l’aumento del Pil, la crescita dei consumi. Sappiamo che è sbagliato.

(Vincenzo Balzani, insignito del Premio Unesco-Russia Mendeleev 2021 e vincitore quest’anno del riconoscimento Ssf Molecular Machinery e del premio internazionale Cervia Ambiente).

Consigli di lettura per comprendere il presente.

Mauro Icardi

La fine del 2019 segna uno spartiacque, tra un passato che era percepito dalla maggioranza delle persone come un tempo felice e spensierato, rispetto ad un tempo presente che viene percepito come difficile, faticoso da vivere e soprattutto ingiusto. In questo tipo di giudizio assume una grande importanza l’abitudine. Credo che tutti siamo degli abitudinari, le abitudini riescono a darci un certo senso di sicurezza. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno pesantemente minato le sicurezze di ognuno di noi. La prima reazione alla quarantena del 2020 è coincisa con uno slogan denso di speranze, ma a mio parere ingenuo: “Andrà tutto bene”. Purtroppo le cose non sono andate proprio come ci si aspettava, le speranze che si potesse tornare ad una normalità, che era in effetti una normalità distorta, piena di incongruenze e disuguaglianze, non si sono verificate. Ora stiamo facendo i conti con un conflitto che ci mette di fronte una realtà persino peggiore della pandemia. Ci è voluta una guerra per far riflettere quella che un tempo si definiva opinione pubblica, sull’importanza centrale del tema energetico. E nel frattempo, nascosto per molti mesi dalle cronache di guerra, un problema altrettanto importante come quello della siccità, legato al cambiamento climatico si sta manifestando in tutta la sua gravità.

Per comprendere appieno queste problematiche, ricordando la mia formazione personale, mi convinco ogni giorno di più che si debba essere preparati.  Conoscere i principi di base della termodinamica rappresenta uno strumento culturale imprescindibile.

Quindi ecco il mio primo consiglio di lettura: “Il secondo principio” di Marco Malvaldi, editrice il Mulino.

Il libro fa parte della collana “Formule per leggere il mondo”. Il libro è uscito nel 2021, sono 131 pagine di agevole lettura.

Leggere questo libro aiuta ad approcciare il mondo reale con razionalità. Raccontare la storia di chi la termodinamica l’ha creata, partendo dalla prima rudimentale macchina a vapore di Thomas Newcomen e via via introducendoci alle esperienze e riflessioni di James Watt, Sadi Carnot, Rudolf Clausius, William Gibbs. Ci sono le formule di base studiate a scuola, ma che probabilmente si sono dimenticate. Presi dall’abitudine negativa del consumismo, dimenticando che la terra non è un pozzo senza fondo, una cornucopia che ci elargisce cibo, materie prime in abbondanza per compiacere i nostri desideri. Comprendere tutto questo sarebbe un primo passo importante, fondamentale. Eviterebbe di dover leggere commenti sui social o sui giornali che per esempio vedono come soluzione al problema della mobilità privata la produzione di auto ad aria compressa, ovvero la realizzazione del moto perpetuo di primo grado.

A tutti coloro che magari in perfetta buona fede credono a queste cose, e per incoraggiare lo studio della termodinamica, anche se ormai già diplomati o laureati, dedico questo aforisma di Albert Einstein:

Una teoria è tanto più importante quanto maggiore è la semplicità delle sue premesse, tanto più sono diversi i tipi di cose che correla e quanto più esteso è il campo della sua applicabilità. Di qui, la profonda impressione che ho ricevuto dalla termodinamica classica. È la sola teoria fisica di contenuto universale di cui sono convinto che nell’ambito di applicabilità dei suoi concetti di base non verrà mai superata.”

Quando si affrontano temi ambientali, molto spesso risulta difficile utilizzare un linguaggio adatto a divulgare temi importanti, ma spesso rifiutati dalla maggioranza delle persone. Per questo ho voluto leggere un libro pubblicato nel 2017 dalla casa editrice Neri Pozza cioè “La grande cecità” di Amitav Gosh.

L’autore mentre lavorava ad un suo romanzo dal titolo “Il paese delle maree” si accorge dei cambiamenti di natura geologica che stanno avvenendo nel Bengala. In particolare il ritirarsi delle linee costiere, e la sempre maggiore contaminazione di acqua salina che si infiltra nelle terre coltivate. Il libro non è recente, in Italia è stato pubblicato nel 2017. Recente è invece la constatazione che l’acqua di mare sta risalendo lungo il letto del Po, mettendo a rischio l’utilizzo delle sue acque che diventano salmastre per l’uso irriguo, e potrebbero anche contaminare le falde acquifere destinate all’uso potabile. In questi giorni in cui si parla molto di siccità italiana, una delle frasi che più spesso sento pronunciare è “Mai visto niente di simile”. Amitav Ghosh che oltre ad essere uno scrittore è anche antropologo riflette su cosa ci impedisca di accettare la realtà di questi cambiamenti, e perché la letteratura non sempre riesca o voglia utilizzare il cambiamento climatico come argomento principale di un romanzo.

La prima risposta dell’autore a queste domande è che, la vita di oggi con la sua ricerca di regolarità ci impedisca di considerare plausibili gli scenari che per esempio l’IPPC, o nel caso italiano L’ENEA, hanno pubblicato. Tesi che condivido. L‘abitudine a considerare il benessere un diritto acquisito, distorce significativamente la capacità di percezione dell’impatto dei cambiamenti climatici nelle nostre vite e frena l’approccio ad un cambiamento di abitudini. Potrebbe sembrare che nei paesi più poveri vi sia una percezione maggiore, o un’abitudine maggiore alla resilienza. Ma non è esattamente così: nel 2015 durante un’alluvione che ha colpito Mumbai lo scrittore racconta le difficoltà ed i danni che le classi più agiate (politici e star di Bollywood) hanno dovuto subire. Questo perché era ritenuto uno status symbol avere la casa direttamente affacciata sulla spiaggia, con vista mare. Ma il ciclone che colpì la città non fece distinzioni. Costruire abitazioni in una città che sorge su due isole che in alcuni punti sono anche al di sotto del livello del mare non è una primaria regola di prudenza.

La seconda risposta, cioè perché il cambiamento climatico non sia nella maggior parte dei casi il tema centrale di un romanzo, va ricercata ugualmente nello stile di vita di chi ritiene che la propria vita non possa essere sconvolta da catastrofi, e da un pregiudizio ancora largamente diffuso. Cioè che la letteratura che prospetta scenari futuri plausibili, sia una letteratura minore meno degna di attenzione critica. Insomma un certo affettato disprezzo per la letteratura fantascientifica.

Personalmente io ho sempre apprezzato la letteratura di questo genere, in particolare la cosiddetta fantascienza sociologica, cioè quella che cerca di immaginare scenari di evoluzione della società umana. Esistono pregevoli romanzi e libri di questo genere di letteratura fantascientifica. Per esempio le raccolte di racconti di Primo Levi “Storie naturali”, e “Vizio di forma

Per quanto riguarda la letteratura non di genere, in Italia è uscito un romanzo che ha avuto come argomento narrativo il cambiamento climatico: “Qualcosa la fuori” di Bruno Arpaia.

Il romanzo pubblicato da Guanda nel 2016 racconta di un’Europa ormai devastata dai cambiamenti climatici, in cui solo alle latitudini della Scandinavia è possibile trovare territori adatti agli insediamenti umani. Il sud del continente è ormai diventato invivibile. Pianure screpolate, argini di fango secco, fiumi aridi, polvere giallastra, case e capannoni abbandonati. E proprio per la rimozione dei problemi, per la disattenzione e lentezza nel risolverli che inizia l’era dei migranti climatici. Il protagonista Livio Delmastro, anziano professore di neuroscienze, è uno di loro. Ha insegnato a Stanford, ha avuto una magnifica compagna, è diventato padre, ma alla fine è stato costretto a tornare in un’Italia quasi desertificata, sferzata da profondi sconvolgimenti sociali e politici, dalla corruzione, dagli scontri etnici, dalla violenza per le strade.

Una trama simile ricorre in un interessante volume della storica collana Urania. Il titolo è “La carovana” di Stephen Goldin. Il romanzo in originale è del 1975, in Italia è stato pubblicato nel 1979 nel volume 771 della collana omonima.

Anche qui ci sono dei migranti in fuga da una società ormai disgregata. Tra loro viene accolto il protagonista Peter Stone che è l’autore di un libro intitolato “Il collasso mondiale”. Libro che è stato molto venduto, molto criticato e di fatto completamente ignorato. Stone viaggia in un America dove il denaro non ha più valore, dove si è tornati al baratto, e lo fa sotto falso nome per paura di essere oggetto di ritorsioni e violenze proprio per aver scritto e previsto il collasso del sistema. Il romanzo è di facile lettura. Ma soprattutto sono interessanti i brani tratti dall’immaginario libro di Stone, che di fatto è l’altro protagonista del romanzo, che aprono come nota ogni capitolo. Questo è un piccolo estratto: “Stiamo diventando una società dell’io prima di tutto, in cui il bene dell’individuo spesso è in contrasto con il bene della società. E nella struttura di una civiltà che ha assoluto bisogno di una perfetta cooperazione tra i suoi vari elementi, questo può avere una sola, disastrosa conseguenza…” (da Il collasso mondiale di Peter Stone).

Come ho cercato di far capire, la lettura e la curiosità possono e devono essere una chiave di conoscenza a vari livelli per affrontare il nostro tempo incerto. Poi occorre rimboccarsi le maniche, sporcarsi le mani e iniziare non solo a lavorare sulle nostre abitudini individuali, ma anche sulle pressioni che possiamo fare sulla classe politica. La scienza ha già detto cosa doveva dire. Ma come si può vedere anche la letteratura nelle sue diverse accezioni lo ha fatto. Non è più tempo di indugi. Constatare che alcuni degli scenari previsti in libri di letteratura, confermano previsioni e scenari fatti dalla scienza sono alla fine una sorta di triste privilegio.  Se poi non seguono azioni concrete, se la maggior parte delle persone insiste nel negare i problemi climatici e ambientali. Le generazioni che si troveranno a vivere in un pianeta diverso da quello che abbiamo conosciuto noi, ci stanno già richiamando alle nostre responsabilità, rinfacciandoci il troppo tempo perso.

Il mondo ha bisogno di uno stop completo ai combustibili fossili

Rinaldo Cervellati

Intervista di Cheryl Hogue, di Chemistry & Engineering news, a Holly Jean Buck, analista ambientale, autrice del libro Ending Fossil Fuels: Why Net Zero is Not Enough, Verso Ed. 2021.

La breve intervista è stata rilasciata il 18 marzo scorso a C&EN, qui ne riportiamo una versione tradotta e adattata da chi scrive[1].

Holly Jean Buck, nata a Columbia (Maryland, USA), PhD in sociologia dello sviluppo, Cornell University (Ithaca, N.Y.), è attualmente professoressa di ambiente e sostenibilità alla Buffalo University (N.Y.), fig. 1.

Figura 1. Holly Jean Buck

Buck, nel suo libro, sostiene che l’obiettivo zero di emissioni entro il 2050 si concentra esclusivamente sui gas serra e di conseguenza distolgono l’attenzione dai combustibili fossili. Le aziende di diversi settori, compreso il settore chimico, si stanno impegnando per ridurre le proprie emissioni di gas serra a zero. Per raggiungere tale obiettivo, compenseranno il carbonio attraverso varie azioni, tipo piantare molti alberi o catturare l’anidride carbonica per immagazzinarla e utilizzarla come materia prima. Ma, sostiene Buck, il raggiungimento di emissioni zero netto non garantirà che il pianeta sia protetto dagli impatti sulla salute e sull’ambiente dovuti all’estrazione e all’uso di combustibili fossili. Secondo Buck, il cambiamento climatico non è l’unico motivo per eliminare gradualmente i combustibili fossili, che sono collegati a molti impatti negativi, incluso l’inquinamento atmosferico e il sostegno finanziario a governi corrotti e oppressivi.

Buck è una delle centinaia di autori che stanno contribuendo al prossimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), gruppo di lavoro delle Nazioni Unite che valuta i modi per rimuovere i gas serra dall’atmosfera. Il gruppo di lavoro pubblicherà una sintesi della relazione l’1 aprile.

Buck ha anche fatto parte di un comitato delle accademie nazionali di scienza, ingegneria e medicina degli Stati Uniti che ha scritto il rapporto “A Research Strategy for Ocean Carbon Dioxide Removal and Sequestration”, pubblicato nel dicembre 2021.

In precedenza Buck è stata ricercatrice scientifica presso l’Università della California, Los Angeles, Institute of the Environment and Sustainability e ricercatrice climatica presso la UCLA School of Law, dove la sua ricerca si è concentrata sulla governance dell’ingegneria climatica.

Ecco l’intervista:

CH. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle politiche e degli obiettivi dello zero netto?

HJB. Il vantaggio dello zero netto come obiettivo è che offre una certa flessibilità, sia nel tempo sia nello spazio. Forse il tuo paese produce molto bestiame. Nuova Zelanda e Uruguay sono in questa situazione. Molte delle loro emissioni provengono dal bestiame ed è difficile decarbonizzare.

Inoltre, alcune cose sarebbero possibili da decarbonizzare completamente in pochi decenni, ma manca ancora la tecnologia. Esistono percorsi plausibili per il carburante sostenibile per l’aviazione o l’idrogeno verde per alimentare le fabbriche, ma non sono abbastanza maturi.

Ma ci sono anche altri problemi. Il più grande è il pericolo che l’obiettivo zero netto sia usato come una sorta di scappatoia o un modo per rimandare transizioni più costose. Potrebbe ritardare i tagli alle emissioni. Questo è ciò che preoccupa molti sostenitori del clima.

CH. Il tuo libro sostiene che un allontanamento dai combustibili fossili è essenziale per affrontare il cambiamento climatico causato dall’uomo. Ne discuteresti, soprattutto a proposito dello zero netto?

JHB. Sappiamo che dobbiamo ridurre la produzione di combustibili fossili, non solo aumentare le rinnovabili. Dobbiamo fare entrambe le cose. Se vogliamo limitare il riscaldamento a 1,5 ºC, cosa che molti paesi hanno accettato di provare a fare, dovremmo ridurre la produzione di combustibili fossili del 6% all’anno in questo decennio. Eppure stanno pianificando di aumentare la produzione del 2% circa. Non siamo davvero sulla strada giusta.

CH. Lei afferma che la decarbonizzazione del settore petrolchimico è particolarmente difficile. Come mai?

JHB. In questo momento, circa l’80% di un barile di petrolio va per i combustibili e il resto ai prodotti petrolchimici. Ci sono emissioni legate a varie parti di quella produzione. Sia l’estrazione di petrolio e gas che il cracking delle molecole hanno un’impronta sul gas serra. La plastica non è ben riciclata, quindi è una specie di problema climatico a sé stante.

CH. Quali sono le sfide e le opportunità che l’industria chimica deve affrontare per porre fine ai combustibili fossili, piuttosto che lottare per lo zero netto?

JHB. È un settore difficile da convincere perché molte strutture sono estremamente costose e impegnano  grossi capitali. Ma penso che ci siano opportunità in termini di nuovi settori. Ad esempio, cattura, utilizzo e stoccaggio della CO2. Ci sono molte opportunità interessanti nell’utilizzo della CO2 in termini di prodotti chimici come metanolo, polimeri e anche materiali da costruzione. La CO2 può essere utilizzata in tutte queste diverse applicazioni. I prodotti petrolchimici potrebbero essere realizzati con carbonio riciclato. Queste opportunità potrebbero attirare nuove società in competizione con le attività petrolchimiche usuali.

CH. Qual è il tuo messaggio per i chimici o i ricercatori che escogitano nuovi materiali in relazione allo zero netto?

JHB. È un momento così interessante ed emozionante per essere veramente innovativi nel settore. Il movimento per affrontare il cambiamento climatico sta aprendo opportunità economiche per prodotti che ora non sarebbero competitivi con i prodotti petrolchimici. Questa potrebbe essere una sorta di nuova rivoluzione chimica, sia in termini di biomateriali sia di utilizzo della CO2.

Breve recensione del libro Ending Fossil Fuels: Why Net Zero is Not Enough[2].

Il libro è costituito da due parti. La prima parte, “L’ottimismo crudele dello zero netto”, discute vantaggi e svantaggi dello zero netto. Pur riconoscendo che raggiungere lo zero netto entro il 2050 è un obiettivo ambizioso in contrasto con l’attuale ritmo di decarbonizzazione globale, i capitoli di questa parte sostengono che l’assunzione del concetto di equilibrio e stabilità creerebbe ambiguità che l’industria dei combustibili fossili potrebbero sfruttare. La seconda parte, “Cinque modi di guardare all’eliminazione graduale dei combustibili fossili”, valuta cinque approcci per avviare un declino pianificato dei combustibili fossili, un’impresa estremamente difficile che richiederà uno stretto coordinamento in tutti i settori della società. Di conseguenza, gli approcci delineati in questa parte non operano in modo isolato. Solo attraverso gli sforzi collettivi, la società può iniziare a delegittimare le basi materiali e ideologiche della produzione e del consumo di combustibili fossili. In paesi come gli Stati Uniti, i combustibili fossili sono saldamente radicati nell’immaginario sociale della “buona vita della classe media” poiché forniscono la base energetica per la vita suburbana e la proprietà dei veicoli. Il più grande ostacolo alla decarbonizzazione sono quindi le strutture culturali e politiche che legittimano la dipendenza dai combustibili fossili come norma sociale. Si propone dunque di modificare la consapevolezza pubblica con un discorso sui fini per trasformare l’attuale cultura neoliberista in una che pianifica. Secondo la ricerca di Buck, ciò che rende particolarmente problematiche molte delle soluzioni offerte dai giganti della tecnologia, come Apple, Microsoft e Google, a parte le loro tendenze tecnocratiche, è quanto siano inestricabilmente intrecciate queste soluzioni con il fossile. Il loro obiettivo collettivo è costruire un mondo fossile più pulito senza introdurre cambiamenti strutturali nell’accumulazione di capitale.


[1] https://cen.acs.org/environment/climate-change/world-needs-full-stop-fossil-fuels-sustainability-analyst-Holly-Jean-Buck-says/100/i13

[2] https://blogs.lse.ac.uk/impactofsocialsciences/2021/11/06/book-review-ending-fossil-fuels-why-net-zero-is-not-enough-by-holly-jean-buck/

Ambientalismo scientifico e combustibili fossili. Il futuro è ora.

Giovanni Villani

“Il problema generale del rapporto dell’uomo con il suo ambiente è prima di tutto di tipo culturale. Comprendere questo intrinseco e imprescindibile rapporto, incentivare una relazione che non sia di solo sfruttamento e, al tempo stesso, riconoscere che l’attività umana non è qualcosa di estraneo, ma parte integrante dell’ambiente naturale, è un compito culturale cui la comunità dei chimici può e deve dare un essenziale contributo, partendo dalla scuola e da una corretta educazione ambientale”.

Inizio questa riflessione con questa citazione. Essa è il “cappello” del paragrafo “Il contributo della comunità scientifica chimica italiana” al documento “Posizione della Società Chimica Italiana riguardo ai cambiamenti climatici” del Giugno 2016. Tale citazione fu principalmente elaborata della Divisione di Didattica che, allora, io avevo l’onore di presiedere. Essa rappresenta, per inciso, anche una risposta a quanti pensano che parlare di “cultura chimica” in generale, significhi riflettere su “cose astratte e sostanzialmente inutili” e una dimostrazione dell’importanza di elaborare posizioni generali su temi essenziali e impattanti sulla vita delle persone.

L’idea che la Natura sia qualcosa da “sfruttare” è largamente presente nella cultura moderna e contemporanea occidentale. Sebbene sempre presente in forma latente, tale idea è stata sviluppata filosoficamente da Francesco Bacone, filosofo/scienziato inglese del XVII secolo e che, quindi, visse, non casualmente, alle soglie della prima rivoluzione industriale di quel paese e, più in generale, dell’occidente.

Che il termine “sfruttamento” sia totalmente negativo è evidente a tutti. È difficile oggi trovare un esempio in cui tale termine entri in maniera positiva. Non è un caso che la parola “sfruttamento” è stata anche associata al lavoro e alla schiavizzazione di interi popoli, “piaghe” che sono seguite, non casualmente, alla prima industrializzazione e al colonialismo.

Il termine usato da Bacone, era “dominare” la Natura, ma, credo che, se riusciamo a guardare il mondo con gli occhi di quattro secoli fa, egli intendesse dire semplicemente “influire sulla Natura”. La scelta “tecnologica” di Bacone si è rivelata corretta. L’uomo in questi quattro secoli ha contrastato efficacemente tanti problemi, come le malattie e la fame (purtroppo solo in certe parti del mondo).

A distanza di quattro secoli, però, la scienza e le tecnologie hanno reso il mondo estremamente “piccolo”. Molte sono le immagini moderne che visualizzano questa nuova condizione. L’idea di “casa”, o come ci dice Vincenzo Balzani di “navicella spaziale”, sono sicuramente immagini più consone alla situazione attuale. In questo mondo “piccolo”, i problemi si sono “ingigantiti” e abbiamo scoperto che, essendo questo il nostro unico “luogo possibile”, c’è la necessità di proteggerlo per noi e le prossime generazioni,

Il cambiamento di prospettiva richiesto da un ambientalismo non utopico, da me definito “scientifico”, non è facile. Che “la transizione ecologica rappresenti un impegno senza precedenti: per questo l’Industria chimica continua a investire sul futuro” ce lo dice anche Paolo Lamberti, Presidente Federchimica, sul frontespizio del loro sito web.

Tale impegno può essere reso attuale per i chimici? Io credo di si, e vediamolo in un caso concreto, essenziale per il futuro del nostro pianeta: la transizione energetica dai combustibili fossili.

È da tempo che Balzani, in prima fila, con tanti altri scienziati al seguito, ci dicono che dobbiamo accelerare nella transizione alla produzione di energia che faccia a meno, elimini del tutto, i combustibili fossili. Le due lettere di Vincenzo Balzani ai giornali (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2020/10/10/due-lettere-aperte-di-v-balzani/) sono solo l’ultimo esempio del suo costante impegno su questo tema. A tale posizione ne viene contrapposta un’altra, anch’essa presente in ambito chimico in senso lato, che c’è tempo per fare tale transizione, che il momento “non è ora, magari in futuro …”.

Io credo che questo sia il momento di scelte nette. La mia posizione è chiara: io sono con Vincenzo, il futuro è ora … se vogliamo avere un futuro.

Io credo che la Società Chimica Italiana, che si è dimostrata lungimirante e si è dotata da un lustro di un documento ufficiale sul cambiamento climatico, debba prendere una chiara posizione tra queste due alternative. Se vogliamo essere ambientalisti, in senso scientifico, se vogliamo costruire un rapporto positivo con tutta quell’area culturale che si impegna su queste problematiche, dobbiamo chiarire la nostra posizione.

Forse sarà utopico, e se lasciassimo decidere, democraticamente, i Soci della SCI? Gli strumenti non mancano, a partire dall’attuale fase elettorale.

Il riscaldamento globale ha diverse velocità

Rinaldo Cervellati

Dal 1948, la temperatura media annuale del pianeta è aumentata di 0,8 gradi. In Canada[1] questo valore è doppio  (+1,7 °C) e nell’estremo nord quasi triplo: +2,3 °C (Figura 1).

Questa è la conclusione del rapporto commissionato dal governo canadese sui cambiamenti climatici [1].

Non c’è da stupirsi per un paese situato ad alte latitudini. Più ci si avvicina all’Artico, più diventa caldo, ha affermato Steven Guilbeault su Radio Canada. Questo ecologista co-presiede l’Advisory Council on the Fight Against Climate Change, un’organizzazione istituita dal governo canadese afferma: “Più si arriva a nord dall’Ecuador, più velocemente le temperature aumentano. Nell’Artico, non è solo due volte più veloce della media planetaria, è 4 anche 5 volte più veloce! È un fenomeno planetario, è legato alla nostra geografia”.

“Se tutti i paesi rispettassero [i loro impegni] alla Conferenza di Parigi [sul clima] potremmo evitare 1°C di riscaldamento. Sarebbe un fatto enorme “.

Le conseguenze sono già molteplici per il Canada: innalzamento del livello degli oceani che lo costeggiano, aumento delle precipitazioni annue (con riduzione delle nevicate nel Canada meridionale). Nell’estremo nord, la durata e l’estensione delle assenze di ghiaccio marino nelle regioni canadesi dell’Oceano Artico e dell’Oceano Atlantico sono in aumento.

C’è anche un impatto sugli eventi meteorologici estremi, spiegano gli esperti che hanno scritto il rapporto: “Ciò aumenterà la gravità delle ondate di calore e contribuirà ad aumentare il rischio di siccità e incendi boschivi. Anche se le inondazioni interne sono il risultato di molteplici fattori, precipitazioni più intense faranno aumentare il rischio di inondazioni nelle aree urbane “.

L’azione umana è la principale responsabile.

Questo voluminoso rapporto rileva che le variazioni naturali del clima possono aver contribuito al riscaldamento osservato in Canada, ma specifica che il fattore umano, cioè le emissioni di gas serra, è dominante. Gli esperti canadesi affermano che: “È probabile che più della metà del riscaldamento osservato sia causato dalle attività umane”.

Il riscaldamento globale continuerà in Canada, ma la sua entità dipenderà dagli sforzi compiuti in tutto il mondo per ridurre le emissioni di gas serra, soprattutto nei prossimi due decenni. Il rapporto delinea diversi scenari per la fine del secolo. I più ottimisti prevedono un aumento di 1,8°C (rispetto al periodo di riferimento dal 1986 al 2005). Il più pessimista, se non si fa nulla, + 6,3 °C. Per il ministro federale dell’ambiente Catherine Mckenna, questo rapporto è un allarmante promemoria della necessità di agire.

Possiamo, dobbiamo e lo faremo. Il prezzo dell’inquinamento in Canada, oggi effettivo in tutto il paese, è un modo per agire e proteggere il nostro ambiente.

Questo rapporto è stato commissionato dal governo liberale di Justin Trudeau nel bel mezzo di un dibattito sull’introduzione di una carbon tax sulla benzina ma anche su olio combustibile, propano e gas naturale. Il risultato è stato la Carbon tax, ovvero l’aumento del prezzo del carburante per i contribuenti. Il principio è aumentare il prezzo di questi combustibili fossili che emettono molta CO2 per incoraggiare i privati ​​e le aziende a rivolgersi ad altre fonti di energia, a modi di trasporto e riscaldamento più ecologici.

Questa tassa sui prodotti fossili e derivati è entrata in vigore lunedì 1 aprile 2019 in quattro province canadesi: Ontario, Saskatchewan, Manitoba e New Brunswick. Tassa imposta dal governo federale, contro il parere dei vertici delle province interessate. A livello nazionale, il leader dell’opposizione, del partito conservatore, Andrew Scheer, è decisamente contrario a questa “tassa aggiuntiva”.

Il governo di Ottawa promette di restituire il 90% delle entrate di questa tassa al contribuente sotto forma di rimborso. Il resto dei fondi sarà investito in programmi di efficienza energetica. Non abbastanza da convincere il Premier della provincia del Saskatchewan, che annuncia di voler sporgere denuncia contro il governo canadese.

Il Canada è andato ieri, lunedì 19 al voto anticipato, a due anni dalle precedenti elezioni.

Opere consultate

[1] Sandy Dauphin, Au Canada, le réchauffement climatique va deux fois plus vite que sur le reste de la planète, France inter, 2 aprile 2019

https://web.archive.org/web/20190410152640/https://www.franceinter.fr/environnement/au-canada-le-rechauffement-climatique-va-deux-fois-plus-vite-que-sur-le-reste-de-la-planete


[1] Il Canada è un Paese del nord America compreso tra gli Stati Uniti a sud e il circolo polare artico a nord. È stato dominio inglese fino al 1931. Le sue dieci province e tre territori si estendono dall’Atlantico al Pacifico e verso nord nell’Oceano Artico, coprendo 9,98 milioni di chilometri quadrati. Le due lingue principali sono inglese e francese, ma essendo un Paese multietnico si parla il cinese, l’hindi, il tedesco, lo spagnolo, l’italiano e altre lingue.  Per esperienza personale desidero dire che il tasso di razzismo in Canada è prossimo a zero.

Ci rimane solo l’adattamento.

Claudio Della Volpe

https://www.economist.com/leaders/2021/07/24/a-3degc-world-has-no-safe-place

Si è appena chiuso il G20 di Napoli sul clima e si è chiuso male; è vero che il comunicato finale è stato proposto come una vittoria, ma la realtà è che due articoli chiave sono stati esclusi.

Il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani al termine di un negoziato che come previsto è “stato molto lungo e intenso” ha dichiarato che un accordo era stato raggiunto, ma ahimè per lui esclude le cose di sostanza.

Anche Cingolani riconosce che “Su 60 articoli due sono stati estratti perché non è stato possibile trovare l’accordo quindi alcuni punti sono stati rinviati ai livelli di decisione politica più alta del G20 dei capi di Stato: oggettivamente è stato un ottimo risultato“.

L’ultima frase è del tutto sballata. Perché?

I due punti su cui non si è raggiunto l’accordo sono

  1. sulla decisione di rimanere sotto 1,5 gradi di riscaldamento globale al 2030
  2.  sull’eliminare il carbone dalla produzione energetica entro il 2025.

A differenza di Cingolani che non può che fare buon viso la grande stampa mondiale non ha peli sulla lingua; l’Economist scrive chiaramente che non ci rimane che l’adattamento perché la mitigazione non è passata. Il titolo che leggete nella figura di apertura è: Non ci sono posti sicuri in un mondo a +3°C rispetto al passato prossimo.

D’altronde i fenomeni estremi verificatisi negli ultimi tempi, partendo dagli incendi australiani e finendo alle tragiche alluvioni tedesche i cui effetti mortali non sono stati ancora quantificati con precisione confermano che nessun emisfero e nessun continente è sicuro nemmeno ora.

Il motivo del disaccordo è che i paesi come India e Cina che rappresentano 3/8 dell’umanità e oggi anche una frazione significativa della produzione mondiale in tutti i settori non hanno accettato condizioni che potrebbero mettere a rischio la loro crescita economica; mentre i 7-8 paesi più industrializzati spingono per una transizione forte e rapida in termini energetici, ma che metterebbe a rischio  le quote di mercato di Cina ed India e a loro volta non sono intenzionati a nessun tipo di aiuto o cessione di diritti.

Il problema appare di non facile soluzione; troppo facile o perfino ipocrita dire che adesso gli inquinatori sono cinesi o indiani quando poi buona parte di quelle economie produce per noi dei paesi ricchi e i gas serra ivi prodotti sono un nostro carico.

Perché le aziende occidentali esternalizzano in paesi che vanno a carbone, hanno un costo del lavoro più basso e nessun controllo sull’inquinamento ambientale? Perché non producono qui, recuperando posti di lavoro?

Il G20 non è una COP, una conference of parties, ma di fatto mostra gli stessi problemi sociali e politici già presenti in tutte le discussioni mondiali sul clima e finora non risolte; nel frattempo le cose peggiorano.

Scultura di Issac Cordal a Berlino intitolata: ′′ Politici che discutono del riscaldamento globale.”

Non possiamo più sprecare tempo

Mauro Icardi

Le anomale precipitazioni piovose, che hanno interessato Germania, Belgio e Olanda dovrebbero indurci non solo a maggiori riflessioni, ma anche all’adozione di piani concreti contro il cambiamento climatico. Le ultime notizie parlano di oltre 180 morti e un numero non ben definito di dispersi.

Ridurre le emissioni dovute all’uso dei combustibili fossili, modificherà inevitabilmente e in maniera profonda il nostro modo di vivere. Sia nell’ambito della nostra vita privata, che in quella sociale e nell’organizzazione del lavoro. Non credo si possa pensare di risolvere problemi di questa importanza tramite compromessi. Dovremo adattarci a dei cambiamenti che modificheranno in maniera profonda le nostre abitudini.

L’adattamento a nuove situazioni è un processo che richiede indubbiamente risorse personali, una sorta di meccanismo di omeostasi psicologica, al quale però occorre essere stati preparati.

 Ricordo bene che nel periodo della mia infanzia e poi dell’adolescenza, sono stato educato a non eccedere nella richiesta di beni materiali. A non legare in maniera esagerata le mie soddisfazioni personali al possesso di beni materiali. Soprattutto se questi erano superflui. Queste indicazioni provenivano dai miei genitori, che nati negli anni 30, avevano vissuto in maniera ovviamente diversa.

Personalmente ho vissuto anch’ io il periodo della necessità di essere parte di una comunità di amici, ma fortunatamente nessuno di noi era influenzato in maniera eccessiva dalle lusinghe pubblicitarie.

Oggi invece molte, direi troppe cose sono cambiate. Ci confrontiamo con i problemi ambientali ormai da tempo. Ma quando ne parlo con amici, conoscenti e persone che frequento, rimango sempre piuttosto perplesso. Le obiezioni che mi sono rivolte quando cerco di spiegare quelle che possono essere le soluzioni (per altro non più rimandabili)  sono le stesse che ho iniziato a sentire negli anni 70.

In genere sentivo dire che, la Terra è grande e ha ancora sterminati territori da sfruttare, che l’inquinamento fosse il prezzo da pagare per il progresso, che fosse un diritto fondamentale quello del possesso dell’auto e magari della seconda casa al mare.

La sensazione che provo è che non sia cambiato nulla, quando ascolto le persone che parlano, magari sul tram o al ristorante. Invece sono cambiate diverse cose. E’ aumentata la concentrazione di CO2 in atmosfera, la biodiversità è profondamente compromessa, cosi come i cicli biogeochimici di fosforo e azoto.

Lo scopo di questo blog è questo. Informare nella maniera più rigorosa possibile come si debba preservare il pianeta.  La scienza, soprattutto quella del clima ha già indicato con chiarezza quali sono gli scenari probabili con cui dovremo fare i conti, se non invertiamo la tendenza. Le leggi fisiche non sono emendabili per decreto.  Si è detto e scritto molte volte, su questo blog e su migliaia di altri. Su centinaia di riviste scientifiche.

I segnali che ci dovrebbero far reagire immediatamente, pretendendo un impegno immediato e reale da parte della politica si susseguono con un’ allarmante regolarità. Il 2020 ha chiuso il decennio più caldo mai registrato. La temperatura globale è stata di circa 1,2 °C sopra il livello pre-industriale. 

E mi chiedo cosa altro dobbiamo aspettare che accada per smuoverci da questo torpore.

“ Le basi più elementari dei presupposti su cui si fonda il nostro futuro benessere economico sono marce. La nostra società vive una fase di rifiuto collettivo della realtà che, quanto a proporzioni e implicazioni non ha precedenti nella storia”

Jeremy Legget- Fine corsa Einaudi 2006.

Gli avvertimenti arrivano da lontano. Questo che ho tratto è solo uno dei tanti. Non abbiamo troppo tempo, e sprecarlo non è saggio.

Nota: L’intensità di questo evento alluvionale è stata certamente inusuale, se confrontata con le altre alluvioni avvenute in passato in Germania. E quindi non è corretto attribuire un singolo episodio, sia pure catastrofico come questo direttamente al riscaldamento globale, come affermato dal ministro tedesco Horst Seehofer. Ma quello che ci si può ragionevolmente supporre, e che eventi estremi di questo genere si possano verificare più frequentemente in un’atmosfera modificata dai gas serra.
Riporto quanto dichiarato da Antonio Navarra, climatologo e presidente della fondazione Centro Euro Mediterraneo sui cambiamenti climatici, intervistato a proposito di quanto successo in Germania.

Professor Navarra, eventi come questo sono certamente riconducibili all’emergenza
climatica?

«È molto probabile, ma per essere scientificamente corretti non possiamo parlare di certezza. Si tratta di fenomeni che hanno scale temporali completamente diverse ed è difficile spiegare un evento puntuale con un processo che invece si estende per secoli. Sarebbe come voler creare un rapporto di causa-effetto tra il fatto che sono inciampato in una strada della capitale e il crollo dell’Impero Romano. Probabilmente il legame, c’è ma è difficile dimostrarlo scientificamente.
Qualche collega sta cercando di dimostrate il legame tra global warming e singoli eventi meteo
estremi, ma alla fine non si può che parlarne in termini statistici».
Un dato, statistico appunto, consolidato è che frequenza e intensità dei fenomeni estremi stanno aumentando.
«Questo è fuor di dubbio. C’è una chiara correlazione tra l’aumento della concentrazione
dell’anidride carbonica nell’atmosfera e la frequenza e l’intensità di alluvioni, ondate di calore e
periodi di siccità. Nel caso specifico delle precipitazioni assistiamo a un graduale spostamento
verso nord delle due fasce che attraversano l’Europa. Una passa nella zona centrale del
continente, l’altra attraversa il Mediterraneo. Quest’ultima sta migrando verso latitudini più alte: tra qualche anno da noi ci saranno sempre meno piogge che si riverseranno proprio dove c’è stata l’alluvione di ieri. Le nostre proiezioni danno per l’area mediterranea un calo delle precipitazioni compreso tra il 15 e il 20%».

Recensione. I bugiardi del clima.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

I bugiardi del clima. Potere, politica psicologia di chi nega la crisi del secolo

di Stella Levantesi,ed.Laterza p.256 2021 17 euro

In questi 2 fine settimana di luglio ho avuto il tempo di leggere un libro che merita alcune riflessioni in relazione all’impegno del nostro blog rispetto ad alcuni temi per i quali l’aspetto scientifico, sociale e politico si intrecciano intimamente. Mi riferisco a “I bugiardi del clima” di Stella Levantesi, ed.Laterza. Il libro vuole rispondere ad una domanda: perchè nonostante decenni di consapevolezza scientifica sui motivi dei cambiamenti climatici l’azione politica è così lenta e le iniziative più significative sono quelle affidate alla società civile? La risposta può aiutare a comprendere gli errori del passato ed a non commetterne ancora.

La novità del libro secondo me deriva dal suo metodo:percorrere al fine di comprendere non il.percorso di chi è giunto alla conclusione dell’emergenza climatica, ma di chi afferma che non c’è. Si comprende quindi come i negazionisti siano abili nel trasformare un fenomeno scientifico da tutti osservabile in un tema politico: così il fenomeno perde il suo fondamento scientifico e diventa questione politica, se non addirittura partitica, e come tale è più facile metterne in discussione l’esistenza e, soprattutto, l’urgenza.

Il libro presenta anche una interpretazione storica della nascita del negazionismo ambientale: alcune aziende di gas,carbone e petrolio sapevano come realmente stessero le cose sin dagli anni ’70-’80 con.i loro tecnici capaci di collegare attività produttive, combustibili fossili ed emissioni climalteranti, causa dell’innalzamento termico del pianeta. Per dirottare la conoscenza delle cose e delle relative responsabilità tali tecnici hanno attuato una campagna di disinformazione durata fino al 2015, quando tali fatti vennero alla luce con riferimento specifico alla Exxon.

In effetti anche Shell ed altri sapevano,ma nessuno aveva parlato cosicché il fronte negazionista aveva avuto la possibilità di crescere e rinforzarsi. Non erano state coinvolte nell’operazione solo aziende di combustibili fossili: associazioni industriali avevano arruolato negazionisti a noleggio (la denominazione è dovuta allo scienziato Michael Mann) ed alcuni circoli conservatori avevano promosso una camera dell’eco che comprendeva alcune piattaforme mediatiche negazioniste. Tra i primi obbiettivi di queste sono stati e sono tuttora l’ostacolo e la resistenza a qualunque regolamentazione al settore fossile ed alla politica climatico ambientale e la semina di discredito alla scienza del clima. Questa – può essere una giusta osservazione a posteriori -si é dispersa in molti troppi rivoli frazionando dati e conoscenze a svantaggio della loro significatività. La macchina negazionista per acquisire forza si serve di differenti strumenti, dai finanziamenti alla propaganda politica alle strategie di comunicazione.Secondo uno studio le maggiori compagnie di gas e petrolio spendono più di 200 milioni di dollari l’anno al fine di esercitare pressioni per ostacolare le politiche climatiche e la regolamentazione del settore. Circa i dati scientifici gli strumenti più adottati per finalizzarli al proprio tornaconto negazionista sono quelli del cosiddetto cherry pickling per cui si isolano dei dati e si sopprimono le prove e le vie di accesso al quadro completo e dell’argumentum ad hominem,strategia per cui invece di criticare i contenuti di un’argomentazione si lancia discredito su chi l’ha formulata. Infine viene confusa l’opinione pubblica dando l’impressione che il dibattito scientifico sui cambiamenti climatici sia ancora in corso e su questo torna l’osservazione già prima formulata, circa alcune responsabilità del mondo scientifico talvolta ubriacato da un numero crescente di dati in un approccio olistico che però finisce per fare perdere la visione di sintesi.

La prima bugia che si può raccontare sull’emergenza climatica è che non è colpa dell’essere umano;la seconda è che tutti gli esseri umani ne sono responsabili in uguale misura.Queste bugie, insieme alla paura di perdere lo status quo ed i propri benefici all’interno della società, finiscono per alimentare il negazionismo. Ed ecco perché la crisi climatica non riguarda solo la Scienza, ma va reinterpretata come crisi che interseca tutte le altre, dalla giustizia sociale alla salute pubblica.
Non voglio chiudere queste note sul libro di Stella Levantesi senza ricordare il significativo paragone che vi si può leggere descritto circa come le strategie negazioniste ricalchino quelle dell’industria del tabacco. I parallelismi tra le due campagne di disinformazione sono evidenti: per continuare a vendere sigarette si nascondono dati e si screditano quanti su basi scientifiche dimostrano la correlazione stretta fra fumo e tumore dei polmoni o anche semplici patologie respiratorie.
Non sono Stella Levantesi ed ho solo cercato di sintetizzare il suo pensiero descritto con chiarezza ed incisività nel suo libro.Il fatto che io condivida quanto riportato non deve togliere a quanti leggono questo post la curiosità di leggere in dettaglio il libro per poi elaborarlo nella propria coscienza al fine di contribuire affinchè il dibattito perda quei caratteri di strumentalità che nuocciono a scelte sostenibili.